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Un po’ di cose da leggere

Cominciamo dall’effetto Iris di Richard Lindzen (qui i precedenti su CM). Siamo tornati a parlarne qualche tempo fa, in qualche modo analogamente a quel che hanno fatto molti di quelli che seguono le vicende del clima e del dibattito scientifico inerente. Sul blog di Judith Curry sono usciti due post molto interessanti. Il primo è commento al recente paper che ha riacceso l’attenzione sulla teoria che vuole che ai tropici la nuvolosità alta e sottile derivante dalla convezione profonda agisca come l’iride dell’occhio umano, aprendo e chiudendo un diaframma in grado di fornire un feedback negativo e quindi ridurre la sensibilità climatica. Nel secondo la stessa Curry compie a ritroso il cammino di questa teoria, dalla pubblicazione del primo paper di Lindzen, allo scarso entusiasmo (in senso eufemistico) di una certa parte del mainstream, a questa ultima convincente pubblicazione. Ve li consiglio, magari insieme a questa presentazione dello stesso Lindzen che spiega i contenuti della sua teoria.

Poi l’ozono, o, meglio il buco del medesimo. E’ uscito un altro studio su Nature communications dall’approccio alquanto bizzarro (qui su Science Daily). Stante l’impossibilità attuale di capire se il depauperamento dello strato di ozono stia effettivamente beneficiando degli effetti del Protocollo di Montreal, attraverso il massiccio impiego di modelli di simulazione della chimica atmosferica, siamo comunque in grado di di dire che se quell’accordo e le relative azioni intraprese non ci fossero stati, le cose sarebbero comunque andate molto peggio. Oggi il buco dell’ozono sarebbe del 40% più grande. Che questo sia vero, non essendo verificabile, non importa, quel che importa è che il successo dello sforzo globale di allora va sottolineato nella speranza che si riesca a far lo stesso tra qualche mese a Parigi per le vicende climatiche.

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Published inAttualità

6 Comments

  1. Al2015

    Tutto vero. Però il fatto è che lo strato di ozono è molto, molto sottile, quindi provare a preservarlo in tutti i modi è un’evidente necessità, mi pare un caso in cui è del tutto logico applicare il “principio di precauzione”. Per contro, vi sono state ere geologiche in cui di CO2 ne circolava 20 volte tanta quanta ce n’è ora, e piante ed animali vivevano benissimo. Così come 5000 anni fa, le temperature erano in Europa di ben 4° C più elevate, e ciò non ha affatto impedito il passaggio dalla civiltà del Neolitico a quella attuale, nè sicuramente si possono incolpare gli uomini di allora (manco 1/70 della popolazione attuale) e le inesistenti emissioni industriali, per le temperature calde di quell’epoca. Insomma, mentre per la CO2 è evidente la manipolazione pseudo-scientifica e propagandistica, per il buco nell’ozono mi sembra si debba essere molto più cauti.

  2. Al2015

    Direi che l’argomento “buco nell’ozono” sia importante per fare un po’ di chiarezza. I CFC distruggono sicuramente l’ozono nella stratosfera, che filtra i raggi UV, e la conseguenza è maggior riscaldamento, e più rischi per la salute. I CFC sono (ed erano) prodotti SOLO dall’uomo, e quindi ha senso eliminarli e combatterli.

    Per contro l’anidride carbonica, la CO2, è prodotta principalmente, al 97%, dalla natura, e non dall’uomo, e non ha ALCUN effetto nè inquinante (poichè è legata al ciclo dei vegetali, che producono ossigeno) nè di riscaldamento (basti leggere i lavori fondamentali dei maggiori chimici mondiali, e studiosi della CO2, quali Hottel, Lechner, Pitts, Sissom, etc., per scoprire che la CO2 nell’atmosfera ha un’emissività di soli 0,0024, del tutto insignificante per causare riscaldamento.)

    Inoltre, risultano del tutto sottostimati gli effetti sul riscaldamento del globo dell’attività GEOTERMICA sottomarina, ivi inclusi terremoti, spostamenti di zolle tettoniche, etc., in particolare al Polo Nord.
    E sotto questo aspetto, andrebbero semmai valutati gli effetti antropici di attività quali il fracking (iniezione di acqua ad alta pressione nelle rocce per estrazione del petrolio), i test nucleari, e le grandi dighe (i cui bacini pare causino terremoti).

    Questo per dirla tutta: la povera CO2 è quella che meno c’entra nel riscaldamento globale, eppure è diventata l’unico capro espiatorio

    • Maurizio Rovati

      Per quel che ne so (poco) i cfc sono sì prodotti dall’uomo ma non è la molecola di freon in sè responsabile della distruzione dell’ozono in quota. I CFC infatti contengono Cloro ed è dalla dissociazione delle molecole di freon che il Cloro viene liberato e, si dice, entra in reazione con l’Ozono creando il vituperato “buco d’aazoto”.
      Ma il Cloro sulla Terra non proviene solo dai CFC e pare esistano anche altre reazioni e altre sorgenti di Cloro e Bromo non antropiche, nonché altri elementi sospettati d’essere attivi in queste reazioni.
      E’ anche sorprendente che il buco (in realtà un assottigliamento) si presenta prevalentemente ai poli e soprattutto a sud mentre il rilascio di CFC avviene a latitudini medio-basse e soprattutto a nord.
      Comunque nonostante i messaggi catastrofici sulla crescita del buco suddetto, che sarebbe andata avanti cent’anni anche se avessimo smesso immediatamente di immettere CFC, er buco ha fatto il comodo suo e qualche studio ha anche rimesso in gioco il ruolo del Sole in questa lotta tra produzione e distruzione dell’Ozono, in quota e ai poli.

  3. donato

    “… se quell’accordo e le relative azioni intraprese non ci fossero stati, le cose sarebbero comunque andate molto peggio. Oggi il buco dell’ozono sarebbe del 40% più grande.”
    .
    Se tanto mi dà tanto fra qualche anno leggeremo studi in cui si concluderà che:
    “… se quegli accordi e le relative azioni intraprese non ci fossero stati, le cose sarebbero comunque andate molto peggio. Oggi il GW sarebbe del 40% più grande.” 🙂
    Ciao, Donato.

    • Filippo Turturici

      Sicuro, basterà parlare di rinnovabili ed efficienza energetica. Che sono cose, detto seriamente, tanto belle quanto utili (se ben usate), ma troppo spesso piegate a scopi ideologici.

  4. Luigi Mariani

    Caro Guido,
    debbo dire che quando l’articolo di Mauritsen e Stevens (M&S) uscì su Nature Goescience lo lessi e vi trovai cose molto interessanti, nel senso che gli autori, applicando un semplicissimo modello che parametrizzava l’effetto iride adattivo di Lindzen, ottenevano un sensibile miglioramento nelle prestazioni del GCM su cui avevano lavorato.
    Era mia intenzione scrivere un post specifico sul lavoro di M&S in quanto trovai molto interessante che:
    1. i GCM sono ottimi strumenti se usati non per far previsioni a 100 anni ma per allestire esperimenti che ci aiutino a capire quanto (ed è molto) ancora ci sfugge della macchina del clima
    2. la semplicità dell’equazione utilizzata per implementare l’effetto iride adattivo mi dava anch’essa da pensare…
    Poi l’attimo è fuggito e le parole sono rimaste nella penna, per cui ti ringrazio per aver riproposto il tema.
    Luigi

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