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Epperò il Sole non c’entra.

Per carità, ci inchiniamo al sapere della scienza, che continua a sfornare pareri che escludono quasi del tutto il contibuto del Sole alle presunte pazze bizze del clima degli ultimi decenni.

Capita però che qualcuno, sicuramente con poca pietà della nostra ignoranza, continui a solleticare i nostri dubbi. Come gli autori di questo papero, che assegna all’attività solare del tardo XX° secolo valori senza precedenti per molti secoli addietro. Addirittura, pensa un po’, un grand maximum che si opporrebbe al gran minimum degli epici anni della PEG, quando il Sole si era preso le ferie.

E’ certamente un caso, uno di quegli scherzi della Natura (che in genere consideriamo tali solo perché non ne comprendiamo il senso) se durante quelle ferie solari faceva un freddo boia e durante il rinnovato stakanovismo della nostra stella dei tempi recenti abbia fatto un altrettanto boia caldo.

Un caso, sì, perché il Sole non c’entra.

Questo è il papero. Enjoy your reading.

A History of Solar Activity over Millennia

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Published inAttualitàSole

17 Comments

  1. Claudio Costa

    Il lavoro citato però è definito da Steph vecchiotto e superato

    amche se in realtà negli anni usoskin non ha fatto altro che convalidarlo
    http://cc.oulu.fi/~usoskin/
    tra i quali segnalo questo
    http://cc.oulu.fi/~usoskin/personal/2011MmSAI.pdf

    con lo schemino su effetto antropico/effetto solare indiretto (sconosciuto: ma c’è!)mentre ribadisce che la variazione solare non spiega i cambiamenti cliamtci del passato perchè è bassa.

    e questo http://cc.oulu.fi/~usoskin/personal/EOLSS_E6-119-37.pdf da cui cito:

    Most important for
    the geosphere (see Figure 1) are variations of the solar electromagnetic radiation (Chapter 3),
    corpuscular radiation (Chapter 3) and changes in the interplanetary magnetic field and solar wind.
    Influence of these factors upon the Earths climate is discussed in Chapter 5. While direct influence
    via the total solar irradiance is estimated to be relatively small, an indirect mechanism of the
    influence may be important. Although there are numerous pieces of evidence that it plays a role,
    many details, including exact physical mechanisms and corresponding quantitative models, are yet
    unresolved.

    e torniamo sempre al solito quesito ma se c’è stato un effetto solare indiretto che ha creato i vari picchi del medioevo romano ecc e questo effetto è correlato con l’attività magnetica solare perchè non ci dovrebbe essere anche nel riscaldamento corrente visto che anche questo è correlato con il flusso magnetico solare?

    Steph cosnidera più attendibile svalgaard
    http://www.leif.org/research/Svalgaard_ISSI_Proposal_Base.pdf

  2. Filippo Turturici

    Dunque, le variazioni dell´attivitá solare contano poco: e questo “ci sta”, dato che parliamo di pochissimi W/mq (1-2, giusto? forse si arriva a 3-4 su 1370?) C´é anche chi dice che tali variazioni non abbiano influito nemmeno sulla PEG, dato che inizió prima dela grande minimo (Maunder, giusto?)
    Allora, se abbiamo variazioni significative del clima nei secoli/millenni passati (optimum medievale, PEG, altri cicli precedenti) che peró non sono correlate con precisione all´attivitá solare (e nemmeno alla CO2, aggiungerei, ma poi rischio di venire tacciato di irridente negazionismo), mi sfugge il passaggio logico del “se il Sole non spiega il riscaldamento del XX secolo, allora é TUTTA colpa dell´Uomo”.

  3. […] Quell’articolo è stato ben apprezzato in ambito scientifico, ma ha scatenato un putiferio in ambito mediatico, con un attacco molto duro al paper e a me personalmente da parte di noti scettici/negazionisti del cambiamento climatico. Anche se è una digressione rispetto al tema di questo post, un’analisi di questo “caso” di disinformazione climatica è molto istruttivo per capire le dinamiche che si muovono dietro un certo modo di fare “informazione”. Invito chi fosse interessato a leggere questo post del mio vecchio blog, andando a leggersi tutti i link (soprattutto al post che mi hanno dedicato sul sito Climate Monitor) e i commenti: vi ci vorranno 20-30 minuti, ma credo che ne valga la pena. Dopo la figuraccia rimediata in quell’occasione, in cui questi signori sono stati smascherati come ignoranti e presupponenti (oltre che chiaramente in mala fede), oggi sembra che siano addivenuti a più miti consigli, limitandosi a fare solo un riferimento indiretto (ovviamente irridente, però) a quest’ultima nostra ricerca: vedi qui. […]

  4. donato

    Articolo molto lungo, circostanziato e piuttosto interessante quello citato da Nuvola. Il lavoro, a firma di I.G. Usoskin, cerca di ricostruire attraverso metodi statistici basati su dati di prossimità, l’andamento dei cicli solari nel corso dell’Olocene. L’utilizzo di due indicatori indipendenti ha consentito di irrobustire i risultati conseguiti. Il metodo utilizzato sfrutta l’anticorrelazione tra cicli solari e raggi cosmici che penetrano in atmosfera: in corrispondenza dei massimi solari l’intensità dei raggi cosmici è minima, viceversa, in corrispondenza dei minimi solari, l’intensità dei raggi cosmici aumenta.
    Questa anticorrelazione si è potuta verificare in tempi recenti per cui, ipotizza l’autore, potrebbe essersi verificata anche nel passato. Questo, a mio giudizio, però, è un punto debole dell’intera costruzione di Usoskin. Chi ci garantisce che anche nel passato remoto si sia verificato ciò che è accaduto nel passato recente?
    Posto valido questo assunto di Usoskin, il resto del lavoro mi sembra piuttosto condivisibile. La variazione nel flusso dei raggi cosmici si riperquote nelle abbondanze relative di isotopi del berillio (10Be) e carbonio (14C) misurati negli anelli degli alberi (il carbonio) e nelle carote di ghiaccio (il berillio). Sulla base delle sue elaborazioni Usoskin ha stabilito che il Sole, durante l’Olocene, ha trascorso la stragrande maggioranza del suo tempo (70% circa) in uno stato di calma relativa (i massimi ed i minimi si susseguono senza grossi eccessi) e la restante parte equamente ripartita tra minimi (del tipo Dalton) e massimi (quello medioevale, per esempio). Raramente, infine, si verificano grandi minimi (tipo Maunder) e grandi massimi (quello della seconda parte del XX secolo, per esempio).
    Ripetendo le considerazioni di Nuvola, per pura coincidenza, ovviamente, massimi grandi e minimi grandi coincidono con periodi di cambiamenti climatici. 🙂
    Che la coincidenza sia casuale è sostenuta da quasi tutte le ricerche teoriche, un po’ meno da quelle basate sui dati di prossimità. Nei giorni scorsi, per esempio, il Corriere della Sera riportava un’intervista ad un noto climatologo italiano in cui si ribadiva che, ammesso che l’influenza del Sole fosse individuabile per i cambiamenti climatici del passato, oggi l’influenza solare sulle vicende climatiche terrestri è stata soppiantata da quella dell’uomo e, in particolare, da quella della CO2 di origine antropica. Anzi, l’influenza del Sole ha perso importanza. Conclusione derivata da studi basati su metodi econometrici e statistici applicati all’analisi dei dati di temperatura effettivamente misurati negli ultimi 150 anni. Questo, ovviamente, stando a quanto riportato dall’autore dell’articolo del Corriere.
    Personalmente, pur con le precisazioni già fatte a proposito dell’articolo di Usoskin, ho forti dubbi circa il fatto che il sole non abbia alcuna influenza sul periodo caldo che stiamo vivendo. Non escludo che la CO2 possa avere il suo peso. Mi meraviglia solo il fatto che sia venuto meno quello del Sole. Potenza dei modelli matematici e delle analisi statistiche. Queste, ovviamente, sono considerazioni personali di un NON esperto in campo climatologico e di un NON esperto in campo di analisi statistico-econometriche che, però, crede di avere un po’ di buon senso. 🙂
    Ciao, Donato.

    • Una semplice domanda: se ho capito bene, l’articolo individua sempre negli anni ’50 il momento del cambiamento, come tutta la serie di articoli originali dell’AGW. Giusto? I ghiacciai si ritirano dai primi del XX secolo. Giusto? Dunque, cosa li ha fatti ritirare nei primi 50 anni del secolo?

    • Filippo Turturici

      Aggiungi pure anche il ritiro degli ultimi 50 anni del XIX secolo 😉

    • donato

      Fabrizio, non ho una risposta né per la tua domanda, né per quella di Filippo. Questo è uno di dubbi che mi rende scettico riguardo alle “conclusioni” cui sono giunti molti climatologi e lo stesso IPCC. Questo è uno dei motivi per cui scavo tra le pubblicazioni scientifiche e girovago tra i vari siti che si occupano di climatologia. Il ritiro dei ghiacciai, a partire dal 1850 circa e fino ad oggi, fa parte di un trend originato da cause che sfuggono (non solo a me, ma anche a chi si occupa professionalmente di queste cose).
      Ultimamente, però, ho letto un comunicato stampa relativo ad un articolo in corso di pubblicazione su Science:

      http://wattsupwiththat.com/2012/09/13/counterintuitive-finding-suggests-that-unexpected-factors-may-govern-a-glaciers-response-to-climate-change/#more-70990

      In questo articolo vengono pubblicati i risultati di uno studio che dimostrerebbe che i ghiacciai regionali, come quelli alpini, per esempio, potrebbero subire forti oscillazioni in risposta a cambiamenti climatici non globali, ma locali. Nella fattispecie si cita il caso di un ghiacciaio che 8200 anni fa raggiunse un’estensione maggiore di quella fatta registrare durante lo Younger Dryas. Il tutto in risposta ad un raffreddamento durato pochi decenni. In altre parole i ghiacciai potrebbero essere molto più reattivi ai cambiamenti climatici di quanto si crede.
      Nelle ultime settimane ha fatto notizia il ritrovamento di una casamatta imbottita di esplosivo risalente alla Prima Guerra mondiale, emersa da un ghiacciaio in fase di regresso. Questo significa che circa 100 anni fa il terreno era libero dai chiacci ed ha permesso la costruzione del manufatto. Successivamente i ghiacci lo hanno ricoperto ed oggi è tornato alla luce. In un periodo di ritiro dei ghiacciai, come si vede, vi è stato un’avanzata (probabilmente in risposta a variazioni climatiche locali) a cui è seguito un nuovo ritiro.
      Come vedi la materia è ancora piuttosto “nebulosa”.
      Ciao, Donato.

    • Filippo Turturici

      All´epoca, in realtá, scavavno gallerie ed addirittura “cittá” sotterranee nei ghiacciai, e piú in generale nelle montagne; insomma i ghiacci c´erano, e ci hanno scavato dentro.

    • Maurizio Rovati

      Mi era venuto il dubbio che potessero farlo utilmente, dopotutto il ghiaccio è più facile da scavare della roccia…

    • donato

      Probabilmente ti riferisci alla “città di ghiaccio” dell’Adamello che fu realizzata ed “abitata” dai soldati austriaci tra il 1916 ed il 1917. Di essa, però, non vi è più traccia a causa dei movimenti del ghiacciaio e della sua fusione.
      Per quel che ne so, come anche tu sottolinei, la stragrande maggioranza delle fortificazioni, delle trincee, dei depositi, dei camminamenti, delle strade e dei sentieri furono scavati nella roccia tanto che ancora oggi possono essere visitati. Molti di essi sono stati scoperti solo di recente in quanto i loro imbocchi o le loro tracce vengono rivelati dal ritiro dei ghiacci. Nel caso del ritrovamento cui faccio cenno nel mio commento, non ho avuto modo di sapere se si trattasse di un’opera in roccia o, come scrivi tu, in ghiaccio. Colgo l’occasione per chiedere a chi ne sia in possesso, un link per approfondire la cosa (curiosità personale, ovviamente). E’ ovvio che se si tratta di un semplice affioramento dal ghiaccio, la mia considerazione, circa la prova di avanzate e regressioni dei fronti glaciali, è campata per aria.
      Ciò, però, non significa che i ghiacciai siano un qualcosa di stabile ed immutabile. Essi sono delle strutture in continuo divenire, si muovono, si fondono, si rigenerano. In un memorabile articolo di D. Buzzati del 1952 si parla del ritrovamento dei corpi di 5 alpini ancora custoditi dal ghiaccio e che erano stati messi in luce, molto probabilmente, dai movimenti del ghiacciaio.
      Sono convinto, però, che in questo periodo storico i ghiacci siano in fase di regresso e questi ritrovamenti, solo in parte, siano imputabili ai normali movimenti delle lingue glaciali. Essi, secondo me, sono indice del progressivo ritiro del ghiaccio. Le cause di questo ritiro sono molteplici: minor innevamento invernale, maggior fusione della neve che, pertanto, non ha la possibilità di trasformarsi in ghiaccio, maggiori temperature estive e/o invernali, maggior insolazione estiva e/o invernale, tanto per fare degli esempi non esaustivi. Fatto è che i ghiacciai si ritirano. Sarà colpa dell’uomo? Non esclusiva, come si dice, ma, credo, che un po’ del nostro zampino vi sia.
      Ciao, Donato.

    • Donato, siamo tutti d’accordo che alcuni ghiacciai si ritirano. Dico “alcuni” perché qualche tempo fa qui è stato notato che solo una piccola parte di tutti i ghiacciai del mondo viene monitorata. Diciamo che quelli che conosciamo, per esempio sulle Alpi, si stanno ritirando. Il riassunto delle obiezioni sul collegamento con l’AGW è fatto da due punti: primo, il ritiro inizia da primi ‘900 o anche prima, mentre hockeystick e tutte le ricerche collegate, inclusa questa sul sole che stiamo commentando, fissano un punto di cambiamento ben preciso negli anni ’50. Quindi, il ritiro dei ghiacciai non è di per sé una prova di AGW. Secondo, se nel 1914 e rotti si costruivano strutture sulla roccia, che sono rimaste inaccessibili per decenni e ora saltano fuori di nuovo, questo vuol dire che non solo certi ghiacciai si erano già ritirati cento anni fa, ma successivamente si sono di nuovo ingranditi e poi ritirati di nuovo. Insomma, un comportamento un po’ complesso che mi pare nessuno sia in grado di spiegare. Per completare il discorso, ricordo pure che Annibale duemila e rotti anni fa e alcune popolazioni germaniche i cui discendenti si trovano oggi in Val d’Aosta e in Alto Adige passarono a piedi (il primo con gli elefanti) valichi che sarebbero stati impraticabili ancora con le estensioni glaciali di oggi.

    • Alessio

      “Nelle ultime settimane ha fatto notizia il ritrovamento di una casamatta imbottita di esplosivo risalente alla Prima Guerra mondiale, emersa da un ghiacciaio in fase di regresso. Questo significa che circa 100 anni fa il terreno era libero dai chiacci ed ha permesso la costruzione del manufatto. Successivamente i ghiacci lo hanno ricoperto ed oggi è tornato alla luce. In un periodo di ritiro dei ghiacciai, come si vede, vi è stato un’avanzata (probabilmente in risposta a variazioni climatiche locali) a cui è seguito un nuovo ritiro.”

      Consiglio un bel giretto in Val Rendena al Museo della Guerra Bianca. E magari una passeggiata in valle di Genova, su fino alla lingua morente del Mandrone passando per il Centro studi Adamello “Julius Payer”

    • Guido Botteri

      Si, ma la casamatta è stata costruita sotto i ghiacci, o no ?
      Ovvero le temperature sono “senza precedenti” o no ? Spiegami questo e poi possiamo anche andare a farci una bella gita dove vuoi.

    • donato

      Fabrizio, siamo completamente d’accordo. Le mie considerazioni riguardano essenzialmente i ghiacciai alpini. Per il resto il loro ritiro potrebbe essere un indice del GW (rigorosamente senza la A 🙂 ).
      Lo zampino a cui facevo riferimento nell’ultimo commento, invece, merita qualche parola in più e, probabilmente, alla fine non saremo del tutto d’accordo (la vita, però, è bella proprio perché è varia 🙂 ). La CO2 immessa in atmosfera (di origine naturale ed antropica) influenza il bilancio radiativo terrestre in un modo che non è ancora del tutto chiaro. In altre parole non sappiamo ancora con certezza quanta parte del “disturbo” del bilancio radiativo è attribuibile all’uomo, né sappiamo quanta parte del GW è attribuibile alla CO2 e quanta a cause ancora da individuare. Sappiamo, però, che una parte di questo disturbo del bilancio radiativo è attribuibile all’uomo (secondo me una parte residuale, secondo altri la totalità). Teoricamente, pertanto, possiamo individuare una responsabilità umana che, ripeto, reputo minima. Almeno allo stato delle mie conoscenze.
      Ciao, Donato.

    • Sullo “zampino” non sono necessariamente in disaccordo. Diciamo che sono agnostico. Certamente siamo una specie “pesante” e la nostra presenza influenza molte cose su questo pianeta. Alcune sono ovvie (modifichiamo l’ambiente), altre magari sono intuitive. Per capire la quantità dell’impatto, però, voglio vedere un pacchetto di modelli e studi scientifici che vengano validati sperimentalmente; come penso tutti qui.

    • donato

      Indubbiamente. La validazione sperimentale è ciò che anch’io cerco.
      Ciao, Donato.

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