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Sbagliando si impara

Era la primavera del 2010, più precisamente dai primi di marzo a maggio inoltrato, quando il vulcano Islandese Eyjafjallajökull decise di emettere ceneri in quantità tale da paralizzare il traffico aereo europeo e non solo per qualche giorno.

Una faccenda controversa. Da un lato l’inevitabile rigidità delle norme di sicurezza per la navigazione aerea, che in questi casi prevedono misure drastiche come quelle del blocco del traffico pur in assenza di certezza del pericolo. Dall’altro l’evidente fragilità di un sistema messo in ginocchio da un evento naturale certamente imprevedibile. E poi ancora l’impossibilità, una voltainquadrato il problema, di agire con maggiore precisione, ovvero di limitare i danni, causa assenza di informazioni affidabili.

Ne abbiamo scritto diffusamente anche qui su CM.

Eyjafjallajökull in diretta

A mali decisamente non estremi, estremi rimedi???

Come forse ricorderete, a suo tempo abbiamo avuto modo di specificare che le norme ICAO assegnano al Volchanic Ash Advisory Centre inglese il compito di eseguire il monitoraggio della situazione e emettere i messaggi necessari per il settore di competenza che racchiude appunto anche l’Islanda. Il modello in uso presso lo UK Met Office si chiama NAME III, versione evoluta di un modello sviluppato parecchi anni fa dopo l’incidente nucleare di Chernobyl. Il traffico aereo, fatta eccezione per le zone immediatamente prossime all’area dell’eruzione dove il problema era ‘visibile’ attraverso le immagini satellitari, si è fermato giustamente in base agli output di quel modello. Molte delle aree interessate dalla chiusura probabilmente non hanno mai visto passare la cenere del vulcano o comunque non ne hanno subito l’impatto nella concentrazione giudicata percolosa ai fini della navigazione aerea.

E’ questa la ragione per cui un team di ricercatori spagnoli ha passato al setaccio i dati raccolti durante quel periodo per validare un nuovo modello di dispersione/concentrazione da impiegare in situazioni analoghe, scoprendo al contempo che il particolato individuato in atmosfera è stato misurato in concentrazioni/dimensioni largamente inferiori a quelle giudicate pericolose. Gli strumenti di osservazione che si sono rivelati più utili alla validazione degli output del modello sono i LIDAR e i Fotometri.

Speriamo che in una eventuale futura occasione, che si spera pù lontana possibile, si possa disporre di informazioni più precise anche grazie alla recente ‘lesson learned’.

Trovate tutto qui.

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Published inAttualità

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