Gli instant book sono quelle pubblicazioni generalmente brevi che vengono redatte mentre l’argomento di cui si tratta è nelle cronache di attualità, aiutano i lettori a contestualizzare i problemi e a comprenderne i tratti essenziali e, in molti casi, aiutano gli editori a cavalcare l’onda mediatica.
In termini ambientali, la notizia di questi giorni, per la quale ringraziamo la comunicazione globale altrimenti non ce ne sarebbe importato un fico secco, riguarda gli incendi devastanti che stanno colpendo lo Stato dell’Alberta, in Canada. Reportage, dibattiti, pareri degli esperti e, soprattutto, una grande profusione di immagini.
E’ uscito ieri quindi con tempismo perfetto su Science Daily il commento a un nuovo paper, ai cui autori va dato atto di averlo scritto e sottoposto a referaggio in tempi non sospetti (accettato per la pubblicazione sulla rivista scientifica Ecology il 6 aprile scorso), che guarda caso affronta proprio il tema dell’accresciuta propensione agli incendi delle foreste boreali e della Tundra artica in tempi di riscaldamento globale. Naturalmente una propensione potenziale, perché mettendo in relazione i database sugli incendi disponibili e le temperature prospettate dagli scenari climatici futuri, si giunge alla conclusione che gli incendi ovviamente aumenteranno, seguendo però una dinamica particolare. Con specifico riferimento all’Alaska (quindi Nord America), si noterebbe una soglia critica di temperatura media annuale per la quale per determinati ambienti boschivi, specie se in zone aride, il rischio incendi aumenterebbe in modo significativo.
Ecco quindi che, neanche troppo indirettamente, il tempismo (ritardato al 14 maggio) della divulgazione scientifica di Science Daily aiuta a mettere in correlazione quanto sta accadendo in Canada con il male che tutti ci affligge, il cambiamento climatico.
Cerchiamo quindi di contestualizzare gli eventi.
Nei primi giorni di cronache dall’Alberta, mi era capitato sotto agli occhi un post uscito su WUWT in cui si puntava il dito su di un aspetto penso poco noto. Le foreste del Nord America sono ambienti boschivi che usano il fuoco per rigenerarsi, ossia per eliminare le piante vecchie in favore di quelle nuove. Gli incendi sono perciò abituali e, dal punto di vista ecosistemico, anche benvenuti. Ogni anno ce ne sono circa 8.000 e vanno persi in media 2,1 milioni di ettari. Il fuoco però, non piace a nessuno, specie se, anche in contesti ancora molto selvaggi quali quelli del Canada, sono comunque aumentati gli insediamenti e i beni che da questi eventi potrebbero essere minacciati. Perciò si è imparato a prevenirli, a combatterli ed a limitarne gli effetti. Queste politiche però costano e pare che negli ultimi tempi sia stata un po’ mollata la presa. Il risultato di questi due fattori concomitanti, prevenzione e scarsità di risorse, è stato quello di un progressivo invecchiamento delle foreste, ossia di un’accresciuta propensione agli incendi, tanto che alcuni anni fa, l’ente forestale canadese, metteva l’accento proprio sul rischio che eventuali eventi di vaste proporzioni avrebbero potuto divenire catastrofici. A quanto pare, in effetti, negli ultimi anni il rapporto numerico tra piante vecchie e giovani è cambiato molto in favore delle prime. Così su Twitter:
.@RogerAPielkeSr if you want the simplest graph to help the discussion, here is one from a recent Alberta report pic.twitter.com/qhTXK6ByPy
— Blair King (@BlairKing_ca) 8 maggio 2016
Certo, si legge nel post, l’alta pressione e l’aridità conseguente degli ultimi mesi avrà potenzialmente accentuato il pericolo, ma se la mia proprietà fosse ora minacciata da un incendio (che sin qui di ettari ne ha consumati 400.000), forse avrei più da ridire sulle policy non-policy adottate che sull’aumento della concentrazione di anidride carbonica, ammesso che questo possa (e non lo è) essere messo direttamente in relazione con il prolungato periodo di tempo stabile e siccitoso. Specialmente se una buona parte di quegli incendi, dice sempre l’autorità canadese, è di probabile origine dolosa.
Tuttavia, è aumentato il rischio di incendi negli ultimi anni? Ci sono almeno un paio di database che riportano questi dati, come sempre con un’incertezza e un disaccordo abbastanza significativi nei primi anni delle serie storiche, per ovvi motivi di difficoltà di osservazione e riporto:
L’accordo sul trend però, non si discute, nel senso che, al netto della prevenzione, pare proprio che non ci sia stato alcun cambiamento, né sul numero degli incendi, né sulle aree distrutte, fattori entrambi comunque soggetti ad elevata variabilità interannuale, com’è logico che sia.
Per cui, ammesso che l’aumento degli incendi prospettato per il prossimo futuro sia attendibile, cosa che dipende anche molto dall’attendibilità delle proiezioni climatiche che a livello globale servono a poco e a livello regionale sono inservibili, in tempi di global warming ruggente come quelli delle ultime decadi, non pare che ci sia stato alcun effetto tangibile. Si dirà che non è stata raggiunta la soglia limite per la temperatura di cui si parla nel paper… può darsi, ma resta il fatto che la realtà, tanto per cambiare, supera l’immaginazione e, nella fattispecie, anche la simulazione.
Stim.mo Col. Guidi
Premetto di aver scoperto da poco il blog, e di non aver nulla a che fare professionalmente con la metereologia. Di quanto viene scritto sugli articoli piu’ tecnici, quindi, non capisco quasi nulla…
Sul blog trovo pero’ tutta una serie di informazioni e spiegazioni che trovo molto utili per farmi un’idea di quello che succede (farsi un’idea: mica poco!).
Mi permetto ora di scrivere per aggiungere una postilla, segnalando un articolo (per quei pochissimi lettori del blog che magari non lo conoscono) che per me e’ stato in un certo senso una pietra miliare sulla comprensione non solo dell’ecologia, ma della scienza in generale.
Si tratta di uno dei celebri (e criticatissimi) speeches di Michael Crichton. Mi riferisco in particolare a “Fear, Complexity, & Environmental Management in the 21st Century” [http://www.blc.arizona.edu/courses/schaffer/182h/Climate/Fear,%20Complexity,%20&%20Environmental%20Management%20in%20the%2021st%20Century.htm] dove si parla appunto anche del rapporto tra gli incendi e la salute di una foresta.
Per me fu una rivelazione… mi resi conto che il pianeta non sarebbe finito a carte quarantotto cosi’ facilmente, e di tante altre cose, sulla societa’, sulle buone intenzioni, sulla politica, e soprattutto sull’ecologia e su come questa debba essere interpretata.
Mi scuso per questa digressione anche personale, e la saluto con riconoscenza per tutto il tempo che, come scrive in un altro articolo, dedica al blog.
Federico C.
Grazie della segnalazione Federico.
gg
Dimenticavo:
I diagrammi sugli incendi forestali in Canada espressi come area bruciata e numero d”incendi che riporti più sopra sono interessanti perchè, ammesso e non concesso che il diagramma temporale riferito all’Alberta di cui al mio commento percedente sia attendibile, ci si accorge che salendo di scala il trend scompare.
Nulla di globale dunque….
Caro Guido,
la mia esperienza maturata facendo assistenza meteo durante le operazioni di spegnimento incendi e curando lo sviluppo di prodotti previsionali specifici per l’area forestale lombarda mi dice che in ambito alpino lombardo il massimo rischio di incendi sussiste dall’autunno alla primavera per effetto del foehn che dissecca le lettere forestali.
Prendendo poi un carta geografica osservo che l’Alberta è immediatamente a valle delle Rocky mountains il che si traduce in ridotta piovosità da un lato e in frequenti casi di foehn (che lì è detto Chinook) dall’altro.
Questo mio sospetto trova conferma in questo lavoro: http://portland.firebehaviorandfuelsconference.com/wp-content/uploads/sites/2/2015/06/53.-David_Finn-Kelsy-Gibos_ExtendedAbstract.pdf
In esso si trova anche un diagramma (figura 2) che mostra l’aumento del numero di incendi boschivi registrato grossomodo dal 2000 in avanti. Peraltro tale diagramma si presta a due tipi di considerazioni:
1.che sarebbe facile con un briciolo di climatologia dinamica basata sull’analisi delle topografie dell’850 hPa vedere se i casi di foehn sono aumentati giustificando l’aumento degli incendi. In tal caso il responsabile ultimo sarebbe l’aumento di frequenza e persistenza dei regimi circolatori da ovest, il che può avere una sua rilevanza anche a livello di circolazione generale (westerlies più intense)
2. mi viene il sospetto che la serie degli incendi boschivi non sia omogenea, nel senso che in passato le reti osservative erano assai meno efficaci per cui molti incendi potrebbero non essere stati rilevati.
Ovviamente sul punto 2 occorrerebbe una conoscenza locale che non posseggo nel modo più assoluto.
Ciao.
Luigi