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Una questione vecchia di 2200 anni: Dove valicò le Alpi Annibale?

L’antefatto

Annibale (dal fenicio Hanniba’al, Dono di Baal) è stato uno dei più grandi condottieri dell’antichità. Epica rimane in particolare la sua impresa di portare la sfida ai Romani sul suolo italiano, il che avvenne in un anno particolarmente infausto per Roma (il 218 a.C.) nel quale il condottiero cartaginese, partito nel maggio dalla penisola iberica con 90.000 uomini, 12.000 cavalieri e 37 elefanti, attraversò le Alpi fra fine settembre e metà ottobre per poi sconfiggere i Romani sul Ticino a metà novembre e sulla Trebbia a fine Dicembre.

Individuare le aree teatro delle imprese di Annibale è da sempre un tarlo per storici e archeologi. Nel mio piccolo io stesso, provenendo da un paese della Val Trebbia, che fu teatro di una celebre battaglia in cui Annibale sconfisse i romani (qui su Wikipedia), ho provato alla luce della mia conoscenza dei luoghi a ragionare su dove potesse essere avvenuto lo scontro descritto nel libro XXI di Ab urbe condita di Tito Livio, senza riuscire però ad arguire nulla di sensato. Il fatto è che della battaglia della Trebbia non è ahimè rimasta alcuna traccia archeologica, probabilmente perché l’evento, come narra Tito Livio, si giocò in gran parte sul greto del fiume, che essendo a carattere torrentizio ha poi “macinato” tutte le possibili tracce con le sue frequenti piene.

Un problema analogo si pone da secoli in relazione alla traversata delle Alpi da parte di Annibale.

Ipotesi di percorso e caratteristiche del passo utilizzato da Annibale

Della traversata delle Alpi da part di Annibale scrissero Sileno, biografo di Annibale, Tito Livio nel suo Ab urbe Condita, Varrone nel suo de re rustica e Polibio (206-124 a.C.) nelle Storie. Quest’ultimo autore investigò in prima persona su tali vicende, visitando il Nord Italia 60 anni dopo l’impresa di Annibale. Anche sulla base a tale documentazione scritta si ipotizza che Annibale possa aver seguito uno dei seguenti tre tragitti:

  • Tragitto più a Nord: Grenoble – fiume Arc – colle del Moncenisio (2083 m) o colle di Clapier (2497 m) – val di Susa – Torino;
  • Tragitto più a sud: Rodano – valle della Drome – col di Grimone (1318 m) – valle della Durance – fiume Guil – Col di Traversette (2950 m – nei pressi del gruppo del Monviso) – alta valle del Po;
  • Tragitto intermedio: valle della Durance – colle del Monginevro – val di Susa – Torino.

Stando ai succitati storici, il passo scelto da Annibale per attraversare le Alpi presentava le seguenti caratteristiche: presenza di suolo ghiacciato, presenza di aree di foraggiamento per cavalli ed elefanti, presenza di sorgenti o pozze d’acqua per uomini e animali, presenza di un’evidente area di frana e infine presenza di tracce di incendio sulle rocce che Annibale avrebbe riscaldato fino ad altissime temperature per produrne la rottura e poter così liberare il passaggio.

Lo scritto di Mahaney et al (2016)

Mahaney et al Fig_3
Fig. 3 The ‘chute,’ a narrow path cut in metabasalts (Tricart et al., 2003) is located on the only path leading out of the Col de la Traversette into the upper Po River Catchment, approximately 100 meters below the col. The narrowness of the path (approx. 1 m) necessitates that men/beasts move in single file. Movement along this narrow ledge route on a 24 hr schedule, taking advantage of the Hunter’s Moon, would have required 6-8 days to exit the col. Slopes rise above 100 m to an arête marking the present-day French-Italian border and drop off precipitously 150 m to the upper Po River (Mahaney, 2009).

Mahaney et al si occupano da tempo del problema dell’individuazione del punto di traversata delle Alpi da parte di Annibale (Mahaney et al , 2008). Al riguardo hanno da poco pubblicato sulla rivista Archaeometry un lavoro in cui cercano di chiarire il mistero e propongono il col di Traversette utilizzando come prova i fatto che in una torbiera di alta quota hanno reperito tracce di escrementi di animali in grandissima quantità e datati al radiocarbonio a una data assai vicina al 218 BC. A ciò gli autori aggiungono il fatto che il Col de la Traversette risponderebbe quasi per intero all’insieme dei requisiti elencati al paragrafo precedente. Unico elemento critico è dato dall’assenza di tracce d’incendio sulle rocce. Su questo punto tuttavia Mahaney et al. ritengono poco probabile che Annibale abbia potuto incendiare rocce di grandi dimensioni per sbriciolarle, e ciò perché è proibitivo procurarsi legna da ardere asciutta a così alta quota. Nello specifico per procurarsela al col di Traversette avrebbero dovuto scendere a 2400 m di quota per tagliare alberi ma  in tal caso la legna sarebbe stata fresca e dunque difficile da accendere.

Il Col de la Traversette è un colle a quasi 3000 m di quota e che si trova nei pressi del Monviso. Da qui sul versante italiano si scende nella valle del Po, il che conferma l’indicazione di Polibio secondo il quale Annibale sarebbe sceso in pianura dalla valle del Po e non dalla val di Susa.

Leggendo il lavoro di Mahaney et al  emergono inoltre i seguenti aspetti che mi pare utile segnalare ai lettori:

  1. La datazione al radicarbonio ha un errore di ± 100 anni o giù di lì;
  2. A chiusura della seconda parte gli autori ci fanno capire che la presenza di grandi quantità di feci di mammiferi in una torbiera è solo un indizio, in quanto scrivono che “Combined with the geological analysis reported in Part I, these data provide a background supporting the need for further historical archaeological exploration in this area.
  3. gli autori scrivono che “Furthermore, the abundance of bacteria — endospores for the most part — sourced specifically from mammals and located primarily within the churned-up beds (see Part II), could only result from the passage of hundreds, if not thousands, of animals, indicating movement of something more than animals involved in tribal trade.” Il fatto che gli autori siano convinti che la transumanza del bestiame sia un’attività di “commercio tribale” denota quantomeno una certa superficialità nell’approccio storico e etnografico. In realtà sappiamo che l’arco alpino è soggetto a transumanza di bestiame bovino o ovicaprino fin da epoche remote. Tale bestiame sale ai pascoli alti a giugno e scende grossomodo a fine agosto. Pertanto non è a mio avviso così remota l’ipotesi che gli escrementi siamo da attribuire ad animali portati in alpeggio, magari recatisi negli stessi siti anno dopo anno.

Mi preme anche segnalare cosa dice wikipedia alla voce Col de la Traversette e cioè che “L’accesso dalla parte italiana avviene partendo dal Pian del Re, in comune di Crissolo, e risalendo la parte superiore della valle Po seguendo il sentiero V16. Questo non presenta particolari difficoltà fino alle casermette alla base delle pareti della punta delle Traversette; da qui in avanti il sentiero diventa più erto, e soprattutto, dopo il bivio per il succitato Buco di Viso, abbastanza esposto. Date la quota (oltre 2.900 m) e l’esposizione ad est, questa parte di sentiero tende a mantenere l’innevamento fino a tardi, per cui chi volesse raggiungere il colle ad inizio estate dovrebbe portarsi piccozza e ramponi. L’accesso dal lato francese è meno problematico. Il sentiero parte dalla Valle del Guil e sale a mezza costa con pendenza abbastanza dolce fino al colle“. Insomma un percorso tutt’altro che agevole. A tale riguardo sappiamo anche che Annibale passò le Alpi fra fine settembre e metà ottobre, per cui magari capitò in un anno come quello appena trascorso e che fino a gennaio è stato poverissimo di neve.

E’ altresì da porre in evidenza un’ulteriore questione storica tuttora aperta e cioè quella relativa al passo che utilizzò Asdrubale (dal fenicio Hasdruba’al, Il mio soccorso è Baal), fratello di Annibale che attraversò le Alpi  nel 207 a.C. per portare rinforzi al fratello e che cadde in battaglia sul fiume Metauro.

Da ultimo osservo che nei nomi dei due fratelli Annibale e Asdrubale è presente il dio Baal, divinità fenicia protettrice dei luoghi (ogni località aveva il suo Baal). Da non dimenticare infatti che Cartagine era colonia fenicia fondata nell’814 dagli abitanti di Tiro guidati da Elissa (Didone) e dunque manteneva le divinità della propria terra d’origine.

Bibliografia

  • Mahaney e altri 24 autori (2016). Biostratigraphic Evidence Relating to the Age-Old Question of Hannibal’s Invasion of Italy, I: History and Geological Reconstruction, Archaeometry – 1 – History and geological reconstruction, Archaeometry.
  • Mahaney e alri 24 autori (2016). Biostratigraphic Evidence Relating to the Age-Old Question of Hannibal’s Invasion of Italy, I: History and Geological Reconstruction, Archaeometry – 2 – Chemical biomarkers and microbial signature, Archaeometry, n.1/2016.
  • Mahaney e al., 2008. Hannibal’s trek across the Alps: geomorphological analysis of sites of geoarchaeological interest, Mediterranean Archaeology and Archaeometry, Vol. 8, No. 2, pp. 39-54
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Published inAttualità

11 Comments

  1. Luigi Mariani

    Grazie a tutti voi per gli interessanti commenti.
    La segnalazione di Francesco sul “Buco di Viso” è illuminante perché ci rimanda ad una tecnica già disponibile all’epoca di Annibale ma messa in atto nel XV secolo. Tale tecnica ci riporta comunque alle necessità di una fonte d’energia per scaldare la roccia e/o l’acqua.
    L’utilissima analisi geologica di Max permette di escludere la natura calcarea delle rocce e dunque l’uso di un acido forte per degradare il carbonato di calcio. Per inciso rammento che tale idea fu proposta tanti anni fa’ dal professor Raffaele Ciferri (https://sites.google.com/site/storiagricoltura/ritratti0/ciferri) il quale pensò di applicarla alle rocce calcaree, di cui tanto ricchi sono ad esempio gli Appennini, per aumentare il tenore atmosferico di CO2 incrementando così la produzione agricola.

    • Donato

      “…. per aumentare il tenore atmosferico di CO2 incrementando così la produzione agricola.”
      .
      Caro Luigi, se oggi qualcuno facesse una proposta del genere non oso immaginare cosa gli succederebbe. 🙂 🙂
      Ciao, Donato.

  2. Fabrizio Giudici

    Secondo Wikipedia, il “Buco di Viso” è stato costruito usando anche l’acido:

    https://it.wikipedia.org/wiki/Buco_di_Viso#Tecnica_costruttiva

    La mia perplessità, riguardo ad Annibale. è legata alla disponibilità delle quantità necessarie di acido… Una cosa è procurarselo in tempo di pace, supportati dalle infrastrutture locali. Altra è operare in condizioni di precarietà come necessariamente avrebbe dovuto fare Annibale: dove si sarebbe procurato l’acido? Certo non comprandolo dai Romani. E se lo sarebbe portato preventivamente già da prima di affrontare la salita verso le Alpi, in aggiunta agli altri approvvigionamenti per le truppe?

    Ringrazio Luigi per questa interessante divagazione: se non altro perché contribuisce ad allenare lo spirito critico anche nei momenti in cui le barriere sono abbassate, visto che l’argomento è per me puramente una curiosità. Devo ammettere che quando ho letto la cosa degli escrementi sulla stampa, vista la perentorietà con cui è stata riferita, ho dato per scontato che avessero trovato tracce di cacca di elefante…

    • max pagano

      ah, ok, quindi non si tratta di erosione chimica, dovuta all’attacco dell’acido su minerali solubili, ma di processo meccanico dovuto agli shock subiti dalla roccia per effetto di rapidi aumenti di temperature…

  3. Caro Luigi, articolo molto interessante per me che da molti anni leggo di protostoria (fine bronzo-inizio ferro, popoli del mare) e storia (ellenismo, alto medioevo, periodo carolingio).
    Mi riferisco in particolare al fatto che Annibale avesse usato il calore per sbriciolare le rocce: secondo Tito Livio (Ab urbe condita libri, XXI,XXXVI,2) avrebbe usato dell’acetum per sciogliere un masso che ostruiva il passaggio in una gola.
    Lucio Russo inLa rivoluzione dimenticata, Feltrinelli Editore, pag. 199, descrivendo la chimica ellenistica (IV-II sec. aC), parla di un acido che deriverebbe dalla purificazione di oro o argento, acido il cui termine greco i romani avrebbero tradotto con acetum (ovviamente non aceto di vino, ma forse
    acido cloridrico o solforico). Pur essendo dubbia l’attendibilità di Livio, anche perché Polibio non fa riferimenti a questo espisodio, è interessante che Livio abbia conosciuto, o almeno sentito parlare di, questa possibilità.
    Anche Vitruvio ci informa (De Architetura, VIII,iii, §§18-19) che non solo le perle ma anche piombo e rame e sassi possono essere sciolti nell’acetum. Lucio Russo dice che l’aggettivo latino che corrisponde al sostantivo acetum è acidus.
    Il tuo post mi ha fatto tornare in mente l’episodio che, secondo Russo, richiama gli inizi della scienza chimica ellenistica che al momento è ancora empirica.
    Mi chiedo se gli autori che citi (Mahaney e altri) avessero in passato o abbiano valutato o meno questa possibilità che abbassa di molto la necessità di avere ad alte quote legna da ardere.
    In ogni caso grazie per questo piccolo “tuffo” nell’ellenismo e per i
    dettagli (che non conoscevo) dell’impresa di Annibale (e di Asdrubale).
    Ciao. Franco

    • Luigi Mariani

      Caro Franco,
      grazie per aver richiamato il libro di Lucio Russo che ho letto anni orsono trovandolo interessantissimo.
      Nel lavoro di Mahaney et al. non mi pare di aver visto alcun accenno all’uso di acidi per sciogliere le rocce (ma mi riservo di controllare quando ho un poco di tempo).
      Per inciso il metodo del’acido funziona su rocce calcaree e Traversette non mi pare a prima vista calcareo. Su questo tuttavia chiedo aiuto ai geologi che ne sanno sicuramente molto più di me.
      Luigi

    • max pagano

      ciao Luigi, stando alla cartografia e alla bibliografia ufficiale, la zona del Passo delle Traversette e dell’immediato Massiccio del Monviso poco più a Sud, non hanno nulla a che vedere con calcari sedimentari attaccabili da acido; si tratta per lo più di rocce metamorfiche, prevalentemente scisti a glaucofane ( si formano per metamorfismo di alta pressione bassa temperatura, e derivano dal metamorfismo di rocce basiche/ultrabasiche come basalti, peridotiti ecc), di anfiboliti (rocce metamorfiche gneissiche), porfiriti, sequenze ofiolitiche e tutto ciò che deriva dall’antica litosfera oceanica basaltica e ultrabasica che costituiva il fondo della Tetide, antico oceano, poi chiuso, frammentato e ridotto in lembi accatastati l’uno sull’altro con l’orogenesi alpina;

      in tutto l’arco alpino, in genere, gli affioramenti di formazioni calcaree paragonabili alle successioni stratigrafiche dell’appennino centrale sono rarissime, la maggior parte è stata smantellata dall’erosione, mettendo a nudo il basamento cristallino, o le metamorfiti, nate a volte anche dalle stesse successioni sedimentarie, sottoposte ad alta pressione e temperatura, tali da modificarne struttura cristallina, tessitura, e composizione mineralogica (ma non chimica);

      quindi in sostanza, questa storia delle rocce sciolte con acido…. boh….mi sembra poco applicabile al caso;
      fermo restando che anche oggi, avendo a disposizione 10.000 litri di acido muriatico purissimo, avoja a pazienza e tempo prima di sciogliere un masso di anche 1 solo metro cubo di travertino… 🙂

  4. Donato

    Caro Luigi, qualche settimana fa lessi la notizia (mi sembra su ANSA), ma rimasi piuttosto perplesso. Successivamente, invischiato nel caos climatico 🙂 , non approfondii la questione che, tra l’altro, mi interessa molto. Ho aspettato, quindi, che venisse pubblicato il tuo post per poter “approfittare” del tuo lavoro e per fare qualche considerazione.
    Concordo con la tua ipotesi che l’abbondanza di feci animali rinvenuta dai ricercatori debba essere attribuita ad animali in alpeggio. Non credo che il tempo impiegato da Annibale a valicare le Alpi sia stato tanto lungo da consentire l’accumulo di tanti escrementi da poter giungere fino ai nostri giorni. E’ vero che l’esercito si sarebbe dovuto accampare sulle Alpi in quanto il loro attraversamento richiese più giorni, ma doveva trattarsi di accampamenti di fortuna del tutto temporanei in quanto Annibale ed i suoi soldati certamente non erano felici di accamparsi in luoghi impervi ed ostili (anche se l’attraversamento avvenne a fine estate-inizio autunno).
    Detto in altri termini anche se suggestiva, la teoria mi sembra piuttosto debole. Anche gli autori ne sono consapevoli e confidano nella scoperta di tracce archeologiche convincenti.
    Anche in questo caso mi sembra opportuno sospendere il giudizio ed attendere lo sviluppo degli eventi.
    Ciao, Donato.

  5. Fabrizio Giudici

    “Pertanto non è a mio avviso così remota l’ipotesi che gli escrementi siamo da attribuire ad animali portati in alpeggio, magari recatisi negli stessi siti anno dopo anno.”

    Effettivamente…

    Ma è stata compiuta qualche analisi sugli escrementi per discriminare la specie? Essendo stati presenti elefanti, ci sono caratteristiche ancora analizzabili che potrebbero dare indizi in un senso o nell’altro?

    • Luigi Mariani

      Leggendo i due articoli nulla traspare in merito alla possibilità di individuare gli elefanti come specie che ha prodotto gli escrementi. Gli autori dicono di essere in grado di distinguere feci di mammiferi, nulla di più. A mio avviso pertanto i metodi analitici odierni non sono in grado di riconoscere se le feci provengono da elefanti, il che pone certo un grosso limite rispetto all’indagine condotta.

    • Donato

      Che gli elefanti abbiano attraversato indenni le Alpi non è univocamente riconosciuto. Già Polibio ci avverte che gli elefanti di Annibale, durante la discesa lungo il versante italiano, “erano ridotti male per la fame” (Polibio, Storie, III, 55). Non sappiamo quanti dei 37 elefanti che avevano iniziato il valico delle Alpi siano sopravvissuti fino a quel momento, ma da un elenco delle forze cartaginesi sopravvissute alla traversata alpina sembra che nessun elefante sia riuscito a giungere nella pianura padana (Polibio, Storie, III, 57).
      Secondo Plinio il Vecchio sembra che solo uno degli elefanti da guerra riuscì ad arrivare indenne in pianura salvo a morire poco dopo a causa della malaria (Plinio il Vecchio – Naturalis Historia III – 5).
      Trattandosi dell’elefante personale di Annibale, potrebbe trattarsi, però, addirittura di una leggenda.
      Detto in altre parole forse nessun elefante ebbe modo di lasciare le sue tracce tra quelle attribuibili ai mammiferi di Annibale, ammesso e non concesso che quelle trovate siano veramente le feci dei mammiferi dell’esercito cartaginese. Non credo, infine, che tra le feci di migliaia di cavalli e muli possano essere individuate le tracce di escrementi di qualche elefante.
      Fabrizio, è una mia opinione personale, ovviamente, e lascia il tempo che trova. 🙂
      Ciao, Donato.

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