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Se lo dicono loro…

Se lo dicono loro, ci sta anche che non sia vero, ma di sicuro accadrà. Chi sono loro? Semplice, quelli che contano e che ogni anno si riuniscono nella placida cittadina svizzera di Davos a dar vita ai meeting del World Economic Forum.

Accade così che sulle pagine web di quelli che si “Impegnano per migliorare il mondo”, nel contesto di un succulento articolo in cui ci si chiede quale sia l’impatto economico del clima che cambia, appaiano queste affermazioni:

  1. Cento anni di cambiamenti climatici sono tanto belli/brutti quanto un anno di crescita economica;
  2. Nella sostanza, oltrepassare l’obbiettivo dei 2°C non è un disastro. Gli impatti più seri sono sintomi di povertà più che di cambiamenti climatici. Altro genere di impatti è improbabile che abbiano effetti sostanziali sul benessere del genere umano.

Che significa? Leggere per capire, ma, in breve, la prima frase deriva dal fatto che le stime dell’impatto economico delle oscillazioni del clima – intese come esclusivamente antropiche – presentano un tale livello di incertezza e di aspetti sia positivi, prima, che negativi, poi, da avere un valore davvero insignificante. Ove con questo si intende che possa essere definito e quindi anche contrastato. La seconda, preso atto del fatto che, chiacchiere e dichiarazioni d’intenti a parte, nessuno sta impegnandosi sul serio per evitare di raggiungere il limite dei 2°C di riscaldamento rispetto al periodo pre-industriale e che le condizioni poste per raggiungere il risultato sono tecnologicamente inarrivabili, il problema era, è e resta quello di sostenere il genere umano, non rinfrescarlo.

Ammesso che il problema del clima che cambia verso confini pericolosi esista. Sempre in termini di identificazione del valore economico del problema, è di recente pubblicazione un paper (liberamente accessibile) alquanto interessante. Tra le risultanze, infatti, spicca quella che le probabilità che la distribuzione statistica degli eventi cambi forma, passando da una distribuzione normale a quella cosiddetta fat-tail, cioè con una varianza differente ove non addirittura indefinita e quindi con estremi che si discostano molto dalla norma, sono effettivamente molto basse. In poche parole, dalle simulazioni non salta fuori un clima fatto di eventi estremi e catastrofici, per loro natura molto distanti dalla sua media.

Che qualcuno stia tornando in se?

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Published inAttualità

Un commento

  1. donato

    Due sono le cose che bisogna sottolineare dopo aver letto il rapporto segnalato da G. Guidi:
    – il raggiungimento dell’obbiettivo di contenere il riscaldamento climatico al 2100 entro i 2°C è una pia illusione;
    – il cane morde sempre lo straccione. 🙂
    .
    La prima considerazione va de plano: lo sapevamo già e tutto il resto è pura e semplice utopia. Ciò nell’ipotesi che IPCC abbia ragione e ciò non è detto. Nel corso degli anni IPCC ha ridotto, infatti, il valore della sensibilità climatica e molti studi recenti tendono a ridurla ancora di più: IPCC potrebbe tranquillamente aver sbagliato tutto e quindi non avremo problemi a mantenere l’incremento di temperatura globale al 2100 entro i famigerati 2°C. Difficile? Non direi, diciamo che al momento è poco probabile (stando alla linea di pensiero principale), ma con tendenza ad aumento della probabilità. 🙂
    .
    La seconda considerazione merita una premessa. Nel detto popolare significa che i guai capitano sempre a chi è più povero e lo studio citato ne è la prova provata: il danno da cambiamento climatico dovrebbe riguardare essenzialmente i paesi poveri mentre quelli ricchi in qualche caso dovrebbero addirittura veder aumentato il reddito pro capite dei loro cittadini.
    Molto interessante la conclusione dell’articolo: se invece di dissipare le energie economiche del mondo nelle politiche di prevenzione del riscaldamento globale, aiutassimo i paesi poveri a raggiungere un più elevato livello di sviluppo, gli effetti economici del cambiamento climatico sarebbero minori.
    Come molti hanno sostenuto da sempre su CM, il miglior antidoto al cambiamento climatico è lo sviluppo economico e tecnologico: stavolta lo dice chi se ne intende di economia. Voglio vedere chi si azzarda a dire che anche in questo caso si tratta di chiacchiere da bar di quattro pensionati. 🙂
    .
    E’ doveroso, comunque, precisare che lo studio è prettamente modellistico, che i modelli sono solo 27, che i modellisti si conoscono molto bene per cui potrebbero essersi influenzati a vicenda, che gli economisti sbagliano tanto quanto i modellisti climatici (non per niente utilizzano tecniche di indagine piuttosto simili 🙂 ) e, ultimo, ma non per importanza, che il cambiamento climatico interesserebbe non solo aspetti economici, ma anche molti altri aspetti che lo studio non indaga.
    Ciao, Donato.

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