La pubblicazione del nostro Outllok, del suo seguito e della previsione basata sull’indice OPI continuano a generare interessanti spunti di discussione. Molti di questi afferiscono a specifiche richieste di previsioni più o meno dettagliate, alle quali rispondiamo sempre nelo stesso modo: non si può fare, almeno non attualmente. Altri, e sono quelli più interessanti, si pongono il problema dell’uso che si potrebbe fare di questi tentativi. Per esempio Luigi Mariani in suo commento si è posto una domanda interessante. Carlo Colarieti ha successivamente risposto, ampliando il concetto e fornendo ulteriori spunti di riflessione. Vi riporto di seguito entrambi i passaggi aspettando le vostre impressioni.
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Commento di Luigi Mariani
Inviato il 09/11/2013 alle 08:40
Alla luce del considerazioni fin qui svolte, emerge che l’outlook non è prodotto da lasciare in mano ad utenti finali (es: il giornalista che vuol raccontare come sarà il tempo per Natale o il turista che vuol programmarsi la settimana bianca a febbraio o ancora il gestore di scorte energetiche che deve fare contratti per l’inverno successivo). La domanda che possiamo allora farci è se in base alle uscite dell’outlook sia possibile confezionare dei prodotti per utente finale in forma di bollettini (ovviamente su base probabilistica). Io credo francamente di si ma su questo mi farebbe piacere sentire il suo giudizio.
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E la risposta di Carlo Colarieti
Egregio prof. Mariani,
per rispondere al suo quesito credo che per prima cosa dobbiamo domandarci cosa non possiamo fare e poi, per differenza, individuare cosa invece è possibile fare. Mi conceda una trattazione tutt’altro che breve, ma la sua domanda mi permette di introdurre una serie di considerazioni che tutte concorrono a rispondere meglio alla sua domanda. Non torno sulle criticità oggettive nella formulazione degli outlook già trattate per grandi linee nell’articolo, ma vorrei focalizzare l’attenzione su di un aspetto.
I prodotti meteorologici sono delle elaborazioni tecniche ad uso di persone in grado di decriptare le informazioni ivi contenute. Sembra una banalità che infatti lo è, ma solo per chi è nella condizione di saperle interpretare. I bollettini meteorologici sono le conversioni di quelle informazioni tecniche (leggibili per pochi) ad informazioni di massa comunemente e facilmente interpretabili. Queste possono essere derivate totalmente su base oggettiva (conversione stile traduttore di lingue su google con tutti i limiti del caso) oppure attraverso l’analista che introduce elementi non scritti direttamente sul dato oggettivo ma ricavati da altre fonti come ad esempio l’esperienza personale.
Perdoni la lunga introduzione a mio avviso necessaria per proseguire nel cuore del ragionamento. Entrando quindi nella valutazione del tema proposto comincerei ad esempio proprio dal nuovo interessante indice scoperto da un brillante gruppo di giovani italiani a cui hanno dato il nome di OPI acronimo di October Pattern Index. Questo indice, secondo quanto emerso dallo studio degli autori, ha una particolare efficienza nel descrivere lo stato di “salute” (compattezza o debolezza) del vortice polare della stagione invernale partendo dall’analisi del suo stato, per così dire primordiale, del precedente mese di ottobre.
Un approccio similare è da me utilizzato attraverso un indice da me elaborato chiamato Indice di Zonalità Emisferica. Questo, se analizzato nel mese di ottobre, interpreta lo sviluppo del vortice polare indagando sull’anomalia di velocità del vento zonale alla quota isobarica di 300 hPa tra le alte e le basse latitudini. L’informazione ricavata è quanto basso o alto in latitudine va sviluppandosi il fronte polare e quindi il grado di compattezza del vortice polare che poi tenderà a conservare nel tempo.
A mio avviso anche se la correlazione, di per se già elevatissima, tra l’indice OPI o qualunque altro indice con l’indice AO (oscillazione artica per chi partecipa a questo nostro dialogo) fosse pari a 1 non sarebbe comunque sufficiente a descrivere compiutamente sia il reale svolgersi delle vicende meteorologiche che la loro sequenza temporale nell’arco della stagione invernale. Il problema più grosso nel fare previsioni stagionali su base di un particolare indice come l’OPI o altri, sia pur altamente performanti, è quello di tradurre il loro valore in condizioni meteorologiche a scala temporale assai più ridotta (su questo tema sono dedicati i miei sforzi di ricerca). Supporre una media trimestrale positiva o negativa dell’indice non ci autorizza a determinare con certezza che tutti i giorni del trimestre pongano l’indice AO in assoluta positività o negatività.
L’OPI può essere di validissimo aiuto se utilizzato quale punto di partenza di una valutazione più complessiva dello stato dell’atmosfera e quindi affiancato con tutte le altre variabili, come scritto nel post, endogene ed esogene al sistema terra che ci informano sulle possibili risposte del sistema atmosferico. Infatti l’atmosfera non si comporta allo stesso modo in presenza di indici dal valore relativo simile o anche identico. La risposta è infatti dovuta alla sommatoria delle molteplici forzanti agenti nel sistema che apportando anche piccole variazioni producono diversi effetti. Per completezza il tutto deve essere ben condito con una buona analisi statistica.
Quindi a mio giudizio ciò che non possiamo attualmente fare (per latitudini extratropicali) è elaborare informazioni analitiche sulle condizioni generali previste a scala temporale almeno decadale su l’intero trimestre stagionale su una dimensione geografica a mesoscala o minore.
Questo limite attualmente invalicabile è dovuto alle variabili di input utilizzate che di per sé hanno una incidenza a scala sinottica e alla non linearità di risposta del sistema climatico ad ognuna di esse ma alla loro sommatoria. Inoltre la conoscenza di come si evolvono nel tempo molte di quelle variabili è allo stato dell’arte non compiutamente nota (senza considerare che forse non le conosciamo nemmeno tutte) e giacchè influenzano lo svolgersi delle dinamiche che determinano le singole evoluzioni meteorologiche, che si tradurranno nella complessiva caratteristica climatica che assumerà la circolazione generale dell’atmosfera, introducono già in fase di analisi ed interpretazione delle criticità di errore non irrilevanti.
Quindi non potendo dire con mesi di anticipo se avremo un bianco Natale o se in un determinato periodo circoscritto di un’intera stagione vi saranno maggiori o minori consumi energetici per il riscaldamento invernale o il condizionamento estivo, queste informazioni o bollettini rischiano di non essere di particolare aiuto nell’uso di massa o peggio in ambito economico. Diversamente, quindi, possiamo elaborare bollettini che, con una unità di misura sempre un “tantino spannometrica”, possono delineare informazioni mensili o, in particolari condizioni e sbilanciandosi, quindicinali, che interpretando le variazioni atmosferiche facenti capo alle molteplici variabili in gioco possono essere tradotte in una risposta del comportamento atmosferico con un certo ritardo temporale.
Quindi, in definitiva, la mia risposta alla sua domanda è complessivamente affermativa ma il tipo di informazione offerta torna ad essere quella degli outlook oggi elaborati, ovvero abbastanza grossolana, la cui applicazione si conferma piuttosto limitata.
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E’ chiaro che non stiamo chiedendo ai lettori di CM di dire la loro circa la possibilità o meno di elaborare previsioni più o meno attendibili di quelle attualmente disponibile, sia loro provenienza di tipo modellistico o fenomenologico, quanto piuttosto di esprimere un parere, possibilmente circostanziato, circa i settori di applicazione che potrebbero avere le informazioni di cui oggi disponiamo. Da previsore di lungo corso, penso ormai da parecchio che il tempo dell’invasione di informazioni essenzialmente replicate che hanno il solo scopo di riempire i media sia quasi finito. Le applicazioni specifiche che potrebbero risultare davvero utili sono innumerevoli, disporre di prodotti specificatemente sviluppati e attendibili potrebbe permettere un salto di qualità non indifferente. Attendo con curiosità le vostre impressioni.





Gentile dottor Colarieti,
la ringrazio moltissimo per l’impegno profuso nel rispondere alla mia domanda e credo che allo stato dell’arte le sue considerazioni mi paiono del tutto condivisibili.
Volevo anche dirle che per cercare di migliorare la nostra capacità di utilizzare indici con potere predittivo nel lungo termine mi è venuta in mente la seguente idea: lavorando su serie storiche sufficientemente lunghe (es: 30 anni) si potrebbero individuare le frequenze dei diversi tipi di tempo (intesi come pattern circolatori a scala sinottica o meso-sinottica) per particolari intervalli dell’indice OPI o di indici analoghi e per i mesi di dicembre, gennaio, febbraio (o anche decade per decade).
In tal modo potremmo tradurre il tutto in termini di rischio climatico e saremmo così in grado di rispondere a domande del tipo “con il valore di OPI di quest’anno qual’è il livello di rischio di un’irruzione fredda siberiana da est nella prima decade di gennaio?”. Credo che un tale prodotto potrebbe essere utile per un uso più esteso degli indici tipo OPI.
Luigi Mariani
Illustre Professore,
non le nascondo che quanto da lei suggerito corrisponde, in parte, alla tecnica da me usata per la formulazione degli outlook. In parte perché, a questa, va poi sovrapposta la prognosi delle variabili e l’analisi della struttura del vortice polare stratosferico con una particolare attenzione al gradiente di geopotenziale, tra alte e basse latitudini, alle quote isobariche della medio-bassa e medio-alta stratosfera. Al termine del lavoro si possono ottenere anche diversi anni con configurazioni sinottiche simili. Il problema, come scritto qui sopra, sta nella diversa risposta dell’atmosfera a piccole variazioni. Mi spiego meglio, a situazioni sinottiche simili in sede di analisi possono facilmente corrispondere altrettante configurazioni sinottiche simili in fase di prognosi per i mesi invernali di dicembre, gennaio e febbraio. Il problema che le condizioni iniziali simili, ma non identiche (non ho mai riscontrato situazioni perfettamente sovrapponibili), determinano variazioni a mesoscala e microscala di difficile prognosi. Un caso di esempio classico è proprio l’indice AO.
A condizioni di positività dell’indice, e viceversa, non corrisponde necessariamente un pattern che prevede una insistenza della fascia degli anticicloni ad invadere e stazionare sul Mediterraneo centrale, questa semmai è la condizione con più elevate probabilità. D’altronde il caso attuale sancisce bene quanto appena detto, visto che l’indice AO pur trovandosi in elevatissima positività non si è tradotto nello sviluppo di una figura anticiclonica stabile su tutto il Mediterraneo centro-occidentale. Il motivo risiede in quelle piccole differenze che hanno fatto sì che il suo fratello minore, indice NAO, non ha affatto seguito la stessa evoluzione. Questo è il limite cui ho fatto riferimento. Visto che l’obiettivo è quello di derivare ad una terza via la previsione del pattern circolatorio (prognosi trimestrali o al massimo mensili) ad una prognosi ibrida, che ne conserva la cadenza stagionale introducendo una sequenza degli eventi meteorologici a scala temporale decadale, è necessario trovare l’anello mancante che riesca a tenere conto delle inevitabili disuguaglianze. Un esempio pratico per il Mediterraneo centrale è l’individuazione esatta dei centri motori della circolazione, da cui deriva già una maggiore difficoltà nella elaborazione delle previsioni meteorologiche a media scadenza. Un loro minimo scostamento in coordinate geografiche, affiancato alla variegata orografia del territorio, può determinare a condizioni simili di anomalia del geopotenziale o della pressione al suolo enormi differenze nella distribuzione delle precipitazioni, un po’ meno per il campo termico.
Carlo Colarieti Tosti