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Tutte Storie

Claas Relotius, reporter dello Spiegel, era il ragazzo prodigio del giornalismo europeo: “Migliore Reporter Tedesco” nel 2013 e 2016, “Giornalista dell’Anno” per la CNN nel 2014, nel 2017 vince il Premio Europeo “Distinguished Writing Award” per “La storia di Ahmed ed Alin”, due bambini siriani in fuga da Aleppo a causa del perfido Assad. Una storia rivelatasi piena di falsità, persino nella sua declinazione successiva, fatta di ulteriori articoli in cui il giornalista-prodigio, indossate le vesti del filantropo, descrive i suoi tentativi (mai esistiti) di aiutare i bambini in questione.

Il fatto è che il Relotius di bufale ne ha fabbricate tante. Almeno 14 gli articoli già accertati come falsi. E non si parla di inesattezze o di orpelli giornalistici, ma di invenzioni di sana pianta. Come la storia/intervista del prigioniero detenuto “ingiustamente” a Guantanamo: una storia totalmente inventata, a fronte di una intervista mai nemmeno fatta.

Alla scoperta dell’America

In questo quadro già di per sè poco edificante, si inserisce un altro clamoroso falso di Relotius, dai contorni addirittura grotteschi. All’indomani dell’elezione di Trump, la redazione dello Spiegel lo manda in Minnesota, a Ferguson Falls, nel cuore dell’America rurale che ha votato in massa per il controverso presidente americano. Per indagare come possa essere accaduto un fatto così assurdo per le menti illuminate della liberalissima Amburgo, città natale dello Spiegel.

Il problema è che Relotius in Minnesota non trova nulla: non c’è una storia da raccontare, perché a Ferguson Falls la gente è normale, fa una vita tranquilla, persino noiosa. Lo scrive via mail ai suoi amici e persino colleghi, Relotius: scrive che si annoia, perché non c’è nulla di cui parlare. Eppure la notizia da raccontare ci sarebbe: ovvero che gli elettori di Trump sono persone assolutamente normali. Invece no, Relotius inventa una ennesima storia di sana pianta, a partire da un cartello scritto a mano: “Messicani state fuori”, esposto su un bastone di legno piantato nel terreno dagli abitanti del posto. Un cartello mai esistito.

È solo l’inizio: gli abitanti di Ferguson si trasformano magicamente in una sfilata di buzzurri, ignoranti e razzisti: figure grottesche, con tanto di biografie totalmente inventate. Non si fa scrupolo, lo scrittore tedesco, di inserire anche dei giovani studenti tra i pupazzi del suo teatrino: alla richiesta di disegnare il personaggio che incarna il sogno americano, gli studenti-immaginari di Relotius non avrebbero disegnato “nemmeno una donna”, bensì  “Tanti Trump”, al cospetto di “un solo Obama”. Persino i riferimenti geografici sono totalmente inventati, a partire dalla “foresta oscura” che a Relotius appare popolata di dragoni immaginari. Peccato che Ferguson sorga su una prateria, e di alberi proprio non ce ne siano.

L’articolo si è persino trasformato in un caso diplomatico, con l’ambasciatore americano in Germania Grenell a chiedere conto, sdegnato, dei contenuti diffamanti del pezzo. Insinuando che la causa di quell’articolo fosse da ricercare nel “bias” di fondo della rivista tedesca, piuttosto che nella disonestà intellettuale dello scrittore.

Questione di bias

Il punto, in effetti, è proprio questo: se è vero che lo Spiegel rappresenta uno dei più diffusi settimanali europei, è altrettanto vero che si tratta di una rivista orgogliosamente “liberal” e globalista, con una linea editoriale pressoché granitica.

A dispetto della reazione molto dura del settimanale nei confronti di Relotius, infatti, la questione essenziale resta un’altra: cosa vuol dire fare il giornalista presso un settimanale caratterizzato da un bias politico così forte? E quanto è condizionante, questo bias, per le legittime aspirazioni professionali di un giovane reporter? Per farla semplice, se Relotius avesse descritto gli abitanti di Ferguson Falls per quello che erano veramente, siamo sicuri che il suo articolo sarebbe stato pubblicato dallo stesso settimanale che ama rappresentare il presidente americano in copertina in termini grotteschi e mostruosi? E siamo sicuri che Relotius avrebbe raccolto gli stessi premi e onoreficenze, se avesse raccontato storie di tenore diverso? Sull’America come sulla Siria, o sul Global Warming?

Questione di schemi (mentali)

La vice-direttrice dello Spiegel con sconcertante candore ha ammesso, in riferimento agli articoli di Relotius, che “si (era) evidentemente creata un’illusione, e non avevamo gli schemi per riconoscerla”. Il punto è proprio questo: che lo Spiegel e i suoi tanti fratellini dell’informazione mainstream, quegli schemi sembrano proprio non averceli. I Relotius prosperano, acquisiscono fama e rastrellano onoreficenze in un habitat in cui si raccontano solo storie in linea col pensiero unico liberal-globalista. Che si tratti di una guerra, di una elezione, o del “Climate Change” poco importa: il lettore non viene informato ma educato, e cullato nelle certezze ideologiche sedimentate in anni di articoli monocordi: nuovi solo in apparenza, e in realtà sempre uguali, anzi, ossessivi. Come le copertine del settimanale tedesco.

E il Global Warming?

Copertina dell’Agosto 1986

…Ovviamente non poteva mancare, nell’armamentario della narrativa di un settimanale mainstream altamente ideologizzato. Ovviamente con i soliti toni allarmistici e catastrofistici. Un precursore, lo Spiegel, visto che già nel 1986 pubblicava in copertina immagini di chiese sommerse dall’innalzamento dei mari. Eppure la nuova sede del settimanale è stata costruita solo pochi metri sopra il livello del mare, sulla foce dell’Elba. All’asciutto.

E pare proprio uno scherzo del destino, il fatto che l’ultimo pezzo dello Spiegel a portare la firma di Relotius (come co-autore) è proprio sul Global Warming: Affrontare l’inevitabile. Iniziano i preparativi per il Diluvio (Universale) da Climate Change”. Un articolo dai toni esasperati fino al ridicolo, con frasi da polpettone hollywoodiano del tipo: “Il diluvio è già cominciato. E non finirà in 150 giorni come quello della Bibbia. Questo diluvio è qua per rimanere”. A cappello dell’articolo in questione, campeggia il disclaimer con cui lo Spiegel avverte che gli articoli di Relotius “probabilmente contengono fabbricazioni e manipolazioni“. È un disclaimer che andrebbe bene per qualsiasi articolo della stampa mainstream sul Global Warming, mi viene da pensare.

Quel che è certo, è che un diluvio è davvero cominciato, e non da ieri: quello sulla credibilità di certa “grande stampa” che pretende di essere unica depositaria della verità. Il problema è che gli illustri alluvionati non sembrano essersene nemmeno accorti. Forse perché la testa l’avevano già messa sotto la sabbia da molto tempo. Da ben prima che cominciasse a piovere.

 

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Published inAttualità

8 Comments

  1. Kolza

    Die Anstalt e il giornalismo di qualità… risate amare (sub ita)

  2. Alessandro2

    …e siccome i giornal(ist)oni vanno sempre in coppia come i carabinieri, poteva forse mancare il Corriere?
    https://bit.ly/2skZTDD

  3. gian marco

    furse i giornalisti sono un po’ alineati.
    Gran bel pezzo!

  4. NonTeLoDico

    W il revisionismo storico!

  5. Fabrizio Giudici

    Precisazione: non è che poi non ci siano questi premi alternativi. La questione è più sottile. Prendiamo per esempio Stéphane Courtois, autore del “Libro nero dl comunismo”, che ha lavorato molto sui totalitarismi e sulle loro radici. Due premi li ha vinti: il “Grand Prix de la biographie politique 2018″ e il Prix Le Figaro Histoire 2018”, per il libro “Lenin inventore del totalitarismo”.

    Courtois, poi, è tra gli intervistati in un docufilm recente, “The hidden rebellion” (“La rebellion cachee”), di Daniel Rabourdin, che ricorda il genocidio della Vandea e documenta lo stretto legame tra la Rivoluzione Francese e tutti i totalitarismi che sarebbero seguiti nei secoli successivi. Il film ha ricevuto anche recensioni positive (per esempio David Horowitz del Freedom Center).

    Ma ovviamente tutte queste recensioni sono “di destra”, dunque “fasciste” e non le vedrai mai sulla stampa mainstream. I progressisti si sono presi, con i loro soldi, tutti i canali d’informazione principali, dunque la narrazione è loro. Ecco perché la gente poi non legge più i giornali: perché si è stufata di queste balle a ripetizione.

    Il film di Rabourding, poi, sarebbe fatto anche per essere proiettato nelle sale: ma molte sale si _rifiutano_ di proiettarlo (probabilmente perché devono sottostare ai ricatti delle grandi società di distribuzione, che sono gestite dagli stessi padroni; per non parlare ovviamente delle sale che sono direttamente gestite da quelle società). Persino su Wikipedia non c’è quasi niente, una striminzita pagina in francese e basta.

    • Massimo Lupicino

      Caro Fabrizio il punto è che secondo me finché la dialettica era del tipo destra-sinistra, la prima qualche briciola la prendeva anche. Premi di consolazione diciamo. Quando le due si sono sovrapposte il discorso è cambiato. Oggi è globalismo vs interesse nazionale il vero tema. E la lotta non a caso è globale, e in questo caso non si fanno prigioniero perché viene messo in discussione un sistema che, così come è congegnato, arricchisce spaventosamente una élite risicatissima (che come sostieni giustamente, i “grandi” media mondiali li ha comprati tutti), a danno di tutti gli altri.

      Chi è al potere ha i soldi e i media, trasformati in meri strumenti di propaganda, e quindi abbandonati in massa dai lettori. E quindi sovvenzionati dai governi, ovvero dagli stessi cittadini che si rifiutano di comprarli perché gli fanno schifo. Questo è il sistema attuale. Aggiungi la censura sempre più stretta e coordinata su internet contro le voci dissidenti e il quadro è completo.

  6. Andrea Beretta

    Caro Massimo, prendo spunto da un pasaggio del tuo articolo per sottolineare un fatto importante: non c’è premio, o riconoscimento, o apprezzamento, in qualsiasi campo (cinema, letteratura, nobel, televisione, senatori a vita) che finiscano a una voce fuori dal coro. Mi piacerebbe una volta tanto vedere premiato con l’oscar un regista che parla magari dei monaci algerini trucidati dal gruppo islamico armato, oppure un senatore a vita che rappresenti una corrente di pensiero diversa dalla solita (che so…un euroscettico, ad esempio: mi viene in mente il professor Zichichi, per non dire di Savona…che però qualcuno non ritiene nemmeno in grado di fare il ministro, ora che ci penso, figuriamoci il senatore a vita). Ma come direbbe Pirandello, “così è, se vi pare”. Nel nostro caso, anche se non ci pare…

    • Massimo Lupicino

      Caro Andrea, pretendi troppo mi sa… Come pretendere che a Norimberga finisse alla sbarra Churchill per il crimine di Dresda… Chi vince detta legge, distribuisce premi ed eroga punizioni. E nel mondo dell’informazione è in controllo un potere ben definito, in massima parte riconducibile agli interessi delle élites californiane negli USA, e schiacciato totalmente su posizioni tedesche in Europa. posizioni a loro volta molto vicine perché basate sulla difesa a spada tratta del globalismo, per motivi diversi ma con fini chiaramente coincidenti.

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