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Che cos’è la filiera del Biogas?

A marzo del 2011 è stato varato il decreto legge 28 sulle rinnovabili, una legge quadro molto importante perchè definisce le linee guida che i legislatori dovranno seguire nei prossimi anni sui temi delle energie rinnovabili, sempre nell’ottica di una mitigazione climatica che nessuno è in grado di dimostrare.

In questo articolo farò una introduzione sulla filiera del biogas per poi in un secondo articolo analizzare l’evoluzione della filiera secondo le linee guida del decreto 28.

Un impianto per la produzione di biogas tramite la fermentazione anaerobica è a tutti gli effetti un allevamento di batteri metanigeri per il quale valgono tutte le regole delle zootecnia. La filiera del biogas abbraccia tutte le fasi produttive:

  • la produzione di colture dedicate
  • l’acquisto di biomassa liquida o solida
  • lo stoccaggio della biomassa liquida o solida
  • la raccolta degli effluenti zootecnici
  • la gestione degli effluenti zootecnici
  • l’impianto, l’assistenza biologica e la manutenzione
  • la produzione di energia elettrica, termica ed eventualente di biometano
  • la gestione del digestato e delle terre dove spandere il digestato

Le fasi degli impianti di biogas si possono paragonare alle fasi della digestione dei ruminanti:

  • pascolo, è il carico nel reattore della biomassa solida
  • abbeverata, è il carico della biomassa liquida
  • masticazione, sono le fasi di triturazione, premiscelazione e preriscaldamento della biomassa, con l’innesto di digestato
  • digestione ruminale, è la fase di idrolisi del primo stadio
  • ruminazione, il bolo ruminale viene rimasticato lentamente dai ruminanti in un’azione simile all’estrusione presente in alcuni impianti tra il primo stadio e il secondo stadio
  • digestione, nell’abomaso avviene la vera e propria digestione acida dei ruminanti che coincide con il secondo stadio (acidofilo) degli impianti a biogas
  • assorbimento intestinale e detossificazione epatica, sono il prelievo, la pulizia e il raffreddamento del biogas destinato al cogeneratore
  • defecazione sui pascoli, è lo spandimento del digestato, cioè di ciò che rimane della biomassa dopo la fermentazione anaerobica
  • tempo di digestione, è il tempo di ritenzione della biomassa che varia da 20 a 60gg a seconda dei materiale ed è il tempo di stazionamento nel reattore, necessario alla fermentazione di tutta (o quasi) la sostanza organica presente nella biomassa.

La redditività della filiera del biogas dipende da molti prodotti non solo dal kWh elettrico venduto, ma anche:

  • dall’energia termica prodotta dall’impianto e che si può sfruttare
  • dalla vendita e/o dall’utilizzo di concimi minerali come il solfato di ammonio e/la struvite
  • dalla vendita e/o dall’utilizzo di compost organici ottenuti dal digestato
  • dalla vendita e/o dall’utilizzo del digestato magari in fertirrigazione, cosa che permette di aumentare il reddito per ettaro dell’azienda agricola con i doppi raccolti e con il risparmio di concimi minerali e di acqua.

Infine l’impianto di biogas dà la possibilità di ridurre le terre per lo smaltimento dei reflui zootecnici specie in zona vulnerabile, di abbattere le emissioni maleodoranti e climalteranti de reflui zootecnici.

Non sempre tutti questi vantaggi vengono considerati da chi si sta orientando nella scelta degli impianti di biogas. Spesso gli allevatori non si rendono conto del paradosso che è molto, ma molto più redditizio produrre insilati destinati alla bioenergia che mangime e foraggi per produrre carne o latte. Ovviamente la redditività è direttamente proporzionale alla quota di autoproduzione della biomassa, soprattutto in zona vulnerabile ai nitrati (in pratica tutte le aree della pianura padana ad alto carico zootecnico) dove gli affitti dei terreni hanno raggiunto quote economicamente poco convenienti.

Negli impianti a biogas quello che conta è la resa in metano, come in qualsiasi altro allevamento per avere una buona resa bisogna tener conto del benessere animale cioè allevare i batteri metanigeri secondo le loro esigenze alimentari ed ambientali.

Quelli che seguono sono i fattori importanti per i batteri metanigeri

Alimentazione

deve essere possibilmente:

  • senza tossici come muffe, disinfettanti (evitare la formaldeide), antibiotici, metalli pesanti, ammonio ecc;
  • misurata, ed equilibrata tramite la ricetta del biologo e i sistemi automatici di carico; bisogna evitare di mandare il reattore in acidosi a causa di un carico organico eccessivo, ed evitare le biomasse contaminate da muffe (il cappello del silomais, i fondi dei silos ecc ecc); un silomais contaminato da micotossine ha rese in metano più basse, lo stesso dicasi per i liquami suini dopo un trattamento con gli antibiotici.

I liquami devono essere possibilmente freschi. Per i suini sono ottimali i sistemi a vacuum, dotati possibilmente di by-pass per indirizzare le acque di lavaggio e i liquami con antibiotici direttamente nei vasconi degli stoccaggi. Per i bovini sono ottimali le corsie di defecazione con i raschiatori.

Stress termico

Non conta sola la temperatura media che deve essere il più possibile omogenea e questo si ottiene con una buona miscelazione, ma è importante anche l’escursione termica che dipende essenzialmente dal sistema di carico in particolare dei liquidi. Per evitare stress termici nel reattore, si ricorre a vasche di premiscelazione e preriscaldamento o a sistemi di comando automatici che dosano le biomasse specie i liquidi in piccole quantità e in molti pasti al giorno.

Stress fisico:

la miscelazione troppo veloce, ad esempio quella a elica, può inibire la fermentazione batterica. Il frazionamento della biomassa con formazione di fondi e cappelli a causa di una miscelazione non appropriata, abbassa le rese in metano perché ai batteri non arriva la giusta quantità di alimento.

La resa in biogas è però solo una delle voci del bilancio, che infatti dovrà tener conto anche del costo dell’impianto, dell’autoconsumo, delle ore totali di esercizio, della resa dei motori, dei costi della biomassa di integrazione, dei costi di stoccaggio, lavorazione e spandimento del digestato.

Ogni integrazione aumenta il volume del digestato da stoccare e spesso (tranne alcune eccezioni come il glicerolo i melassi e la paglia autoprodotta) anche la quota di azoto, fosforo e potassio, NPK da spandere con il piano di utilizzo agronomico PUA.

GLI IMPIANTI

Gli impianti più usati in Italia sono i mesofili (35-40°), perché i termofili (50-55°C) sono complicati da gestire. I reattori sono coibentati e riscaldati con l’acqua di raffreddamento del cogeneratore. Per le biomasse solide (SS> 30%) come la forsu/RSU la frazione organica dei rifiuti urbani ci sono due tipi di impianti:

  • a carico continuo in un tunnel con una vite a spirale che muove i rifiuti lentamente dall’entrata del tunnel all’uscita dove si presenteranno come un compost da utilizzare agronomicamente;
  • a carico discontinuo a celle che vengono riempite di forsu e sigillate per 40 gg; dopo aver estratto il gas in continuo le celle vengono aperte e vuotate;

Schematicamente ci sono invece tre tipi di impianti per biomasse liquide:

  • rettangolare tipo plug-flow o flusso a pistone senza miscelatore
  • cilindrico tipo up-flow miscelato con miscelatori ad elica
  • cilindrico tipo super-up-flow per biomasse dense con miscelatori a pale

La prima cernita nella scelta di un impianto va fatta tra reattori con miscelatori o solo con pompe. Tra i reattori con miscelazione si può scegliere tra quelli monostadio o a due stadi. Il tipo di miscelazione va scelto in base alla di biomassa a disposizione. Gli impianti miscelati solo con pompe (plug flow) vanno bene solo con le biomasse liquide, cioè i flottati dei reflui, i sieri, i melassi, il glicerolo, il sangue, ecc.

Negli impianti con i miscelatori ad elica si possono aggiungere le seguenti biomasse: le farine di carne, gli scarti di macellazione, i fanghi di depurazione, le farine e tutti gli altri materiali facilmente miscelabili e pompabili.
In questi impianti si possono utilizzare anche gli insilati. Attenzione alla velocità di miscelazione perché se troppo elevata può inibire il processo di fermentazione.

I miscelatori a pale montate su alberi orizzontali sono i migliori e si adattano a qualsiasi tipo di biomassa, anche ai letami con stocchi di mais.

rota pale giganti biogas e serpentine

La biomassa e i liquidi sono inseriti sotto il livello del pelo libero del digestato, delle pale giganti fuoriescono dal livello e provvedono a miscelare la biomassa, in modo che non si formino cappelli o sedimenti, nocivi ai fini della produzione di biogas. Nella foto il paddel gigante della Rota: sulle pareti si possono vedere le serpentine per riscaldare il digestato con l’acqua di raffreddamento del cogeneratore). Le pale si muovono molto lentamente in senso orario, creando un moto circolare e un moto verticale dall’alto verso il basso. Attraverso un oblò dotato di illuminazione, si può controllare il movimento delle pale perché affiorano dal pelo del digestato, questo andrebbe fatto almeno una volta a settimana.
In un digestore circolare possono essere montati da uno a quattro miscelatori a pale a seconda delle esigenze e delle dimensioni del reattore. Gli alberi orizzontali poggiano tutti su una colonna centrale alla quale sono incernierati, in genere, con un cuscinetto in teflon.

IL CARICO

Per le biomasse liquide in allevamento serve una prevasca di raccolta (di solito già presente). Si deve mettere un mixer nella prevasca per miscelare e iniettare il liquame tal quale nel digestore. Di solito sul tubo di iniezione è montato un conta litri collegato al sistema informatico del quadro di comando del reattore, per seguire una ricetta prestabilita dal biologo che gestisce l’impianto.

Per le biomasse solide il sistema migliore è la tramoggia posta in alto sopra il livello del digestato, alla quale si accede tramite una rampa. La tramoggia è dotata di coclea sul fondo e di parete mobile che spingono la biomassa verso la coclea di iniezione che arriva dentro il digestore e scarica la biomassa sotto il livello del digestato, spingendola dall’alto verso il basso. Questo sistema impedisce che si attorciglino gli steli della paglia o gli stocchi del mais sulla coclea di iniezione. Il sistema dosa le quantità di prodotto, sia vegetale che animale, da inserire nel digestore con possibilità di variare la portata nell’arco della giornata il numero di immissioni. E’ infatti programmato giornalmente e costantemente dal quadro di comando.

Altri sistemi prevedono tramogge a pian terreno e coclee di carico verticali o la premiscelazione in vasche dotate di miscelatori e pompe trituratrici, dove arrivano i liquami o il digestato di ricircolo per diluire la biomassa solida. Il carico avviene in tramogge o in vasche a pareti mobili che spingono la biomassa solida nella vasca di miscelazione. Sono sistemi non adatti a tutti i tipi di biomassa.

CHE BIOMASSA USARE?

Questa è una scelta fondamentale. Il metrocubo di digestore ha un costo, quindi conviene utilizzarlo con materiali molto fermentescibili, ma bisogna sempre valutarne i costi. Le integrazioni ai liquami e letami vanno fatte considerando il carico azotato finale, il costo di acquisto o di autoproduzione, lo stoccaggio e il volume che occupano nel digestore. Si usa molto integrare con il glicerolo perché è molto semplice, basta una cisterna con una pompa, costa poco in base alla resa di gas, non aumenta l’azoto da spandere e cambia poco i volumi del digestore. Lo stesso discorso vale per i melassi e il siero di latte concentrato.

Un’altra integrazione interessante sono le farine di carogne sterilizzate (A2 A3), costano poco, hanno una resa altissima, e sono semplici da gestire (basta un silos con una coclea). Aumentano però l’azoto da spandere nel PUA e per utilizzarle serve un’autorizzazione ASL che però non è difficile da ottenere.

Gli scarti freschi di macellazione (SOA), devono essere pre-trattati prima dell’entrata nel Pulper che è un pre-miscelatore trituratore chiuso, dove in genere avviene anche il preriscaldamento.

Anche la forsu/RSU cioè la frazione organica dei rifiuti urbani, va pre-trattata, per evitare di immettere nel reattore plastica, legno sughero, e inerti ( gusci metalli, cocci ecc). In Italia ci sono solo due impianti di biogas a Forsu, perché è una biomassa difficile da gestire sia tecnicamente sia burocraticamente. Al contrario in nord europa gli impianti a forsu sono molto diffusi tanto che il 90% del biogas prodotto in Gran Bretagna e il 70% del biogas prodotto in Francia viene dalla fermentazione della forsu sia nelle discariche sigillate sia negli impianti a carico continuo. Come già detto in altri articoli la forsu è una miniera d’oro ma non viene sfruttata perchè in alcune regioni il digestato in uscita dalla ferementazione di forsu è ancora rifiuto (anche se ci vorrebbero i RIS di Parma per distinguere i digestati chiarificati da forsu o da insilati-e reflui); infatti nella “Risoluzione del Parlamento europeo del 12 marzo 2008 sull’agricoltura sostenibile ed il biogas” al punto n°34, si chiede alla Commissione ed agli Stati membri di garantire che la realizzazione di impianti per la produzione di biogas e che l’autorizzazione ad utilizzare i rifiuti organici e i fanghi di depurazione non siano ostacolate da procedure e regolamentazioni amministrative indebitamente farraginose.
Secondo il dott Nicola Colonna dell’Enea il potenziale di produzione in Italia di biogas, senza integrazione con materie prime, è enorme: 2700 MW di potenza elettrica potenziale; solo il 5% della forsu, sul totale potenziale viene sfruttata attualmente.

Trattamenti depurativi del biogas:

Le bioenergie sono tutt’altro che energie pulite sopratutto negli impianti di piccola media taglia: un impianto a turbogas di 43 MWe di potenza emette la stessa quantità di NOX di cinque impianti da 1 MWe ciascuno.
Per evitare emissioni inquinanti è opportuno procedere nell’azione di:

– strippaggio e flottazione dei liquami in entrata: abbassano la presenza di ammoniaca nel biogas quindi riducono le emissioni di ossidi di azoto (NOX)
– raffreddamento essiccazione: servono a condensare il vapore acqueo, nella condensa si concentrano pure NH3, H2S, polveri ed altre impurità.
– desolforazione: per evitar ele emissioni di ossidi di solfo (SOX) si può procedere alla desolfonazione biologica (sulfobacter oxidans) o chimica (+ FeCl3 o FeCl2) che può essere interna al digestore o esterna
– filtrazione finale su carboni attivi

I COGENERATORI

L’orientamento generale è sui motori endogeni e non sulle turbine anche se il prof. Navarotto dice che quest’ultime in certe situazioni (grosse taglie) possono essere convenienti, perchè più affidabili. Quindi pur avendo rese energetiche più basse, lavorando molte più ore all’anno, potrebbero avere rese complessivamente simili a costi inferiori. Sono ammessi due tipi di motore endogeno, quelli funzionanti solo a gas, oppure quelli di tipo bi-fuel, che possono cioè utilizzare, in abbinamento al biogas, anche piccole quantità di gasolio, fino al max del 5% del combusto. Il gasolio è misurato e vengono fatti i controlli anche sulle fatture di acquisto. E’ una soluzione indicata laddove la biomassa che alimenta l’impianto di biogas presenta un’elevata variabilità e che quindi genera differenti rese. Nel motore viene spruzzato un po’ di gasolio e il rendimento elettrico raggiunge il 45%, ovvero il 20% in più rispetto a quanto, in tali condizioni, si avrebbe con un motore a gas. Vista in un altro modo, si può dire che un motore bi-fuel ti fa risparmiare il 20% di biomassa. Può essere una soluzione indicata, quindi, anche laddove si ha a disposizione poco materiale per alimentare l’impianto (fonte Rota).
Le nuove generazioni di cogeneratori (ORC) e di turbine a gas sfruttano l’energia termica residua per produrre energia elettrica aumentando le rese.

  • motori a gas: rendimenti in Energia Elettrica 35 – 40 % circa (45% ORC)
  • motori a diesel-gas (iniezione pilota): rendimenti in Energia Elettrica 39 – 44 % circa
  • turbine a gas: rendimenti in Energia Elettrica 30% circa (40% a ciclo combinato)

Conclusioni

L’unico aspetto negativo degli impianti a biogas è, a mio giudizio, l’aver permesso l’incentivazione all’energia elettrica ottenuta con materie prime, come gli insilati.
In generale per ogni MWe di potenza servono 300 Ha per lo spandimento del digestato, il doppio in zona vulnerabile se i digestati sono di origine zootecnica o da forsu, questo è un nitro paradosso perchè chimicamente i digestati chiarificati sono tutti simili mentre queste differenze nei limiti vanno a favorire l’utilizzo di insilati cioè biomasse nobili anzichè l’utilizzo di reflui e forsu.
Nel decreto 28 si tenta di rimediare invitando il legislatore a premiare i cicli virtuosi che non utilizzano materie prime, che per me andrebbero vietate e sostituite con reflui zootecnici raccolti magari da più allevatori in sistemi consortili e soprattutto con la forsu. Ovviamente serve una legislazione adeguata, ma va fatta perchè il vero limite dello sviluppo degli impianti a biogas in Italia è lo spandimento dei digestati.
Nei nuovi decreti sulle rinnovabili e sulla normativa nitrati, i digestati chiarificati dovrebbero avere gli stessi limiti di spandimento a prescindere dalla biomassa di partenza. I limiti dovrebbero essere solo i fabbisogni colturali e l’efficenza di spandimento, ma bisognerebbe anche obbligare gli agricoltori che vogliono percepire il premio PAC a concimare con concimi rinnovabili come i digestati.

RIFERIMENTI

http://www.crpa.it/nqcontent.cfm?a_id=10323&tt=crpa_www&sp=crpa

Fai clic per accedere a Navarotto_Tadini_9_12_08.pdf

http://www.agroenergia.eu/index.php?option=com_content&view=article&id=182&Itemid=190&lang=it

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Published inAttualitàEnergiaNews

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