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COP 24: sull’orlo del baratro.

In ossequio alla macchinosa procedura ONU, oggi a Katowice sono iniziati i colloqui bilaterali tra i ministri presenti alla COP 24. Gli incontri seguono gli interventi dei singoli ministri nel corso della plenaria di ieri 11 dicembre. Dietro le quinte ed a porte rigorosamente chiuse, le delegazioni trattano alacremente. Man mano che le delegazioni ed i corpi sussidiari completano le loro operazioni, vengono pubblicati i vari documenti e, ad onor del vero, il numero di parentesi quadre tende a diminuire di giorno in giorno. Queste benedette parentesi quadre che contraddistinguono le questioni ancora controverse, consentono di valutare lo stato d’avanzamento dei lavori: quando nella bozza del documento sono sparite tutte le parentesi quadre, essa è pronta per essere inserita nella dichiarazione finale. Il dottor Simon Evans di carbonbrief.org, sfruttando questa curiosa circostanza che è tipica delle kermesse diplomatiche a guida ONU, si è addirittura preso la briga di elaborare un foglio di calcolo con cui segue in tempo reale lo stato dei lavori e, come unità di misura, utilizza, appunto, il numero delle parentesi quadre. In fatto di clima la pensiamo in modo diverso, ma devo riconoscere che il dottor Evans è una fonte inesauribile di notizie e di dati che aiutano moltissimo a capire cosa sta succedendo veramente a Katowice.
Rispetto ad ottobre 2018 il lavoro fatto è stato immenso: da 2809 parentesi quadre siamo arrivati, ad oggi, a 666 parentesi quadre. Questo come totale generale. E’ ovvio che nelle singole tematiche il discorso cambia. Gli argomenti più spinosi della COP 24 sono ancora pieni di parentesi quadre: oltre duecento per la bozza riguardante i meccanismi di mercato, oltre centocinquanta per la bozza relativa alla trasparenza, quasi cento per la bozza riguardante la finanza del clima ed un’ottantina per quella relativa ai meccanismi di adattamento. E possiamo dirci pure fortunati: sabato notte gli argomenti controversi erano quasi mille, in aumento rispetto a sabato mattina di quasi trecento.

Il clima psicologico a Katowice non è, però, dei migliori. I siti ambientalisti più radicali guardano con crescente preoccupazione allo stato dei lavori e lamentano la pachidermica lentezza con cui i negoziati vanno avanti. Greenreport.it ha pubblicato un interessante resoconto circa lo stato dei lavori a Katowice, cui sono debitore del titolo di questo post. Provo a riassumerne brevemente il contenuto, in quanto mi sembra esaustivo per capire il clima in cui si stanno svolgendo i lavori.

Innanzitutto si conferma che ci si trova di fronte ad una situazione di stallo, in quanto le questioni irrisolte risultano tantissime. Grazie al lavoro del dr. S. Evans siamo addirittura in grado di quantificare questo tantissimo: oltre 600 sono i punti controversi. Si sottolineano, inoltre, le problematiche geopolitiche che si stanno incrociando con quelle climatiche. Tralasciando gli aspetti legati al disinteresse per la COP 24 di Capi di Stato e di governo come Macron, May, e Merkel che hanno altre gatte da pelare e di cui ho già scritto nell’ultimo post, spiccano le assenze di rappresentanti ad alto livello di Cina ed India che nelle precedenti edizioni delle Conferenze delle Parti avevano giocato un ruolo importante. Per quel che riguarda la Cina, sembrerebbe che a Pechino non sia andato giù il fatto che alla COP 24 siano stati ammessi, quale Parte, i rappresentanti dei popoli indigeni. Nell’immenso territorio cinese non ci sono indigeni, ma ci sono molte minoranze che potrebbero issare il cartello del clima “che cambia e cambia male”, per vedersi riconosciuti in un consesso mondiale come quello dell’UNFCCC. Già sta succedendo per Taiwan che, pur non essendo riconosciuta dall’ONU, è presente in forze a Katowice e, grazie ad un notevole impegno finanziario, ha acquisito una visibilità che oscura quella cinese. Detto in altri termini, quasi tutti i principali attori dell’Accordo di Parigi sono fuori gioco e, quindi, come già accennato nel post precedente, il compito di condurre il gioco passa nelle mani della presidenza polacca che non ha alcun interesse a forzare la mano a nessuno. Forse proprio per questo motivo è in arrivo a Katowice il segretario generale dell’ONU. Probabilmente sarà proprio lui a guidare le fasi finali delle trattative.

Molto interessanti appaiono, inoltre, le considerazioni circa l’atteggiamento di Nuova Zelanda ed Australia. La Nuova Zelanda si professa uno dei principali sostenitori dell’Accordo di Parigi, ma nei fatti cerca di centrare gli impegni volontari assunti a Parigi, mediante un trucco: cancellare i crediti di carbonio accumulati con il Protocollo di Kyoto. Un volgare trucco contabile in quanto continuerà ad emettere come ora, ma “esigendo” il credito vantato, è come se emettesse secondo gli impegni volontari di Parigi. Un atteggiamento simile ha assunto anche l’Australia che, in sovrappiù, ha tagliato la sua quota del fondo a favore dei Paesi in via di sviluppo (i famigerati 100 miliardi di dollari annui). Poco male: a ripianare il danno provvederà la Germania che aumenterà di 1,5 miliardi di dollari il suo contributo. Forse per farsi perdonare il ritardo nel raggiungimento dei suoi impegni volontari?

In tutto questo marasma di situazioni non meraviglia più di tanto apprendere che le delegazioni contrarie ad imporre limiti stringenti e vincolanti alle emissioni (USA, Arabia Saudita, Russia e Kuwait), lavorino sott’acqua per far naufragare tutto e chiudere la COP 24 senza un nulla di fatto o, al limite, un appiattimento sugli impegni volontari assunti a Parigi.

Personalmente non credo che i delegati andranno via da Katowice senza un accordo che salvi loro la faccia, dopo tutto ciò che si è scritto e detto. Le ONG sono sul piede di guerra, indispettite dallo spettacolo, a loro dire indecoroso, di Katowice e già qualcuna di esse si prefigura un mondo in cui una rivolta di cittadini che hanno a cuore le sorti del pianeta, spazzerà il campo dai pavidi politici incapaci di decidere le giuste misure per salvare il mondo. Una speranza utopica, oserei dire, visto che chi ha cercato di forzare la mano verso una transizione energetica accelerata (vedi Macron in Francia, il governo laburista in Australia e, in senso lato, ma non troppo, i democratici negli Stati Uniti) hanno dovuto fare i conti con il malcontento popolare e dove non sono stati spazzati via, rischiano di esserlo a breve.

Chiudo con una profezia. La COP 24 non chiuderà dopodomani come da previsioni: ci sarà un seguito di durata imprecisata, durante il quale i delegati dovranno necessariamente raggiungere un compromesso e rinviare, ciò su cui non si è riusciti a raggiungere un accordo, alla prossima COP che si terrà in un luogo ancora da definire. Il Brasile che era già stato individuato come Paese ospitante, sembra, infatti, che si sia tirato indietro e che la Germania abbia gentilmente declinato l’invito a sostituirlo. Ora si parla di Cile: staremo a vedere.

Sembra, però, che la COP 26 si svolgerà in Italia, stando a quanto, le agenzie di stampa, attribuiscono al ministro Di Maio.

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Published inAmbienteAttualitàCOP24 - Katowice

10 Comments

  1. donato b.

    @ A. de Orleans-B.
    .
    La sua lettura della COP 24 in particolare e delle COP in generale, è estremamente interessante. Tali eventi potrebbero configurarsi come una specie di vaccino che stiamo somministrando all’umanità: allertiamo le difese in modo tale che, di fronte ad un eventuale attacco, possano reagire prontamente.
    Confesso che una simile chiave di lettura. è, per me, una novità su cui riflettere.
    Per ora propendo, però, per una interpretazione molto più pragmatica dell’evento e, quindi, attribuisco tutto questo sfiancante lavorio diplomatico ad una difesa strenua degli interessi dei singoli Stati..
    .
    Giusto per fare un esempio, oggi la COP 24 doveva chiudere i battenti ed a quest’ora bisognerebbe leggere e commentare la dichiarazione finale ed i relativi annessi. Invece i lavori continuano e le polemiche sono ancora molto violente, forse più che durante i giorni scorsi.
    Alla COP 24 si sta facendo strada un’idea che ha mandato su tutte le furie i rappresentanti dei Paesi in via di sviluppo: l’UE si è fatta capofila di una cordata di Paesi che vorrebbe cancellare dall’Accordo di Parigi il concetto di responsabilità differenziata. In altri termini si vorrebbe che tutti, ad eccezione dei Paesi più poveri, si accollassero l’onere della riduzione delle emissioni. La Cina che ha forti interessi economici con l’UE, sembrerebbe disposta a scendere a compromessi, ma India, Brasile e Sud Africa hanno risposto picche. Nel frattempo ci si industria a far passare trucchi contabili per eludere l’obbligo di contabilità delle emissioni.
    Non vedo in tutto questo affaccendarsi un interesse effettivo per la cosa comune, ma solo difesa del particolare ed egoismo.
    Ciao, Donato.

  2. A. de Orleans-B.

    Capisco il giudizio così severo e sconfortante su questa COP24: proprio “la” conferenza che dovrebbe salvare l’umanità dall’apocalisse climatica starebbe naufragando nella più triste inefficacia, quella di una turba vociante che non riesce a mettersi d’accordo.

    Ma proviamo anche a guardare il tutto da una prospettiva completamente diversa: diciamocelo, le stesse ragioni che ci portano a esprimere cautela e perplessità davanti alle misure coercitive invocate per tutelarci da disastri futuri modellizzati ma poco verificabili, proprio quelle stesse ragioni ci impongono cautela di fronte ad alcune nostre “certezze sulle attuali incertezze”.

    Nello scenario climatico, dal “negazionista irriducibile” all'”AGWista talebanico”, esiste almeno un vero consenso al 100%: i valori della crescita monotonica dei ppm di CO2, un fenomeno velocissimo rispetto alla normale volatilità dei parametri naturali.

    Diciamocelo: non possiamo escludere a priori dello “zucchero nella coca-cola”, immagine intesa come una combinazione di parametri la cui interazione non-lineare possa portarci ad un’altra variazione altrettanto inattesa di parametri naturali importanti per il nostro benessere come specie umana – come esempio, sicuramente migliorabile, mi viene in mente l’evoluzione della copertura nuvolosa media e del suo albedo, che oggi riesce difficile prevedere affidabilmente a lungo periodo ma che potrebbe avere un impatto significativo e veloce se mai uscisse sostanzialmente dal suo rango normale.

    E vengo così alle COP: la mia sensazione è che la classe politica ai vertici planetari – collettivamente tutt’altro che stupida, altrimenti non starebbe lì – ha esattamente questa sensazione, quella di una incertezza diffusa che non gli permette di apparire indifferente al problema ma che nemmeno li convince tanto da agire con decisione, riorientando risorse altrimenti necessarie per la propria politica – al massimo qualche conato fiscale sulla CO2, ma niente di veramente sostanziale.

    Le COP, almeno mi sembra, stanno creando il network necessario per poter rispondere a sorprese future – sono eventi oggi forse pintoreschi, vocianti, inefficaci – ma il network di persone serie, esposte alla problematica e capaci di convincere in tempi brevi i loro referenti politici in caso di sviluppi che richiedano interventi decisi e tempestivi, questo credo che silenziosamente lo stiano creando a livello mondiale.

    Lo abbiamo visto recentemente in altri campi, nel caso di crisi sanitarie potenzialmente mondiali: l’ultima epidemia di ebola ha visto una risposta globale rapida e apprezzabile.

    Non ho idea, e forse non ce l’ha veramente nessuno, su cosa succederà con l’andamento dei ppm di CO2 nelle prossime due generazioni e con le sue conseguenze climatiche ed economiche, ma, visto in un contesto più ampio, le COP mi sembrano più un bene che un male, preparando una rete decisionale tempestiva che un giorno potrebbe tornarci utile.

    In tal senso sono molto grato al Prof. Barone per le sue cronache giornaliere, che permettono di seguire e capire meglio questi eventi!

    • Caro Alvaro, pur non condividendo molto le tue “speranze”, sul tema climatico le tue sono parole di buon senso. Ma attenzione, perché alla COP non le venderesti a un soldo, sarebbero ritenute troppo morbide e quindi a rischio di distrarre la comitiva dalla sua missione salvifica.
      E’ questo che si contesta delle COP e di tutta bagarre che c’è intorno alla scienza del clima, ovvero appunto, offuscare la scienza con le opinioni e l’ideologia. Questo, a noi tecnici, non può andar giù.
      gg

  3. donato b.

    @ F. Zavatti
    .
    Caro Franco il tuo breve commento tocca diversi argomenti piuttosto interessanti.
    Tu parli di confusione ed incomprensione ed io ti posso dire che hai visto giusto. Oggi leggevo un brevissimo commento circa lo stato dei lavori di un’attivista polacca. Secondo l’autrice la situazione di stallo in atto alla Conferenza delle Parti deriva anche dal fatto che su queste problematiche si sta discutendo da troppo tempo. Nel corso del tempo i Paesi, le delegazioni ed i singoli delegati, si sono “affezionati” (tale è la traduzione automatica dal polacco del traduttore di Google, quindi potrebbe essere sbagliata, ma mi è piaciuta moltissimo perché rende perfettamente l’idea di quello di cui stiamo parlando) al loro tema preferito al punto tale che non sono disposti a transigere: o così o niente. dalle porte sbarrate delle sale dove sono in corso le trattative, non trapela nulla, ma possiamo essere certi che i delegati sono impegnati a limare il testo dei documenti a livello di parole, punti e virgole per far si che esso rifletta il più possibile il proprio pensiero. Caro Franco più che di confusione ed incomprensione io parlerei di babele. 🙂
    .
    Altro aspetto interessante del tuo ragionamento riguarda il punto di non ritorno o, come dicono quelli bravi, la dead line da non superare per poter salvare il mondo. Si assiste ad una strana gara: gli ambientalisti, forti dei risultati della ricerca commissionata dai governi, tendono ad anticiparla, i governi a posticiparla perché non si fidano delle ricerche da loro stessi commissionate. E’ in questa gara infinita, in questo rincorrersi senza sosta che si consuma il dramma o la farsa (dipende dai punti di vista, ovviamente) della COP in corso e di quelle che l’hanno preceduta o la seguiranno.
    .
    Circa il tuo augurio riguardo alla mia profezia, ti ringrazio, ma credo che la COP 24 si protrarrà almeno fino a sabato, forse anche domenica anche se spero di no. Giusto per farti avere un’idea, secondo il programma dei lavori, oggi alle 16,00 (Tempo dell’Europa Centrale), dovevano essere pubblicati i documenti aggiornati elaborati dai vari corpi sussidiari. Non ne esiste traccia per cui, ufficialmente, siamo rimasti alle 630 questioni da dirimere. Che Dio ce la mandi buona. 🙂
    Ciao, Donato.

  4. Caro Donato, in questi giorni ci si lamenta (e molto) dell’offensiva mediatica sul clima -sempre quello che cambia male- messa in piedi utilizzando esperti e notizie raccattati qua e là e copia-incolla spesso senza criterio. E mi sembra che questo andazzo sia anche una conseguenza della confusione (e anche incomprensione?) che regna in quei circoli -ognuno con la sa idea, diversa dalle altre- di cui le COP sono il salotto buono. Peccato che tu abbia illustrato benissimo la bontà del salotto …
    Sappiamo tutti che il battage mediatico finirà insieme alla COP24 per riprendere vita tra un anno (ci diranno che avremo 19 anni di vita prima della fine del mondo oppure gli anni saranno diventati 15 o giù di lì?) con lo scopo preciso di rinnovare un interesse che in realtà non c’è.
    Speriamo che la tua profezia fallisca, così non sarai “costretto” a descrivere situazioni sempre più patetiche. Ciao. Franco

  5. donato b.

    @ M. Lupicino.
    .
    Caro Massimo, tu scrivi “… un quadro semplicemente desolante” ed io concordo con te anche per quel che riguarda gli attributi che associ a desolante.
    La desolazione è, però, totale, nel senso che riguarda tutti i partecipanti alla COP.
    In fondo in fondo, ognuno pensa ai propri interessi. Mi spiego meglio. Il gruppo di coloro che non hanno voluto dare il “welcomed” al SR 15 pensa ai propri interessi allo stesso modo dei Paesi meno sviluppati, con la differenza che i primi cercano di mantenere lo status quo che li vede favoriti e gli altri cercano di modificarlo per godere dei trasferimenti dal Nord al Sud del mondo. Del clima che cambia non interessa un fico secco a nessuno. Forse neanche alle ONG. Se si dovesse, infatti, raggiungere un accordo come quello che loro sostengono, che farebbero da ora in poi?
    Ciao, Donato.

    • Massimo Lupicino

      Caro Donato, se dovessero raggiungere un accordo come dici, loro alzerebbero semplicemente l’asticella, massaggerebbero qualche dato in piu’, e anticiperebbero la data della fine del mondo “salvo che”. In fondo e’ quello che fanno da 24 anni…

  6. Massimo Lupicino

    Caro Donato, un quadro semplicemente desolante. La sensazione e’ quella di uno sfaldamento, morale innanzitutto, cui si cerca di rimediare attaccando i cocci con lo sputo, ovvero con l’ideologia. Ovvero con quanto di piu’ a-scientifico ci sia.

    Lo scollamento tra questa specie di ircocervo che si nutre di costruzioni utopistiche, e la realta’, e’ tutto nella pretesa che esista un esercito pronto a scendere in piazza per chiedere di essere piu’ povero, di perdere il lavoro, di pagare di piu’, di farsi mettere le mani nelle tasche.

    E’ un panorama desolante e grottesco quello che si intuisce, nonostante il tono obbiettivo e professionale che contraddistingue come sempre i tuoi interventi…

  7. robertok06

    “Il clima psicologico a Katowice non è, però, dei migliori.”

    Non c’e’ problema, Donato!… una volta finito a Katowice i delegati potranno andare a rilassarsi su una delle tante isolette del pacifico che stanno sparendo sotto i flutti, a causa dell’innalzamento del livello dei mari generato dalla CO2 assassina.
    L’abbronzatura per il Natale sulle piste da sci e’ assicurata.

    Nel frattempo… qualcosa da leggere per loro sulle spiagge di Tuvalu:

    https://www.nature.com/articles/s41467-018-02954-1

    … e tempo per riflettere sul come metter d’accordo i MODELLINI farlocchi con questi DATI:

    “Results highlight a net increase in land area in Tuvalu of 73.5 ha (2.9%), despite sea-level rise, and land area increase in eight of nine atolls.”

    I modellini farlocchi, invece, prevedono questo:

    ” Migration in small islands (internally and internationally) occurs for multiple reasons and purposes, mostly for better livelihood opportunities (high confidence) and increasingly owing to sea level rise (medium confidence).”

    … copiato-incollato dal Cap.3 dell’ultimo numero della Bibbia per Climatocatastrofisti:
    https://www.ipcc.ch/site/assets/uploads/sites/2/2018/11/SR15_Chapter3_Low_Res.pdf

    • donato b.

      Roberto, io concordo con i risultati dello studio che tu hai segnalato.
      Secondo il mio modesto parere gli Stati insulari non stanno scomparendo per colpa del livello del mare che sale, ma per le stesse cause che li hanno formati. E’ il complesso gioco delle correnti che sposta la sabbia da un punto all’altro ed accresce o erode le isole. Una volta, con le capanne di tronchi e foglie, ci si poteva spostare facilmente da un punto all’altro. Oggi con le infrastrutture moderne, ciò non è più possibile e, quindi, non si riesce più a star dietro alla natura.
      .
      Oddio se il livello del mare dovesse salire di circa un metro come sostiene IPCC, per questi Stati non ci sarà scampo, in quanto l’altezza media delle isole sul livello del mare va da pochi centimetri a qualche metro.
      Il problema è tutto qui: il modello IPCC è corretto? Personalmente ho qualche perplessità, ma non possiamo escluderlo a priori. E’ possibile intervenire per limitare l’innalzamento del livello del mare? Se esso è’ causato dalle emissioni umane, si, in caso contrario no. Sono le emissioni umane responsabili dell’aumento del livello del mare? In parte, ma non esclusivamente, secondo me. E quanto vale questa parte? Non lo so, ma non lo sa nessuno, neanche quelli dell’IPCC.
      E con questo torniamo al punto di partenza: il modello IPCC è corretto? 🙂
      .
      E’ su questo che, purtroppo ci si arrovella da anni. Gli attivisti climatici sostengono che non ci sono dubbi sulle responsabilità umane. Io non sono così categorico, in quanto esiste l’incertezza delle conclusioni scientifiche, ma loro da quest’orecchio non ci sentono. E si è visto alla COP 24.
      Ciao, Donato.

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