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Metalinguaggio Paleoclimatico

Qualche giorno fa abbiamo pubblicato una breve lista di espressioni ‘tipiche’ del metalinguaggio che caratterizza spesso la comunicazione scientifica in materia di clima e affini.

Lo scopo era quello di farci su una risata, ma l’impressione è che di qui in avanti gli esempi si moltiplicheranno.

Ieri è uscito su Science Daily il commento ad un paper pubblicato su Nature Geoscience. Si parla di paleoclimatologia antartica, tornando indietro fino al Medio Miocene, cioè tra 16,4 e 15,7 milioni di anni fa. Pare ci siano delle evidenze che in quel periodo le temperature dell’area antartica (ma non solo) fossero consistentemente più alte delle attuali, addirittura di una decina di gradi. Questo avrebbe consentito il fiorire di una rigogliosa vegetazione sul bordo del continente.

L’articolo è interessante perché affronta il problema in termini di ciclo idrologico, cercando di valutare anche le quantità di precipitazioni che avrebbero interessato quell’area.

Ma poi arriva il metalinguaggio, che a dire il vero non so (e non credo) se sia il prodotto dei chiarimenti forniti dagli autori del paper o sia solo farina del sacco del redattore. Nelle considerazioni finali dell’articolo si segnala che

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“Le condizioni calde del Medio Miocene si pensa che siano associate con livelli di anidride carbonica di circa 400/600 parti per milione. Nel 2012, la concentrazione di anidride carbonica è salita a 393 ppm, la più alta registrata in parecchi milioni di anni. Con l’attuale rateo di aumento il livello di anidride carbonica atmosferica raggiungerà i livelli del Medio Miocene per la fine di questo secolo.”

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A parte il fatto che si invita il lettore a fare 2+2 significando che per fine secolo in Antartide ci cresceranno le mangrovie, direi che la frase “It is generally believed = A couple of others think so, too” nella fattispecie calzi a pennello. Ma c’è un problema, l’affermazione è sostanzialmente falsa, per cui ci potrebbe stare anche la frase “”It has long been known” = I didn’t look up the original reference”. In questo articolo (Pagani et al., 1999) la ricostruzione della concentrazione di CO2 nel Medio Miocene è fissata tra 260 e 190 parti per milione. Ma sono numeri lontanissimi nel tempo e difficilissimi da definire. Penso che per chiarire la vacuità dei contenuti del periodo estratto dall’articolo di SD si debba leggere un altro estratto, sempre da Pagani et al.:

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“I dati disponibili suggeriscono che la variabilità della concentrazione di CO2 abbia avuto un ruolo secondario nel forzare i cambiamenti climatici durante il Miocene. Piuttosto, è più probabile che fattori tettonici, fisici e oceanografici […] abbiano avuto un ruolo dominante per lo sviluppo dell’Optimum Climatico del primo Miocene e per l’espansione dell’EAIS [East Antartic Ice Shelf].”

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Prima qualcuno ci provava, ma ora, è possibile che a nessuno, ma proprio a nessuno nel commentare questi articoli viene in mente che forse le cose funzionano diversamente?

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Published inAttualità

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