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Finché c’è neve c’è speranza

Allora, alcuni anni fa prima che iniziasse la serie di inverni con innevamento abbondante -che con riferimento ad alcune zone si può definire da record- quelli bene informati andavano dicendo che i bambini delle prossime generazioni avrebbero conosciuto la neve solo nei racconti e nelle vecchie foto. L’ispirazione per questo vaticinio a di poco azzardato, oltre ad una buona dose di ignoranza, l’ha probabilmente fornita la fonte primaria della scienza del clima, l’IPCC.

Nel rapporto del 2007, tra innumerevoli altre affermazioni di vago stampo catastrofico, si leggeva:

[…] Mountain glaciers and snow cover have declined on average in both hemispheres […]

[…] I ghiacciai montani e la copertura nevosa hanno subito una diminuzione in entrambi gli emisferi […]

Questo il link

Certamente, ogni affermazione di stampo scientifico – e quelle dell’IPCC inevitabilmente lo sono, anche se allo stesso direttivo del panel piace farne un uso squisitamente politico- è valida in relazione al momento in cui viene fatta e ai dati che si hanno a disposizione. Il 2007 però non è praticamente ieri l’atro, specie in termini climatici, per cui quello che è accaduto negli ultimi due o tre anni conta comunque molto poco. In una serie storica un periodo così breve praticamente scompare.

Sicché forse vale la pena andare a dare un’occhiata alla copertura nevosa dell’emisfero settentrionale (both emispheres, ricordate?). La prima considerazione da fare è che anche questo aspetto delle dinamiche del clima è ben lungi dall’essere di facile comprensione. Una cosa è la neve invernale, altro è la neve nelle stagioni di transizione (sì, perché anche con il global warming malgrado quello che si sente dire c’è qualche posto del Pianeta dove nevica ancora…). Queste differenze sono importanti, perché specie per le alte latitudini, la neve nelle stagioni in cui c’è soleggiamento è importante in termini di albedo, cioè di quantità di radiazione solare che in quanto riflessa non viene assorbita e quindi riemessa sotto forma di calore.

Allora vediamo. Quello sotto è il grafico dell’innevamento invernale.

Non sembra che ci sia stata una diminuzione. Direi piuttosto che il trend è in leggero aumento, ma in questo potrebbero avere avuto effetto gli ultimi due anni. Diciamo che il trend non è statisticamente significativo.

Passiamo ora alla primavera.

Situazione diversa. Il trend è decisamente negativo, ultimi anni compresi. Impossibile però non notare il peso che hano in questa serie gli anni prima del 1990, cioè a cavallo tra quella che alcuni definivano l’imminente nuova glaciazione e il successivo global warming ruggente, culminato con il super El Niño del 1989.

E per finire l’autunno.

Niente trend, solo una discreta e normale variabilità interannuale.

Queste le informazioni quantitative. Vediamo un approccio diverso, cioè le anomalie rispetto alla media, includendo anche la stagione estiva.

Si nota una netta oscillazione di medio-lungo periodo. A cosa somiglia?

Fonte Wikipedia commons

All’oscillazione multidecadale delle temperature di superficie oceaniche (PDO), recentemente tornata in territorio negativo. Sicuramente è solo un caso.

NB:

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Published inAttualitàNews

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