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COP 28: si tratta e si polemizza

I Capi di Stato e di Governo hanno lasciato Dubai e la COP 28 entra nel vivo. I primi giorni delle Conferenze delle Parti rappresentano, più che altro, una vetrina durante la quale i rappresentanti degli Stati al massimo livello si fanno vedere e proclamano il verbo ambientalista, ma fatti concreti non ne accadono. Quest’anno c’è stato il caso del meccanismo “delle perdite e dei danni” (loss and damage), che ha mosso un poco le acque, ma i lavori veri e propri sono iniziati domenica tre dicembre.

Prima di delineare un bilancio intermedio delle trattative, soffermiamoci, però, su alcune notizie che si sono rincorse nella fase introduttiva della Conferenza.

Una ventina di Paesi, capitanati da Francia e Stati Uniti, hanno sottoscritto un accordo per incrementare la produzione di energia elettrica da fonte nucleare: non se ne era mai discusso nelle varie COP, nonostante le sfuriate di J. Hansen che ha sempre sostenuto, a margine delle Conferenze delle Parti, il ricorso al nucleare per abbattere drasticamente le emissioni. Personalmente ho sempre apprezzato la posizione di Hansen in materia e, quindi, sono restato piacevolmente sorpreso da questa presa di coscienza di Macron, Kerry e soci e reputo l’iniziativa un sano e salutare bagno di realismo. Inutile dire che gli ambientalisti ci sono restati malissimo ed hanno additato al pubblico ludibrio quei politici che preferiscono l’atomo al sole ed al vento: è gente che guarda indietro e non avanti, hanno commentato. L’Italia si è barcamenata alla meno peggio: noi non abbiamo nulla contro il nucleare di ultima generazione, ma puntiamo alla fusione, hanno precisato i nostri rappresentanti. Un modo elegante per dire che non siamo interessati alla problematica, visto che l’energia da fusione è di la da venire. Stranamente non fanno parte dei firmatari dell’iniziativa Russia e Cina che rappresentano la punta di diamante delle tecnologie e della produzione di energia termonucleare da fissione.

Altro aspetto che ha monopolizzato l’attenzione dei delegati, è stato quello del potenziamento delle energie rinnovabili: centosedici Parti hanno dichiarato di voler triplicare la quota di energia da fonti rinnovabili entro il 2030. Anche in questo caso bisogna registrare, però, molte defezioni che fanno rumore: Cina, Russia, India, Sud Africa, Turchia, ecc., non hanno aderito all’iniziativa. Quasi tutti i BRICS (con l’eccezione del Brasile) si sono tenuti alla larga dall’iniziativa e questo comincia a farci capire che le questioni geopolitiche stanno cominciando a far capolino nelle trattative. Ha destato particolare sorpresa tra gli osservatori il caso cinese. Due giorni fa i rappresentanti di Cina ed Usa avevano sottoscritto un documento in cui ribadivano l’impegno a potenziare le riduzioni di carbonio immesso nell’atmosfera (diossido di carbonio e metano), per cui la mancata sottoscrizione della dichiarazione d’intenti da parte della Cina è a dir poco contraddittoria. Secondo qualche osservatore, ciò può essere spiegato dal fatto che, nel documento proposto da Macron e Kerry, oltre alla triplicazione delle rinnovabili, si fa un chiaro riferimento al raddoppio dell’efficienza energetica, ovvero alla necessità di aumentare la resa degli utilizzatori di energia. Questo non sarebbe possibile per la Cina, però, perché per favorire la ripresa post Covid, l’economia del Dragone ha fatto ricorso ad un forte aumento del consumo di energia, senza preoccuparsi più di tanto dell’efficienza del consumo. Non potendo rispettare entrambe le condizioni a base del patto, la Cina avrebbe deciso di non sottoscriverlo. Si tratta di un’ipotesi, ovviamente, ma sembra piuttosto condivisibile.

Una spiegazione diversa della posizione cinese potrebbe essere quella geopolitica. Innanzitutto bisogna notare che alla COP il Paese è rappresentato ad un livello molto modesto e, tra gli osservatori, ha suscitato una certa inquietudine l’assenza del Presidente Xi Jinping che, come il Presidente Biden, ha snobbato la passerella iniziale della COP 28. In secondo luogo il vice primo ministro cinese e rappresentante personale del Presidente Xi Jinping, in un discorso tenuto dinanzi ai rappresentanti dei Paesi in via di sviluppo, raggruppati nel G77 più la Cina, ha sottolineato l’impegno profuso dal suo Paese nel sostenere i Paesi del Sud del mondo nella lotta al cambiamento climatico (aiuto nell’implementazione di politiche di decarbonizzazione, di adattamento e di sviluppo sostenibile); ha ribadito che la Cina è un Paese in via di sviluppo ed ha puntualizzato che

Dobbiamo difendere congiuntamente il multilateralismo, salvaguardare fermamente gli obiettivi e i principi stabiliti dalla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e dal suo Accordo di Parigi, opporci a qualsiasi unilateralismo e metodi di bullismo sotto la bandiera verde, e opporci ai blocchi tecnologici e alle barriere commerciali e al “disaccoppiamento (l’enfasi è mia)“.

Diciamo che sono molto chiari i riflessi del contrasto geopolitico che oppone la Cina ed i suoi alleati più stretti, agli Stati Uniti ed ai loro alleati. Vedremo cosa succederà nel prosieguo dei lavori, ma se il buongiorno si vede dal mattino ….

Particolare eco tra i delegati ha avuto un’uscita piuttosto inaspettata del Presidente della COP 28. Per comprendere la questione, bisogna inquadrarla nel contesto in cui si è sviluppata. Uno dei problemi su cui maggiormente gli osservatori ed i delegati più schierati ideologicamente, concentrano la loro attenzione, è costituito dall’abbandono graduale delle fonti energetiche fossili. Si tratta, quindi, di un nervo scoperto alla COP 28, perché lo scorso anno l’obbiettivo fu “scippato” durante la formulazione del documento finale. Visto che il Presidente della COP 28, Sultan Al Jaber, ha un retroterra economico e culturale particolare, in quanto nella vita reale ricopre il ruolo di amministratore delegato della principale compagnia petrolifera emiratina, il suo operato è seguito con particolare attenzione. Qualcuno ha pensato bene di metterlo in condizione di impegnarsi molto più di quanto egli volesse, per raggiungere lo scopo di dichiarare ufficialmente la necessità di abbandonare gradualmente, ma definitivamente le risorse energetiche fossili entro una data ben precisa. La trappola è scattata durante uno scambio di opinioni tra Al Jaber e l’ex Presidente irlandese Mary Robinson cui era presente, tra gli altri, anche un giornalista del Guardian. Pressato dalla signora Robinson, Al Jaber ad un certo punto ha dichiarato che non esiste ricerca scientifica che giustifichi l’uscita dall’utilizzo delle fonti fossili, per centrare l’obbiettivo del mantenimento dei famigerati 1,5 °C di aumento delle temperature globali rispetto all’era pre-industriale. Non contento, ha rincarato la dose sostenendo che questa scelta ci avrebbe fatto regredire all’era delle caverne. Personalmente condivido queste sue considerazioni, ma non è questo il caso della stragrande maggioranza dei delegati alla COP. C’è stata una poderosa alzata di scudi e coloro che dubitavano dell’efficacia di una presidenza della Conferenza fortemente “collusa” con le potenze dell’energia da fonte fossile, hanno ottenuto quello che volevano: hanno chiesto a gran voce un comunicato finale della Conferenza forte, in cui venisse stabilito una volta per tutte l’abbandono dei combustibili fossili. Resosi conto, in ritardo, del tiro mancino, il povero Al Jaber, ha cercato di recuperare e, convocata una conferenza stampa in fretta e furia, ha abiurato in parte ciò che aveva incautamente sostenuto il giorno prima: sono stato interpretato male, rispetto la signora Robinson e sono un fervente credente nella scienza alla base della lotta al cambiamento climatico. Una giravolta completa. Basterà a recuperare lo scivolone? Vedremo nei prossimi giorni se il vero Al Jaber è quello del tre dicembre o quello del quattro dicembre.

Per ironia della sorte, egli potrebbe essere chiamato a presiedere anche la prossima COP. Secondo le regole delle Nazioni Unite, nel corso di una Conferenza delle Parti, bisogna individuare la sede di quella successiva. Sempre secondo queste regole, il luogo ove tenere la Conferenza deve essere scelto a rotazione, per cui la COP 29 dovrebbe tenersi nell’Europa orientale e fuori dall’UE. Stiamo parlando di Russia, Ucraina, Serbia, Kosovo, ecc. A causa della situazione geopolitica e dei veti incrociati, sembra impossibile che la cosa possa farsi, per cui, oggi come oggi, non si sa dove si svolgerà la prossima COP. Sempre secondo queste regole, il presidente in carica resterà tale fino all’elezione del prossimo. Se tanto mi da tanto, nulla impedirebbe che Sultan Al Jaber presiedesse anche la prossima COP da tenersi in un luogo “neutro”. Una iattura per Robinson, il Guardian e soci!

E veniamo ora alle trattative in corso nelle “segrete stanze” della COP 28. Da domenica è iniziato il “conto delle parentesi”, ovvero l’analisi dei punti di disaccordo che nelle bozze di deliberazione sono contraddistinti con parentesi quadre e delle “opzioni”, cioè i possibili percorsi che le Parti individuano per giungere al documento finale condiviso. E’ una parte noiosissima, ma è l’unico modo che si ha per seguire l’evolversi degli eventi. La COP 28 in questo periodo scompare dalle prime pagine dei giornali e dei notiziari televisivi, per tornare in evidenza durante le concitate fasi finali.

Quest’anno ci si è messo anche Al Jaber a complicare la vita a chi cerca di capire come stanno andando le cose: contrariamente al passato, la Presidenza non pubblica più le bozze dei documenti, per cui si naviga a vista. Giusto per avere un’idea della situazione, oltre la metà dei documenti in corso di discussione non è nota, per cui bisogna affidarsi al passaparola ed alle illazioni o a qualche documento che riesce a trapelare. Nonostante la mancanza di fonti complete, posso anticipare che oltre al documento sul fondo “perdite e danni” che appare definito completamente (per quattro anni il fondo sarà affidato alla Banca Mondiale e ad esso potranno accedere solo i Paesi “particolarmente vulnerabili” categoria che compare per la prima volta nel vocabolario delle Nazioni Unite), il resto naviga ancora in alto mare, afflitto da centinaia di parentesi e centinaia di opzioni (questa mattina ne ho contate circa settecento, poi mi sono scocciato ed ho smesso senza completare il conteggio).

Anche quelli che sembrano definiti, in realtà, non lo sono. A titolo di esempio vorrei farvi vedere il testo del documento relativo al contenimento delle emissioni nei trasporti aerei e marittimi, da sempre croce di tutte le negoziazioni:

L’aspetto sostanziale è che il corpo sussidiario incaricato di dirimere la situazione, dopo cinquantanove riunioni (circa trent’anni di riunioni) ha deciso di rinviare ogni decisione alla sessantesima riunione da tenersi a giugno 2024. L’aspetto secondario, ma didatticamente rilevante è che le parti non ancora concordano circa l’opportunità di riconoscere o non riconoscere la mancanza di accordo! Mistero delle COP!

Altro punto fortemente conteso, sempre per quel che è dato di sapere, riguarda l’art. 6 dell’accordo di Parigi, concernente lo scambio di carbonio nell’ambito di un mercato ufficiale o al di fuori del mercato. La discussione coinvolge un corpo sussidiario per ogni punto dell’articolo ed è ancora in alto mare.

Giusto a titolo esemplificativo la discussione sul punto 6.8 sembra essersi arenata, perché le Parti sono in disaccordo sull’opportunità o meno di istituire un “progetto di preparazione” per studiare gli scambi al di fuori dal mercato regolamentato ed ancora non riescono a decidere se il testo è concordato da tutti o necessita di ulteriore lavoro.

Più avanzato il lavoro sul punto 6.2: in questo caso abbiamo “solo” 66 parentesi e 178 opzioni per complessive 33 pagine di testo. Curiosità: le parentesi sono molto estese, per cui alla fine può cambiare tutto.

E con questo mi fermo. Se il masochismo mi spinge a interessarmi di queste cose, non voglio essere sadico nei riguardi del lettore che ha avuto la forza di arrivare fino a questo punto.

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Published inAttualitàClimatologiaCOP28

6 Comments

  1. Maurizio Rovati

    Chissà se l’OPEC romperà il giocattolo del clima?…

    • donato b.

      Le probabilità sono piuttosto alte: l’ultima versione della bozza di accordo sull’implementazione dell’art. 18 dell’Accordo di Parigi (Organo sussidiario del “bilancio globale) sembra aver definitivamente accantonato l’idea dell’eliminazione graduale dei combustibili fossili nuda e cruda. Il linguaggio si è molto annacquato suscitando le ire degli ambientalisti: testo del tutto insufficiente, tuonano.
      Tutto è ancora in itinere, comunque.
      Ciao, Donato.

  2. Andrea D

    l’immagine mi stuzzica sul chissà perchè quando i tiggì attaccano con qualche clima-(mal)servizio, non mancano mai di montare immagini di repertorio di torri evaporative iperboliche, ripese magari in una giornata fredda e umida così da mostrare tutto il vapore condensato all’aria. Un messaggio subliminale quasi a dire “vedete quanta monnezza inquinante stiamo buttando in aria?”.

    Devo peraltro far notare che le torri evaporarive non sono necessariamente legate a una centrale nucleare.
    Si usavano quando non è disponibile un corso d’acqua/bacino di portata sufficiente per smaltire la quantità di calore prodotta dalla centrale termoelettrica, nei periodi in cui non viene utilizzato per il teleriscaldamento (obbligatoriamente non utilizzabile per ragioni di sicurezza nel caso di centrali nucleari).
    La centrale termoelettrica di BS non dispone di torre evaporativa, ma in estate utilizza un basso edificio con il tetto dotato di un enorme scambiatore di calore dotato di una pletora di ventoloni (in pratica un radiatore ingigantito), che raffredda l’acqua di ricircolo senza ovviamente rilasciarla in atmosfera.

    Vedremo che combineranno i nostri nelle stanze dei bottoni… no… delle parentesi.

    • donato b.

      Devo confessare che ho avuto la stessa identica impressione, per cui quando vedo quelle immagini mi viene voglia di cambiare programma (e spesso lo faccio).
      E’ il prezzo che bisogna pagare al pressappochismo dell’informazione d’effetto che oggi tanto va di moda.
      Ciao, Donato.

  3. Nicola

    Indubbiamente inquinare di meno è cosa buona e giusta,ma in quanto a carestie e alluvioni,la Cina ne ha conosciute di talmente gravi nel passato,che non si fa certo convincere a ridurre le emissioni di anidride carbonica. Nel 1887-88 una terribile serie di alluvioni uccise,secondo le stime più ottimistiche,900000 cinesi,nel 1931 un’altra serie di alluvioni provocò mezzo milione di vittime. Per entrambi gli eventi ho preso la cifra minore di vittime,ritenuta molto ‘ottimistica’. Ed è tutto dire. In Italia nel 1705 un’alluvione che coinvolse gran parte della Pianura Padana provocò 15000 morti,oggi completamente o quasi dimenticati.
    In altre parole,le cose nel passato andavano,da questo punto di vista,molto peggio di oggi. La popolazione umana è decuplicata in poco più di un secolo.
    Per quel che concerne l’aumento delle temperature su scala globale,è chiaro che il 2023 sarà l’anno più caldo delle misurazioni,e probabilmente degli ultimi secoli. Al riguardo avrei delle domande è considerazioni da porre
    1) Quanto ‘pesa’ il Nino,che perdura ormai da maggio,ed è uno dei più potenti degli ultimi decenni? E quanto pesa eventualmente l’attività umana in questo fenomeno,dato che si è soliti ripetere che si tratta di un fatto assolutamente naturale?
    2) L’aumento delle T è in realtà iniziato a metà ottocento,dato che il 1850 è ritenuto l’anno di fine della Piccola Era Glaciale. Solo che a quella data,l’inquinamento e l’aumento di concentrazione di gas serra erano pressoché irrilevanti. Quale può essere il fattore che ha innescato l’uscita dalla Peg? Sono state le tempeste magnetiche solari in aumento,o forse è arrivato più calore dal sottosuolo? O la Terra si è un po’ avvicinata al Sole? Perché CO2 e metano nel 1850 erano alla stessa concentrazione di 1000 o 10000 anni prima. O forse questa maggiore inclinazione dell’asse terrestre,registrata di recente,ha favorito lo scioglimento dei ghiacci? Non dimentichiamoci che l’uscita dall’era Glaciale di Würm fu provocata da una maggiore inclinazione dell’asse terrestre,e si ritiene che in soli 40 anni la T sia cresciuta di 7-8° se non di più.
    3) Al riguardo delle variazioni delle T,le carote di ghiaccio estratte da Groenlandia e Antartide ci parlano di T più alte di oggi nel corso di questa era interglaciale,e di variazioni abbastanza rapide delle T stesse. Potete confermarlo?
    4) Sul piano aneddotico,se è vero che nel Medioevo si coltivava il grano a Trondheim,che i vichinghi si erano trasferiti in una Groenlandia più vivibile di oggi,che sull’isola di Terranova crescevano spontaneamente i vitigni selvatici,e altri fatti di questo tenore,dovremmo concludere che fino al 1200 o anche dopo sulla Terra faceva più caldo di oggi. Ma a metà del 1300 la Terra entra nella cosiddetta Piccola Era Glaciale. Al riguardo si ritiene che l’ingresso in questa epoca così fredda sia databile alla metà del 1300,quando a Colonia nevica a Luglio.
    Concludendo,dal 1200 al 1350 passiamo, sul piano aneddotico e non solo,da un’epoca più calda di oggi,a un’epoca decisamente più fredda. Il tutto in 150-200 anni. Forse poco più,ma il cambiamento climatico,perfettamente naturale,sembra sia stato decisamente rapido.

    • donato b.

      Domande interessanti ed alle quali non è facile rispondere con un commento: per ognuna di esse su CM esistono decine di articoli, di cui alcuni anche a mia firma. Per quel che
      mi riguarda posso solo affermare che la realtà è molto più complessa di quanto appare ed è difficilissimo (impossibile?) riassumere in poche battute ragionamenti molto complessi e su cui sono in corso discussioni annose.
      Ad ogni buon conto la verità non sta da una parte sola e ognuna delle tesi sostenute dai vari attori, ha aspetti che non devono essere trascurati: l’uomo non è colpevole di tutto, ma neanche puà essere considerato innocente a prescindere. E’ uno degli elementi, ma non l’unico, che determinano il cambiamento dell’ambiente in cui viviamo e di questo dobbiamo farcene una ragione.
      Ciao, Donato.

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