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Addio al risotto, oppure no?

Magari non è proprio un piatto tipico del periodo estivo, ma se è ai frutti di mare ci può stare. Eppure pare proprio che dovremo imparare a farne a meno, naturalmente sempre a causa del dannatissimo global warming. Quanto segue è un lancio d’agenzia di qualche giorno fa:

(ANSA) – ROMA, 12 AGO – L’aumento delle temperature sta falciando la produzione di riso in Asia, Paese che produce il 90% di questo cereale nel mondo e da cui dipendono 6 asiatici su 10 per il loro sostentamento. Negli ultimi 25 anni, a causa dell’aumento dell’innalzamento della colonnina di mercurio, soprattutto per i valori notturni, e’ andato perso il 10-20% della produzione totale di riso. A queste conclusioni e’ giunto uno studio realizzato da esperti della Fao, dell’International Rice Research Institut, dell’universita’ della California e della Duke University, pubblicato sui Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS). Lo studio e’ il primo realizzato basandosi su rilevazioni provenienti da 227 aziende agricole, con impianti di irrigazione, situate nei sei principali Paesi vocati alla coltura del riso, tra il 1994 e il 1999. ’’Fino a un certo punto – ha detto Jarrod Welch, autore principale del rapporto dell’Universita’ della California a San Diego – le temperature diurne piu’ elevate possono aumentare la resa del riso ma in futuro in futuro ci sara’ un’inversione di tendenza perche’ l’effetto dell’aumento delle temperature notturne, che crescono piu’ rapidamente, sopravanzera’ il beneficio apportato da quello delle massime diurne, portando a una perdita netta. Senza contare che se le temperature diurne aumentano troppo, anch’esse finiscono per causare un’ulteriore perdita di produzione’’. Il meccanismo che causa questo fenomeno non e’ ancora del tutto chiaro ma, secondo i ricercatori, dipende dal fatto che le piantine di riso sono costrette a respirare di piu’ durante le notti piu’ calde e quindi a consumare piu’ energia in questa attivita’ piuttosto che nella fotosintesi diurna.

Il messaggio è chiaro, se continua così addio alla produzione di riso. Il problema, più che dei nostri risotti è di quel paio di miliardi di persone per cui il riso costituisce la base dell’alimentazione. Occorre dunque cercare di vederci chiaro.

Così a prima vista mi pare che il lancio d’agenzia nasconda qualche problema, nel senso che è chiara l’intenzione di generare l’allarme ma non sono molto solide le basi su cui esso dovrebbe poggiare. Nel commento, l’esperto di turno sottolinea che l’aumento delle temperature diurne può in una prima fase favorire la produzione di riso, ma poi è destinato ad avere un impatto negativo, specie se questo aumento si allarga anche alle temperature notturne. Infatti perché la situazione si complichi leggiamo che si deve guardare al futuro. Nonostante ciò, sembra che dalla grande messe di dati esaminati nello studio (ben sei anni, quasi un’era geologica), si evinca che la contrazione sia già in atto.

Allora ho chiesto aiuto a Luigi Mariani, docente di agrometeorologia oltre che amico mio e di queste pagine, e lui mi ha svelato l’arcano. Per farlo è stato sufficiente documentarsi un po’, magari andando a vedere cosa dicono i dati ufficiali messi a disposizione dalla FAO circa la resa di tonnellate per ettaro del riso cinese ad esempio (i dati sono qui):

La resa per ettaro è in aumento da cinquant’anni, piaccia o no a chi presagisce catastrofi dietro l’angolo ogni volta che può. Ciò significa che gli effetti delle variazioni di temperatura ci saranno pure, e bene fanno gli studiosi ad analizzarli, ma sono evidentemente largamente sovrastati da altri effetti come il miglioramento genetico ed il miglioramento delle tecniche colturali.

Morale: il titolo del lancio d’agenzia è sbagliato, il corpo del testo è fuorviante e il risotto è salvo. Buon appetito.

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Published inAttualitàNews

13 Comments

  1. Come ha evidenziato Blatta nel suo primo commento, lo studio non parla di diminuzione della resa ma di una decelerazione nell’aumento della resa. E i dati forniti da Mariani mostrano benissimo l’incremento esponenziale in Cina avvenuto una trentina di anni fa.

    Il problema è sempre lo stesso: alcuni pseudo-scienziati mettono in evidenza quello che potrebbe apparire come un elemento negativo (figurarsi, una decelerazione in un aumento esponenziale), che vanno poi sempre a correlare ovviamente con le temperature (senza che magari ci sia nessuna relazione significativa).
    Poi arrivano i soliti giornalisti super-ignoranti che infarciscono la notizia con falsità e maggiori catastrofi futuribili. Nel caso i giornalisti non siano super-ignoranti, sono semplicemente super-bugiardi. Chissà che cos’è peggio per un giornalista?

  2. luigi Mariani

    Tanto per complicare un po’ le cose (sul riso, non sui ghiacci antartici), segnalo che il riso coltivato nel mondo appartiene tutto o quasi alla specie Oryza sativa L., che tuttavia consta di 2 sottospecie e cioè la Indica e la Japonica. Di queste la gran lunga più coltivata a livello mondiale è la Indica (es: in Cina e India si produce quasi solo Indica).

    Invece le nostre varietà da risotto (Roma, Arborio, Carnaroli, ecc.) per ragioni storiche legate all’introduzione del riso in Italia, avvenuta pare nel XV° secolo nel ducato di Milano, appartengono alla sottospecie Japonica che rappresenta oggi la gran massa della produzione italiana.

    Guido, possiamo tirare un sospiro di sollievo, nel comunicato stampa non parlavano del nostro risotto… Comunque propongo di metter in calce a questo dibattito un bel “giù le mani dal risotto!”: non si sa’ mai che ci ripensino e preannuncino una bella catastrofe in grado di mandare a ramengo anche quello.

    Luigi Mariani

    • Bene Luigi, grazie!
      Per festeggiare, tutti in pizzeria. Naturalmente cominciamo coi supplì.
      gg

  3. Bestia Bugblatta

    Ho fatto anch’io lo stesso ragionamento, ma , non conoscendo su quali assunzioni si basano i modelli non le ho esplicitate. Nell’articolo si parla di “crops” (raccolti) , temine che non vuol dire molto, anche perché alcuni raccolti potrebbero migliorare la resa con l’aumento delle temperature, inoltre anche per lo stesso tipo di raccolto potrebbero esserci ( o potrebbero essere selezionate) delle varietà che incrementano la resa con la temperatura.
    I ragionamenti dell’articolo mi ricordano quest’altra situazione:
    http://www.repubblica.it/ambiente/2010/08/16/news/clima_poli-6316246/?ref=HRV-9
    A parte le inesattezze (dicono che i ghiacci al polo sud aumentano meno di quanto diminuiscono al polo nord, ma l’anomalia di ghiaccio totale si è riavvicinata allo zero http://arctic.atmos.uiuc.edu/cryosphere/IMAGES/global.daily.ice.area.withtrend.jpg), anche in qui si afferma che il ghiaccio al polo sud, per ora, aumenta, ma i modelli dicono che diminuirà, ah se diminuirà!
    Mi è anche sembrato di aver capito che gli stessi modelli non hanno previsto l’aumento attuale, ma che per spiegarlo sono state fatte altre ipotesi a posteriori, è così?

    Sì, è così, un commento su questi aspetti uscirà giovedì.
    gg

    • Guido Botteri

      Simpatico l’articolo di La Repubblica.
      Scrivono tra l’altro:
      [ Al contrario invece, i ghiacci del Polo Sud stanno aumentando di circa l’1% per decade, anche se non in modo omogeneo (i ghiacci della Penisola Antartica infatti, vedono una diminuzione della loro estensione). ]
      Alla loro interpretazione manca però il dato fondamentale,le temperature in Antartide, che potete trovare qui (e cliccando sulle varie stazioni, le potete vedere tutte):
      http://www.antarcticconnection.com/antarctic/stations/rothera.shtml
      dove la temperatura odierna è di “meno 15 gradi”
      (e questa stazione,come potete verificare sta nella penisola antartica)
      lo dico per chi le controllasse un altro giorno, le temperature sono aggiornate
      (tranne quella di Palmer che probabilmente non funziona perché dà zero fisso da mesi e mesi)
      Come si fa a farsi un’idea di quel che succede in Antartide, dal punto di vista climatico, senza sapere che tipo di temperature ci sia laggiù ?
      Questo è un mistero che solo La Repubblica ci potrà spiegare, se vorrà.
      Secondo me.

  4. Bestia Bugblatta

    Sembrerebbe così

    The 2007 assessment of climate impacts from the Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) concluded that although a modest temperature rise could increase crop yields in some regions, for “temperature increases more than 3C, average impacts are stressful to all crops assessed and to all regions”.

    Tuttavia una diminuzione della resa già in atto, come era scritto nella prima stesura dell’articolo, avrebbe dato tutta un’altra forza al ragionamento.
    Alla fine parliamo solo di modelli.

    • Maurizio

      A me sembra, guardando il grafico, che l’aumento di produzione (triplicato in 50 anni) si stia assestando, forse perchè sono stati raggiunti i limiti tecno-agrari. Poi ci saranno anche anni più o meno buoni… non capisco dove venga perso “il 10-20% del raccolto negli ultimi 25 anni” anche perchè io, il risotto, lo mangio di frequente.

    • Luigi Mariani

      Circa i limiti tecnico-agrari, il grafico si riferisce alla sola Cina. Posso mostrarle grafici globali in cui la flessione non c’è o è assai meno accentuata.
      In realtà siamo ancora ben lontani dai limiti produttivi delle nostre colture, nel senso che le rese possono crescere ancora parecchio intervenendo su limitazioni idriche e nutrizionali che ancora oggi sono molto diffuse o creando varietà meglio adattate all’ambiente.

      Luigi Mariani

    • Luigi Mariani

      Si, in fine si parla solo per modelli.

      Tuttavia anche nel campo dei “se” la frase “temperature increases more than 3C, average impacts are stressful to all crops assessed and to all regions” è un falso clamoroso, nel senso che gli ipotetici 3 gradi in più significherebbero che:
      – territori prima non vocati all’agricoltura che diverrebbero vocati
      – colture con esigenze termiche rilevanti (es: mais) ma anche molto produttive potrebbero espandersi verso nuovi territori.
      – la stagione di crescita (stagione fra l’ultima gelata primaverile e la prima autunnale) diventerebbe più lunga consentendo di impiantare varietà a ciclo più lungo e dunque più produttive.

      E’ ovvio che per tali condizioni occorrono agricoltori svegli, in grado di cogliere le nuove opportunità; tuttavia per esperienza so che gli agricoltori sono in grado di adattarsi (a condizione che la tecnologia li aiuti).

      Luigi Mariani

  5. Guido Botteri

    cerco di sintetizzare quello che mi sembra di aver capito:
    ci stanno dicendo che, si, la produzione è aumentata
    (e questo mi sembra il dato vero)
    ma,
    secondo loro, le loro ipotesi, e i loro ragionamenti
    (ma non ancora secondo i dati sul campo)
    in futuro la situazione degenerebbe…
    (posto che il loro ragionamento fili, e che la loro ipotesi abbia fondamento, cose sulle quali da scettico veterano dubito assai…e se no che scettico sarei ?)
    ho capito bene ?

    • Luigi Mariani

      Si, nell’ultimo secolo la produzione unitaria (tonnellate per ettaro) di tutte le principali colture (mais, frumento, riso, ecc.) è aumentata in modo vertiginoso, moltiplicandosi per 4 o per 6.

      Una vera e propria moltiplicazione dei pani e dei pesci che si è resa possibile grazie all’ingegno umano (nuove varietà create dai genetisti, tecniche colturali sempre più razionali -> irrigazioni, concimazioni, diserbo, interventi antiparassitari, ecc.).

      Per esempio il frumento in Italia nel 1900 produceva in 1 t per ettaro e la qualità era scadentissima; oggi la produzione media nazionale è di circa 6 t per ettaro e la qualità è enormemente migliorata, il che significa pane migliore, pasta migliore, prodotti da forno migliori.

      Tali valutazioni sono trasponibili pari pari al livello globale (come mostrano ad esempio i dati FAO per il riso in Cina) e si chiamano “rivoluzione verde” che è poi quella che ha consentito di sfamare un’umanità che dal 1900 al 2000 è passata da 1.5 a 6.5 miliardi di individui.

      E si noti che a fronte dell’incremento di popolazione i sottonutriti sono rimasti sostanzialmente immutati in numero (erano 0.7-0.8 miliardi nel 1960 e sono tuttora quella cifra) il che significa un netto incremento della percentuale di popolazione mondiale liberata dalle condizioni di penuria alimentare (es: Cina e India oggi si avvicinano all’autosufficienza alimentare mentre anni 60 la sottonutrizione era da loro diffusissima).

      Che dire? A me paiono dati che dovrebbero indurci all’ottimismo ed a potenziare la linea di sviluppo fin qui tenuta in agricoltura, potenziando la ricerca nei settori del miglioramento genetico (ingegneria genetica inclusa) e delle tecniche colturali.
      Ad esempio se le temperature minime aumenteranno ostacolando l’accumulo di elaborati nella granella dei cereali (riso) il problema potrà essere risolto dai genetisti sviluppando nuove varietà che risentono meno di tale limitazione.

      Concludo segnalando che quanto sopra scritto è esattamente il contrario di quanto viene oggi propagandato su gran parte dei media il cui obiettivo mi pare quello di fomentare angosce malthusiane.

      Di tali angosce non abbiamo bisogno per affrontare il problema che oggi abbiamo di fronte e che è il seguente: la popolazione globale raggiungerà i 9 miliardi nel 2050 e poi inizierà a stabilizzarsi.
      Questo enorme problema si affronta con razionalità e non certo rinunciando alla tecnologia in nome di vagheggiamenti bucolici di sapore medioevale o pauperistico.

      Luigi Mariani

  6. Bestia Bugblatta

    L’argomento è già stato trattato qui
    http://wattsupwiththat.com/2010/08/11/of-rice-and-men/
    e qui
    http://wattsupwiththat.com/2010/08/12/bbc-to-issue-correction-on-rice-yields-story/
    da Antony Watts
    e sembrerebbe che la diminuzione riguarda non la resa, ma l’incremento della resa del riso (sembra un gioco di parole).
    A proposito di Watt, avete lette questo ?
    http://wattsupwiththat.com/2010/08/17/breaking-new-paper-makes-a-hockey-sticky-wicket-of-mann-et-al-99/

    Sì, è in “lavorazione”. 🙂
    gg

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