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Quando l’Opinione Diventa Scienza

Da qualche tempo andiamo effettivamente leggendo su diversi blog frasi quali: “quelli tra coloro che negano la validità dei risultati che la scienza del clima oggi ci propone”. Questo è l’esempio perfetto di quando l’opinione diventa scienza. Infatti, in pieno dibattito sulla scienza del clima, nonostante qualche anima bella continui a sostenere che ‘the debate is over’ (il dibattito sia finito), si coglie una incredibile voglia di paraocchi su quello che sta succedendo: la fusione dei ghiacciai himalayani non suffragati da dati peer reviewed, lo svarione olandese relativo alla percentuale di territorio a rischio, la potenziale raccolta alimentare a rischio dei paesi del terzo mondo stravolta da stime da carestia completamente irragionevoli, la prospettata redistribuzione degli apporti precipitativi, che vedono più gente che cesserebbe di avere problemi di approvvigionamento idrico di quanta non comincerebbe ad averne, problema di cui si è colpevolmente ignorato il primo effetto ed esaltato il secondo.

Questi sono chiari esempi di opinioni trasformate in scienza, e quello che è peggio è che a farlo sia stato il massimo organismo preposto a questa scienza, il quale si è ripetutamente scusato per gli incidenti. Non voler vedere il numero crescente di dimissioni, di abbandoni da parte di stimatissimi scienziati dall’IPCC, non voler leggere le tonnellate di scuse per l’uso di dati raccolti da tesi di parte o da rapporti di organizzazioni ambientaliste, e parlare di “coloro i quali negano la validità dei risultati ecc.” vuol dire voler fare appunto di una opinione della scienza.

Una ulteriore dimostrazione di questo tentativo di imporre un ragionamento pericolosissimo per la scienza ci viene da un recente editoriale della rivista Nature. In questo editoriale appare molto chiaramente il peso di una idea predeterminata, che non è sicuramente il modo vero di fare scienza, è la volontà di indirizzare un consenso ammantandolo di un substrato accademico. Nell’editoriale il dibattito climatico viene descritto come una contesa fra ‘scientists’ e ‘skepticals’ (scienziati e scettici). Questa è vera disinformazione: quasi che gli scettici non possano appartenere a prescindere alla categoria degli scienziati!

E allora perché mettere in piedi una commissione d’inchiesta, anzi due? Già, perché mentre il parlamento inglese indaga sulla magra figura mediatica fatta dai suoi scienziati, cercando di capire se il loro lavoro sia stato o meno condizionato dall’approccio ideologico, le Nazioni Unite annunciano di voler formare un board indipendente che faccia lo stesso per quanto scritto dall’IPCC nel rapporto del 2007. Queste iniziative, a dir poco doverose, sono da vedere chiaramente come dei salvagente lanciati ai naufraghi in difficoltà: se l’esito delle indagini sarà positivo, ovvero se i nostri eroi finiranno per aver ragione, atteggiamenti e procedure saranno sdoganati e mondati da ogni peccato; allo stesso tempo, se il problema non fosse reale, non avremmo visto fare nessuna indagine. Tutto questo non sfiora neanche lontanamente la mente dell’editorialista di Nature e del suo editore, che continuano dritti per la loro strada senza curarsi del danno che stanno provocando ad una delle fonti di divulgazione scientifica più autorevoli dell’intero panorama informativo. Sono schierati, atteggiamento che nel mondo libero non è in discussione, ma nel mondo scientifico è irricevibile.

Se riassumiamo i fatti scopriamo che ci troviamo nella seguente situazione: l’IPCC fa un rapporto, dichiara che 2500 esperti di ogni genere, tra cui molti climatologi ma anche molti altri che con il clima c’entrano come le mele con le pere, lavorano a leggere tutta la letteratura peer review, si scopre poi che i dati del rapporto collidono con la letteratura peer review, si scopre che i dati hanno origine dalle più svariate fonti ivi compreso il salumiere sotto casa (degnissima persona e con salumi eccellenti), l’IPCC ammette, si scusa per tutti i numerosi errori e qualcuno ci viene a raccontare cose su tutti quelli che negano la validità dei risultati che la scienza del clima oggi ci propone! Si vede che abbiamo visto veramente dei film diversi. Poi, o 2500 persone, massime autorità delle loro materie si presume, non conoscono la letteratura peer review, o qualcuno non ce la racconta giusta sul sistema che porta alla stesura del famoso, o famigerato, rapporto.

Il punto è che tutto questo si sapeva da tempo, e non c’era bisogno di trafugare mail, scoprire errori marchiani o smascherare condizionamenti ideologici di vario genere, bastava documentarsi sulla natura e struttura stessa del panel. Un organismo in cui quelli che ne dovrebbero essere le colonne portanti, gli scienziati, sono poco più che comodini. Chi comanda e dirige le operazioni sono i lead authors per i singoli capitoli, le élite dei tre diversi Working Group –leggi ad esempio Climatic Research Unit per il WGI, quelli delle famose mail trafugate- e, soprattutto, il panel vero e proprio ed il bureau (rispettivamente trecento e ventotto membri), organismi squisitamente politici nei quali la valenza accademica e il mandato ricevuto dal paese di appartenenza all’atto della nomina si confondono pericolosamente. Per quale motivo altrimenti i Summary For Policy Makers, i riassunti per i decisori, sarebbero redatti dopo estenuanti trattative e pubblicati con anticipo medio di tre mesi sul corpo del rapporto, ammettendo esplicitamente che quest’ultimo arriva dopo perché deve essere allineato al rapporto cioè al risultato delle trattative?

La realtà è che non stiamo parlando di scienza, ma di scienza del consenso. Questa nuova metodologia sociale (che non si può certo definire galileiana) si ciba di opinioni, di risultati non ripetibili quindi non falsificabili, e di una campagna mediatica mirata ed attenta ai messaggi sensazionali, proprio nello stile suggerito da S. Schneider agli albori di questo movimento: “per catturare l’immaginazione del pubblico […] dobbiamo offrire scenari paurosi, fare dichiarazioni semplici e drammatiche e dire poco sui dubbi che si possono avere. Ognuno di noi deve decidere il giusto equilibrio tra l’essere efficace e l’essere onesto. Spero che ciò significhi le due cose assieme”. Una scienza del consenso il cui corpo assiomatico principale si struttura in concetti squisitamente politici quali: impronta ecologica, principio di precauzione, concetto di sostenibilità. A ben poco vale dimostrare che non uno solo di questi nuovi dogmi riesca a ‘tenere botta’ ad una analisi un minimo approfondita. Sono opinioni che raccolgono consenso, consenso spesso, troppo spesso, veicolato dalla paura nel futuro. Ma questa è psicologia di massa, noi si vorrebbe anche parlare di climatologia.

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Published inAttualità

7 Comments

  1. Alessandro

    Da anni hanno parlato di effetto serra e desertificazione del sud dell’europa.
    Da buon chimico (non mi spaccio per “scienziato”) credo nel metodo galieiano e questo, insieme a 61 primavere, mi fa vedere un Appennino rigoglioso di boschi e sorgenti (quando 50 anni fa era spoglio e arido) e inverni piovosi o nevosi (vedi l’attuale) fino alla nevrosi. Sarà, ma qualcuno prima di parlare e soprattutto “predire” farebbe meglio a ricordarsi che spesso “è meglio stare zitti e dare l’impressione di essere stupidi che aprire la bocca e togliere immediatamente ogni dubbio”.
    Saluti

  2. Tore Cocco

    Dico giusto un paio di cose al volo, che a dire il vero dovrebbero risultare ovvie. Non v’è alcun dubbio che la climatologia sia una scienza che si nutre dei contributi di molteplici settori disciplinari, tuttavia la questione delle proiezioni IPCC e del sostegno ad essi è un pò frainteso. Tutti i non modellisti del clima che vengono annoverati come convinti sostenitori della necessità di interventi, per intenderci i famosi migliaia di scienziati, agiscono probabilmente in assoluta buonafede. In pratica i modellisti del clima in senso stretto tirano fuori degli scenari futuri, sulla cui base poi gli entomologi, gli agronomi, i chimici, meteorologi etc etc fanno a loro volta delle proiezioni; queste proiezioni sono fatte su altri modelli diversi dai modelli climatici, ebbene i dati di input di tali modelli non sono altro che i dati di output dei modelli climatici (dopo opportuno downscaling); il succo del discorso è semplice, tutti gli scienziati, sulla base delle loro proiezioni sono d’accordo sulla necessità degli interventi, ma tale accordo come si può ben capire deriva dal fatto che i vari specialisti si devono fidare necessariamente a monte della bonta delle proiezioni climatiche dei modellisti del clima; se quest’ultimi fornissero proiezioni improntate ad un raffreddamento futuro tutti gli altri specialisti darebbero i loro allarmi in senso opposto, sulla flora, la fauna, il rischio idrogeologico etc., se poi invece dai modelli climatici venisse fuori un clima perfettamente stazionario allora gli altri scienziati si adeguerebbero di conseguenza.
    In definitiva tolti i politici e tolti tutti i non modellisti del clima, ovvero tutti gli altri scienziati che stanno al traino (in buona fede), rimangono pochi gruppi che determinano il segno di cio che si prevede per il futuro, quindi a guardar bene il presunto accordo nella comunita scientifica su certe previsioni è in realtà composto da poche persone, appunto i modellisti del clima.
    Ho continuato a chiamarli modellisti del clima e non climatologi, perchè come ricordano spesso Georgiadis, Guidi e gli altri, si può essere climatologi pur venendo da settori molto diversi, mentre la piccola branca dei climatologi che si occupa di proiezioni future è appunto un sottoinsieme della climatologia. Gli stessi Georgiadis e Guidi sono perfettamente coerenti col loro pensiero, quando criticano la “climatologia ” IPCC, che è in realtà limitata alle proiezioni future, ed in tal senso specifico i non modellisti del clima ed il loro presunto accordo ci stanno bene con le presunte evoluzioni del sistema climatico (modellistica) come le mele con le pere, sono solo i modellisti del clima a indicare la strada, il parere degli altri per quanto riguarda gli scenari futuri è solo ed esclusivamente un riflesso.
    Se poi agli scenari secondari (quelli derivanti dai modelli non climatici di cui ho parlato), si aggiunge un pizzico di interpretazione da parte di menbri politici dell’IPCC, beh allora il danno vien da se e lo vediamo tutti ultimamente.
    Io ho inteso in questo senso il pensiero degli autori, ed in ciò ho visto assoluta coerenza, poi loro, in caso avessi frainteso, mi correggeranno.

  3. @ Alessio
    La tesi scientifica non è in discussione in quanto tale, perché come tutte le altre può e deve essere soggetta ad analisi critica. In nessun altro campo dello scibile umano questo è stato mai clamorosamente osteggiato o addirittura impedito come con riferimento all’AGW. Già questo sarebbe sufficiente a far sorgere qualche dubbio. Ad ogni modo, non è neanche giusto trincerarsi dietro le presunte esagerazioni dei divulgatori. Un esempio: Hansen oggi era a Roma alla fondazione Peccei. Era lì in veste di scienziato o di divulgatore? Perché con il primo cappello non ha aggiunto una virgola a quello che già si sa ed è oggetto di acceso dibattito, con il secondo ha pronosticato la fine del mondo. E’ appunto questa commistione d aver avvelenato il clima, non l’averla rilevata e fatta notare. E i primi ad impedire che questo potesse accadere avrebbero dovuto essere proprio quelli che, come giustamente dici, lavorano con impegno, serietà e spirito di abnegazione, quali siano le loro opinioni e convinzioni in merito alla questione.
    gg

  4. teo Georgiadis

    @Galati ed Alessio
    Parlo per me, poi naturalmente Guidi espora’ il proprio punto di vista.

    Vediamo alcuni fatti (e se mi sbaglio Vi prego di correggermi)

    Sugli ingegneri ferroviari, pur continuando a pensare che sono innumerevoli i contributi dalle diverse discipline, io continuo ad avere delle perplessita’ e, visto che il presidente IPCC e’ un ingegnere ferroviario, posso pensare che non sia stata la scelta piu’ azzeccata. Non e’ un mutevole punto di vista, e’ una critica all’pportunita’ di sostituire un climatologo con appunto un personaggio un po’ meno trained sull’argomento.

    Giungiamo alla questione dei ghiacciai himalayani. Il rapporto IPCC ha utilizzato letteratura non pr (lo ammette lo stesso IPCC). Se questo tassello del quadro viene rimesso in discussione perdiamo un pezzo di tipping point importante.

    Effetti sulla raccolta alimentare e territori a rischio sono altri spiacevoli incidenti ammessi dall’IPCC. Anche questi ritengo siano tasselli importanti.

    Poi, abbiamo l’altezza del livello del mare che permane il buco nero degli effetti AGW perche’, spero concordere, i conti non sono mai tornati. ma questo fa parte di un dibattito piu’ antico.

    Prima risposta: se togliamo tutte queste cose quanto resta del cosiddetto quadro conoscitivo? Intendo di Hard Science non risultati di modelli. Il trend delle temperature?

    Mi sembra che vi siano sufficenti elementi per dire che il dibattito non sia concluso. No, non e’ una frase di Al Gore, ovvero anche, che il dibattito sia ‘over’ e’ stato detto da Pachauri e da moltissimi eminenti rappresentanti dei governi e scienziati.

    Unitamente alle lettere di abbandono (partendo da Landsea per passare a Christy e poi ad un discreto numero a valle del famigerato Climategate) e’ stato da piu’ parti indicato che le richieste di modifiche da parte di contributori nel confronti delle bozze dei singoli WP sono state inascoltate. Si e’ anche sottolineato che il nome dei chiamiamoli dissidenti compare nel rapporto nonostante le richieste di modifica del testo se non di cancellazione del nome.

    Tutto questo non bisogna leggerlo in testi segreti, sono lettere che compaiono agevolmente in internet e sono firmate dagli interessati.

    Onestamente mi sfugge come a riportare fatti, peraltro ammessi dall’IPCC, si possa arrivare a facili conclusioni ed a invelenire il dibattito. Quello che osservo dalla mia visuale, indubbiamente limitata, e’ che dopo questi accidenti di percorso le sensibilita’ si sono notevolmente acuite in particolare in chi sosteneva che gli scettici erano da considerarsi alla stregua dei dinosauri.
    Cordialmente

  5. Alessio

    @ Georgiadis

    (premetto che molte cose le sembreranno banali data la sua esperienza nel campo. ma lo fo per il lettore di passaggio, che’ senta un’altra campana)

    Alle volte mi piacerebbe un po’ meno di facile populismo in un pamflet di idee in parte preconcette e in parte derivate da facili semplificazioni.
    1) ‘the debate is over’…..se parliamo di Al Gore, manco mi pronuncio. Non lo considero parte del dibattito scientifico e concordo faccia solo del male alla causa. “Ma e’ gente come lui che forma il dibattito al livello dell’uomo della strada!” Ok, allora definiamo, perche’ non mi e’ chiaro se ci si scaglia contro le idee scientifiche o i loro tramiti nella divulgazione.
    2) “Non voler vedere il numero crescente di dimissioni, di abbandoni da parte di stimatissimi scienziati dall’IPCC” per favore definiamo numeri e trend della diaspora.
    3) “Questa è vera disinformazione: quasi che gli scettici non possano appartenere a prescindere alla categoria degli scienziati!” E’ ben noto lo scetticismo all’interno del dibattito sul funzionamento del clima. Ma un conto e’ (cito un esempio recente, ma la critica di Lacis alla prima draft del rapporto del WG1 va bene comunque) una Salomon che in maniera circostanziata e scientificamente fondata propone nuovi punti di vista nella lettura delle temperature stratosferiche e troposferiche, un altro sono personaggi come Erl Happ che hanno una visione originale tutta loro del funzionamento dell’atmosfera terresre (http://bravenewclimate.com/2008/11/11/response-to-a-wine-industry-climate-change-skeptic/).
    4) “dichiara che 2500 esperti di ogni genere, tra cui molti climatologi ma anche molti altri che con il clima c’entrano come le mele con le pere” a parte qualche delegato definito dai governi nella lettura del draft finale (numero 3), il grosso della stesura e’ fatto da climatologi. Come Galati ha specificato, non direi che uno studioso di speleotemi sia una pera in un cesto di mele.
    5) “Un organismo in cui quelli che ne dovrebbero essere le colonne portanti, gli scienziati, sono poco più che comodini. Chi comanda e dirige le operazioni sono i lead authors per i singoli capitoli, le élite dei tre diversi Working Group” Lavoro con un lead author IPCC e diversi contributors. Se si insinua che il suo primo interesse non sia un buon rapporto scientifico ma leccapodismo politico la prima reazione credo sarebbe essere molto seccato, la seconda raccoglierebbe un velo di tristezza negli occhi, la terza un “chissenefrega di quello che mi dicono, io sono certo di fare un buon lavoro e mi nteressa di offrire un buon prodotto scientifico” e farebbe di tutto per dimostrare che la forma sceintifica alla quale lavora e’ la priorita’. Puo’ sembrare zuccherata ingenuita’ condita da “volemose bbene”, ma vedo che qui funzia cosi’. E mi sento di poter allargare la visione ad altri lead authors per quello che ho potuto vedere nella mia limitata esperienza (ok, aspetto di immergermi del brutale mondo di fuori). Poi, come in ogni organizzazione, pubblica o privata, ci sono quelli che lavorano male. E la caduta sui ghiacciai himalaiani ne e’ un fulgido esempio. Il che mi porta all’ultimo punto,
    5) “l’IPCC ammette, si scusa per tutti i numerosi errori” sarebbe bello definire un peso ai numerosi errori trovati, in relazione al corpo intero delle evidenze, numero (effettivo…numerosi implica un range ampio e magari non veritiero…), loro rilevanza e fondatezza delle conclusioni, definire una metrica ed osservare quanti e quali dei “numerosi errori” minano profondamente la base scientifica proposta dal corpus.

    Non so, sono davvero colpito dalla facilita’ con cui si riportano fatti e si arriva a conclusioni dirette in un problema cosi’ articolato. Io credo non aiuti il dibattito scientifico vero, ma che in questo modo si alimentino solo inutili chiacchiere e velenose insinuazioni.

  6. Luca Galati

    Si legge:
    “l’IPCC fa un rapporto, dichiara che 2500 esperti di ogni genere, tra cui molti climatologi ma anche molti altri che con il clima c’entrano come le mele con le pere”

    certo, ci sono dentro tutti quelli che contribuiscono a formare la climatologia in toto ovvero oceanografi, chimici, biologi, fisici, glaciologi…non era forse questo che rivendicavate tempo addietro come costituenti della Climatologia come scienza? Chi sarebbero allora i Climatologi secondo il vostro personalissimo e mutevole punto di vista?

  7. Luca Galati

    Questo mi sembra un contropost a qualcosa che ho già letto…

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