La ventiquattresima Conferenza delle Parti dell’UNFCCC si è conclusa da due settimane. Tutti i siti web d essa ricollegabili sono ancora attivi, benché non più aggiornati. Tra questi, anche quello dedicato al Padiglione Indonesia, nazione evidentemente presente alla COP con tanti buoni propositi e altrettante buone speranze di veder finalmente aprirsi il cordone della borsa che dovrebbe attivare il travaso di risorse dai Paesi sviluppati – supposti inquinatori – a quelli in via di sviluppo – supposti inquinati e inquinanti.
Per facilitare il travaso di cui sopra, notoriamente, è stato messo a punto un apposito fondo rimasto per lo più in attesa di fondi, anche dopo la COP di Katovice. Ad esso è collegato l’Indonesia Climate Change Trust Fund, strumento creato per facilitare l’impiego delle risorse che il paese destina alla lotta al clima che cambia. Un Paese decimo nella classifica delle emissioni, con una popolazione di 270 mln di persone circa sparsa su oltre 17.000 isole, una crescita al 4% (che ha rallentato parecchio negli ultimi anni) e un PIL di circa 800 mld di dollari USA. Ma anche un Paese che si ripropone di abbattere le sue emissioni rispetto allo scenario Business As Usual del 26% con le sue sole forze e addirittura del 41% con i contributi internazionali, appunto quelli dei fondi di cui sopra.
Di quanti soldi si parli precisamente non è dato saperlo, ma non sono pochi, visto che a regime si tratterebbe di alcuni punti percentuali dei 100 mld di dollari/anno che il Green Climate Fund dovrebbe mettere a disposizione.
L’Indonesia è anche – direi soprattutto – terra di vulcani e di terremoti. E’ a pieno diritto nell’anello di fuoco e ha nel suo territorio circa il 13% dei vulcani attivi sul Pianeta. Tra questi il Krakatoa, già protagonista di eventi distruttivi e documentati anche nelle serie climatiche, che nel 1883 esplose in una delle più potenti eruzioni della storia recente del Pianeta provocando un’onda di tsunami a cui si attribuiscono gran parte delle 36.000 vittime allora registrate.
Si immagina quindi che tra un preparativo e l’altro per il clima che cambia, da quelle parti facciano qualcosa anche per prepararsi alle eruzioni, ai terremoti e, quindi, anche agli tsunami. Purtroppo pare di no, perché il 24 dicembre scorso, un altro vulcano “figlio” del Krakatoa (Anak Krakatoa), ha eruttato provocando una frana sottomarina da cui è scaturito uno tsunami che ha ucciso oltre 400 persone, ne ha ferite oltre 1500 e ne ha lasciate senza casa 16000.
Pare anche che il il sistema di allerta tsunami funzionasse (poco) solo in conseguenza di eventuali terremoti, non di frane, perché la parte basata su di una rete onda-metrica, messa in opera grazie a cospicui contributi esteri (soprattutto USA), è finita in disuso perché troppo costosa da manutenere.
Non è possibile sapere se un sistema efficiente avrebbe risparmiato delle vittime, non è il caso di specularci su, ma questo è un classico esempio della realtà (tragica) che batte l’immaginazione (magica). Quand’è che si smetterà di giocare al lego col clima e si comincerà ad affrontare i problemi reali? Qualcuno ricorda di adunate oceaniche e corali sforzi diplomatici per mettere in sicurezza le popolazioni che vivono in aree a rischio come quella dell’anello di fuoco?
Non potendo rispondere a queste domande suggerisco un composto silenzio, magari provando anche a riflettere sul fatto che anche l’Italia giace su alcune delle aree vulcaniche più attive del Pianeta – e la cronaca di questi giorni purtroppo lo testimonia.
Enjoy.
Una riflessione sull’eruzione dell’Anak Krakatoa e sulle intenzioni indonesiane di ridurrebbe del 41% le emissioni di gas serra prodotte da quel popoloso arcipelago.
Se le suddette emissioni antropiche fossero pari a X nel corso di un anno, sarebbe corretto sostenere che quelle a carico dell’ Anak Krakatoa, in un solo mese, ammonterebbero a X + 1 ( o 2, o 3…) ?
@AleD
Certo che lo è, anzi è una scelta ben ponderata.
Se io mi pongo un obiettivo realizzabile con le risorse che ho a disposizione e lo metto come punto del mio programma poi devo dare conto dell’averlo raggiunto o meno, e del perchè.
Se invece sparo alto, parlo di massimi sistemi, di bersagli che è utopistico raggiungere sarà facile scaricare la responsabilità sull’esterno.
Un po’ come certi imbonitori in economia. Semplifichiamo (molto): se in un mercato maturo e stabile sto fatturando 100 con utile di 10 e, dati alla mano, mi impegno a raggiungere volumi d’affari di 110 con un utile di 15 e non ci riesco, ecco che devo giustificare credibilmente perchè non ce l’ho fatta a raggiungere quanto previsto.
Ma se sparo un giro d’affari di 300 con un utile di 100, è evidente che posso addurre qualunque scusa.
Mai dire: nei prossimi due/tre anni sistemaeremo i ponti critici della rete stradale. Guai! Sei matto? Si deve dire: imposteremo un rigoroso esame dell’intera situazione viaria del paese, così da porre in essere un programma di rivisitazione bla bla bla bla bla. Insomma, un babbilamme di parole vuote cui seguirà ZERO o scarsi fatti. Ma le prebende e ciò che ci gira intorno, o quelle sì che saranno corpose e “vere”.
Ma a proposito di reale: come sta il vortice polare e lo SSW?
@guido
Per risolvere il problema indonesiano basterà trovare una testimonial 15-enne che fa un bel discorso alla prossima CoP…. let donazioni fioccheranno subito…
“Quand’è che si smetterà di giocare al lego col clima e si comincerà ad affrontare i problemi reali? ”
Sa, Guido, il problema quale è? Che il sistema di boe allerta sisma/tsunami bisogna manutenerlo e gestirlo: se non lo si fa è ben evidente che la responsabilità è di chi non l’ha fatto, soprattutto se i denari necessari sono stati erogati a sufficienza e in tempo utile.
Con la bufala del climate change – AGW o no non importa mica, è solo dialettica, una volta asciugata l’argomentazione uomo=responsabile se ne inventerà un’altra – invece, i fondi vanno a pioggia, a casaccio, tipicamente agli amici giusti (ed a sè stessi per via diretta o traversa), e i risultati sono del tutto non misurabili / verificabili.
Fa niente se i poveracci crepano negli tsunami o per le colate di fango dei lahars, gli allocatori delle risorse sono nei loro castelli al sicuro e del popolino gli frega zero.
Più in generale, è sempre così: mai preoccuparsi dei problemi spiccioli ma affrontabili e risolvibili, perchè poi bisogna sgobbare e farlo davvero. Meglio sparare alto, aulico, sui massimi sistemi, si prendono gli applausi della claque compiacente e non si fa un tubo.
E se fosse una strategia diciamo politica? Non è in politica che si dice: puntare a 100 per ottenere 50? Come si fa al mercato più o meno.