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Il paese dei balocchi verdi di Enel Green Power

A pensar male si fa peccato, ma quasi sempre ci si indovina. Pensa male chi ha scritto questo articolo su Il Fatto Quotidiano, se abbia ragione lo sapremo in futuro. L’argomento è la collocazione in borsa del titolo EGP (Enel Green Power). Il nome e l’home page, dove troneggiano torri eoliche e pannelli solari, chiariscono efficacemente la mission di EGP.

Un business che sulla carta promette bene, ma che necessita di enormi risorse. Così, si decide di andarle a cercare sul mercato collocando il titolo in borsa. Un titolo che, sempre sulla carta e secondo quanto detto dall’oste (per il quale, si sa, il vino è sempre buono), dovrebbe garantire buoni rendimenti nel medio-lungo termine.

Perché questo possa accadere, si promette in fase di collocamento che la grande maggioranza delle azioni andrà agli investitori istituzionali, quelli con le spalle larghe e la pazienza di aspettare che la “rivoluzione verde” scenda dalle montagne e vada al potere.

Così non è stato, perché nei mercati finanziari, quelli con le spalle larghe in genere hanno anche il cervello fino, e il titolo lo hanno snobbato, al punto che al termine della prima giornata di contrattazione, è stato possibile evitare il segno meno rispetto al prezzo fissato per il collocamento soltanto grazie all’ingresso nella partita dei fondi di investimento, gestiti sempre dalle stesse banche ovviamente, ma che investono i soldi dei piccoli risparmiatori.

Sicchè, tanto per cambiare, i rischi dell’impresa verde se li sono per ora accollati i piccoli mentre, come potete leggere nell’articolo, su tutto questo grava il sospetto che si sapesse già dall’inizio come sarebbe andata a finire. Non c’è che dire, proprio una bella rivoluzione verde.

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