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Quando la foresta protegge se stessa

Potrebbe sembrare un concetto banale, perché di fatto la Natura agisce sempre così, ovvero evolvendo nella direzione della conservazione della specie, ma a quanto pare, chi ha cercato sin di qui di combinare le simulazioni dell’evoluzione del clima con quelle degli habitat delle foreste, non ne aveva tenuto conto.

E’ stato infatti appena pubblicato uno studio che tiene conto della capacità degli esemplari più anziani, cioè di quelli già cresciuti abbastanza per contribuire a mantenere la calotta superiore delle foreste, di fornire un ambiente più favorevole allo sviluppo degli alberi più giovani, ora schermando la radiazione solare, ora favorendo il ristagno dell’umidità negli strati prossimi al suolo. In sostanza, la foresta protegge se stessa e si garantisce il futuro generando il microclima necessario al mantenimento delle piante più giovani.

Tenendo conto di queste dinamiche, che gli autori dello studio definiscono “buffering“, il declino spaziale degli ambienti forestali degli Stati Uniti occidentali proiettato per il 2080 in conseguenza di potenziali mutamenti del regime climatico, si riduce di oltre il 50%. Tutto ciò, naturalmente, ammesso e non concesso che i regimi climatici cambino nella direzione prospettata, ma questa è tutta un’altra storia.

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Published inAttualità

2 Comments

  1. donato

    “In sintesi le associazioni vegetali modificano il clima per adattarlo ai loro scopi, …”
    .
    Questa breve frase di L. Mariani mi ha fatto riflettere su un aspetto estremamente importante della storia climatica e non solo del nostro pianeta: gli esseri viventi che lo popolano non sono solo personaggi che si muovono su uno sfondo precostituito ed immutabile, ma cambiano in maniera determinante lo spazio in cui si muovono. Leopardi immaginava la Natura come un qualcosa di alieno rispetto agli esseri viventi che osservava con indifferenza ciò che succedeva ai viventi stessi. In realtà i viventi sono la Natura e con le loro interazioni plasmano l’ambiente in cui essi vivono cercando di adattarlo alle loro esigenze. La vita stessa sulla Terra, così come la conosciamo, è frutto dell’azione degli esseri viventi: la grande ossidazione che gettò le basi dello sviluppo della vita basata sull’ossigeno fu il frutto di una profonda trasformazione ambientale. I batteri metanogeni che avevano dominato il pianeta fino a 2,5 miliardi di anni fa, in poco tempo subirono un crollo rovinoso a vantaggio dei batteri fotosintetici che presero il sopravvento arricchendo l’atmosfera di ossigeno. La causa di questo drastico cambio di scenario non è ancora del tutto chiara (qualcuno ipotizza il crollo della concentrazione di nickel negli oceani primordiali).
    Ad ogni buon conto lo spostamento dinamico dell’equilibrio tra le specie viventi, indipendentemente dalla causa, ha determinato un mondo completamente diverso dal precedente. E questo per limitarci ad un evento di portata immensa, ma quanti livelli di interazione tra l’ambiente ed i viventi in grado di modificare in modo quasi impercettibile il sistema, esistono? Credo che la risposta sia impossibile e ciò ci deve far riflettere molto su quanto noi, parte del vivente, possiamo fare, in bene o in male, per il mondo futuro. Fino ad ora abbiamo, come tutte le specie viventi, cambiato l’ambiente per adeguarlo alle nostre esigenze come hanno fatto tutte le altre specie viventi. Il nostro agire ha creato un mondo estremamente più confortevole per tutti noi (pensate agli antibiotici, all’anestesia, ai mezzi di trasporto, alle case riscaldate, ecc., ecc.) e ridotto lo spazio ecologico di altre specie viventi, come è ovvio che sia. I vantaggi sono superiori agli svantaggi? Secondo l’ottica umana (maggioritaria 🙂 ) si; secondo altri no. Sicuramente non sarebbero di questa opinione gli agenti del vaiolo o di tutte le specie estintesi, ma questo è il modo in cui va il mondo, c’è poco da fare.
    Ciao, Donato.

  2. Luigi Mariani

    Quando i vegetali da singoli individui passano ad associazioni di individui che coprono con continuità il suolo (il che vale sia per piante erbacee che arbustive ed arboree) agiscono molto più efficacemente sulla massa d’aria fra la cima delle chiome ed i terreno (canopy layer) ed immediatamente al di sopra delle chiome (boundary layer o strato limite). In tal modo negli strati atmosferici più prossimi al suolo:
    1. riducono la variabilità giornaliera della temperatura, riducono la velocità del vento, aumentano l’umidità relativa
    2. come conseguenza di quanto al punto 1 da un lato riducono i consumi idrici per traspirazione e dall’altro evitano che la CO2 emessa dal suolo a seguito delle attività microbiche (effetto Reinau) si disperda in atmosfera, in modo da potersene nutrire con più agio (in altri termini potremmo dire che “covano” i micro-organismi che abitano il terreno allo scopo di ottenerne CO2)
    2. intercettano la radiazione solare prima che la stessa giunga al terreno, in modo da poterla sfruttare con lo scopo di fare fotosintesi e traspirare acqua (e con la traspirazione le piante si termoregolano, assumono nutrienti dal terreno e si garantiscono l’apertura degli stomi in modo da poter assorbire con continuità la CO2 atmosferica).
    In sintesi le associazioni vegetali modificano il clima per adattarlo ai loro scopi, il che costituisce un fenomeno affascinante e che da quasi un secolo è oggetto di studio da parte della micrometeorologia (del 1928 è la prima edizione (ovviamente in tedesco) del “The Climate near the ground” di Rudolf Geiger, strettissimo collaboratore di Koeppen e padre della micrometeorologia.

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