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Il mare è fatto a scale, specie perché c’è il sale.

Dal blog di Roger Pielke sr, il commento ad un interessante lavoro apparso recentemente su Physics today.

Temperature steps in salty seas Physics Today. March 2012. Volume 65. Issue 3. pp. 66

Si parla di temperatura e salinità del mare, più specificatamente dell’Oceano Artico, di come questi due fattori contribuiscano a generare una stratificazione delle acque capace di ridurre al minimo il trasporto di calore dalle acque di profondità a quelle di superficie, calore precedentemente immgazzinato grazie alla circolazione termoalina.

L’aspetto più curioso del commento è forse il grafico qui sotto, messo in evidenza da Pielke nel suo post, ovvero la forma a gradini del profilo verticale della temperatura, da cui ho tratto il titolo di questo post.

http://floats.pmel.noaa.gov/dmqc/sensor_response_ex.html

Non solo la temperatura quindi a regolare la densità dell’acqua ma anche e soprattutto la sua salinità. Questi, nella fattispecie, sono discorsi tutt’altro che nuovi, anzi, per molti aspetti anche ovvi. Molto meno ovvia è la ‘scoperta’ che gli autori del paper rivendicano grazie alla loro campagna di misura.

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“L’aumento della salinità con la profondità permette alla massa d’acqua di mantenere la stratificazione della densità anche quando con la temperatura.” “Ma dato che il calore e la salinità si diffondono in modo diverso, questa stratificazione di densità può divenire instabile”.

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Ancora più interessante il seguito:

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“l’Artico contiene abbastanza calore in profondità da sciogliere interamente il ghiaccio marino. Tuttavia, attraverso la maggior parte dell’Oceano Artico centrale, la struttura a gradini indica che il trasporto di calore verso l’alto è minimale”. […] “ogni singolo gradino si estende attraverso l’intero bacino. Ciò significa che gli strati di rimescolamento di un metro di spessore hanno un’estensione orizzontale dell’ordine di 1000 km”.

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Sempre dalla loro campagna di misura, hanno anche visto che lo strato di rimescolamento è ‘non turbolento’, per cui il trasporto tra strati avviene per diffusione molecolare.

Di qui le condivisibili riflessioni di Pielke sr:

  1. I modelli necessitano di una risoluzione verticale di meno di un metro per risolvere la stratificazione verticale delle temperature negli strati di rimescolamento.
  2. La componente oceanica dei modelli climatici deve includere la diffusione molecolare della temperatura e della salinità.
  3. Finché non si sarà compreso meglio questo aspetto particolare dell’Oceano Artico, ogni annuncio circa futuri cambiamenti nell’Artico dovrebbe essere visto con scetticismo.
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Published inAttualitàClimatologia

Un commento

  1. donato

    Vuoi vedere che abbiamo trovato il famigerato calore scomparso? 🙂
    A parte gli scherzi, il meccanismo suggerito da questa ricerca è estremamente interessante e si presta a molteplici letture.
    Partiamo dalla circolazione termoalina. Una parte del calore del sole che riscalda le zone equatoriali viene immagazzinato dall’acqua degli oceani e, tramite le correnti oceaniche, viene trasmesso alle alte latitudini. Qui le acque superficiali si raffreddano, si appesantiscono e si immergono per alimentare la parte profonda della corrente convettiva che “riporta” le acque nelle aree tropicali. In tutto questo, ovviamente, un forte contributo è dato dalle correnti d’aria che agevolano gli spostamenti orizzontali delle acque superficiali. A parte la battuta iniziale, non è tanto peregrina l’idea che, aumentando le temperature dell’aria, aumenta anche la temperatura delle acque superficiali e, grazie a complessi fenomeni fisici in cui la densità dovuta alla salinità, gioca un ruolo ben preciso, masse di acqua la cui temperatura tende a crescere con il passare del tempo e relativamente calde, possano accumulare (in modo estremamente lento) calore nelle profondità oceaniche. Questo da un punto di vista qualitativo, quantitativamente le cose sono molto più sfumate e molta acqua deve ancora passare sotto i ponti prima di trovare il bandolo della matassa. Altro aspetto importante della questione è la stratificazione “forzata” delle acque oceaniche artiche che si regge, grazie a complessi equilibri tra temperatura e salinità. Come tutti i sistemi complessi, però, anche quello che stiamo esaminando è estremamente instabile per cui in seguito a fenomeni del tutto trascurabili, l’equilibrio potrebbe rompersi e generare un rimescolamento delle acque con ripercussioni estremamente forti sul sistema climatico nel suo complesso. Non mi meraviglierei se nel futuro una delle cause dei cambiamenti climatici del passato fosse individuata in un fenomeno simile. Dall’esame delle carote di ghiaccio, per esempio, si è visto che ad un aumento delle temperature è seguito un aumento delle concentrazioni di CO2 in atmosfera. Se per cause ancora ignote il calore degli strati oceanici artici profondi avesse avuto la possibilità di emergere, rompendo gli equilibri secolari che lo tenevano imprigionato, avrebbe potuto determinare un innalzamento delle temperature globali ed innescato il cambiamento climatico. E’ un’ipotesi non suffragata da dati (chiacchiera da bar, si dirà), ma piuttosto intrigante. Ho letto anni fa che la creazione di un canale tra l’oceano ed un grande lago che occupava parte del nord America, determinò l’immissione in mare di grosse masse d’acqua dolce che andarono ad occupare l’area marina a sud della Groenlandia. Questo fatto avrebbe potuto innescare una serie di fenomeni che, alla fine, sfociarono nell’ultima glaciazione. Se quello individuato nel lavoro di cui parliamo è un meccanismo attendibile, questa ipotesi non è più tanto campata in aria. Altro aspetto degno di nota è la profonda stratificazione delle acque oceaniche artiche. L’oceano potrebbe essere immaginato come una millesfoglie: strati sottilissimi e numerosissimi. Ogni strato potrebbe essere raffigurato, dice Pielke sr. come un foglio di carta esteso quanto un campo di calcio! Stupefacente.
    Uno dei pensieri che mi frullano per la testa in questo momento riguarda il modo in cui i moti convettivi (e, pertanto, caotici) che caratterizzano le acque oceaniche, possano convivere con quelli praticamente laminari dell’oceano artico. Un altro riguarda il modo in cui il calore del flusso termoalino possa essere trasferito agli strati che caratterizzani il Mar glaciale artico. I fenomeni fisici che caratterizzano le aree di confine tra questi due mondi, in altre parole, costituiscono (almeno per me) un territorio completamente inesplorato: hic sunt leones, potremmo dire. E, infine, se i ghiacci marini artici si sciolgono e quelli antartici no, non potrebbe essere a causa di flussi di calore che provengono dal basso invece che dall’atmosfera? Del resto sotto l’oceano artico vi è un serbatoio di calore, sotto i mari che circondano l’Antartide no. Come si vede un lavoro che apre scenari completamente nuovi e che giustifica le perplessità che Pielke sr ha condensato nei tre punti con cui si chiude il post di G. Guidi.
    Ciao, Donato.

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