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Ipazia di Alessandria

Qualche tempo fa, precisamente in luglio e in questo post, si è sviluppata nei commenti una discussione sulla filosofa alessandrina Ipazia. L’amico Donato Barone mi ha proposto di pubblicare un suo approfondimento su questo interessante personaggio. Lo faccio con piacere anche se si tratta di un argomento inusuale per CM, ma la conoscenza non ha confini, tanto meno editoriali. é un post piuttosto lungo, che avrebbe potuto essere pubblicato a puntate, ma trattandosi di un week-end (anche piovoso) penso di far cosa gradita a quanti vorranno approfondire pubblicandolo integralmente. – Buona lettura.
gg

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– premessa

Ho conosciuto Ipazia attraverso l’opera fondamentale di L. Russo “La rivoluzione dimenticata”. A pag. 30 Russo dedica alla donna poche righe:

“La fine della scienza antica si pone a volte nel 415, anno in cui la figlia di Teone, anche lei matematica (aveva scritto commenti ad Apollonio, Tolomeo e Diofanto) fu linciata ad Alessandria da una folla di cristiani fanatici per motivi religiosi” [1]

Nell’opera il nome di Ipazia ricorre più volte, ma certamente non è una delle protagoniste del lavoro di Russo. Per conoscere Ipazia bisogna leggere il testo di S. Ronchey “Ipazia: la vera storia” [2] in cui la storica e bizantinista delinea uno stupendo ritratto della matematica, scienziata e filosofa alessandrina.

Chi era Ipazia? Le fonti sono unanimi, ma per ora soffermiamoci sulla prima, ovvero il Suda o Suida. Si tratta di un’opera enciclopedica pubblicata a Bisanzio nel X secolo in cui, tra l’altro, si cita Damascio, un filosofo neo-platonico vissuto tra il 480 ed il 550 ed ultimo scolarca  dell’Accademia di Atene, che parla di Ipazia nella Vita di Isidoro. Isidoro, maestro di Damascio ed ultimo sacerdote del Serapeo di Alessandria,  venne a conoscenza della vicenda di Ipazia attraverso il racconto di due sacerdoti alessandrini a lei contemporanei. [3] Le vicende di cui parla Damascio, pertanto, gli erano state trasmesse da Isidoro. Considerando che Damascio era pagano ed esponente della scuola neoplatonica di cui Ipazia era stata insigne rappresentante in Alessandria, non deve stupire se il suo racconto appaia un po’ agiografico. Secondo Damascio Ipazia nacque ad Alessandria, dove fu allevata ed istruita dal padre. La giovane non fu appagata dagli insegnamenti scientifici e matematici paterni e cominciò a studiare la filosofia, di cui divenne padrona. Indossando il mantello del filosofo (riservato agli uomini, ma lei non era molto ligia alle regole) si recava al centro della città e qui commentava pubblicamente le opere di Platone, Aristotele ed altri filosofi.  Scrive Damascio che ella

“Fu giusta e casta e rimase sempre vergine. Lei era così bella e ben fatta che uno dei suoi studenti si innamorò di lei, non fu capace di controllarsi e le mostrò apertamente la sua infatuazione. Alcuni narrano che Ipazia lo guarì dalla sua afflizione con l’aiuto della musica. Ma la storia della musica è inventata. In realtà lei raggruppò stracci che erano stati macchiati durante il suo periodo e li mostrò a lui come un segno della sua sporca discesa e disse, “Questo è ciò che tu ami, giovanotto, e non è bello!”. Alla brutta vista fu così colpito dalla vergogna e dallo stupore che esperimentò un cambiamento del cuore e diventò un uomo migliore.” [4]

Ho preferito riportare le parole del Suda per far capire il carattere franco e diretto della donna, al limite della supponenza e della sfacciataggine, ma la narrazione ha anche molti altri significati di cui parleremo a breve.

Ipazia era ben vista da tutti i cittadini di Alessandria, ma aveva diversi nemici tra coloro  che detenevano il potere in città. Damascio attribuisce all’invidia le ragioni dell’odio e, in ultima analisi, della sua triste fine.

Le notizie fornite da Damascio non sono molto diverse da quelle che ci sono state tramandate da Socrate Scolastico, avvocato e storico vissuto a Costantinopoli tra il 380 ed il 450, quindi contemporaneo di Ipazia. Nella sua Historia Ecclesiastica egli scrive:

“Ad Alessandria c’era una donna chiamata Ipazia, figlia del filosofo Teone, che ottenne tali successi nella letteratura e nella scienza da superare di gran lunga tutti i filosofi del suo tempo. Provenendo dalla scuola di Platone e di Plotino, lei spiegò i principi della filosofia ai suoi uditori, molti dei quali venivano da lontano per ascoltare le sue lezioni.

Facendo conto sulla padronanza di sé e sulla facilità di modi che aveva acquisito in conseguenza dello sviluppo della sua mente, non raramente apparve in pubblico davanti ai magistrati. Né lei si sentì confusa nell’andare ad una riunione di uomini. Tutti gli uomini, tenendo conto della sua dignità straordinaria e della sua virtù, l’ammiravano di più. Fu vittima della gelosia politica che a quel tempo prevaleva.” [5]

Come si vede Ipazia era conosciuta ben oltre i confini di Alessandria d’Egitto e rappresentava un punto di riferimento per buona parte del mondo antico. A questo punto è necessario capire, però, che cosa aveva fatto Ipazia di così importante da meritarsi simile fama.

– la matematica e la scienziata

Ipazia è vissuta alla fine di quella che può essere considerata una delle età dell’oro della scienza. Secondo L. Russo [6] tra il 300 a.C. ed il 100 d.C. nel mondo ellenistico ebbe luogo la prima rivoluzione scientifica. Per la prima volta nella storia dell’uomo venne elaborato un metodo di indagine dei fenomeni naturali che ha molti punti di contatto con il metodo scientifico-sperimentale galileiano. Le conoscenze acquisite dagli scienziati ellenisti durante questo periodo, risultarono estremamente sofisticate e riguardarono campi tra i più disparati: astronomia, geometria, geodesia, medicina e fisiologia, idraulica e pneumatica, ingegneria e via cantando. In questo periodo vissero, infatti, Eratostene, Euclide, Archimede, Diofanto, Tolomeo e tanti altri la cui fama è giunta fino ai nostri giorni. Le loro opere, purtroppo, si sono in gran parte perse e con grande fatica gli storici riescono a ricostruire l’operato di questi giganti della scienza attraverso lavori di altri autori che ad esse fanno riferimento. Uno dei centri più importanti di questa fioritura della scienza, fu Alessandria d’Egitto che può essere considerato il faro che illuminava la civiltà ellenistica, ma anche Antiochia può essere considerata un centro culturale di ottimo livello, così come le colonie greche di Siracusa e Marsiglia.

Ai tempi di Teone e della figlia Ipazia il periodo d’oro della scienza ellenistica poteva dirsi finito da un pezzo e quello in cui vissero i due scienziati, filosofi e matematici alessandrini, costituiva la parte finale del lungo periodo di decadenza che, di lì a poco, sarebbe sfociato nel Medioevo. Nonostante ciò Alessandria continuava ad essere considerata uno dei maggiori centri culturali del mondo antico e le parole di Damascio e Socrate Scolastico lo testimoniano. Tornando ad Ipazia, sappiamo, attraverso la testimonianza del padre Teone e dal Suda, che ella scrisse due opere matematiche: un Commentario sull’Arithmetica di Diofanto di Alessandria [7] ed un Commentario sulle Coniche di Apollonio di Perga. [8] Non possedendo i testi, non siamo in grado di capirne l’importanza e, quindi, i contributi di Ipazia al progresso delle conoscenze matematiche. Studi condotti da A. Cameron e pubblicati nel 1990, sembrano avvalorare l’ipotesi che Ipazia sia intervenuta sui testi originali e non si sia limitata ad una semplice azione di revisione dei commenti del padre.[9]  In questa ipotesi Ipazia non dovrebbe essere considerata una semplice insegnante di matematica, ma una matematica a tutti gli effetti.

Ipazia aveva grande interesse anche per l’astronomia, come deduciamo da alcune lettere del suo allievo più famoso: Sinesio di Cirene. E’ attraverso le lettere di costui che siamo in grado di conoscere una parte dell’opera di Ipazia. Sappiamo, infatti, che Sinesio ha costruito o fatto costruire, in base a precise istruzioni della sua maestra un astrolabio piano, un idroscopio ed un aerometro.

Vediamo, in estrema sintesi di cosa si tratta. Storicamente la prima menzione dell’aerometro è collegata proprio alla figura di Ipazia: Sinesio di Cirene scrisse infatti verso il 400 d.C. alla sua maestra per chiederle spiegazioni circa la costruzione di un aerometro. Come indica l’etimologia della parola stessa, si tratta di uno strumento che serve per determinare la densità di un gas.

Ad Ipazia si attribuisce la costruzione di un altro strumento di misura detto idroscopio.

Il densimetro o idroscopio sfrutta il Principio di Archimede ovvero il fatto che un corpo immerso in un liquido, riceve una spinta, diretta dal basso verso l’alto, pari al peso del volume di liquido spostato. Nella fattispecie l’idroscopio attribuito ad Ipazia è costituito da un tubo cilindrico avente la forma e la dimensione di un flauto che presenta degli intagli perpendicolari al suo asse.  Una delle estremità del tubo è chiusa con un cono, detto barillio, avente la stessa sezione di base del tubo cilindrico. Il barillio ha la funzione di zavorrare il sistema in maniera tale che esso, immerso nell’acqua, mantenga un assetto verticale. Il calcolo della densità del liquido avviene contando il numero di intagli che fuoriescono dal liquido: più il liquido è denso, minore è il numero di intagli che emergono dall’acqua. Tarando opportunamente lo strumento, ad esempio immergendolo in un liquido di riferimento come l’acqua, siamo in grado di calcolare la densità relativa di qualsiasi liquido per semplice comparazione.

 

E’ l’astrolabio piano, però, lo strumento che ci introduce in quello che fu un altro campo in cui Ipazia eccelse. L’astrolabio piatto o piano é uno strumento astronomico tramite il quale è possibile determinare la posizione di corpi celesti come il Sole, la Luna, i pianeti e le stelle. L’astrolabio progettato da Ipazia era formato da due dischi metallici forati, ruotanti l’uno sopra l’altro mediante un perno rimovibile: veniva utilizzato per calcolare il tempo, per definire la posizione del Sole, delle stelle, dei pianeti. Di questo strumento Sinesio è particolarmente orgoglioso in quanto scrive che  concepito sulla base di quanto mi insegnò la mia veneratissima maestra […] Ipparco lo aveva intuito e fu il primo a occuparsene, ma noi, se è lecito dirlo, lo abbiamo perfezionato”.[10]

Pare che mediante questo strumento Ipazia abbia addirittura risolto alcuni problemi di astronomia sferica anche se non tutti gli studiosi sono concordi in proposito. Anche in questo caso ci troveremmo di fronte a contributi originali al corpus di conoscenze astronomiche.  L’astronomia per Ipazia non era, però, la mera osservazione degli astri per prevedere il futuro o la successione delle stagioni o dei fenomeni astronomici come le eclissi.

Stando a quanto scrive Sinesio l’astronomia è di per sé una scienza di alta dignità, ma può forse servire da ascesa a qualcosa di più alto, da tramite opportuno, a mio avviso, verso l’ineffabile teologia, giacché il beato corpo del cielo ha sotto di sé la materia e il suo moto sembra essere ai sommi filosofi un’imitazione dell’intelletto. Essa procede alle sue dimostrazioni in maniera indiscutibile e si serve della geometria e dell’aritmetica, che non sarebbe disdicevole chiamare diritto canone di verità” [11]

Se queste parole riflettono il pensiero di Ipazia, possiamo affermare che la studiosa alessandrina per giungere alla conoscenza della verità, più che dei discorsi retorico-dimostrativi del neo-platonismo ateniese, si serviva dell’esperienza e dello studio dei fenomeni naturali.

Come si vede l’opera di Ipazia può essere inquadrata nella migliore tradizione della scuola di Alessandria che alla speculazione teorica associava anche applicazioni basate sulle conoscenze teoriche stesse e che servivano a verificarle sperimentalmente. Circa la fama di astronoma di Ipazia, illuminante appare un epigramma del Pallada (Alessandria d’Egitto IV-V secolo):

Quando ti vedo mi prostro, davanti a te e alle tue parole,
vedendo la casa astrale della Vergine,
infatti verso il cielo è rivolto ogni tuo atto
Ipazia sacra, bellezza delle parole,
astro incontaminato della sapiente cultura
“. [12]

Illuminante, scrive G. Beretta in “Ipazia di Alessandria”, il terzo verso in quanto dimostra che ogni interesse ed azione di Ipazia era diretto verso le cose del cielo e ciò denota tanto la sua sapienza astronomica, quanto quella filosofica. Ogni mappa celeste disegnata da Ipazia, prosegue Beretta, rappresenta una “… traiettoria nuova – e insieme antichissima – per mezzo della quale gli uomini e le donne del suo tempo potessero imparare ad orientarsi sulla terra e dalla terra al cielo e dal cielo alla terra senza soluzione di continuità e senza bisogno della mediazione del potere ecclesiastico […]. Ipazia insegnava ad entrare dentro di sé (l’intelletto) guardando fuori (la volta stellata) e mostrava come procedere in questo cammino con il rigore proprio della geometria e dell’aritmetica che, tenute l’una insieme all’altra, costituivano l’inflessibile canone di verità”. [13]

– la filosofa

A queste attività scientifiche Ipazia associava lo studio della musica e l’insegnamento della filosofia. In proposito ella ricevette in eredità da Plotino la scuola di filosofia di Alessandria ed il livello del suo insegnamento lo deduciamo da quanto hanno scritto Damascio e Socrate Scolastico. Anche in questo caso non siamo in grado di conoscere i contributi originali della filosofa alla progressione della filosofia.

Può esserci d’aiuto, però, il ritratto che della filosofa Ipazia traccia G. Beretta nella sua opera  “Ipazia di Alessandria”.[14]  L’autrice ha effettuato un profondo scavo storico e filosofico per riuscire a ricostruire l’opera di Ipazia. Il risultato appare un po’ sopra le righe: Ipazia mi sembra un po’ sopravvalutata e ciò, forse, anche a causa dell’impegno sociale e politico della Beretta. Secondo la Beretta Ipazia è addirittura l’iniziatrice di una scuola di pensiero originale che vede “nell’autorità femminile” il suo nucleo fondante. Beretta parte dal mito di Dike, la Vergine patrona della prosperità e della fecondità, simbolo di una mitica età dell’oro in cui la filosofia e la razionalità, unite alla politica, contribuivano al benessere della società e attraverso l’analisi dei testi di Damascio, Sinesio, Agostino ed altri, individua in Ipazia la Vergine che, tornata tra gli uomini, avrebbe dovuto dare inizio ad una nuova età dell’oro. Ipazia viene vista in questa ottica non solo da Damascio e da Sinesio di Cirene, ma da tutti gli intellettuali dell’Impero Romano d’Oriente che vedono nella filosofa alessandrina un “astro incontaminato della sapiente cultura” , per usare le parole di Pallada.  A questo punto appare chiara l’enfasi che Damascio pone nel descrivere lo stato della filosofa (verginità intesa come stato ideale di colei in grado di collegare il mondo celeste con quello terreno senza tema di contaminazione) ed anche il significato simbolico dell’esibizione del sangue mestruale (simbolo di fecondità alla stregua della spiga di grano della Vergine Igea). [15]  L’immagine della Vergine in questo travagliato periodo storico si confà tanto alla tradizione pagana che a quella cristiana e ciò spiega il giudizio ampiamente positivo che traspare dagli scritti del pagano Damascio e dei cristiani Sinesio e Socrate Scolastico. In maniera più prosaica io penso che Ipazia sia stata una maestra di filosofia che riusciva a creare un rapporto docente-discente estremamente profondo che, in alcuni casi, sfociava quasi nella venerazione della maestra. Le parole con cui Sinesio di Cirene si rivolge alla sua Maestra non lasciano spazio ai dubbi:

“Detto questa lettera dal letto nel quale giaccio. Possa tu riceverla stando in buona salute, o madre, sorella e maestra, mia benefattrice in tutto e per tutto, essere e nome quant’altri mai onorato!”[16]

Sinesio era cristiano, Ipazia pagana, ma il legame spirituale tra i due travalica i precetti delle rispettive religioni e denota una completa immedesimazione tra la maestra e l’allievo, alla stregua del legame tra Socrate ed Aspasia o Socrate e Platone:

“E se c’è qualcuno venuto dopo che ti sia caro, io debbo essergli grato poiché ti è caro, e ti prego di salutare anche lui da parte mia come amico carissimo. Se tu provi qualche interesse per le mie cose, bene; in caso contrario, non importano neanche a me”.[17]

Ipazia era tutto questo: matematica, astronoma, scienziata, musicista, filosofa. Una mente eclettica che attirava allievi da ogni dove e che teneva alto il faro della cultura scientifica alessandrina.

Ipazia era, però, anche altro e di ciò mi occuperò ora.

– l’impegno civile

Per comprendere meglio la figura di quest’altra Ipazia, bisogna che essa sia inquadrata nella realtà storica in cui si svolse la vicenda dell’intellettuale alessandrina. Ipazia apparteneva all’aristocrazia pagana di Alessandria ed era, pertanto, molto vicina alle elites che gestivano il potere nella città. Attorno a lei si era venuto a formare un cenacolo di discepoli rappresentanti il meglio della buona società di Alessandria e di buona parte del Nord Africa e del Medio Oriente. Si trattava di persone altamente influenti che nel segreto delle loro riunioni oltre che di scienze, filosofia e matematica, discutevano di politica e di affari di stato ed economici. Non stupisce, quindi, che Oreste, prefetto di Alessandria si rivolgesse ad Ipazia per discutere dei problemi politici ed economici della città. Così come non stupisce che la filosofa fosse ammessa a parlare nelle riunioni dell’Assemblea cittadina: rappresentava quello che oggi definiremmo un potentissimo gruppo di pressione in grado di influenzare le scelte politiche dell’intero governo cittadino. [18]

La cosa non poteva passare inosservata a chi in quegli stessi momenti cercava di accreditarsi come antagonista del potere civile alessandrino e mirava a soggiogarlo: la potente e ricchissima sede vescovile di Alessandria.  Nel 313 l’imperatore Costantino aveva concesso la libertà di culto ai cristiani. Da quel momento iniziò il lento processo che nel 391 portò Teodosio a proclamare il cristianesimo religione di stato e, l’anno dopo, ad emanare delle leggi speciali contro i culti pagani in Egitto. Ad Alessandria l’azione contro i culti pagani fu particolarmente violenta. Il vescovo Teofilo si dimostrò particolarmente attivo nell’opera di distruzione di ogni traccia della religione degli antichi templi e, si narra, che fu lui ad assestare il primo colpo alla “statua blu” di Giove Serapide. Quasi contemporaneamente veniva dato fuoco alla biblioteca tolemaica di Alessandria. [19] Il vecchio mondo stava per cedere il passo al Medioevo. La contesa per la supremazia tra la chiesa alessandrina e le autorità civili, si trasformò ben presto in una lotta senza quartiere che nel 431 culminò con il trionfo del nuovo patriarca alessandrino, il vescovo Cirillo. In quell’anno si concluse, infatti, il Concilio di Efeso, fortemente voluto da Cirillo, che decretò il distacco della chiesa di Roma da una parte di quella Orientale, distacco che perdura ancora ai nostri giorni. Alessandria e l’intero Egitto si schierarono con il Papa di Roma e contro le gerarchie civili e religiose dell’Oriente bizantino. [20]

Nel pieno di questa tumultuosa stagione politica va a collocarsi la vicenda di Ipazia. Abbiamo visto gli aspetti scientifici e filosofici che caratterizzavano il suo insegnamento ed abbiamo visto anche come tra i suoi discepoli si collocasse l’elite della classe dirigente alessandrina. Un aspetto del personaggio Ipazia non è stato, però, ancora esaminato. Secondo alcuni studiosi (Bregman, 1982; Cameron, 2013 ed altri) Ipazia affiancava all’insegnamento pubblico anche un insegnamento, per così dire, privato. Abbiamo visto come ella discettasse di filosofia nel centro di Alessandria (forse da una cattedra pubblica, finanziata dallo Stato) ed abbiamo fatto cenno ad un cenacolo di discepoli. Si trattava di un gruppo di allievi rigorosamente selezionati ai quali la Maestra insegnava i culti misterici ed i principi esoterici tipici del neo-platonismo e della scuola di Plotino. Quella costituita da Ipazia e dai suoi allievi prediletti, veniva a configurarsi come una specie di “loggia massonica” ante litteram che non poteva lasciare indifferenti gli esponenti del clero alessandrino che, ai sensi dei decreti teodosiani che proibivano i culti pagani, erano gli unici depositari dell’ortodossia religiosa. A questo punto il quadro diventa estremamente chiaro. Ipazia è una scienziata ed una filosofa che ha anche libertà di insegnamento nell’ambito della netta separazione tra Chiesa e Stato che caratterizzava l’Impero d’Oriente, ma la sua azione trascende questi due aspetti e invade la sfera politica che ella riesce a condizionare tramite i suoi discepoli e religiosa attraverso i riti iniziatici ed esoterici che pratica nel suo cenacolo domestico.

A rendere ancora più difficile la posizione di Ipazia furono una serie di eventi che funestarono la vita di Alessandria tra il 414 ed il 415. Nel 414 si verificò un pogrom contro la potente comunità ebraica della città. Secondo alcune fonti la causa dell’evento deve ricercarsi nella lotta per il controllo del commercio del grano egizio nel territorio dell’Impero. Fino ad allora  tale commercio  era stato saldamente nelle mani degli ebrei di Alessandria  in un regime di monopolio assoluto, ma, successivamente, il monopolio era stato esteso anche alla chiesa alessandrina. Quella  ebraica era una presenza estremamente potente in Alessadria: elleni ed ebrei convivevano nella città sin dall’epoca della sua fondazione ed i legami tra le due comunità erano saldissimi anche ai tempi di Ipazia. Tra i due potenti gruppi di armatori (l’ebraico ed il cristiano) non correva buon sangue per cui nel 414, sfruttando eventi pretestuosi, si verificarono diversi massacri (di ebrei e di cristiani) al termine dei quali gli ebrei alessandrini furono cacciati dalla città, i loro beni confiscati e le loro sinagoghe trasformate in chiese. La classe dirigente ellenica della città aveva sempre appoggiato gli armatori greci, per cui non è affatto campata in aria l’ipotesi che Ipazia, di cui abbiamo visto l’influenza sulle scelte politiche dei Magistrati alessandrini, sia stata considerata ispiratrice delle veementi proteste contro il vescovo Cirillo che Oreste e gli altri Magistrati portarono fino al soglio imperiale. Dopo qualche mese dai tragici eventi del 414, Oreste fu assalito da un gruppo di monaci inferociti e ferito alla testa da uno di loro, Ammonio. Costui fu arrestato e sottoposto a tortura tanto violenta, da causarne la morte. Il vescovo Cirillo gli tributò solenni funerali e lo dichiarò martire. [21]

– l’epilogo

Appare chiaro che Ipazia aveva superato il limite e la punizione non si fece attendere. Nell’anno quarto del vescovado di Cirillo, decimo del consolato di Onorio, sesto di Teodosio II, nel mese di marzo dell’anno 415, narra Socrate Scolastico, un gruppo di monaci e parabalani (sorta di ordine monastico di infermieri/barellieri) si riunisce sotto la guida del chierico Pietro il Lettore e decide di assassinare Ipazia.[22]

Racconta Damascio “che una moltitudine di uomini imbestialiti piombò improvvisamente addosso a Ipazia un giorno che come suo solito tornava a casa da una delle sue apparizioni pubbliche.”  Ipazia viene tirata fuori dalla lettiga e trascinata nel Cesareo dove, scrive Socrate Scolastico,  “incuranti  della vendetta e dei numi e degli umani questi veri sciagurati massacrarono la filosofa” in modo orrendo. Secondo Damascio “mentre ancora respirava debolmente le cavarono gli occhi”, mentre secondo Socrate “La spogliarono delle vesti, la massacrarono usando cocci aguzzi (ὄστρακα), la fecero a brandelli. E trasportati quei resti al cosiddetto Cinaro, li diedero alle fiamme.”[23]

Ed ora è possibile leggere e comprendere un passo di Giovanni, vescovo cristiano di Nikiu, in Etiopia, risalente a circa due secoli dopo i fatti avvenuti ad Alessandria nel 415. Il passo è un po’ lungo, ma vale la pena leggerlo interamente in quanto, pur nella sua semplicità, dà una chiave di lettura degli eventi molto chiara. Soprattutto se lo si legge tra le righe ed alla luce di quanto si è potuto desumere dal quadro generale degli avvenimenti che ho cercato di delineare fino ad ora.

“In quei giorni apparve in Alessandria un filosofo femmina, una pagana chiamata Ipazia, che si dedicò completamente alla magia, agli astrolabi e agli strumenti di musica e che ingannò molte persone con stratagemmi satanici.

Il governatore della città l’onorò esageratamente perché lei l’aveva sedotto con le sue arti magiche. Il governatore cessò di frequentare la chiesa come era stato suo costume. Ad eccezione di una volta in circostanze pericolose. E non solo fece questo, ma attrasse molti credenti a lei, ed egli stesso ricevette gli increduli in casa sua.

Un giorno in cui stavano facendo allegramente uno spettacolo teatrale con ballerini, il governatore della città pubblicò un editto riguardante gli spettacoli pubblici nella città di Alessandria. Tutti gli abitanti della città erano riuniti nel teatro.

Cirillo, che era stato nominato patriarca dopo Teofilo, era ansioso di comprendere esattamente il contenuto dell’editto.

C’era un uomo chiamato Hierax, un cristiano che possedeva comprensione ed intelligenza e che era solito dileggiare i pagani. Era un seguace affezionato all’illustre padre il patriarca ed obbediente ai suoi consigli. Egli era anche molto versato nella fede cristiana.

Ora questo uomo si era recato al teatro per conoscere la natura dell’editto. Ma quando gli ebrei lo videro nel teatro gridarono e dissero: ‘Questo uomo non è venuto con buone intenzioni, ma solamente per provocare un baccano’.

Il prefetto Oreste fu scontento dei figli della santa chiesa, e Hierax fu afferrato e sottoposto pubblicamente a punizione nel teatro, sebbene fosse completamente senza colpa.

Cirillo si irritò con il governatore della città per questo fatto, ed anche perché aveva messo a morte Ammonio, un illustre monaco del convento di Pernodj, ed anche altri monaci.

Quando il magistrato principale della città venne informato, rivolse la parola agli ebrei come segue: ‘Cessate le ostilità contro i cristiani’. Ma essi rifiutarono di dare ascolto a quello che avevano sentito; si vantarono dell’appoggio del prefetto che era dalla loro parte, e così aggiunsero oltraggio a oltraggio e progettarono un massacro in modo infido.

Di notte posero in tutte le strade della città alcuni uomini, mentre altri gridavano e dicevano: ‘La chiesa dell’apostolico Athanasius è in fiamme: corrano al soccorso tutti i cristiani’. Ed i cristiani al sentire queste grida vennero fuori del tutto ignari della slealtà degli ebrei. Quando i cristiani vennero avanti, gli ebrei sorsero e perfidamente massacrarono i cristiani e versarono il sangue di molti, sebbene fossero senza alcuna colpa.

Al mattino, quando i cristiani sopravvissuti sentirono del malvagio atto compiuto dagli ebrei contro di loro, si recarono dal patriarca. Ed i cristiani si chiamarono a raccolta tutti insieme. Marciarono in collera verso le sinagoghe degli ebrei e ne presero possesso, le purificarono e le convertirono in chiese. Una di esse venne dedicata a S. Giorgio.

Espulsero gli assassini ebrei dalla città. Saccheggiarono tutte le loro proprietà e li derubarono completamente. Il prefetto Oreste non fu in grado di portare loro alcun aiuto.

Poi una moltitudine di credenti in Dio si radunò sotto la guida di Pietro il magistrato, un credente in Gesù Cristo perfetto sotto tutti gli aspetti, e si misero alla ricerca della donna pagana che aveva ingannato le persone della città ed il prefetto con i suoi incantesimi.

Quando trovarono il luogo dove era, si diressero verso di lei e la trovarono seduta su un’alta sedia. Avendola fatta scendere, la trascinarono e la portarono nella grande chiesa chiamata Caesarion. Questo accadde nei giorni del digiuno.

Poi le lacerarono i vestiti e la trascinarono attraverso le strade della città finché lei morì. E la portarono in un luogo chiamato Cinaron, e bruciarono il suo corpo. E tutte le persone circondarono il patriarca Cirillo e lo chiamarono ‘il nuovo Teofilo’ perché aveva distrutto gli ultimi resti dell’idolatria nella città”.[24]

Dopo la morte di Ipazia i suoi discepoli si dispersero ed Alessandria perse il suo ruolo di guida culturale del mondo ellenico. La prima rivoluzione scientifica era terminata definitivamente. Bisogna attendere il rinascimento affinché venga riscoperta la ricchezza del mondo classico ed il genio di G. Galilei per riscoprire il metodo scientifico-sperimentale.

Ho cercato di esporre la vicenda umana e scientifica di Ipazia in modo asettico, presentando i fatti come raccontati dalle fonti ed interpretati dagli studiosi che per oltre un millennio e mezzo si sono dedicati alla vicenda di Ipazia. Le fonti utilizzate non sono esenti da pregiudizi e riserve mentali: Damascio è un pagano neoplatonico che vede come il fumo negli occhi il cristianesimo, Socrate Scolastico è un cristiano orientale che ha non pochi pregiudizi verso la chiesa alessandrina ed il vescovo Cirillo, così come altre fonti (Filostorgio,  Esichio e Malala che non ho citato e commentato in quanto si rifanno a Damascio ed a Socrate Scolastico).  La cronaca del Vescovo di Nikiu fa dell’assassinio di Ipazia un motivo di vanto per la chiesa alessandrina per cui è affetta da un bias opposto. Mettendo a confronto le varie fonti e le interpretazioni fornite dagli studiosi, è possibile ricavare un quadro d’insieme della vicenda di Ipazia. Personalmente sono convinto che il vescovo Cirillo sia responsabile della sua morte, ma sono altrettanto convinto che Ipazia non è morta perché scienziata e filosofa, ma perché impegnata attivamente nelle vicende politiche ed economiche della città di Alessandria e, quindi, fu vittima di una guerra di potere combattuta senza esclusione di colpi tra due fazioni che si contendevano il governo della città: la vecchia classe dirigente ellenica affiancata da quella ebraica e la nuova classe dirigente cristiana (per fede o per convenienza). Ipazia era una presenza scomoda che doveva essere eliminata e, difatti, fu eliminata, in modo premeditato e pianificato. Le motivazioni ideologiche e religiose c’entrano poco: sono la solita foglia di fico con cui si coprono le vergogne.

[1] L. Russo – La rivoluzione dimenticata – Feltrinelli editore

[2] S. Ronchey – Ipazia: la vera storia – BUR Rizzoli

[3] G. Beretta – Ipazia di Alessandria – Editori Riuniti

[4] http://www.maat.it/livello2/ipazia.htm

[5] http://www.maat.it/livello2/ipazia.htm

[6] L. Russo – op. cit.

[7] http://www.filosofico.net/ipazia.htm

[8] http://www.maat.it/livello2/ipazia.htm

[9] Alan Cameron – Isidore of Miletus and Hypatia: On the Editing of Mathematical Texts  http://grbs.library.duke.edu/article/viewFile/4171/5587

[10] Suda da una notizia di Esichio

[11] Damascio – Vita Isidori

[12] http://www.filosofico.net/ipazia.htm

[13] G. Beretta – op. cit.

[14] G. Beretta – op. cit.

[15] G. Beretta – op. cit.

[16]  http://www.filosofico.net/ipazia.htm

[17]  http://www.filosofico.net/ipazia.htm

[18] http://www.silviaronchey.it/materiali/pdf_docenza/pubblicazioni/Perche_Cirillo_assassino_Ipazia.pdf

[19] S. Ronchey – op. cit.

[20] S. Ronchey – op. cit.

[21] http://www.silviaronchey.it/materiali/pdf_docenza/pubblicazioni/Perche_Cirillo_assassino_Ipazia.pdf

[22] http://www.silviaronchey.it/materiali/pdf_docenza/pubblicazioni/Perche_Cirillo_assassino_Ipazia.pdf

[23] http://www.silviaronchey.it/materiali/pdf_docenza/pubblicazioni/Perche_Cirillo_assassino_Ipazia.pdf

[24]  http://www.maat.it/livello2/ipazia.htm

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26 Comments

  1. A. de Orleans-B.

    Un post affascinante, ringrazio l’autore!

    No so – e forse non lo sapremo mai – se Ipazia fosse straordinaria o solo grande, ma al suo confronto molti dei protagonisti delle attuali controversie sul clima sembrano personaggi assai modesti.

  2. Gianni

    @Franco

    L’astrolabio è per me un concetto appreso leggendo (molti anni fa) la biografia di Ermanno lo storpio, e che ho potuto approfondire grazie a Climatemonitor (soprattuto grazie a questo post e ai commenti che ne sono seguiti).
    Anche le mie informazioni sull’astrolabio di Barcellona vengono da wikipedia. Sull’arcidiacono Lupitus le pagine sono in spagnolo, francese e inglese (e altre lingue), mentre sono in inglese e spagnolo (e altro) quelle sull’astrolabio in questione (https://en.wikipedia.org/wiki/Barcelona_astrolabe). Le fonti sono datate. Ne parla J. Millas Vallicrosa nel 1931 (http://www.journals.uchicago.edu/doi/abs/10.2307/2846687). Ma ne parla anche il francese Marcel Destombes, che lo ha scoperto, nel suo saggio del 1962 (http://www.persee.fr/doc/pharm_0035-2349_1963_num_51_179_8858_t1_0213_0000_1).
    Lupitus, segnalato dal papa scienziato Silvestro II (Gilbert d’Aurillac), avrebbe agito da intermediario per il passaggio di conoscenze arabe al mondo carolingio e quindi cristiano latino. L’intemediazione catalana pare logica, perché la Catalogna nacque come marca carolingia in seno alla Spagna arabo-musulmana.
    Al di là dell’attendibilità dell’attribuzione dell’astrolabio carolingio a Lupitus, l’aspetto per me interessante è che i due mondi (musulmano e cristiano) si parlavano e scambiavano cultura seguendo il flusso della storia, che non è lineare (conquiste e riconquiste degli uni e degli altri) ma è continuo.
    In questo continuum ho un po’ di difficoltà ad accettare che il progresso scientifico sarebbe ripreso con Copernico all’uscita dal medioevo (i miei colleghi francesi direbbero invece che abbiamo dovuto attendere Les Lumières…). Nel primo medioevo Isidoro di Siviglia, Beda il Venerabile (il più grande matematico dell’occidente, secondo Lucio Russo), Guglielmo di Conches, Ildegarda di Bingen e Ermanno lo storpio non sono accidenti della storia. Con la nascita delle università (fondate sui principi della libertà accademica) il sapere (spesso disperso) si istituzionalizza, si amplia e si propaga, e con Alberto Magno e Roggero Bacone comincia a formalizzarsi il metodo sperimentale. Si genera cosi’ quella quantità immensa di conoscenze che permette all’Europa cristiana di superare le proprie frontiere scoprendo l’America e fondando l’occidente. Ed è qui che arriva Nicola Copernico, ma due altri Nicola – d’Oresme e di Cusa – lo avevano anticipato. Altri son venuti dopo di lui e il flusso continua.

    • Gianni, grazie per le informazioni. Vedo con dispiacere che le notizie più approfondite sono quelle di Physis del 1995 (che ho citato in un altro commento ieri) e che la ricerca sembra non avere più nulla da dire su questo astrolabio. Di Destombes ho letto alcune pagine del diario che descrivono lo strumento (con disegni accurati).
      Smetto di occupare spazio con questo OT e ti ringrazio ancora. Franco

  3. Caro Donato,
    il tuo post sta diventando un’arena di discussione molto piacevole e questo va a tuo merito per aver scelto un argomento interessante.
    Grazie per la lettera si Sinesio a Peonio: è un documento importante che non conoscevo.
    Come scrivi giustamente il problema delle proiezioni è stato risolto da Gauss, ma senz’altro gli ellenisti del III e II sec a.C., che avevano costruito la trigonometria piana e sferica (almeno nei teoremi fondamentali), avevavo indagato sui rapporti tra sfera e piano.
    Tolomeo è un loro erede di 4-5 secoli dopo: ha ancora accesso alle loro opere e può seguire i loro ragionamenti ma secoli di lenta decadenza non sono passati invano. Secondo me non è più in grado di costruire ex-novo una teoria scientifica e in questo senso l’ho definito un cialtrone rispetto ai predecessori, ma è bravo a capire ciò che legge e ad applicarlo; anzi sembra l’unico del suo tempo a saperlo fare. C’è il problema delle stelle di Ipparco che lui usa senza correggerne la posizione da una parallasse di 500 anni, ma è anche vero che Ipparco aveva fornito le coordinate per, esplicitamente, permettere ai suoi successori di verificarne le posizioni e quindi valutare la parallasse. Tolomeo ha permesso che le stelle di Ipparco arrivassero fino a noi, cosicché tramite loro la parallasse è stata riscoperta. Ma qualche dubbio resta … Comunque sì, forse hai ragione tu: è un po’ meno cialtrone di come l’ho presentato.

    Tornando all’astrolabio, io dubito che nel IV-V sec d.C. ci fosse qualcuno in grado di “fare le scarpe ad Ipparco”; qualche microscopica modifica, spacciata per miglioramento dal suo autore, era certamente possibile, ma non dobbiamo credere che questi studiosi fossero dei giganti. La vera evoluzione degli astrolabi la troviamo con gli arabi (di Spagna ma non solo) dal VII-VIII secolo. Nell’Europa non araba nessumo era in grado di costruire un astrolabio prima del XIII secolo, e costruire un astrolabio significa proiettare una sfera su un piano.
    Qualche anno fa ho studiato e discuso un astrolabio (detto carolingio o di Destombe, datato al X sec e conservato al Museé du Monde Arabe di Parigi) che sui timpani ha le scritte in latino, primo esemio in assoluto. Da un congresso dedicato allo strumento è risultata la sua autenticità ma è da considerare una cosa eccezionale.
    Mi chiedo quindi come ne V sec qualcuno avesse potuto apportare miglioramenti significativi alla proiezione.
    Dalla lettera di Sinesio non risulta che ci fossero timpani diversi (per diverse latitudini) e quindi l’astrolabio era costruito per stare in un posto fisso, non per viaggiare; la costruzione avrebbe quindi richiesto una sola proiezione, cosa più semplice ma che non sposta i termini del problema.

    In tutto questo è ovvio che Ipazia aveva studiato e capito le opere degli ellenisti (se mi permetti, direi “quelli veri”) e che il suo allievo Sinesio aveva appreso da lei le basi e il modo di costruire l’astrolabio, migliorandolo, poco o tanto che fosse.
    Nella loro epoca, anticamera della perdita di conoscenza scientifica, questo non era affatto trascurabile e deve essere visto come un fatto nettamente positivo.
    Ciao. Franco

    • Gianni

      L’astrolabio carolingio è attribuito all’arcidiacono di Barcellona Lupitus (detto Sunifredo), vissuto nel X secolo. Nella costruzione degli astrolabi, l’astrolabio di Barcellona dovrebbe quindi segnare il trasferimento di conoscenze dal mondo arabo musulmano a quello cristiano latino. A loro volta i costruttori islamici erano debitori ai cristiani alessandrini e siriani Giovanni Filopono (c. 490-c 570) e Severo Sebokht (575-667), che scrissero trattati sugli astrolabi, da cui risulta che il metallo (bronzo) era usato nel mondo cristiano orientale come elemento costruttivo. L’impulso del XIII secolo è probabilmente dovuto alla traduzione in latino dell’opera dell’astronomo arabo Albatenius (c. 858-929) da parte de Platone Tiburtino nel XII secolo, in cui è descritto il background matematico degli astrolabi.
      Ma prima di allora ci furono gli astrolabi di Ermanno lo storpio (XI secolo), come segnalato in un precedente commento.

    • donato b.

      Caro Franco, concordo con te sul fatto che i rappresentanti della Scuola di Alessandria nel periodo successivo all’avvento dell’Era Volgare, non erano giganti paragonabili a quelli del periodo di massimo splendore della civiltà ellenistica. Un po’ meno circa le loro capacità di comprendere ed approfondire le conquiste dell’epoca precedente. A volte i posteri non riescono ad uguagliare i loro antenati nella genialità, ma nell’opera di commento ed approfondimento possono ottenere notevoli risultati. Questo mio assunto potrebbe sembrare una specie di assioma indimostrabile, ma se pensiamo per un attimo ad Euclide ed ai suoi Elementi, esso può essere giustificato. Gli Elementi sono stati il libro di testo di geometria per millenni, ma sembra che non siano quelli scritti dal Geometra alessandrino. Gli Elementi che oggi conosciamo sono quelli del Commentario di Teone. Egli scrisse, difatti, nel suo commentario all’almagesto che “Nella mia edizione degli Elementi, alla fine del libro VI, ho dimostrato che in cerchi uguali i settori circolari stanno tra loro come gli angoli su cui insistono”. Questa dizione è presente in tutti i manoscritti in nostro possesso, tranne che in uno del IX secolo (Vat. Gr.190) nel quale è presente come nota a margine: è, forse, questa del IX secolo un’edizione più vicina all’originale di Euclide?
      http://www.treccani.it/enciclopedia/euclide_%28Enciclopedia-Italiana%29/
      Con questo non penso neanche lontanamente che Teone possa essere più geniale di Euclide, ma non mi stupirei se qualche dimostrazione fosse attribuibile a Teone invece che ad Euclide. In proposito non dobbiamo dimenticare che fino alla fine del Rinascimento si pensava che Euclide avesse solo enunciato i teoremi mentre Teone li avrebbe dimostrati! Non è vero, ma qualche perfezionamento probabilmente è stato introdotto. Ed in questo mi conforta la conclusione di A. Cameron, 1990 che reputa corretto pensare che Teone/Ipazia avessero messo mano al corpus dell’Almagesto.
      Egualmente importante mi è parso il contributo che Teone diede alla comprensione dell’Almagesto: nel suo Commentario maggiore descrisse accuratamente il metodo con cui Tolomeo aveva elaborato le sue famose tavole numeriche, le riprodusse e, quindi, dimostrò di averne capito lo spirito profondo.
      http://www.treccani.it/enciclopedia/scienza-greco-romana-l-astronomia-dopo-tolomeo_%28Storia-della-Scienza%29/
      .
      Circa il tuo giudizio sulle discussioni che si sono sviluppate intorno al mio modesto post su Ipazia, è inutile dire che ne sono lusingato. Il merito è, però, tuo, di F. Giudici e di Gianni. Ringrazio tutti, ancora una volta per il vostro apporto critico e costruttivo che ha consentito di chiarire ed ampliare diversi aspetti del mio scritto.
      Ciao, Donato.

  4. Gianni

    “lei fu, forse, una delle ultime ad occuparsi di strumentazione astronomica complessa”

    Forse fu tra gli ultimi esponenti della filosofia greca a occuparsene. Una volta finito quel mondo, nei nuovi orrizzonti fissati dal cristianesimo e dall’islam altri si sono dedicati alla costruzione di astrolabi e alla sperimentazione con gli stessi. Il pluri-handicappato benedettino tedesco Ermanno lo storpio (1013-1013) fu compositore, teorico della musica, matematico e astronomo (un vero miraculum saeculi). Costruttore di astrolabi, cita nei suoi scritti il De astrolabii compositione dell’astrologo e astronomo persiano Masha’allah ibn Athari (c. 740-doo l’815).

    • Gianni

      Ho riportato due volte l’anno di nascita di Ermanno lo storpio (1013). L’anno della sua morte è il 1054.

    • Donato Barone

      Completamente d’accordo con te: l’ultima di una scuola. Fortunatamente la scienza ha progredito: dopo qualche secolo le cose ripresero il loro corso.
      Ermanno riuscì circa 600 anni dopo Ipazia e Sinesio, quasi mille anni dopo Tolomeo e oltre un millennio dopo Ipparco a riallacciare i nodi di un discorso interrotto. Sembra, infatti, che sia stato il primo a descrivere un astrolabio dopo secoli (almeno nell’Occidente latino).
      In questo periodo gli Arabi riuscirono a creare un ponte tra l’astronomia greco-alessandrina e quella babilonese ed indiana: il progresso scientifico riprese e si gettarono le basi di una nuova rivoluzione scientifica che ebbe inizio con Keplero, Copernico, Galilei, Newton, ecc..
      In proposito sembrerebbe che Copernico durante il suo soggiorno a Bologna, abbia avuto modo di studiare dei testi alessandrini nella loro traduzione in arabo e, successivamente, in latino. Il cerchio si chiude e riprende il progresso. Speriamo di non dover ripetere gli stessi errori del passato.
      Ciao, Donato.

    • @ gianni
      (Guido, ti chiedo scusa per il fuori tema, non lo faccio più, ma sono curioso. E tu sai che sono inattendibile…)
      Ho smesso di occuparmi dell’astrolabio carolingio più di 10 anni fa e le mie conoscenze sono ferme al convegno i cui atti sono in Physis, vol.XXXII, fasc.2-3, 1995, Leo Olschki editore, Firenze.
      In Physis non si accennava neppure al vescovo di Barcellona, ma penso (e spero) che la ricerca storica si sia evoluta.
      Hai per caso un riferimento bibliografico a qualche ricerca più recente? Continuo ad essere curioso su cose nuove riguardo a questo astrolabio ma una ricerca in rete mi ha portato solo a Wikipedia spagnola dove una pagina chiaramente nazionalista (il nome fa normalmente riferimento al proprietario Destombes che lo ha regalato al Museo di Parigi mentre in questa pagina il francese è appena accennato) lo attribuisce al vescovo. Le vicende dell’acquisto sono compatibili con la provenienza spagnola per cui non mi meraviglio più di tanto, ma sarei lieto di leggere qualcosa di più scientifico nel caso tu avessi informazioni al riguardo.
      Franco

  5. Donato Barone

    Errata corrige: per mero errore materiale nel 10° rigo della premessa è stata omessa la parola “non” per cui la frase “Le fonti sono unanimi ….” deve essere “Le fonti non sono unanimi”.
    .
    Al rigo 23 del capitolo “la filosofa” la frase: “verginità intesa come stato ideale di colei in grado di collegare il mondo ….. ” deve essere corretta in: “verginità intesa come stato ideale di colei che è in grado di collegare il mondo ….”
    .
    Circa il distacco tra la chiesa orientale e quella occidentale è necessario precisare che nel 431 cominciarono a delinearsi le differenze (chiesa copta egiziana legata al Papa di Roma e restante parte della chiesa orientale più vicina al Patriarca di Bisanzio) che culminarono sei secoli dopo nello scisma decretato dal Concilio di Nicea nel 1054: è questo scisma che perdura ancora oggi.
    Mi scuso con i lettori di CM.
    Donato Barone

    • Gianni

      I due concili di Nicea sono precedenti di secoli al grande scisma del 1054. Questo fu provocato dal legato papale Umberto di Silvacandida, il quale getto’ sull’altare di Santa Sofia a Costantinopoli il libello di scomunica del patriarca Michele Cerulario, il quale rispose scomunicando lui e la sua delegazione. Intanto papa Leone IX era morto, quindi il libello di Umberto mancava di autorità. La scomunica di Michele non era sostenuta da un concilio delle chiese orientali né si estendeva a tutta la chiesa latina. Ma le divisioni erano ormai talmente profonde che i due mondi non si riconciliarono più. Fallito il tentativo di unione del concilio di Basilea-Ferrara-Firenze (1431-1445) e caduta Costantinopoli in mano turca nel 1453, le due grandi aree della cristianità sono rimaste isolate per secoli fino all’annullamento delle scomuniche del 1054 da parte di papa Paolo VI e del patriarca Atenagora I nel 1965, in seguito al loro abbraccio di pace avvenuto a Gerusalemme il 5 gennaio 1964. Questo non ha significato un ritorno automatico all’unità ma ha aperto il cammino del dialogo. L’accelerazione degli ultimi tempi passa per incontri frequenti tra il patriarca di Costantinopoli e il papa, e iniziative comuni da parte delle due chiese. A questo si aggiunge l’incontro storico tra papa Francesco e il patriarca di Mosca Kirill, avvenuto il 12 febbraio 2016 nell’aeroporto de L’Avana a Cuba. Dopo la caduta di Costantinopoli, l’unico impero cristiano d’oriente rimasto in piedi, quello russo, attribui’ a Mosca il ruolo che fu dell’antica capitale dell’Impero Romano d’Oriente, facendone la terza Roma e creando cosi’ un’altra frattura in seno alla cristianità orientale.

    • Donato Barone

      @ Gianni.
      Hai perfettamente ragione: non doveva essere Nicea, ma Costantinopoli. Di notte sarebbe meglio dormire. 🙁
      Grazie per l’attenzione, la precisazione e l’integrazione.
      Donato Barone

  6. […] ella scrisse due opere matematiche: un Commentario sull’Arithmetica di Diofanto di Alessandria [7] ed un Commentario sulle Coniche di Apollonio di Perga. [8] Non possedendo i testi, non siamo in […]

  7. Caro Donato, grazie per il lungo post di approfondimento. Conosco Ipazia solo per le righe di Lucio Russo che hai citato all’inizio e so poco del contesto socio-politico nel quale era immersa. Le mie idee su di lei sono quindi più che altro impressioni, poco o nulla suffragate da fatti concreti: penso che Ipazia fosse davvero considerata una vera sapiente nella decadenza del IV secolo dC, quando si era ormai perso non solo il ricordo ma anche il più vago sentore dell’ellenismo (nel quale eviterei accuratamente di inserire Tolomeo, che considero una specie di cialtrone rispetto agli scienziati dei due-tre secoli precedenti, esaltato in mancanza d’altro).
    Credo che poi l’attuale idea talebano-femminista (non discuto il diritto delle donne di far valere le loro capacità, solo il modo con cui lo fanno) abbia fatto il resto in alcuni dei libri che citi oltre a Russo.
    Sono convinto, come scrivi, che la morte di Ipazia sia stata causata da motivi politici e solo in parte da motivi culturali; gli ignorantissimi cristiani del IV secolo si preoccupavano della cultura solo se istigati da qualche acculturato fanatico tipo Agostino di Ippona o, magari, il vescovo Cirillo, probabilmente meno acculturato di Agostino ma certamente non meno fanatico anche due secoli dopo.
    Ho comunque apprezzato il tuo sforzo di darci un quadro complessivo il più accurato possibile e concordo sul commento di Fabrizio a proposito delle fonti di parte, da prendere con le classiche molle. Ciao. Franco

    • donato b.

      Caro Franco, effettivamente Tolomeo può essere considerato un esponente del periodo di decadenza della scienza ellenistica. Avendo letto entrambi il testo di Russo non mi dilungo più di tanto sul concetto di “salvare i fenomeni” che informava la Scuola alessandrina. Se inquadriamo l’opera di Tolomeo in tale contesto, il suo modello astronomico può essere giustificato in quanto consente di “salvare i fenomeni”. E’ concettualmente sbagliato, ma consente di fare rapidamente i calcoli e facilitava la preparazione degli oroscopi che davano da vivere ai tanti astrologi che popolavano le corti antiche. Visto da questo angolo di visuale, Tolomeo appare sotto una luce diversa: un po’ meno cialtrone. 🙂
      .
      Tornando ad Ipazia vorrei segnalarti la lettera con cui Sinesio accompagna la spedizione del suo astrolabio o planisfero a Peonio (de dono).
      https://books.google.it/books?id=2OW3gInvf6IC&pg=PA14&lpg=PA14&dq=de+dono+sinesio&source=bl&ots=dNZx_pcqyA&sig=WaDr_yZ2ME3FE8pCJ6mkncjatyk&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwi7reGwoY_YAhWHFuwKHWonCpUQ6AEIUzAI#v=onepage&q=de%20dono%20sinesio&f=false
      .
      Salta direttamente a pagina 13, ultimo rigo e leggi quanto scritto da pagina 14 a pagina 18.
      Io ho capito che Sinesio abbia costruito, in base agli insegnamenti ricevuti da Ipazia, un planisfero o astrolabio in cui ha effettuato la proiezione di una sfera su di un piano. Questo problema è stato affrontato e risolto da Gauss nel 1800 e oggi tutta la cartografia ufficiale è redatta seguendo le regole della Proiezione Trasversa di Mercatore (UTM). Stando alle parole di Sinesio, il suo astrolabio rappresentava un perfezionamento di quello di Ipparco in quanto inglobava gli avanzamenti della geometria (proiettiva presumo) intervenuti nel corso del tempo. Considerando i commentari attribuiti a Teone e ad Ipazia e tenendo conto che, generalmente, i commentari erano anche perfezionamenti delle opere originali, reputo plausibile che lo strumento in argento donato a Peonio potesse rappresentare un miglioramento di quelli precedenti (di Ipparco e di Tolomeo). Particolarmente interessanti mi sono parsi i dettagli relativi alle correzioni che egli ha effettuato per proiettare una superficie sferica su di una superficie piana soprattutto in corrispondenza delle zone polari. Mi piacerebbe molto conoscere il tuo parere sull’argomento.
      Ciao, Donato

  8. donato b.

    Caro Fabrizio, sono in disaccordo con la maggior parte delle tue considerazioni.
    .
    “Il problema delle fonti parziali… è che sono parziali e bisognerebbe almeno leggere qualche contraddittorio.”
    .
    Ho letto qualche contraddittorio, ma sono di uno squallore unico e non fanno riferimento ad uno straccio di fonte. In uno di questi si diceva che Ipazia era vecchia e sdentata (in quell’epoca a 40/50 anni era normale): degna, quindi, di essere ammazzata? In un altro si cercava di mettere in evidenza che non era una filosofa, ma una matematica (come se essere matematici fosse una diminutio). Umberto Eco la definì una escort in quanto si accompagnava con uomini. In un altro si faceva riferimento a non meglio specificati papiri che, opportunamente interpretati, davano una chiave di lettura diversa della vicenda. Quali? Non se ne parlava, un po’ come gli annunci dei predicatori.
    Probabilmente sono stato sfortunato, ma questo è. Sono pronto, però, a prendere in considerazione suggerimenti. 🙂
    Di fronte a questi contraddittori preferisco Diderot, S. Ronchey e tutti coloro che hanno scritto di lei, in Italia ed all’estero, cercando almeno di capire qualcosa del personaggio.
    .
    La sua fine è un fatto epocale, come la data della scoperta dell’America o quella della caduta dell’Impero Romano d’Occidente o la morte di Cesare. E’ una data simbolica in quanto sancisce la fine della Scuola alessandrina. E sancisce la fine di un’epoca e l’inizio di un’altra epoca. Nel corso della Storia ci sono delle date simboliche che utilizziamo per distinguere un prima da un dopo. La prima guerra mondiale è iniziata perché è stato ucciso l’arciduca austriaco?
    No, i motivi sono altri, ma quell’evento è rimasto scolpito nella storia e lo sarà sempre. Per quel che mi riguarda per Ipazia vale lo stesso ragionamento.
    .
    Per quel che riguarda l’astrolabio e l’idroscopio le fonti sono univoche e Sinesio lo scrive apertamente: ha agito seguendo le istruzioni di Ipazia. Lo dice anche la voce di Wikipedia che riguarda Ipazia.
    Per quel che riguarda l’astrolabio:
    “E Sinesio fornisce un esempio di tali perfezionamenti e dell’unione di interessi teorici e pratici dall’astrolabio da lui fatto costruire e «concepito sulla base di quanto mi insegnò la mia veneratissima maestra […] Ipparco lo aveva intuito e fu il primo a occuparsene, ma noi, se è lecito dirlo, lo abbiamo perfezionato» mentre «lo stesso grande Tolomeo e la divina serie dei suoi successori» si erano contentati di uno strumento che servisse semplicemente da orologio notturno.”
    Per quel che riguarda l’idroscopio:
    “Un altro strumento costruito su indicazioni di Ipazia fu un idroscopio…”
    https://it.wikipedia.org/wiki/Ipazia
    .
    In merito ad Archimede tu scrivi: “Com’è che nessuno scrive trattati su cosa sarebbe stato scoperto da Archimede se non fosse stato ammazzato da un soldato romano?”
    Su Archimede si è scritto tanto, ma veramente tanto, non perché fu ucciso da un soldato romano, ma perché imponente è stato il suo contributo alla scienza. Lasciando perdere le storielle degli specchi ustori e dell’eureka, non si può che inchinarsi di fronte al fatto che egli fu abile progettista di macchine e congegni che presentavano un innegabile vantaggio meccanico, inventore della coclea, grande studioso di catottrica e di idrostatica. Il suo trattato “Sui galleggianti” basterebbe da solo a consacrarlo tra i massimi scienziati di sempre.
    .
    Il fatto che ci manchino documenti scritti dell’epoca non deve farci sottovalutare la grande importanza della scienza antica. La loro assenza non significa che essi non esistessero e le citazioni che troviamo in tanti scritti posteriori lo dimostrano. Noi siamo debitori a Euclide, Archimede, Ctesibio, Eratostene, Erofilo e tanti altri di tesori inestimabili. Non troviamo i loro scritti perché ad un certo punto essi divennero incomprensibili ai più, in quanto era venuta meno la cultura che consentiva di comprenderli. Nessuno si prese, quindi, la briga di tramandarli ai posteri.
    .
    Noi tutti conosciamo la geometria euclidea ed il suo nucleo fondante: il metodo ipotetico-deduttivo (ipotesi, tesi, dimostrazione). Vogliamo pensare che esso sia nato, così, per caso? Era frutto di un brodo culturale che vedeva nella sperimentazione la verifica di concetti teorici. Gli scienziati, gli ingegneri, gli architetti ellenistici progettavano scientemente le loro opere e le realizzavano come noi progettiamo e realizziamo le opere moderne (scientifiche, ingegneristiche e via cantando). Il manufatto di Antikitera dimostra al di la’ di ogni ragionevole dubbio le capacità degli scienziati e tecnici alessandrini. Ed Ipazia deve essere iscritta a pieno titolo tra costoro perché ella possedeva ed insegnava l’essenza della scuola alessandrina, il metodo scientifico.
    .
    Si dice che non fosse una filosofa in quanto non ha creato nulla di nuovo, non è stata all’altezza di Socrate o di Aristotele. Vero. Verissimo, ma ciò non toglie che sia stata una Maestra di filosofia e di una filosofia diversa da quella classica: una filosofia che non era fondata solo sul sillogismo aristotelico, ma anche sulle esperienze empiriche, sulla geometria e sulla matematica. Come tutti i grandi intellettuali alessandrini che la precedettero. E l’essere riuscita a portare questo schema di pensiero fino al 415, è già un titolo di merito degno di essere ricordato per sempre.
    .
    Tu scrivi che siamo romanocentrici e che sbagliamo a considerare la caduta dell’Impero Romano d’Occidente come la fine dell’età classica. Sono d’accordo con te. Le tradizioni del mondo classico continuarono nell’Impero Bizantino. Non per niente Ipazia fu dimenticata nell’ex Impero d’Occidente, ma ricordata e celebrata in quello d’Oriente. E guarda caso Ipazia ritornò in auge anche in Occidente proprio con la rinascita della cultura classica, quando la fiaccola passò da Costantinopoli a Roma. Nell’affresco di Raffaello intitolato “La scuola di Atene” (1509-1511, circa mezzo secolo dopo la caduta dell’Impero d’Oriente) tra tutti i filosofi che egli rappresentò, vi era un’unica donna: Ipazia (che sembra avere le sembianze del pittore, tra l’altro).
    Ipazia vista, quindi, come una specie di filo rosso che lega la classicità nel corso della storia.
    A me sembra che solo questo fatto la renda un personaggio degno di rilievo e di nota.
    Ciao, Donato.

    • Fabrizio Giudici

      Donato, a parte il caso di Raffaello, puoi verificare che la figura di Ipazia è stata essenzialmente ripresa tra il ‘700 e l’800 per scopi politici e ideologici, con operazioni di livello infimo da una parte dall’altra (certo, in molti casi con opere che erano dichiaratamente romanzi, e un romanzo è notoriamente un’invenzione, ma quando un romanzo prende un protagonista realmente esistito e inventa di sana pianta, per me è una truffa). Dalla “martire della libertà di pensiero” utile ai giacobini francesi si arriva poi al taleban-femminismo odierno, come dice Franco.

      Il problema è, ripeto, che di Ipazia ci è rimasto pochissimo: è il classico caso in cui da pochi elementi certi si costruiscono massimi sistemi con scarso fondamento. Noi sappiamo che era una filosofa, ma non conosciamo (e non potremo mai conoscere, salvo la scoperta di documenti nuovi) il reale valore del suo pensiero. Non si può desumere da tre titoli. Sto tenendo l’aggettiamento scettico che teniamo qui con l’AGW: non sosteniamo tesi perentorie in opposizione al mainstream, del tipo “la temperatura non sale, non cambia niente”. Ci limitiamo a tener presente che si sanno troppe poche cose per dedurne grandi sistemi di previsione e vogliamo vedere prove certe che possano dare origine a teorie fondate.

      Ovviamente sono perfettamente conscio della grande importanza della scuola alessandrina. Ma perché proprio Ipazia dev’essere presa come suo testimonial, invece di altre figure di cui abbiamo migliore documentazione? Dici: ma era l’ultima. Veramente non mi pare che la scuola alessandrina sia stata spazzata via dopo la sua morte. Semmai dall’invasione islamica del VII secolo, che ha poi comportato la definitiva eradicazione di quella cultura dalla sponda meridionale del Mediterraneo. Ecco, se vogliamo una data simbolica, mi pare che svetti quella della distruzione finale della Biblioteca di Alessandria, nel 642 d.C. (e siamo a qualche secolo dopo).

      Sul densimetro. Qui puoi trovare il testo di Sinesio:

      http://www.livius.org/sources/content/synesius/synesius-letter-015/?

      Come vedi è lui che scrive una lettera ad Ipazia (“To the philosopher”), descrivendo come ha costruito l’idrometro. Come si può sostenere che è stata Ipazia ad insegnarlo a Sinesio? Se tu mi insegni come si gettano le fondamenta di un villino, ha senso che io ti scriva una lettera in cui ti ripeto quello che tu mi hai insegnato? Dice: magari Ipazia ha insegnato a Sinesio, Sinesio ha perfezionato e riscritto alla maestra. Potrebbe essere, ma non ci sono le prove, quindi è una mera ipotesi; ma molto debole, perché la lettera descrive i concetti base dello strumento, non perfezionamenti (“Whenever you place the tube in a liquid, it remains erect. You can then count the notches …”). Sinesio riporta anche la nomenclatura (“This is called the baryllium”). “This is called” (ovviamente qui il mio limite è che mi devo basare sulla traduzione inglese) è impersonale: non “I call this” o “You called this”; dunque non sono stati né Sinesio né Ipazia a definire quel termine. È evidente che Sinesio sta riportando cose imparate da terzi.

      Sull’astrolabio: la macchina di Antikitera ci è arrivata in ottimo stato di conservazione e si possono dedurre una serie di cose con grande confidenza:

      Si tratta di un sofisticato planetario, mosso da ruote dentate, che serviva per calcolare il sorgere del sole, le fasi lunari, i movimenti dei cinque pianeti allora conosciuti, gli equinozi, i mesi, i giorni della settimana e – secondo uno studio pubblicato su Nature[5] – le date dei giochi olimpici. (Wikipedia)

      Mi pare offensivo e presuntuoso, da parte di Sinesio, ridurla a poco più di un orologio notturno… non trovi? 🙂 Davvero dobbiamo affidare il testamento spirituale della scuola alessandrina a questo tipo di testimonianza?

    • donato b.

      Fabrizio, l’atteggiamento scettico è parte della scienza e della conoscenza in generale e le tue argomentazioni sono preziose in quanto costituiscono uno stimolo all’approfondimento e di questo ti ringrazio.
      .
      Io non dico che Ipazia deve essere assunta a modello della Scuola alessandrina in quanto molti altri meritano questo ruolo più di lei. Io sostengo che lei è stata l’ultima rappresentante della Scuola.
      Probabilmente l’equivoco tra noi sorge circa il significato che io do al sostantivo Scuola ed all’aggettivo alessandrina. Per me la Scuola alessandrina non è la scuola filosofica alessandrina, ma la scuola in cui la filosofia si integra con la scienza, la matematica e la geometria: la Scuola di Euclide, di Eratostene, ecc., ecc..
      Ad Alessandria dopo la morte di Ipazia ci sono stati altri filosofi che hanno continuato la Scuola, ma essi rappresentavano qualcosa di altro. A mio modesto parere essi “regredirono” in quanto la filosofia tornò ad essere avulsa dalla scienza ed a seguire un percorso astratto che esulava dalle conferme empiriche fornite dalla scienza. Fece eccezione Apollonio di Ermia che scrisse un commentario alle opere di Tolomeo. In proposito A. Cameron, 1990 dedica parecchio spazio all’opera di Ammonio ed in qualche punto della sua trattazione adombra il dubbio che parte di essa fosse copiata da quella di Teone ed Ipazia.
      La restante parte degli esponenti della scuola neoplatonica di Alessandria si limitarono a commentare Aristotele e Platone cercando, forse, di conciliare il pensiero antico con quello contemporaneo: filosofia platonica con teologia cristiana.
      .
      Con Ipazia finì, secondo me, un modo di concepire la cultura: scienza, matematica, geometria e filosofia si integravano in un unicum fondato sul metodo ipotetico deduttivo e la verifica sperimentale.
      .
      Circa l’idroscopio ho reperito una traduzione della lettera di Sinesio ad Ipazia di cui parli nel tuo commento: a pag. 57 del testo che ho citato nella risposta al commento di F. Zavatti. Devo riconoscere che il senso è quello che tu hai delineato nel tuo intervento, ma la descrizione che ne fa non credo che consentirebbe di costruire lo strumento se colui che riceve la missiva non abbia le conoscenze tecniche per comprendere la descrizione. Mi sembra più un dialogo tra progettisti che sanno di cosa si sta parlando che un ordine di servizio. 🙂
      Riconosco, comunque, la fondatezza delle tue obiezioni e l’incertezza che avvolge la vicenda.
      .
      In merito all’astrolabio ti prego di dare un’occhiata alla mia risposta al commento di F. Zavatti e, se ne hai possibilità, di dare uno sguardo a quanto sta scritto nella lettera di Sinesio che ho citato: sei occhi sono meglio di due. 🙂
      .
      La macchina di Antikitera non credo possa essere paragonata all’astrolabio di Sinesio o Ipazia: credo che servissero per usi diversi. La prima rappresentava la posizione dei cinque pianeti noti nel corso degli anni, le eclissi di luna e di sole (una specie di tavola delle effemeridi meccanica), il secondo uno strumento di misura e di calcolo analogico. Comunque il manufatto di Antikitera è uno strumento strabiliante che denota livelli di conoscenza meccanica ed astronomica altissimi risalenti a diversi secoli prima che Ipazia nascesse. Ciò non toglie che lei fu, forse, una delle ultime ad occuparsi di strumentazione astronomica complessa, visto che dopo un secolo dalla sua morte, in certe aree, astrolabio era sinonimo di stregoneria.
      .
      Circa l’affresco di Raffaello, devo obiettare che difficilmente il pittore avrebbe inserito nel quadro Ipazia se fosse stata una perfetta sconosciuta. Se è stata dipinta lì, significa che qualcosa doveva pur significare. Probabilmente non esistono opere monografiche riferite ad Ipazia prima del 1720, ma credo che i riferimenti non mancano (se ne occupò, per esempio, Fermat in Francia nel 1600).
      Ciao, Donato.

  9. Alessandro(Foiano)

    Lasciando stare ciò che è stato scritto sulla valenza storica di Ipazia, l’articolo fa riflettere sul fatto che l’umanità sarebbe frutto della follia di millenni di valori infondati e che la sua storia sarebbe fondata sul nulla, visto che la morte e l’eliminazione di una corporeità(Ipazia) sia la soluzione di una “bega locale”.
    Mi pare che di progressi anche oggi non se ne facciano e che le “guerre di potere” siano ancora vive e vegete.
    A questo punto mi chiedo quando potremo leggere la parola fine a questa “guerra”? quando nascerà una nuova umanità? Nascerà sulla decadenza dei vecchi valori ormai in atto da qualche decennio? Dobbiamo necessariamente soccombere prima di vederla, perchè siamo delle corporeità scomode?

    • Fabrizio Giudici

      Alessandro, capisco lo sfogo. Tuttavia, a posteriori di millenni, tutti quelli che hanno proposto “nuove umanità” hanno portato l’inferno in Terra. Per me, meglio lasciar perdere. Prendere atto che quello di cui giustamente ti lamenti è parte della natura umana, e gestirlo giorno per giorno.

    • donato b.

      Alessandro, poni domande estremamente profonde per le quali non ho risposte da darti. Se ti può consolare il mio stato d’animo non è molto diverso dal tuo: forse questo è il motivo per cui il personaggio di Ipazia mi appassiona. Ipazia è stata vista come una perdente ai suoi tempi. Oggi ne parliamo e discutiamo intorno a lei ed alla sua vicenda umana, civile e scientifica. Una rivincita postuma, non c’è che dire.
      Fino ad oggi sono riuscito, però, a vincere il pessimismo che mi attanaglia e spero di poterlo fare anche in futuro.
      Una mia amica ha di recente pubblicato un libro: “Il dovere della speranza”. Credo che per ognuno di noi la speranza sia un dovere.
      Ciao, Donato.

    • Alessandro(Foiano)

      Fabrizio, nessuno deve proporre. Mi chiedo soltanto se sia proprio necessario arrivare alla decadenza dei vecchi valori per far sì che la storia finalmente riesca ad insegnare qualcosa agli uomini. Se parliamo di clima, basta leggere la storia per poter rendersi conto che stiamo di gran lunga meglio adesso che in altri millenni. La natura umana non può essere gestita. La natura umana è un modo di vivere a cui si tende naturalmente. Cosa significa essere umani se non si conosce la “storia”?
      E quando scrivo la “storia” mi riferisco semplicemente a quella della propria famiglia. E qui siamo alle note dolenti: esiste ancora il valore della famiglia? o come scritto sopra stiamo vivendo la decadenza di certi valori? Cosa c’è da gestire se non esiste più nulla di tutto questo?

  10. Alessandro(Foiano)

    Leggendo l’articolo, ho pensato di essere una vittima di una guerra di potere ormai da qualche decennio. Una guerra di potere davvero terribile, visto che la maggioranza delle persone (viste le loro scelte) sembrano esserne inconsapevoli protagoniste.
    Quotidianamente mi sento Ipazia e credo che in pochi si sentano così. Parlare con la gente e accorgersi che queste possano credere di avere davanti un qualcuno di un altro pianeta è mortificante. Una sensazione quotidiana ormai.

  11. Fabrizio Giudici

    Il problema delle fonti parziali… è che sono parziali e bisognerebbe almeno leggere qualche contraddittorio. E che tendono a creare miti da pochi frammenti indiretti, volti a dare una consistenza epica a certi momenti che sarebbero individuati come passaggi epocali della storia (in questo caso dal mondo classico all’alto medioevo), che semplicemente… non esistono, sono una proiezione di certi posteri, specialmente se si ha qualche tesi da supportare (come nel caso degli autori citati).

    A me risulta che quello che c’è di concreto su Ipazia è poco o nulla: nessun documento diretto sulla filosofia della donna, solo qualche menzione indiretta (tre titoli menzionati, solo come titoli, da suoi allievi, e quindi affetti da bias); il dato storico, incontrovertibile, è che non ci sono stati eredi del suo pensiero. I suoi allievi sono (marginalmente) noti solo per la loro menzione di Ipazia. È il classico gatto che si morde la coda. Eppure altri grandi filosofi del passato furono uccisi, alcuni come conseguenza del fatto che erano caduti in disgrazia presso i potenti dell’epoca (p.es. Socrate) tuttavia gli eredi del pensiero li hanno lasciati, eccome. A dimostrare che la sostanza delle idee sopravvive alle disgrazie dei pensatori… se la sostanza c’è veramente.

    Per quanto riguarda le invenzioni, nei documenti di Sinesio, a proposito di idrometro e astrolabio (cfr. Wikipedia), non c’è proprio quello che è scritto nei libri citati, semmai il contrario:

    * dell’idrometro, possiamo dire che quello di Sinesio è il documento più antico rimastoci che descrive come costruirlo; però secondo lo stesso Sinesio Ipazia compare come destinataria delle informazioni tecniche, e quindi certo non è lei l’ideatrice;

    * dell’astrolabio, storia simile: Sinesio racconta che ne costruisce uno insieme alla donna, ma si sa che era stato inventato nel II sec. a.C., mezzo millennio prima, probabilmente da Ipparco.

    Ne deduco che la donna sia stata certamente una figura brillante, ma veramente secondaria e poco significativa; la cui fama è dovuta esclusivamente alla morte violenta a cui la poveretta fu sottoposta, per beghe locali, e non certo per scontro di civiltà. D’altronde in quei secoli momenti di ordine si alternavano al caos in continuazione e la lista di vittime più o meno illustri è molto lunga. Com’è che nessuno scrive trattati su cosa sarebbe stato scoperto da Archimede se non fosse stato ammazzato da un soldato romano?

    Tornando al discorso del mito sul passaggio di ere… noi ragioniamo sempre troppo in prospettiva romanocentrica. Quando cadde Roma, cadde solo l’impero d’Occidente. Bisanzio stava benissimo e rimase in salute per parecchi secoli, cadendo solo mille anni dopo. Era in tutto e per tutto pure lei portatrice dei valori classici (sorgendo oltretutto nella stessa area dove erano nati), che infatti mantenne e sviluppò. Pertanto è veramente assurdo ipotizzare chissà qualce sfacelo culturale perché una singola figura del tutto secondaria, come Ipazia, morì di morte violenta in Africa, come se fosse stata il mitico ultimo erede di quella cultura.

    D’altro canto, il vituperato alto-medioevo, nella porzione occidentale dell’Impero, fu proprio quello che permise ad un altro gran numero di opere classiche di sopravvivere al momentaccio nella nostra area geografica, e rifiorire poco più tardi. Quando Bisanzio arrivò al declino, Roma (inteso come Occidente) era già risorta, e quindi in definitiva non ci fu nessun “diluvio universale” della cultura classica: Roma e Costantinopoli operarono una specie di staffetta, preservarono e amalgamarono la cultura classica con quella giudaico-cristiana e la cultura classica, con qualche scossone, è ancora viva e lotta in mezzo a noi, per la sua quota parte.

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