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Le buche del Global Warming

L’agenda politica occidentale di questi tempi è dominata da temi verdi e salvamondisti, e tra questi la parte del leone la fa il famigerato “Green New Deal”. Nessuno sa bene di cosa si tratti, in realtà. Ma suona dannatamente bene e quindi i politici ci si abbeverano volentieri.

A lanciare questa rivoluzione socio-economica è stata Alexandra Ocasio Cortez, stella del partito democratico americano, forte di un solido background economico-scientifico che ha visto il suo culmine in un impiego come barista prima di essere catapultata al Congresso americano. Riassumere il programma del Green New Deal da lei declinato è impresa disperata, tale è il cumulo di sciocchezze e ingenuità economiche in esso contenute. Ma provando a sintetizzare, Alexandra suggerisce di spendere l’equivalente di circa 100 trilioni di dollari (un uno seguito da 14 zeri, per i meno avvezzi alla matematica) in iniziative “verdi” di portata faraonica, e di altrettanto dubbia utilità economica e sociale, a partire dal fatto che le risorse per finanziarle semplicemente non ci sono.

Messo alla prova del senato americano, il “Green New Deal” di Alexandra è stato bocciato con 57 voti contrari, e zero voti favorevoli. Ché gli americani saranno pure dei semplicioni, ma quando si tratta di tutelare i propri interessi difficilmente si sparano nei piedi da soli. Per fortuna per questo ci sono gli europei, che invece il socialismo rivoluzionario salvamondista della Ocasio l’hanno abbracciato con entusiasmo.

Il problema tedesco

II problema dell’Europa, è che per dirla alla shakesperiana c’è del marcio in Germania. Marciume economico di cui i giornali non amano parlare, ma che permea l’intero sistema economico tedesco. A partire dalle banche, con le condizioni disastrose di Deutsche Bank, un tempo fiore all’occhiello del sistema teutonico, e ridotta oggi ad una Lehman Brothers in salsa verde di Francoforte, letteralmente annegata in un immondezzaio di derivati finanziari tossici e assediata da una miriade cause legali.

Ma il vero problema della Germania è nel cuore stesso della sua economia: la sua industria. Troppo dipendente dall’export, e quindi vulnerabile all’imposizione di dazi o alle dinamiche del ciclo economico cinese. Una industria “vecchio stile”, basata sulla performance del settore manifatturiero e su settori “storici” (e ciclici) come l’automotive che si portano dietro un indotto gigantesco. Il punto è che alcuni dei settori chiave dell’industria tedesca hanno raggiunto uno stadio di maturità molto avanzato, frutto della ottimizzazione di processi produttivi che hanno assicurato livelli di efficienza altissimi, e altrettanto difficilmente migliorabili. Basti pensare all’efficienza dei motori diesel di ultima generazione, talmente “verdi” da produrre emissioni ormai praticamente trascurabili.

Ecco, il problema è proprio qui. Quei motori sono troppo “verdi”. E offrono quindi pochissimi margini di profitto, vista la maturità ed efficienza della tecnologia in questione. Di qui l’apparentemente insensata e suicida campagna di demonizzazione verso questa tecnologia, ormai troppo tardi rivelatasi un’autentica bufala. Infatti, di fronte alla constatazione che il modello di sviluppo tedesco mostra troppe rughe, e preso atto che a dispetto delle auspicate ondate migratorie il costo della manodopera è rimasto decisamente superiore a quello delle economie emergenti, il Green New Deal ha quindi fatto breccia nelle menti sopraffine degli economisti europei. La soluzione ai mali dell’economia tedesca è pronta e servita: rottamare il nucleare, eliminare il carbone, aumentare ulteriormente il numero di pale eoliche e pannelli solari. E, soprattutto, disfarsi dei motori a combustione interna per concentrarsi sulla produzione di auto elettriche, che hanno margini di miglioramento (e di guadagno) ben superiori.

Ma come si fa a buttare via qualcosa che funziona benissimo e costa poco, in cambio di qualcosa che funziona male e costa il doppio? Semplice, per quello ci sono le normative europee. Basta demonizzare gli idrocarburi, gridare alla fine del mondo imminente, imporre limiti draconiani sulle emissioni, e la macchina elettrica diventerà obbligatoria. Per legge. Con l’effetto collaterale graditissimo ai produttori (e agli investitori) che i finanziamenti agli investimenti “green” saranno garantiti dall’imposizione di tasse. Tasse green, ovviamente, con tanto di marchio “Greta” a renderle (sperabilmente) più digeribili per i contribuenti.

Questione di buche…

Alla fin fine, ragionano i sopraffini economisti, il Green New Deal altro non è che una declinazione moderna e politically correct delle “buche di Keynes”, ovvero della teoria secondo cui bisognerebbe “riempire delle bottiglie di banconote, sotterrarle in delle buche, ricoprirle di immondizia e poi pagare delle imprese per tirare nuovamente le bottiglie fuori dalle buche: aumenterebbe l’occupazione, e con questa anche il reddito della comunità. Certo, sarebbe più sensato costruire infrastrutture, ma se ci sono problemi politici che lo impediscono, meglio scavare le buche che niente”.

Profetico, Keynes, innanzitutto nell’intravedere una classe politica inetta, paralizzata e riluttante a fare la cosa più semplice: investire in infrastrutture, portatrici non solo di posti di lavoro, ma esse stesse elementi di modernizzazione, di progresso, volani per slanci economici ulteriori. Oggi, invece, non ci si limita solo a proporre modelli di sviluppo inutili come le buche riempite di immondizia. Oggi si fa di peggio, si propongono le buche del Global Warming: iniziative suicide per una economia manifatturiera come quella tedesca, in quanto rendono il costo dell’elettricità più alto, impoveriscono i cittadini gravati da nuove tasse (deprimendo ulteriormente i consumi interni) e abbassano la competitività del sistema industriale nel suo complesso.

Più che buche, fosse comuni

Come ipotizzato da Keynes, il problema è che la vecchia classe politica tedesca è letteralmente paralizzata. Dalla paura. Se da una parte cresce il consenso per partiti anti-sistema, dall’altra parte i Verdi si avviano a diventare il primo partito tedesco, aiutati in questo anche da massicce campagne ambientalistoidi di “sensibilizzazione” portate avanti da gruppi di pressione anche extra-europei. Nel tentativo di parare il colpo, i partiti un tempo conservatori o vicini alla classe operaia hanno pensato bene di reinventarsi “verdi”, e questo spiega il ripiegamento frettoloso e maldestro sul modello di sviluppo gretino. E l’impossibilità, tutta politica, a dispiegare investimenti in infrastrutture che pure sarebbero drammaticamente necessari, ma che verrebbero demonizzati come “non-green dai partiti verdi e dai gruppi di pressione ambientalisti.

E sarà solo un caso, che le istanze ambientaliste di ispirazione extra-europea giovino proprio, in ultima analisi, ai competitor della Germania e dell’Europa tutta: gli Stati Uniti ad ovest, e la Cina ad est. Giganti geopolitici in lotta tra loro, ma accomunati dal desiderio di confrontarsi con una Europa debole, pavida, incapace di competere industrialmente. Nella migliore delle ipotesi, semplice sbocco geografico di prodotti fabbricati altrove.

E se lo stesso Keynes, con riferimento all’inutilità delle previsioni troppo lontane nel tempo, amava sottolineare che “nel lungo termine saremo tutti morti”, forse è il caso di chiedersi se le buche del Global Warming che oggi ci apprestiamo a scavare, ben lungi dal regalare un sia pur temporaneo sollievo in attesa di tempi migliori, non promettano invece di diventare proprio le fosse in cui andremo a seppellirci tutti, con le nostre stesse mani.

 

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Published inAttualità

13 Comments

  1. […] sistema industriale: una interpretazione aggiornata, e decisamente disperata delle buche di Keynes (ne abbiamo parlato). Disperata, perché il disastro dell’Energiewende tedesca pare non aver insegnato nulla. Forse i […]

  2. A. de Orleans-B.

    “Un fondo da 100 miliardi di dollari per finanziare imprese verdi”…

    Confesso che, pur conoscendo poco il budget della UE, una simile cifra non sarebbe passata inosservata; insomma, come verrebbe finanziata questa somma gigantesca?

    La risposta si trova, in parte, nell’applicazione di una nuova teoria monetaria, la “MMT – Modern Monetary Theory”, proposta dall’economista Warren Mosler e fortemente promossa dai politici affini a Alessandra Ocasio Cortez e Bernie Sanders.

    Ho iniziato a studiarla da circa un mese – si trovano ampi riferimenti su Google – ma fino ad oggi, confesso, non ve la saprei spiegare nemmeno sommariamente: in altre parole, non l’ho capita, pur avendo una modesta infarinatura sui diversi sistemi monetari e la loro storia; o forse non la voglio capire perché non riesco ad accettarne le premesse.

    Però intuisco che si tratti di una piattaforma concettuale importante, una teoria economica emergente che, temo, ci causerà guai molto seri.

  3. Fabrizio Giudici

    Sono d’accordo sulla rilevanza che il car sharing può avere, anche se il diavolo è nei dettagli e rilevo che questa opzione non sta prendendo campo come si pensava facesse fino a poco tempo fa.

    Il mio dubbio è qui:

    Perché l’auto elettrica? Perché è più semplice, più robusta, dura di più, e meglio quindi si adatta al car sharing.

    In generale penso che se l’auto elettrica ha un campo sensato, è proprio il car sharing. Infatti è in questo contesto che non sono necessarie grandi prestazioni di autonomia, per ovvi motivi.

    Non sono però convinto del contrario, ovvero: se l’auto elettrica ha senso nel car sharing, mi dovete dimostrare che il car sharing ha la sua miglior opzione nell’auto elettrica. La robustezza c’entra poco, nel contesto urbano. Ovviamente è vantaggiosa l’emissione locale zero (pur se l’emissione c’è da qualche altra parte), ma che duri di più ho qualche dubbio. Certo non durano le batterie, che devono essere sostituite ben prima del termine della vita dell’auto.

    Siamo sicuri che non sarebbero più convenienti auto ibride, ovvero con motore elettrico ma batteria piccola ricaricata alla bisogna da un piccolo motore a benzina?

  4. Vincenzo

    Parlare a nuora perché suocera intenda è un metodo vecchio quanto il mondo. Il vero problema connesso alle automobili non è quello della tipologia di motorizzazione, ma quello del numero di automobili presenti nei centri urbani che li rendono invivibili non solo per l’inquinamento che provocano, ma per l’occupazione di spazio e per il traffico che ne consegue. In molti casi metà delle auto in movimento sono in realtà già giunte a destinazione e continuano a muoversi per cercare parcheggio, ma i posti disponibili sono occupati dalle auto ferme che rappresentano in genere l’80-90 % delle auto presenti sul territorio.
    I mezzi pubblici sono di fatto inadeguati a risolvere i problemi, anche nei posti dove sono molto efficienti perché pensati su percorsi fissi e non adatti a persone che portino con se pacchi o bagaglio pesanti. L’unica soluzione è la diffusione del car sharing di massa.
    Imporlo per legge non è politicamente fattibile e ugualmente è politicamente infattibile qualsiasi misura che tassi l’auto di proprietà, o il suo utilizzo, a livelli molto elevati a meno che ciò non avvenga per una “nobile causa” come il riscaldamento globale. A quel punto la gente ricorrerà in massa al car sharing, che tra l’altro già oggi, con le tipiche percorrenze dell’utente medio, sarebbe l’opzione più conveniente.
    Perché l’auto elettrica? Perché è più semplice, più robusta, dura di più, e meglio quindi si adatta al car sharing

    • Cristiano

      “Perché l’auto elettrica? Perché è più semplice, più robusta, dura di più, e meglio quindi si adatta al car sharing”…
      Probabilmente è per questo che l’iniziativa di car sharing canadese è fallita in un anno o giù di lì… Percorrenze inaffidabili, batterie annientato da caldo e freddo, ricariche imprevedibili con costi spaventevoli per il geniale gestore…
      “… più semplice, più robusta, dura di più…”
      Dalla teoria alla pratica…

  5. Luca Rocca

    la teoria keynesiana è già applicata ampiamente con i pannelli solari solo che li paghiamo con le tasse e che quando li smonteremo non saranno spazzatura normale ma rifiuti speciali da seppellire una seconda volta.

  6. david

    …pensate che chiamano ecologiche le bici elettriche!allora quelle muscolari(o meglio tradizionali)
    che io utilizzo tutti i giorni per recarmi al lavoro!

  7. roberto

    Se c’è una “guerra commerciale” in atto oggi è quella dell’Arabia Saudita allo “shale oil-gas”.Inoltre non va dimenticato che le “sovvenzioni” delle economie occidentali alla filiera carbone-petrolio-gas negli ultimi vent’anni hanno già superato il trilione di dollari complessivo. Per non parlare del QE in varie forme alla finanza qui si parla di almeno 15 trilioni. Un bel guaio!

  8. robertok06

    Anno 2030… fine luglio-inizio agosto… weekend.
    10 milioni di vetture si apprestano, come da copione italico, a partire dalle citta’ del nord per andare a fare le vacanze/visitare i parenti al centro sud.
    10 milioni di auto che nel giro di 24 ore dovranno fermarsi a ricaricare le loro batterie elettriche almeno una volta, se non due.
    Ricariche veloci, da 100 e piu’ kWh, senno’ si passa meta’ delle ferie alla stazione di servizio.
    Me le vedo 500mila~1 milione di auto che “tirano” 100 kW di potenza praticamente assieme… 50~100 GW!… e il tutto tramite fottovoltaico e eolico (ça va sans dire!)… e questo anche dopo il tramonto…
    Tocchera’ fare come hanno fatto questi per dimostrare che si puo’ attraversare l’intera Australia con auto elettriche… notare a cosa e’ collegata la colonnina elettrica!… 🙂 🙂 …

    Immagine allegata

  9. Paolo da Genova

    Il problema fondamentale dei motori diesel è che non si rompono facilmente ed invecchiano molto lentamente. Finché erano diesel solo i camion poteva andare bene, ma ora che molte macchine sono diesel, uno cambia auto solo dopo molti anni, e magari la prende pure usata, e questa cosa alla lunga è inaccettabile per i produttori.

    • Massimo Lupicino

      Amen.

  10. Stefano Bataloni

    Non credo di aver capito bene questo passaggio:

    Quei motori sono troppo “verdi”. E offrono quindi pochissimi margini di profitto, vista la maturità ed efficienza della tecnologia in questione.

    I margini di profitto sarebbero sulla vendita di combustibili fossili?

    E poi:
    Di qui l’apparentemente insensata e suicida campagna di demonizzazione verso questa tecnologia, ormai troppo tardi rivelatasi un’autentica bufala.

    La “bufala” sarebbe la la campagna di demonizzazione o la tecnologia?

    Comunque complimenti per l’articolo: magistrale! Me lo stampo e lo attacco in ufficio

    • Massimo Lupicino

      Caro Stefano, quando una tecnologia e’ molto matura, e quindi perfezionata nel tempo a seguito di migliorie e ottimizzazioni lungo tutta la catena di produzione, restano pochi margini per fare ulteriori “salti” tecnologici che ti possano regalare una posizione di superiorita’ sul mercato, da sfruttare in anticipo rispetto ai tuoi competitor. E’ proprio il caso dei motori a combustione interna, in particolare dei diesel i quali oltre a giovarsi di un ciclo di per se’ piu’ efficiente rispetto al ciclo Otto, hanno migliorato in modo drastico l’efficienza dei sistemi di abbattimento. Se dai un’occhiata alle performance dei motori diesel di ultima generazione, sono veramente impressionanti per il bassissimo livello di emissioni. Eppure sono stati demonizzati senza pieta’ a seguito di una campagna mediatica basata su bufale tecnologiche risibili.

      Al contrario una tecnologia nuova, e poco efficiente (pensiamo ai sistemi di accumulazione dei motori elettrici) offre margini di miglioramento notevoli, che giustificano investimenti ingenti. Investimenti che saranno premiati da ricchi incentivi statali (e’ di questi giorni la notizia che la nuova commissione UE intende creare un fondo di 100 miliardi di dollari per finanziare imprese “verdi). Incentivi che non sono altro che soldi dei cittadini drenati attraverso nuove tasse, “tasse verdi”. Quei soldi finiscono per alimentare un nuovo ciclo industriale, per un bene la cui domanda viene creata ad arte, per legge, perche’ in realta’ il cittadino comune si terrebbe stretti i suoi veicoli diesel efficienti e poco inquinanti, piuttosto che spendere il doppio per delle auto elettriche, con le associate inefficienze a partire dal chilometraggio limitato e dalla carenza di impianti di ricarica, e dal decadimento delle performance degli accumulatori.

      Il problema e’ ancora piu’ grosso se gli investimenti “verdi” comportano un costo dell’energia piu’ elevato, nel qual caso a soffrire non e’ solo il comune cittadino (mazziato due volte, la prima sotto la forma di tasse, la seconda sotto la forma di una bolletta elettrica piu’ cara), ma l’industria manifatturiera stessa, che per definizione e’ energivora e ha bisogno di energia fornita a costi bassi.

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