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Manzo, Cavallo, Topi, Lasagne e propaganda climatica

E’ una di quelle notizie che gira per qualche giorno prima di tenere banco sui media. La truffa alimentare di cui è accusata la Findus sta facendo il giro del mondo. Pare che nelle confezioni di lasagne commercializzate fosse indicata la presenza di manzo, mentre il 60% della carne era invece equina.

 

Ora, tralasciando il fatto che chi decide di comprarsi le lasagne preconfezionate già dimostra di non avere capito un gran che, si potrebbe dire la carne è carne, per cui se il prodotto è comunque a posto dov’è il problema? In fondo il fine giustifica i mezzi. La faccenda invece è sicuramente seria perché i protocolli per il controllo della sicurezza alimentare in essere per la carne equina non sono gli stessi cui ci si deve attenere per quella bovina. Si pone quindi un problema di contraffazione e di sicurezza che sarà presumibilmente affrontato nelle sedi opportune. Ma che c’entra il clima?

 

Ce lo spiegano con dovizia di particolari Roger Pielke jr e Judith Curry, facendo rilevare che vendere una cosa per un’altra, ovvero contaminare un prodotto potenzialmente buono con qualcosa di diverso da quanto dichiarato e non necessariamente nocivo ma comunque non associabile al prodotto originario, è in analogia con quanto succede più o meno quotidianamente nel dibattito sulle origini dei cambiamenti climatici. Il fattore contaminante, dice il primo dei due, è l’attribuzione degli eventi estremi alle presunte modifiche intervenute nel sistema climatico, una attribuzione molto debole ove non del tutto assente in termini scientifici.  A questo si aggiungono, scrive la Curry, altre trovate propagandistiche tipo la finta storia della “conversione” dallo scetticismo alla causa dell’AGW di autorevoli scienziati o, per finire, l’ostracismo nei confronti di opinioni che non collimano con la buona causa.

 

Il fine, naturalmente, è la salvezza del Pianeta, mentre il mezzo, nella fattispecie, è l’uso di argomenti propagandistici non supportati dalla scienza. Se spaventata dallo spauracchio del prossimo temporale magari la gente prenderà in considerazione più seriamente le necessarie (?) policy di mitigazione. Poco male se per arrivare a questo si racconta una certa dose di frottole. E badate bene che chi le policy le fa ha sempre due braccia e due gambe, come chi le subisce, tanto è vero che non passa giorno senza sentire questo o quel leader politico che prende spunto da qualche evento estremo – che in qualche parte del mondo si trova sempre – per manifestare l’intenzione  di intervenire sui cambiamenti climatici.

 

Non esistono quindi alternative alla corretta informazione e tantomeno scorciatoie. Oggi è possibile sollevare dubbi circa l’origine naturale dell’aumento della temperatura media globale solo grazie all’impiego dei modelli di simulazione climatica, che hanno seri problemi di capacità di riprodurre il passato e mai verificata capacità di descrivere il futuro. Anzi, per quel che è possibile vedere questa capacità è molto limitata rispetto al solo dato temperatura e del tutto assente rispetto alle dinamiche interne al sistema che dovrebbero derivarne. Questo è lo stato dell’arte, se non è sufficiente a giustificare allarmi, generarne di appositi per sostenere una teoria traballante non è consentito, perché, per dirla sempre con Pielke, non è giusto e rovina tutta la pietanza.

 

E qui entrano in gioco i topi. Un altro fatto decisamente poco noto che circola da qualche giorno, è la pubblicazione di uno studio in ambito medico che ha sovvertito molti dei paradigmi della ricerca scientifica e della sperimentazione sugli animali sin qui dati per scontati. Un gruppo di ricercatori ha cercato riuscendovi di spiegare perché alcune terapie che davano risultati ottimali nelle sperimentazioni sui topi risultavano inefficaci se non addirittura dannose se applicate agli esseri umani. La risposta, ci dicono, è nei geni, ma soprattutto è nel fatto che mai nessuno aveva provato ad uscire dal protocollo di sperimentazione animale ritenendolo l’unica strada percorribile e finendo per concentrarsi sulla cura dei topi piuttosto che su quella degli esseri umani. Il loro articolo, ora pubblicato sui PNAS è stato rifiutato da Nature e da Science non per lacune scientifiche, quanto piuttosto secondo la logica del “deve necessariamente esserci un errore, non sappiamo quale ma deve esserci”.

 

Vi ricorda qualcosa questo problema? Fino a qualche anno fa, e le mail del climategate lo confermano abbondantemente, nessuna pubblicazione che prendesse seriamente in esame il ruolo della variabilità naturale o del forcing solare sulle dinamiche del clima passava lo sbarramento delle pubblicazioni ad ampia visibilità. “Non può essere la natura, non sappiamo perché ma ne siamo sicuri”, si sentiva dire, “per cui deve essere per forza la CO2”. Adesso sta crescendo sempre di più il volume della letteratura scientifica che riconsidera il ruolo delle oscillazioni naturali tanto che si è riaperto il dibattito sulla sensibilità climatica, cioè sulla quantità di riscaldamento che sarebbe lecito attendersi in ragione di un raddoppio della CO2 rispetto al periodo pre-industriale.

 

Ebbene, io non credo che esista uno scettico, uno solo, che se fosse sgombrato il campo da tutta la propaganda sugli eventi estremi e dalle profezie di sventura che non hanno alcun serio fondamento scientifico, non sarebbe disposto a prendere nella dovuta considerazione il tema dei cambiamenti climatici. Per una semplice ragione: a quel punto tutti gli scienziati sarebbero scettici, perché questa è la natura della scienza.

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Published inAttualità

8 Comments

  1. […] giorno fa abbiamo pubblicato un post in cui parlavamo della scorciatoia che molti rappresentanti del mainstream scientifico – e […]

  2. luigi mariani

    Vorrei segnalare che alimentazione e clima sono sempre più spesso abbinati per scopi propagandistici.
    Il caso della carne è un esempio evidentissimo in tale senso. In proposito vi propongo quanto si scrive oggi su “Ulisse, nella rete della scienza” settimanale di propaganda (pardon, di “divulgazione scientifica”) della SISSA di Trieste (http://ulisse.sissa.it/scienza7/notizia/2013/feb/Uesp130215n002/ ).

    E, badate, sono io il primo a dire che non si debba strafogarsi di carne al mattino alla sera, perché questo fa male come farebbe male alimentarsi solo d’insalata. Tuttavia da qui a dire che la produzione di carne distrugge il pianeta ma pare che sia un abisso pieno di informazione parziale e che trascura i grandi meriti della carne come fonte di proteine nobili (se oggi viviamo mediamente più di 80 anni e con una qualità della vita inimmaginabile fino a 50 anni orsono lo dobbiamo anche alla carne).

    • Guido Botteri

      Dal tuo link:
      “In India, da sempre il paese più vegetariano al mondo”… vediamo come sta l’India riguardo alla speranza di vita, visto che è il Pease più vegetariano al mondo, ci aspettiamo che sia anche il più longevo al mondo, con speranza di vita ampiamente oltre i cento anni…. e invece
      http://it.wikipedia.org/wiki/Lista_di_stati_per_aspettativa_di_vita
      “118 145 India 68,59 66,28 71,17”
      cioè è appena 145-ma…. credo dunque che possiamo concludere che la scelta vegetariana non sia la migliore.
      L’Italia invece
      “3 4 Italia 82,0 79,4 84,5” cioè è quarta con una aspettativa di vita ben più lunga, e quindi non ha nulla da imparare dalle diete vegetariane indiane.
      Secondo me.
      ps
      per il significato esatto dei numeri vi rimando al link citato

  3. Ho un “soft spot” in argomento proprio perche’ la lettera a Nature cui avevo partecipato, approvata sostanzialmente per la pubblicazione dai referees, e’ stata poi bloccata da uno degli Editor e quindi resta non-pubblicata. Poi abbiamo scoperto nel ClimateGate II che gli stimati professori avevano discusso di quel lavoro fra di loro, avevano detto che non diceva niente di sbagliato, e non sapevano come/cosa rispondere.

    Tanto non ne hanno avuto bisogno…perche’ non e’ divenuto “pubblicazione”…

  4. Guido Botteri

    “Il fine, naturalmente, è la salvezza del Pianeta”
    il fine “dichiarato”, ma secondo me, quello NON è il “fine”, ma un “mezzo”, il vero fine è, di volta in volta, politico, ideologico o di interesse personale. Con pochissime eccezioni.
    Messi alle strette, lo confessano in molti.
    Secondo me.

  5. “nessuna pubblicazione che prendesse seriamente in esame” dovrebbe essere “nessuno studio che prendesse seriamente in esame”

    • Maurizio, nella fattispecie si intende pubblicazione scientifica. 🙂
      gg

    • Non per fare il pignolo ma…il punto e’ proprio che quegli studi NON diventavano “pubblicazioni”, cioe’ venivano affossati in malo modo da Jones e soci prima che si riuscisse a “pubblicarli”.

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