Salta al contenuto

Lo scettico è uno e trino

Lettura domenicale di orwelliana memoria. Nelle ultime settimane si stanno moltiplicando gli approfondimenti a sfondo sociologico per cercare di inquadrare quanti si ostinano a mostrare scetticismo circa un eventuale futuro catastrofico del clima in un contesto sociale e politico ben preciso, preferibilmente, naturalmente, quello sbagliato. Del resto il la a questa simpatica attitudine a fare di tutta l’erba un fascio (termine non casuale) lo diede il paladino di tutte le battaglie mediaclimatiche Al Gore, paragonando serenamente i suddetti scettici a quanti negano tutt’ora colpevolmente e assurdamente l’olocausto.

Ma ora l’approccio è più sottile. Si fa un gran parlare di divulgazione scientifica, di come gli sforzi di quanti studiano questa materia vengono trasmessi attraverso i media e recepiti dal pubblico, fatti anche recenti che abbiamo puntualmente commentato. E continuano a uscire articoli a sfondo sociologico.

L’ultimo in ordine di tempo è uno studio uscito su Environmental Research Letters, una Letter i cui autori hanno compiuto una survey su un certo numero di giornali importanti in vari paesi del mondo.

Cross-national comparison of the presence of climate scepticism in the print media in six countries, 2007–10

Dopo essersi sciroppati la bellezza di oltre 2000 articoli raccolti nella finestra temporale di qualche mese tra il 2009 e il 2010 e all’epoca della pubblicazione del 4AR, cioè nel 2007, hanno decretato un certo numero di cose:

  1. I media generalisti tendono a dar voce ad opinioni scettiche negli USA e in UK molto più di quanto non accada in altri paesi (Cina, Brasile, India, Francia); pare quindi che la bestia si annidi essenzialmente in terra anglofona.
  2. Gli articoli di impronta scettica sono per lo più editoriali di opinionisti piuttosto che news vere e proprie; questo salva la categoria del divulgatore per il quale è comunque sempre bene avere un’occhio di riguardo.
  3. Si conferma, anche se non in modo molto marcato, la tendenza dei giornali di indirizzo politico di destra ad ospitare queste opinioni, non già perché esse appaiano in numero superiore rispetto ai media di indirizzo politico di sinistra, quanto piuttosto perché pare che queste opinioni non abbiano ricevuto contestazioni; nella fattispecie la colpa è dunque di quei creduloni dei lettori o, se preferite, di quei marpioni degli opinionisti.
Figure 3. Types of sceptics by country – Painter & Ashe 2012

Comunque la Letter è open access, per cui vi invito caldamente a leggerla. La mia personale curiosità si è purtroppo arrestata alla metodologia impiegata per catalogare gli articoli. E’ stato infatti necessario generare una tassonomia dello scetticismo, individuando tre categorie che racchiudessero i concetti di credulone-marpione:

  • Scettico di tipo 1: nega il trend positivo delle temperature globali.
  • Scettico di tipo 2: riconosce il trend ma ne mette in dubbio l’origine antropica rispetto alle oscillazioni naturali oppure dice che non se ne sa ancora abbastanza.
  • Scettico di tipo 3: riconosce le origini antropiche ma asserisce che l’impatto potrebbe essere positivo o che i modelli non sono sufficientemente attendibili o ancora mette in discussione l’esigenza di di forti politiche di regolazione o intervento.

Sono gli stessi autori a dire che forse messa così la faccenda è un po’ semplicistica (io la trovo ridicola ma questo non conta), anche perché nello stesso paper si interrogano circa la differenza che può esserci tra scienziati come Richard Lindzen e Freeman Dyson e politici come il senatore repubblicano Inhofe. Per i loro scopi, però, possono evidentemente stare assieme perché, piuttosto che focalizzarsi sulla credibilità scientifica delle posizioni, hanno preferito prendere in esame gli argomenti su cui si fonderebbe lo scetticismo, evidentemente poi riportati negli articoli esaminati.

Adesso, prendiamo lo scettico di tipo 1 e mandiamolo a farsi una passeggiata. Per tutti gli altri, direi che i numeri non sono banali. Se è vero che l’orientamento dei media rispecchia il sentire comune, forse c’è qualche numero da rivedere anche in termini di consenso. Ma questo, chi è scettico, lo sapeva già.

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...Facebooktwitterlinkedinmail
Published inAttualità

5 Comments

  1. donato

    OT (sono stanco e non mi va di cercare la discussione attinente al tema per cui la metto qui) 🙂

    La notiziola mi sembra importante anche perché viene da fonte autorevolissima (Nature Geoscience).
    Come scettico a pois sono piuttosto contento. Nature Geoscience pubblica, infatti, una preview in cui (stando all’abstract) le estati torride verificatesi nel sud Europa nelle ultime decadi dipenderebbero da anomalie termiche dell’Oceano Atlantico settentrionale. Nell’abstract non si cita la CO2 né l’AGW.
    http://www.nature.com/ngeo/journal/vaop/ncurrent/full/ngeo1595.html
    L’anomalia termica si sarebbe formata nel 1990 e sarebbe simile ad un’analoga anomalia registrata nel 1950. Le estati torride dovrebbero resistere fino alla scomparsa dell’anomalia positiva. Per essa i ricercatori dell’Università di Reading ipotizzano un periodo ultradecennale. La lettura integrale dell’articolo costa 30 €. Chi può potrebbe dargli un’occhiata e riferire, potrebbe essere interessante.
    Vuoi vedere che tra qualche anno torneremo a lamentarci per il freddo?
    Se dovesse accadere credo che le voci scettiche diventeranno maggioranza. Noi, però, scettici siamo e scettici resteremo: non crederemo al global cooling! 🙂 🙂
    Ciao, Donato.

    • Donato, quell’anomalia si chiama AMO. Leggi il post di domani.
      gg

  2. Maurizio Rovati

    A me pare strano e inquietante che le persone che hanno dubbi, critiche e domande da fare a un sistema complesso e ricco di interconnessioni socio politiche come il presunto consenso scientifico, stiano diventando oggetti di studio da parte dello stesso (E che studi!) invece che ottenere ascolto, risposte e soprattutto, trasparenza.

  3. Guido Botteri

    Io ci vedrei una conclusione semplice semplice:
    ci sono più articoli scettici dove c’è più libertà “effettiva” di espressione.
    Dove il pensiero unico ha maggiore forza, c’è meno presenza di articoli scettici, e mi sembra anche conseguenziale, per quanto spiacevole.
    Secondo me.

    • donato

      Si e no, Guido. Mi spiego meglio. La maggiore o minore libertà di espressione ha certamente il suo peso. Noto, però, che negli USA e nel Regno Unito il dibattito incentrato sul cambiamento climatico è molto più vivace che altrove. Prendiamo, per esempio, la Francia. Grazie ad alcuni commenti apparsi qui su CM, abbiamo appreso che in Francia l’AGW è la “religione ufficiale” dello stato. Gli spazi per il dissenso sono praticamente inesistenti in quanto chi dissente si pone fuori dal circuito dei finanziamenti. Il dibattito, quindi, ha pochissimo spazio. Dove il finanziamento della ricerca è più variegato (USA e UK), invece, le voci fuori dal coro sono di più e, quindi, trovano spazi maggiori. Non credo, infatti, che in Francia vi sia meno libertà di espressione che in UK o in USA. Dell’Italia non mi preoccuperei molto: ci siamo noi ed il pollaio! Il dibattito è garantito visto che, in passato, qualcuno ha aprerto nuovi blog per contrastare proprio CM. 🙂 🙂
      Ciò che, però, mi meraviglia è il fatto che qualcuno indaga per scoprire come mai questi sciagurati scettici trovano spazio sui giornali! Alla faccia della libertà di opinione e di espressione! A questo punto, mi chiedo, cosa si vorrebbe, che chi la pensa diversamente venga imbavagliato o ammanettato per impedirgli di manifestare le proprie opinioni?
      Io, invece, sono ben impressionato dal fatto che la percentuale di opinionisti che pensa con la propria testa sia così alta. E’ vero che la stragrande maggioranza degli articoli “scettici” sono stati contestati dagli opinionisti (e non solo) di fede opposta, ma almeno sono stati pubblicati. Ogni tanto si legge anche qualche buona notizia. 🙂
      Per concludere ho cercato di inquadrarmi nella “tassonomia” degli scettici. Tu, Guido, sei “scettico blù” per definizione e quindi sei fuori categoria (nello studio il blù non compare!) Io, probabilmente, potrei considerarmi “varicolori”: un po’ verde ed un po’ rosso, diciamo a pois! 🙂
      Ciao, Donato.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Categorie

Termini di utilizzo

Licenza Creative Commons
Climatemonitor di Guido Guidi è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 4.0 Internazionale.
Permessi ulteriori rispetto alle finalità della presente licenza possono essere disponibili presso info@climatemonitor.it.
scrivi a info@climatemonitor.it
Translate »