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La Vexata Quaestio del Cambiamento Climatico – Considerazioni critiche su tre articoli apparsi sulla rivista divulgativa Ithaca

di Gianluca Alimonti e Luigi Mariani

L’Università del Salento pubblica da tempo la rivista scientifica divulgativa Ithaca: Viaggio nella Scienza” che nell’ultimo numero, il n. XV/2020 reperibile sul loro sito, dedica largo spazio al tema del cambiamento climatico.

Lì abbiamo anzitutto letto l’articolo “Il cambiamento climatico e la questione degli eventi estremi” del professor Sergio Pinna dell’Università di Pisa che ci propone alcuni esempi utili ad inquadrare il fenomeno del cambiamento climatico in Italia e nel mondo con specifico riferimento alla cruciale tematica degli eventi estremi. Nell’invitare i lettori a leggerlo ne riportiamo l’incipit, che a nostro avviso pone un tema di importanza cruciale non solo per il dibattito scientifico su clima ma anche per le prospettive della nostra civiltà. Scrive infatti Sergio Pinna che

Nell’ambito del dibattito sui cambiamenti climatici in atto, la questione degli eventi estremi ha assunto un’importanza tale da essere frequentemente identificata con l’idea stessa di detti cambiamenti. In effetti è ormai convinzione diffusa a tutti i livelli che il riscaldamento globale abbia procurato (e ancor più procurerà in futuro) un marcato aumento per intensità e frequenza di vari fenomeni meteorologici estremi. L’analisi statistica dei dati climatologici non è però in grado di confermare tale situazione, non avendo fatto emergere nel complesso delle apprezzabili tendenze alla crescita di svariate grandezze. La teoria della correlazione diretta fra temperatura globale e incidenza degli eventi estremi è anche in contrasto con le informazioni derivanti dalla climatologia storica, visto che è proprio nella fase fredda, detta Piccola Età Glaciale, che le manifestazioni violente risultano essersi concentrate molto di più rispetto a quanto rilevato per i periodi caldi, compreso il XX secolo.

Nello specifico Pinna riporta serie storiche di cicloni tropicali, grandi tempeste di vento, tornado, piogge estreme e grandi piene del Tevere e del Po e la conclusione dell’autore è tranchant come non poche:

È assai probabile che qualcuno, dopo aver letto queste note derivanti dagli studi sul clima degli ultimi due millenni, si sia posto la domanda di come la questione che ne emerge – cioè la dicotomia tra le risultanze della climatologia storica da un lato e la teoria ufficiale sugli eventi estremi dall’altro – venga affrontata dall’IPCC. Ebbene, la risposta è semplicissima: il problema è di fatto ignorato nei documenti del Panel.

Sullo stesso numero della rivista abbiamo anche avuto modo di leggere l’articolo “Cause ed effetti dei cambiamenti climatici” scritto dal professor Roberto Battiston dell’Università di Trento.

L’articolo si apre con una dichiarazione di adesione alle ragioni del movimento promosso da Greta Thunberg, la quale ad avviso di Battiston sarebbe vittima di

forti opposizioni, che si declinano nei modi più disparati, incluso l’attacco violento, sessista, generazionale nei confronti di Greta e di coloro che la seguono e sostengono le stesse idee. Dove non ci si spinge all’attacco volgare, si argomenta stravolgendo i dati climatici e gridando al complotto.

Da parte nostra riteniamo la strategia propugnata da Greta Thunberg sia del tutto legittima ma palesemente errata in quanto trascura i temi dell’adattamento in nome di una visione catastrofista fondata su dati che sono a nostro avviso indebitamente enfatizzati.

Peraltro lo scenario proposto da Greta Thunberg e fatto proprio da Battiston ci rimanda al problema che tutt’oggi divide la comunità scientifica e cioè quello del carattere catastrofico o meno dell’Anthropogenic Global Warming (AGW). In tal senso invitiamo i lettori a considerare sia i contenuti del succitato articolo di Sergio Pinna sia la World climate declaration sottoscritta da oltre 700 scienziati.

Ricordiamo inoltre che sono ai minimi storici la mortalità da disastri naturali, il numero di persone in condizioni di insicurezza alimentare e la mortalità infantile mentre a livelli mai raggiunti in passato è la speranza di vita (71 anni a livello mondiale, 82 per l’Italia) e tassi di incremento del 2-4% l’anno mostrano le rese delle 5 grandi colture (mais, frumento, riso, soia e orzo) che da sole coprono il 70% del fabbisogno calorico dell’umanità. Tutto questo ci pare incompatibile con la retorica del “clima impazzito” o con quella della “casa in fiamme” su cui si fonda l’ideologia di Greta Thunberg.

Il problema è che se si prende per buona l’agenda proposta dalla Thunberg, centrata sulla lotta all’AGW, si perdono inevitabilmente di vista politiche di adattamento che tengano in debito conto priorità fra le quali:

  • Il problema del disagio urbano per popolazioni inurbate in enormi megalopoli spesso prive di servizi (acqua potabile, fognature, ecc.) e con catene logistiche di approvvigionamento del cibo precarie e che non garantiscono security e safety.
  • Il problema della mancanza di energia nei Paesi in via di sviluppo (Pvs), senza la quale pensare a conservare gli alimenti o mantenere attivo il sistema sanitario è impossibile.
  • Il problema dello sviluppo agricolo nei Pvs con evoluzione dell’agricoltura improntata all’idea di incrementare quantità, qualità e sostenibilità.

Ci preme infine analizzare un ultimo argomento portato dal professor Battiston espresso nel modo seguente:

Per questo motivo è importante comunicare, comunicare molto, comunicare bene. Occorre essere preparati per ribattere agli argomenti capziosi, alle fake news, alle posizioni di parte. Qui il tema si sposta dalla scienza, ad un dibattito di importanza vitale, in cui non si può lasciare il campo a chi provoca, a chi alza la voce, a chi ha una agenda nascosta ed è interessato a fare perdere a tutti tempo e risorse sempre più preziose.

Chi scrive viene dal mondo scientifico ed è abituato a scrivere su riviste scientifiche. Uno di noi peraltro ha moderato un dibattito fra Richard Linzen, Professore Emerito di Scienze dell’Atmosfera all’MIT di Boston e noto “scettico” a livello internazionale e Paul Williams, Professore di Scienze dell’Atmosfera all’Universita’ di Reading, di vedute decisamente opposte. Oltre al reciproco rispetto e stima professionale che i due relatori hanno dimostrato durante tutta la sessione, atteggiamento che dovrebbe essere scontato in un confronto scientifico ma che ultimamente non va troppo di moda specialmente quando si parla di clima, si e’ evidenziato un importante punto di accordo: l’Equilibrium Climate Sensitivity, (ECS, definita come la variazione all’equilibrio della temperatura media globale a causa del raddoppio dell’anidride carbonica in atmosfera), presenta un intervallo di possibili valori  tra 1,5°C e 4,5°C e l’IPCC stesso sottolinea in maniera molto marcata che all’interno di tale intervallo non esiste un valore più probabile. E qui si deve rimarcare che se si Considerano valori prossimi ad 1,5°C cadono in pratica tutti i proclami catastrofisti riguardo al cambiamento climatico mentre se si assume ECS prossima a 4,5°C, risultano insufficienti le misure previste dagli accordi internazionali come quello di Parigi. Eppure su questa incertezza si fondano le policy mondiali. Per inciso si deve ahimè segnalare che il mondo della ricerca, nonostante gli investimenti giganti degli ultimi decenni, non ha fatto passi avanti sostanziali rispetto alle conclusioni del Charney report del 1979, che con i modelli del tempo arrivò a stimare una ECS compresa fra 1.5 e 4.5°C.

Anche per questo troviamo sconcertante che un rappresentante della comunità scientifica veda i propri interlocutori sul tema del cambiamento climatico come portatori di fake news o detentori di agende nascoste: queste sono modalità di lotta politica più che di sano confronto scientifico. Non è possibile ridurre al rango di fake news gli argomenti portati da scienziati come Sergio Pinna, Franco Prodi, Nicola Scafetta, Richard Linzen, Nir Shaviv, John Christy, Henrik Svensmark, Roy Spencer, ecc. Se si propugna una teoria e la si vuole affermare, la strada maestra è quella di discutere con chi in ambito scientifico propone visioni diverse fondate su dati e la sede naturale di tale dibattito sono le riviste scientifiche. E a proposito di riviste non è a nostro avviso corretto affermare che il 97% degli scienziati concordano con la teoria AGW perché ritengono che CO2 sia un gas serra e che le temperature del pianeta sono aumentate dal 1850 ad oggi (Per un approfondimento si veda qui). Si tratta infatti di evidenze indiscutibili e sulle quali concordano sia gli scienziati sopra elencati sia i sottoscrittori della presente. Per questo sarebbe forse il caso di superare la logica della demonizzazione dell’avversario e prendere atto che il pluralismo è un elemento fondante per chi opera in ambito scientifico.

E veniamo al terzo articolo che intendiamo discutere in questa sede e cioè quello del professor Mario Leo dell’Università del Salento che ha per titolo “La lezione mancata – L’attrattore di Lorenz” e riporta fra l’altro la frase oltremodo significativa:

L’effetto farfalla, cui successivamente sarebbe stato dato il nome tecnico di dipendenza sensibile dalle condizioni iniziali, costituisce allora il meccanismo essenziale per spiegare l’aleatorietà a lungo termine delle previsioni meteorologiche.

A nostro avviso il professor Leo coglie un elemento chiave in relazione al clima in quanto analoghi sistemi di equazioni sono presenti sia nei normali modelli previsionali a medio termine (NWP) utili a prevedere il tempo fra 1-2 settimane sia nei modelli climatici globali (GCM) utilizzati per “prevedere” il clima fra 50 – 100 anni. Il problema è che, procedendo nel tempo, tali modelli tendono a divergere sempre più rispetto alla realtà fino a dare risultati del tutto inattendibili. Si pensi ad esempio al caso delle nubi, strutture meteorologiche di una complessità tale da rendere oltremodo inaccurata la loro previsione eseguita con i GCM. Si tratta di problemi aperti che non si possono a nostro avviso minimizzare dicendo che ormai il dibattito scientifico è “fuori tempo massimo”, anche perché i GCM sono oggi utilizzati dai governi per impostare le proprie politiche in campo ambientale, energetico, agricolo, industriale e sanitario. E chissà se i governi che fanno uso degli output dei GCM sono informati dei problemi di accuratezza dovuti all’effetto farfalla…

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Published inAttualità

8 Comments

  1. donato b.

    Oltre ai tre articoli segnalati da L. Mariani e G. Alimonti, mi permetto di segnalare l’interessantissimo articolo della prof. sa Deborah Lacitignola a pag. 125 e segg. dello stesso numero della rivista: “Dai pattern ai frattali, passando per il caos”.
    Qui il pdf:
    http://ithaca.unisalento.it/nr-15_2020/articolo_IIp_11.pdf
    Ciao, Donato.

  2. rocco

    mettiamola così:
    anni ’80 del secolo scorso, Unione Sovietica.
    Code infinite fuori dai negozi di stato per riuscire a portare a casa un pranzo contingentato quando solo 60 anni prima una rivoluzione promise ad ognuno secondo le sue capacità; a ognuno secondo i suoi bisogni, il paradiso dei lavoratori.
    In occidente, invece, il sistema del libero mercato aveva garantito proprio quel programma marxista attraverso la libera iniziativa economica, facendo progredire non solo il capitalista, ma anche l’operaio; quest’ultimo, finalmente, poteva comprare ciò che desiderava (nei limiti dello stipendio, che non era basso per nulla) e concedersi anche le vacanze oltre alla cassa mutua, la malattia ed il diritto allo sciopero.
    Chi in occidente sosteneva l’idea sovietica, già anni prima, aveva concordato un compromesso storico al fine di liberarsi dall’impostazione ideologica della lotta di classe per abbracciare il sistema del libero mercato che tanto beneficio aveva portato.
    Bisognava, al tempo, scegliere un terreno di azione politica e, nascosti in oscure botteghe, i dirigenti, nonchè un vasto settore del mondo accademico e scientifico (che aveva aderito al materialismo storico per la sua ostilità all’ascientifico dogmatismo religioso) colsero la palla al balzo dell’ormai collaudato movimento ecologista e ne assunsero le redini.
    Politica, scienza e mercato unite nella lotta ai cambiamenti climatici in un settore antagonista all’interno del libero mercato; quest’ultimo, unico sistema politico-economico rimasto dopo il rovinoso crollo del muro di Berlino che travolse nelle sue macerie il sol dell’avvenir.
    Avvenimento già subdorato da quel mitico 1968 che vide contrapposto il proletariato sotto forma di agenti di polizia e la giovane borghesia che inneggiava al proletariato sotto forma di studenti universitari, i futuri artefici della nuova religione ambientalista.
    Anni ’80 del secolo scorso, all’interno di oscure botteghe veniva redatto il nuovo assetto politico: al diavolo i puzzosi operai con le tute sporche di grasso ed avanti con i ben pensanti e le elites dei Parioli pronti a mostrare i loro magnifici giardini e parchi per ostentare ricchezza e nobiltà.
    Testimoniato da questo testo: Ambiente: una dimensione della politica. Studi e ricerche delle scuole di partito del Pci https://www.amazon.it/Ambiente-dimensione-politica-ricerche-partito/dp/B00KRHTMUU
    Quindi, signori, non vi è nulla di scientifico nel discorso sul clima: è il campo politico scelto da una parte politica che ad un certo punto della sua esistenza ha dovuto abbracciare il libero mercato e scegliere il settore economico da agevolare e da cui ottenere consenso e finanziamenti.
    Come insegnano gli USA, il vero libero mercato lo si fa con le azioni lobbistiche e la cosidetta “scienza” fa il suo lavoro, ottenendeo anche cospicui finanziamenti per ricerche o posti di dirigenza in enti pubblici.

  3. donato b.

    Mi congratulo con G. Alimonti e L. Mariani per l’ottimo articolo: esauriente ed equilibrato.
    .
    Mi congratulo, inoltre, con i redattori della rivista Ithaca che hanno voluto ospitare sulla loro pubblicazione entrambe le tesi che caratterizzano il dibattito relativo al cambiamento climatico ed alla sua origine. Sono stati coraggiosi e non hanno avuto paura dei possibili contraccolpi.
    .
    Concordo, infine, con le considerazioni finali dell’articolo di Alimonti e Mariani.
    Per quel che mi riguarda, ho forti dubbi circa la volontà dei politici di stabilire l’affidabilità dei modelli su cui basano le loro policy. Sarò pessimista, ma essi obbediscono solo ed esclusivamente a logiche elettorali: se la loro base elettorale è convinta che il cambiamento climatico è di esclusiva origine antropica, gli scenari apocalittici vanno benissimo. Se la loro base elettorale reputa scarsamente attendibile l’origine antropica del cambiamento climatico, per loro gli scenari apocalittici sono carta straccia.
    Ai politici della scienza interessa solo fino a che porta acqua al proprio mulino.
    .
    Opinione personale, ovviamente.
    Ciao, Donato.

  4. Dopo aver commentato su http://www.climatemonitor.it/?p=51650 nell’ottobre del 2019 un altro articolo di Roberto Battiston, quella volta sull’Huffington Post, e aver constatato che il professore sembra scrivere sempre lo stesso articolo, accompagnato da affermazioni che non documenta e che non prova neanche a dimostrare, mi sono convinto che le sue posizioni sono ideologiche e non scientifiche e, come tali, inattendibili e condivisibili solose la si pensa come lui politicamente.
    Tentando di giustificare le sue affermazioni con spirito costruttivo, posso immaginare che siano dettate dal superiore interesse verso il tentativo di appoggiare un cambiamento di organizzazione sociale ritenuto improcrastinabile e da attuare a tutti i costi.
    Se però questo signore non ha argomenti che giustifichino la sua scelta dovrebbe, da fisico, evitare di parlarne: dà l’impressione di essere sottoposto a pressioni, che non può evitare, da parte di ambienti a lui vicini. Ma nel fare questo, mente sapendo di mentire e non è bello.

    Dell’articolo del prof. Pinna posso dire che, come sempre, è ben documentato e che le sue affermazioni sono sempre basate sui dati.
    Si può legittimamente non essere d’accordo con lui e si può contestarlo sui dati e sui fatti, non certo sulle false affermazioni che nei suoi articoli non ci sono. Franco

    • Massimo Lupicino

      Franco forse è solo che il ricordo della candidatura alle elezioni europee è ancora troppo fresco e quindi fa un po’ fatica a separare il ruolo del politico da quello dello scienziato. Penso sia umano. Anzi, almeno ha avuto il merito di dichiarare le sue simpatie politiche e affermare la sua militanza alla luce del sole. Aiutando tutti a farsi una idea più chiara circa le sue posizioni… No?

  5. Uberto Crescenti

    Ottimo articolo questo di Alimonti e Mariani. Mi fa invece impressione le affermazioni di uno scienziato come Battiston che non trovano sostegno scientifico. Non si può bollare di fake news le notizie divulgate da scienziati fondate su ricerca e dati, solo perchè non collimano con propri convicimenti. Chiarisca Battiston perchè non è vero che il clima non è”impazzito”, o come mai nel Medio Evo la temperatura globale era superiore a quella attuale di almeno 1-2 gradi C°, e così via. E’ la solita dottrina della demonizzazione dell’avversario, che viene usata quando non si hanno dati scientifici per controbattere le opinioni altrui non concordi con le proprie.

  6. Massimo Lupicino

    Le posizioni di Battiston sono sicuramente legittime, tanto piu’ che si parla di uno scienziato dal curriculum assolutamente importante. Certo sarebbero ancora piu’ convincenti se non si parlasse di una persona esposta personalmente e attivamente in politica (se si tratta solo di una omonimia mi scuso fin da adesso). Del resto, ad uno scienziato si perdona qualsiasi militanza, se fa uso di argomenti puramente scientifici e non divaga in digressioni che con la scienza non hanno nulla a che vedere. Ma mi chiedo se sia questo il caso…

    Certo il sessismo, la necessita’ di una buona “comunicazione” o il degradare le opinioni diverse a “fake news” sono argomenti legittimi di una dialettica spiccatamente politica, e anche ai migliori puo’ capitare di far confusione tra il “nuovo” ruolo del politico e quello del professionista (imprenditore, magistrato, scienziato che sia).

  7. andrea

    se un giro d’aria ad alto indice zonale (più energia- risultato riscaldamento ) inibisce pochi scambi meridiani di calore se non nulli..il contrario..ovvero un giro d’aria a scambi meridiani ( meno energia- risultato raffreddamento ) aumenta gli scambi di calore nord sud e viceversa…è evidente che la seconda tipologia di circolazione d’aria è più propensa agli eventi estremi… perciò non si capisce come mai un periodo propenso al riscaldamento debba portare all’aumento di fenomenologie estreme…sempre che il ventennio appena passato sotto il tiro di predominanti scambi meridiani non sia stato inteso come un periodo meno energetico ma soltanto come ” espressione” del global warming nella sua forma più schizofrenica da cui deriverebbero le malsane idee che ” faceva più freddo perchè faceva più caldo”

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