Salta al contenuto

Il fattore di Emerson e la dittatura del clima – Aggiornato

Questo articolo è apparso in origine su Agrarian Sciences –

Solo 156 anni ci separano dall’ultima grande carestia europea dovuta a cause meteorologiche e cioè la carestia d’Irlanda che imperversò negli anni che vanno dal 1844 al 1847 provocando oltre 1 milione di morti. Tale carestia è solo l’ultima di una lunga serie fra cui segnalo quelle del 1594-1597 (la pioggia incessante rovinò i raccolti in tutta Europa), quella del 1693-1695 (penuria di generi alimentari; milioni di morti in Francia e Paesi limitrofi) e quella del 1740-1750 (un’annata freddissima e molto piovosa fece seguito ad un periodo di 50-60 anni a clima atlantico mite; 200mila morti in Francia). Circa la carestia del 1740, il cui ricordo si protrae tutt’oggi tramite il detto proverbiale francese “Je m’en fous comme de l’an quarante”, lo storico Leroy Ladurie evidenzia che in Francia furono poste in atto rapide strategie di adattamento che consistettero nello spostare scorte di cereali verso le zone più colpite, con il risultato che i morti furono di molto inferiori a quelli avutisi nelle carestie del XVII secolo.

E a proposito di adattamento vien spontaneo citare lo splendido esempio di adattamento alla variabilità meteorologica basto su un modello empirico di produzione e sulla valorizzazione del commercio che ci viene offerto da Giovanni Targioni Tozzetti, in uno scritto del 1767 (Cronica meteorologica della Toscana per il tratto degli ultimi sei Secoli relativa principalmente all’Agricoltura – Alimurgia, pt. III):

anno 1590: Trovandosi la Toscana afflitta da grandissima Carestia, e non essendo potuti ottenere Grani dalla Sicilia, dal Levante, dalla Barberia, state le male Ricolte, che erano state ancora in quei Paesi soliti essere Granaio dell’Italia, il serenissimo Granduca Ferdinando I, con somma prudenza riflettè, che le medesime Cause Meteorologiche, dovevano aver cagionato una copiosissima Ricolta nei paesi più settentrionali di noi. Perciò si voltò alle più remote Provincie verso il Baltico, allora non molto praticate, e spedì per le poste a Danzica Riccardo Riccardi Gentiluomo fiorentino, ricchissimo e principalissimo Mercante, per incettar Grani e Biade, ed in questa maniera, da niun’altro prima immaginata, gli riuscì di metter l’abbondanza nella Toscana.

Una visione estremamente pessimistica rispetto alle possibilità umane di adattamento ci è invece offerta dal reverendo Malthus (An essay of the principle of the population, 1798), il quale con fredda logica matematica osservava che la popolazione, se non controllata, aumenta con progressione geometrica (2,4,8,16,…) mentre la produzione di cibo aumenta con progressione aritmetica (2,3,4,5…), il che si traduce inevitabilmente in carestie, epidemie, morti in massa. Le idee di Malthus hanno profondamente influenzato il pensiero del XIX e XX secolo (es: Darwin, Marx), fino a giungere oggi ai neo-malthusiani (Club di Roma, Sartori, Latouche). Rispetto a tale visione giova qui ricordare la critica del filosofo statunitense Ralph Waldo Emerson, il quale nel suo libro Society and solitude (1870) scriveva che “Malthus, affermando che le bocche si moltiplicano geometricamente e il cibo solo aritmeticamente, dimentica di dire che anche l’ingegno umano è un fattore dell’economia politica, per cui le crescenti esigenze della società saranno soddisfatte dal crescente potere dell’inventiva umana.

Nel XX secolo abbiamo avuto un esempio unico del fattore Emerson all’opera: le produzioni delle grandi colture, grazie ala rivoluzione verde, sono infatti aumentate di 5-6 volte a fronte di un aumento di 4 volte della popolazione mondiale. Questo e stato un fattore decisivo (insieme alle migliori cure mediche ed alle migliori condizioni di vita) per scongiurare la catastrofe malthusiana.

Rifletto proprio oggi su queste cose perché su richiesta di un amico mi sono trovato ad aggiornare con i dati FAO più recenti (dataset FAOSTAT 1961-2013 (qui)) le statistiche mondiali di produzione del 4 grandi colture che sono alla base dell’alimentazione umana a livello globale (frumento, mais, riso e soia). I dati originali, riportati nei file (1 e 2),  sono riassunti nel diagramma in figura 1.

GRAFICO CLIMA

Si noti che le rese dal 1961 ad oggi sono cresciute del 300% per frumento, del 283% per mais, del 240% per riso e del 219% per soia. L’impressionante incremento delle rese è frutto di un persistente trend positivo che si presta a mio avviso a tre commenti:

  1. al contrario di quanto quasi tutti vanno in questi anni dicendoci, il clima non si è fatto più proibitivo per fare agricoltura, in quanto un clima più proibitivo non consentirebbe di garantire gli incrementi di resa cui stiamo tuttoggi assistendo
  2. le periodiche intemperanze del tempo atmosferico (siccità, piovosità eccessiva, gelo, ecc.) sono ampiamente controbilanciate dai maggiori livelli di CO2 e dalla sempre migliore tecnologia umana (in termini di nuove varietà, concimazioni, irrigazioni, trattamenti fitosanitari, diserbi, tecniche conservazione dei prodotti, ecc.), la quale garantisce un sempre più efficace adattamento alla variabilità climatica
  3. se la tecnologia ci sta dando oggi questi risultati è nostro dovere cercare di estenderla anche nelle aree del pianeta che ancora non ne godono, in modo da estendere all’intera popolazione mondiale quella sicurezza alimentare di cui oggi, secondo dati FAO, gode l’89% della popolazione mondiale stessa (mentre nel 1970 ne godeva solo il 63% e nel 1950 meno del 50%).

Questi dati consentono a mio avviso un ragionevole ottimismo circa la nostra capacità di adattamento, capacità che costituisce uno degli attributi più importanti della “civiltà”, in base alla frase dello storico Emmanuel Leroy Ladurie secondo cui la civiltà è da un certo punto di vista da intendere come l’insieme di sistemi messi appunto dall’uomo per combattere la dittatura del clima.

Addendum:

Su richiesta dei nostri lettori Luigi mariani aggiungiamo al post il grafico della produzione mondiale pro-capite.

Produzione Globale pro-capite
Produzione procapite mondiale (kg/essere umano) di mais+soia+frumento+riso (fonte: elaborazioni su dati Faostat – http://faostat3.fao.org/faostat-gateway/go/to/download/Q/QC/E)
Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...Facebooktwitterlinkedinmail
Published inAttualità

12 Comments

  1. GUIDORZI ALBERTO

    Mi permetto di riportare qui, anche per i lettori che hanno apprezzato il suo articolo che ancora una volta ci dice come la storia non insegni mai a sufficienza, quanto ho riferito nelle bozze del libro sul frumento e il pane che le ho inviato, circa l’influenza della disponibilità di cibo sugli avvenimenti storici.

    ” Il più grosso fatto rivoluzionario mondiale, qual è stata la Rivoluzione francese, non ha fatto eccezione, la goccia che ha fatto traboccare il vaso del malcontento, derivato da una struttura socio-politica in agonia, è stata la sopravvenuta penuria di pane. In Francia, già nel 1774 si era avuto una carestia e ciò decreta l’inizio della “guerre des farines”. La mietitura del 1785 fu disastrosa per una siccità terribile. Due anni dopo delle piogge diluviali inondarono i campi di grano provocando la morte delle piante per asfissia radicale. Infine, l’inverno freddissimo del 1788 fece perdere le speranze di un raccolto conveniente. A questi capricci climatici si aggiunsero due disposizioni che aggravarono la situazione: si liberalizzarono i trasporti e nel 1787 si autorizzò l’esportazione dei cereali prodotti. Le speculazioni che si originarono fecero il resto e causarono la formazione di prezzi insostenibili sia del grano sia del pane. Risultato: il popolo era affamato e nel 1789 cominciò la Rivoluzione francese. Le idee rivoluzionarie ebbero anche degli effetti sul pane che fino ad allora era di due categorie: fatto con il fiore per gli aristocratici e con la crusca per i poveri; si impose la fabbricazione di un solo tipo di pane uguale per tutti, il cosiddetto “Pain égalité”. Eppure appena prima di questo periodo il pane aveva subito delle innovazioni epocali, come l’introduzione del sale nel pane, un uso maggiore di lievito e forni famigliari meglio costruiti. Il Parmentier ci ha detto che il pane era scadente per impasti troppo densi, uso di acqua bollente, la quantità di lievito era insufficiente e spesso scadente, l’impastamento non era curato e l’infornamento era o troppo anticipato o tardivo ed in forni a volta troppo alta. Diceva anche che invece di pane si mangiava piuttosto della farina bagnata e poi disseccata. Comunque già nel 1665 il pane aveva potuto beneficiare della messa a punto di un lievito di birra migliorato (come già detto ascrivibile a Maria de Medici sposa di Enrico IV) che dette origine al pane morbido che tanto successo ebbe alla corte di Luigi XIV. La mollica di pane bianco sulle tavole dei grandi signori era usata per pulirsi la bocca al posto del tovagliolo. Parmentier, inoltre, aveva anche indicato che in casi di penurie si poteva mescolare della fecola di patata alla farina per ottenere più pane. Questa mescola, sull’altipiano del Fucino in Abruzzo e sulle nostre montagne, si fa tuttora appunto perché la patata vegeta meglio del grano. La presa della Bastiglia, il 14 luglio del 1789, ebbe una grande partecipazione di popolo perché, una forte siccità aveva rarefatto ulteriormente le disponibilità di grano, aveva reso impossibile la molitura a forza idraulica ed era stata sparsa la voce che in quel castello-prigione vi fossero nascosti dei depositi di farina. Il 5 ottobre una folla di donne invase l’Assemblea e la loro porta parola si rivolse così ai deputati: “Il popolo manca di pane, è disperato e sarà spinto ad eccessi. Noi vi chiediamo di poter frugare nelle case sospettate di nascondere quantitativi di farina; all’Assemblea la decisione di evitare spargimenti di sangue!” Nella notte tra il 5 ed il 6 ottobre i reali lasciarono Versailles. Più tardi i dimostranti impiccheranno un fornaio sospettato di aver speculato sul pane e sarà considerato punibile di morte chi ritarderà l’arrivo di farina in città.
    Ancora al pane si possono quindi ascrivere i fatti che cambiarono la storia dei rapporti sociali in Europa. Il conflitto tra Napoleone e l’Inghilterra si combatté anche attraverso la strategia di come privare l’antagonista di grano. Il controllo della Sicilia, da parte di Nelson, aveva lo scopo che del grano ben conservabile facesse da riserva nelle cambuse delle navi della marina britannica, in quanto essiccato convenientemente al sole di latitudini meridionali; la Sicilia inoltre era ricca in zolfo, uno degli elementi per preparare la polvere da sparo e anche di buon vino marsala che sopportava bene i trasporti per il suo alto contenuto alcolico. L’invasione da parte di Napoleone della Russia fu anche una ritorsione: aveva lo scopo di privare l’Inghilterra dei rifornimenti di grano che lo Zar, alleato della precedente, poteva dare. Il XIX secolo sarà anche il secolo dove al concetto già acquisito di rotazione si aggiungerà quello del rifacimento al terreno delle sostanze chimiche asportate: è l’affermarsi dell’importanza della concimazione. La Russia comunque resterà il granaio del resto d’Europa per molto tempo, non si può dimenticare che il giovane Stato italiano riunito, ma ancora non formato, ha potuto, nei primi tempi, rimanere tale solo perchè dalle fertilissime terre nere dell’Ucraina e attraverso il porto di Odessa giungevano nei porti del Sud dell’Italia del grano per tacitare in parte la fame dei nuovi italiani. Essa conservò lo status di paese esportatore fino alla prima guerra mondiale” (poi ci pensarono Lisenko e Stalin ad affamare i russi….)

    Come dicevo, sembra proprio che ciò non insegni nulla se vi sono persone che oggi declamano la “decrescita produttiva” come soluzione e non hanno fatto tesoro che le recenti “primavere arabe” hanno avuto come molla le tensioni sui mercati delle derrate alimentari del 2008. Meno male che sono un vecchio e non vedrò le conseguenze dell’insipienza umana attuale….

  2. Guido Botteri

    Trovo questi argomenti estremamente istruttivi e ringrazio tutti.
    Io avrei una curiosità. Più che la produzione di questo o quello, che pure è interessante, mi piacerebbe vedere la quantità a disposizione per persona, nel tempo.

    • luigi mariani

      Caro Botteri,
      il prodotto annuo pro-capite odierno di mais+riso+soia+frumento è di 360 kg per individuo mentre nel 1960 era a 220 kg. Il diagramma che descrive l’ndamento nel tempo glie lo invio per e_mail e lo invio anche a Guido Guidi chiedendgli se può aggiungerlo in coda al post. Per inciso tale diagramma è interessante perchè mostra l’effetto delle politiche di set aside (riposo delle terre) messe in atto da vari governi dl 1985 al 2000 e che ebbero l’effetto di frenare l’agricoltura, congelando l’incremento produttivo pro-capite.

    • Guido Botteri

      Grazie davvero.

  3. GUIDORZI ALBERTO

    A proposito di quello che diceva Targioni Tozzetti da lei citato Prof Mariani vi è anche da aggiungere che nel 1766 la carestia che colpì la parte centrale tirrenica dell’Italia fu diversamente combattuta da un sovrano illuminato quale fu Francesco Leopoldo di Lorena rispetto ai plenipotenziari dello Stato Pontificio. Il modo ha fatto scuola ed ha messo in atto un sistema di previsioni attuate per tempo al fine di costituire eventualmente delle scorte di frumento a cui ricorrere in caso di penurie.

  4. A. de Orleans-B.

    E’ molto raro poter imparare tanto in così poche righe !
    Grazie, Alvaro

  5. GUIDORZI ALBERTO

    Prof. Mariani

    Al fenomeno di concentrazioni di CO2 favorenti la produttività ne abbiamo un esempio nella barbabietola da zucchero degli ultimi 20 anni, non in Italia purtroppo, ma in Francia, dove la copertura anticipata del terreno da parte delle foglie della chenopodiacea (semine precoci e sementi germinabili anche in condizioni più stressanti) determina tra terreno e tetto delle foglie un’atmosfera più ricca di CO2 per effetto della respirazione della pianta e della minore dispersione. Orbene questa atmosfera carbonica incentiva la funzione clorofilliana e la produzione di zucchero.
    Siamo passati da 800 g/mq di zucchero a 1,3 kg/mq. E’ evidente che tale incremento è ascrivibile anche al miglioramento genetico ed alle pratiche colturali scambiate. Dato molto interessante è che i 1300 g di zucchero si ottengono con dosi di azoto dimezzate. Altro che agricoltura biologica e biodinamica, si può fare benissimo agricoltura convenzionale più sostenibile, basta solo incentivare la ricerca e soprattutto finalizzarla.

  6. GUIDORZI ALBERTO

    La carestia d’Irlanda del 1844/47 è stata provocata principalmente dalla peronospora, malattia che ha colpito la patata, che in certe zone, come in Irlanda, era coltivata in monocoltura in quanto era l’unico sostentamento dei contadini perchè il frumento serviva a pagare gli affitti ai proprietari delle terre (a quei tempi era l’unica derrata che avesse dei corsi mercantili).

    La patata ci proveniva dalle Americhe e sicuramente il fungo della peronospora è arrivato con i tuberi portati in Europa, solo che inizialmente il viaggio era troppo lungo e quindi gli attacchi, facilitati anche dal fatto che si navigava inizialmente in zone a clima tropicale si esaurivano nel trasporto e comunque rimanevano confinati nei porti di approdo. Si ricorda che le prime patate arrivarono nelle isole Canarie e solo successivamente in Spagna ( a Siviglia nel 1570), inoltre erano diploidi e brevidiurne, vale a dire inadattabili nelle zone del Centro- Nord dell’Europa. Queste, ed in particolare l’Irlanda, conobbero la coltivazione della patata (fine del 1500) quando ci pervennero i tipi longidiurni e la diffusione della patata in Europa continentale avvenne per effetto delle guerre del 17° secolo in quanto provocarono molte carestie e la patata, ancora considerata cibo diabolico (perchè cresceva sotto terra), fu diffusa dalle soldataglie che scorrazzavano in Europa e che dovevano sfamarsi (guerra dei 30 anni).

    Solo che man mano i viaggi transoceanici divennero sempre più veloci e quindi si arrivò a seminare patate sbarcate infette, il che diffuse la malattia in modo parossistico anche perchè appunto la piovosità di quegli anni fu particolarmente copiosa e creò un microclima favorevole alla diffusione della malattia. La malattia fu osservata in Germania già nel 1832. Il meccanismo della carestia fu questo: la raccolta del 1845 di patate fu scarsa e molto infetta e quindi nell’inverno 45/46 oltre a perdere parte della produzione stoccata per marcescenza si mangiarono anche le patate che sarebbero servite per le semine del 1846 e quindi alla fine del 1846 il raccolto fu ancora più disastroso e nel febbraio 1947 la carestia fu totale. Inoltre l’inverno fu particolarmente rude e il freddo su individui debilitati dalla fame fece il resto. I più poveri se ne andarono nei restanti paesi delle isole britanniche, mentre quelli che poterono permettersi il viaggio emigrarono in Canada e USA. Nel 1851, quando la disastrosa situazione si stabilizzò si sarebbero dovuti contare 9 milioni di irlandesi, tenuto conto dei tassi di crescita demografici del tempo, mentre, invece, se ne contarono solo 6 milioni. Questi tre milioni mancanti sono da ascriversi per più di 1 milione di gente che emigrata e ben 1,5 milioni sono morti di fame o di malattie connesse all’inedia.

    • Luigi Mariani

      Caro dottor Guidorzi, grazie per aver descritto in dettaglio la grande e terribile carestia irlandese che ancor oggi ha ancora molte cose da insegnarci circa gli errori da non commettere (necessità di diversificare le fonti alimentari, necessità di combattere i patogeni con mezzi moderni, ecc.).
      Come ulteriore curiosità sul tema ricordo le due bellissime lettere dal significativo titolo “D’alcune instituzioni agrarie dell’alta Italia applicabili a sollievo dell’Irlanda” che Carlo Cattaneo scrisse a Robert Campbell, console britannico a Milano, nel 1846 ed in cui proponeva l’agricoltura lombarda come sistema di riferimento per cercare di alleviare la carestia irlandese.

  7. Fabio Vomiero

    Grazie della risposta prof.Mariani. Non ero a conoscenza che in letteratura si parlasse di aumento di produttività vegetale addirittura del 20-40% in seguito all’aumento della percentuale di CO2 atmosferica. E’ veramente tanto. Per quanto riguarda i dati sulle produttività dei singoli paesi, è vero, sul sito si riescono a ricavare molte informazioni utili. Grazie ancora.

  8. Luigi Mariani

    Gentile Fabio Vomiero,
    Il ruolo di CO2 è a mio avviso evidente per i due motivi seguenti:
    1. CO2 è l’elemento strutturale chiave della biomassa dei vegetali, di cui costituisce il 40% del peso secco. I modelli matematici a nostra disposizione (io uso quello di Goundrian e val Laar) indicano che nel passaggio dei livelli atmosferici di CO2 dalle 280 ppmv del pre-industriale alle attuali 400 ppmv, l’incremento produttivo è del 29% per le piante C3 (es: frumento e riso) e del 14% per le C4 (es: mais).
    2. con più CO2 le piante costruiscono meno stomi avendo meno necessità di attingere a tale gas. Con ciò diventano più resistenti alla siccità, il che incrementa ulteriormente l’effetto positivo sulla produzione.
    In complesso la bibliografia recente indica che l’incremento produttivo causato da CO2 rispetto al pre-industriale assomma la 20/40%. Ovviamente tale effetto è di parecchio inferiore a quello dell’innovazione tecnologica (e qui concordo con lei) che ha dato aumenti produttivi del 400/600% in 100 anni.
    Tuttavia occorre dire che se tornassimo ai livelli pre-industriali di CO2 saremmo in guai neri nel senso che con un calo produttivo del 20/40% non saremmo più in grado di “nutrire il mondo” (alla faccia delle moltitudini che tacciano la CO2 di essere un inquinante, raccontando tale bugia anche ai bambini – basta leggere i libri scolastici per rendersi conto della cosa).
    Infine i diagrammi produttivi per singole aree del mondo li può produrre attingendo ai dati del sito Faostat il cui indirizzo è riportato nell’articolo. Provi e se ha difficoltà mi faccia sapere che la aiuto.
    Cordiali saluti.
    Luigi Mariani

  9. Fabio Vomiero

    Articolo molto interessante del prof.Mariani. Penso sia sempre doveroso segnalare, a scanso di equivoci, dati fondamentali tipo quelli relativi alla produzione mondiale di colture alla base dell’alimentazione umana, che come possiamo vedere sono in costante incremento. Personalmente, credo che il beneficio portato dall’innovazione tecnologica costituisca il fattore super-dominante rispetto ai danni da cambiamenti climatici (adattamento) o all’aumento del tenore di CO2. Approfitterei per chiedere al prof. Mariani se esistono dati per scomporre il grafico riportato nelle singole zone di produzione, es Europa, Stati Uniti, Russia, Cina, altri paesi emergenti, o paesi africani in difficoltà, sicuramente emergerebbero altri elementi utili ad una più completa valutazione di massima. E’ sempre poi illuminante constatare come spesso il pensiero di alcuni grandi intellettuali vissuti nel passato (in questo caso Emerson) possano costituire ancora oggi, saggi di grande valore concettuale. Saluto sempre tutti cordialmente.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Categorie

Termini di utilizzo

Licenza Creative Commons
Climatemonitor di Guido Guidi è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 4.0 Internazionale.
Permessi ulteriori rispetto alle finalità della presente licenza possono essere disponibili presso info@climatemonitor.it.
scrivi a info@climatemonitor.it
Translate »