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El Niño, se fossi un’alice non mi fiderei

E’ dura a passare la barriera di primavera, quel muro di predicibilità oltre il quale è così difficile passare per prevedere l’evoluzione della situazione lungo l’Oceano Pacifico equatoriale. E ci siamo ancora ben dentro, con più di un mese per la fine della primavera.

E’ uscito sull’ENSO blog della NOAA un altro interessante articolo su questo argomento, con le risposte a molti dei quesiti più comuni. Per esempio, perché si abbassa così tanto lo skill dei modelli previsionali stagionali durante le stagioni di transizione, primavera per l’emisfero boreale e autunno per quello australe?

Con riferimento all’ENSO, il driver principale dell’evoluzione del clima e del tempo nella fascia intertropicale del Pacifico, di cui tra l’altro risente tutto il pianeta, la risposta è immediata: perché i meccanismi dell’alternarsi ciclico ma randomico delle fasi calda, neutra e fredda delle acque di superficie, convergono tutti verso questo periodo stagionale. Si potrebbe essere nella fase discendente di un picco di El Niño o all’insorgere di un nuovo evento, oppure ancora in una transizione verso la neutralità o l’insorgenza di un cambiamento di segno. E’ un problema, evidentemente, di deficit di conoscenza delle ragioni di questa alternanza e delle dinamiche attraverso cui ha luogo.

Tra l’altro, come spiegano molto bene le due figure che seguono, le differenze tra un approccio previsionale di tipo statistico e di tipo dinamico sono ancora piuttosto basse, sorprendentemente a tratti ancora in favore del primo per le previsioni inizializzate nei mesi di giugno e agosto, ma decisamente a favore del secondo proprio nei mesi primaverili. Il tutto, però, con uno skill generalmente ancora piuttosto basso, sebbene già sufficiente a incoraggiare ulteriori progressi nelle previsioni dinamiche.

SummerForecast_large WinterForecast_large

Nonostante tutto, però, nei mesi in cui tutto comincia, appunto in primavera, la percentuale di variabilità dell’ENSO spiegata non supera quasi mai il 30%. Ancora davvero poco per poter parlare di previsioni affidabili.

Come già accennato, c’è da migliorare la conoscenza dei processi e il loro trasferimento nei modelli, ma, soprattutto, deve migliorare anche la capacità di osservazione, soprattutto in termini di lunghezza e affidabilità delle serie storiche. Perché, se è vero che oggi tra misure satellitari, boe oceaniche e modelli di rianalisi abbiamo un’immagine molto dettagliata di quel che succede mentre succede, è pur vero che questi dati li abbiamo solo da pochi anni e molti ce ne vorranno ancora per consolidare le serie.

E chissà che non si arrivi, mi chiedo perché no, a prendere in considerazione anche chi, come alcune specie animali, sembra davvero saperne più di noi.

Appena ieri l’altro mi è capitato di leggere un altro post molto interessante sul blog di Judith Curry. Protagoniste della storia le alici peruviane (Engraulis ringens), che ho scoperto essere di gran lunga i pesci più pescati del mondo.

Le acque della costa occidentale dell’America Latina in condizioni di neutralità o ENSO negativo, sono interessate da una potente risalita (upwelling) di acque di profondità fredde e ricche di nutrienti, che fanno di quell’area la più pescosa del mondo. Quando arriva El Niño (ENSO positivo), il brusco innalzamento della temperatura dell’acqua interrompe l’upwelling e allontana i pesci, con impatto disastroso sull’economia dell’area. Accade quindi che i movimenti del pesce, la pescosità dell’area e, da qualche anno, anche gli orientamenti del mercato, siano degli indicatori tutt’altro che superficiali di ciò che sta accadendo e che potrà accadere nel futuro a breve.

Per esempio, durante tutto lo scorso anno, quando a più riprese i modelli dinamici orientavano l’evoluzione dell’ENSO verso un robusto El Niño (specie prima e durante la primavera), la stagione della pesca non ha mai avuto flessioni. In poche parole, i pesci non hanno mai ‘fiutato’ l’arrivo del Niño, che infatti non è mai arrivato, salvo palesarsi in modo molto debole nei primi mesi di quest’anno. Ora, i modelli prevedono nuovamente un brusco innalzamento della temperatura superficiale e interruzione dell’upwelling (che dovrebbe essere già in atto almeno in termini di orientamento delle anomalie di temperatura e non di valore assoluto), ma la pesca va avanti a gonfie vele e probabilmente le quote assegnate da una attenta organizzazione di controllo saranno esaurite entro maggio, cioè con un mese di anticipo sul calendario consueto.

Quindi, forse, i pesci sanno già che anche quest’anno la barriera di primavera tirerà un brutto scherzo alle previsioni sull’ENSO. O forse no, ma se fossi un’alice non mi fiderei!

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Published inAttualitàClimatologia

3 Comments

  1. Luigi Mariani

    Più che le povere alici (troppo e gregarie per immaginarle depositarie di “arcani saperi”) mi pare che una possibile chiave stia nell’upwelling, che forse potrebbe rientrare fra i predittori di un ipotetico modello statistico (e chissà che non venga già ora considerato….).
    Comunque l’approccio empirico dà ancora filo da torcere a quello meccanicistico e penso che questa evidenza ci dica qualcosa anche sull’Extra Long Range Forecast (ELRF alias GCM) -> come si può pensare di simulare in modo realistico il clima in modo efficace se non si riesce ancora a simulare in modo efficace EL NINO e cioè la principale ciclicità del nostro pianeta con periodo di alcuni anni?
    Luigi

  2. Guido Botteri

    Una battuttina (magari un po’ abusata) per farvi sorridere:
    Se fossi un’alice, guarderei se il cielo è sgombro 🙂

  3. Fabio Vomiero

    In effetti potrebbe essere interessante la prospettiva di studiare la dinamica di qualche fenomeno fisico-chimico o biologico conosciuto e monitorabile da utilizzarsi come indicatore, vista la scarsa predicibilità deterministica che mi sembra ancora esista nella formulazione di una previsione di El nino. Del pezzo, vorrei sottolineare però, soprattutto un passaggio, che personalmente condivido a pieno e che ritengo essere la chiave di lettura delle nostre attuali conoscenze sul clima: ”…soprattutto, deve migliorare anche la capacità di osservazione, soprattutto in termini di lunghezza e affidabilità delle serie storiche. Perché, se è vero che oggi tra misure satellitari, boe oceaniche e modelli di rianalisi abbiamo un’immagine molto dettagliata di quel che succede mentre succede, è pur vero che questi dati li abbiamo solo da pochi anni e molti ce ne vorranno ancora per consolidare le serie”. Purtroppo molte delle nostre attuali conoscenze e di conseguenza idee sulla futura evoluzione del clima, derivano da dati e misure che soffrono di questo grande problema: dinamica di temperatura superficiale, SST, dinamiche degli indici climatici, attività solare, criosfera, CO2, insomma un po’ tutto. E’ per questo che a mio avviso dovremmo essere sempre molto cauti nell’utilizzare quello che sappiamo del passato per cercare di prevedere il futuro, perché se anche il ragionamento è ovvio e lapalissiano, non altrettanto si può dire della reale significatività di tutta questa impressionante mole di dati, purtroppo. Saluto sempre tutti cordialmente.

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