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Quando le pause danno il tempo di pensare

Appena una decina di giorni fa, abbiamo pubblicato un post piuttosto tecnico di Franco Zavatti in cui si cercava, con successo, di mettere qualche punto fermo sull’argomento più ‘caldo’ degli ultimi anni nella discussione climatologica, ovvero sulla realtà, durata e, eventualmente, data di inizio di quella che è ormai ufficialmente riconosciuta come pausa nell’aumento delle temperature medie superficiali globali. Per questo genere di operazioni e più in generale per l’analisi di ogni tip di dataset, è necessario fissare dei criteri che possono essere soggetti a critica in quanto inevitabilmente tendono a condizionare i risultati. Quando questi criteri sono però espressi palesemente il rischio di condizionamento si abbatte, perché costituiscono parte integrante dell’informazione.

L’argomento ‘pausa del global warming’ però è tutt’altro che definito, e, in questa ennesima piovosa domenica, vi invito a leggere due altri post che affrontano lo stesso tema. Il primo è di un esperto di dataset, Geert Jan van Oldenborgh del KNMI, ovvero colui che ha creato e gestisce la miniera di informazioni Climate Explorer, il secondo è di Bob Tisdale, uscito su WUWT.

Il punto che sostiene Van Oldenborgh è che non si possa parlare di pausa vera e propria, almeno secondo i criteri che lui ha fissato, ossia che ci sono stati anni più caldi del 1998, da cui per molti è iniziata la pausa e che il trend è piatto (no trend), solo a partire dal 2005, quindi solo per gli ultimi dieci anni. Tisdale dal canto suo tende a rigettare questa tesi prendendo in esame soprattutto i dati provenienti dalle sonde satellitari.

In aggiunta a tutto ciò, l’anno che sta per concludersi potrebbe segnare un nuovo record, pur rientrando in quella lunga serie di anni in cui le variazioni non sono statisticamente significative, cioè sono interne all’intervallo di incertezza dei dati, e in cui la classifica si fonda su differenze millesimali non misurabili ma frutto dell’elaborazione delle serie.

L’argomento pausa continua quindi a destare attenzione ma, rimandando l’informazione alla lettura dei post segnalati, ci terrei a sottolineare la chiusura del primo dei due:

“In aggiunta al trend al rialzo delle temperature, gran parte d’Europa ha avuto un tempo caldo per lunghi periodi quest’anno. Questi due fattori insieme, il trend di lungo periodo e una breve fluttuazione positiva, hanno causato il record di temperatura elevata atteso quest’anno”.

Sicché, il trend al rialzo non è statisticamente significativo; se il record arriverà non lo sappiamo ancora ma è probabile. Chissà se nel commentarlo qualcuno si ricorderà di dire che è la somma dell’aumento pregresso più una breve fluttuazione positiva ;-).

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Published inAttualità

Un commento

  1. Franco Zavatti

    Ho l’impressione che quello di Geert van Oldenborgh sia l’ennesimo
    tentativo di mostrare che un fenomeno che non esiste (per lui la pausa delle
    temperature) ha cause naturali e momentanee e si comporta come
    un’oscillazione attorno al trend generale di lungo periodo. Il che è
    vero, ma lo è dall’inizio dei dataset (1850-1880) e in molti hanno
    mostrato e calcolato il suo periodo. Quindi la pausa non esiste:
    è uno dei tanti momenti che hanno caratterizzato la storia dei
    dataset (e anche la loro preistoria) e l’argomento non merita più di
    un’alzata di spalle. Perché allora nessuno fa spalluccie e si occupa
    di cose più serie? Forse perché la pausa esiste ed è
    una cosa seria. Infatti

    l’andamento generale dei modelli non rappresenta le osservazioni degli
    ultimi anni (e non solo)
    i modelli tengono conto in maniera approssimata della variabilità
    naturale e non indagano sui suoi fattori di amplificazione
    per i modelli ENSO è quasi uno sconosciuto
    il sistema funziona con una sola manopola (CO2) e tutto il resto
    è guardato con fastidio

    D’altra parte, anche la giustificazione contraria di Bob Tisdale (ho
    comprato e letto i suoi libri e mi piace cosa e come scrive) mi sembra poco
    pertinente, almeno alla luce della fig.11 del mio post citato da Guido: dei
    dati satellitari, UAH non mostra alcuna pausa mentre RSS (fig.12) ne ha una
    di circa 14 anni e mezzo.
    Mi viene sempre più; forte il sospetto che si tratti di cherry
    picking, in un caso e nell’altro, almeno finché; non si definiscano
    criteri di qualche genere: belli, brutti, da correggere, da sostituire in
    toto, ma sempre regole comuni a tutti, a cui attenersi.

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