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Provaci ancora Sandy

Ma questo è il mondo reale, il mondo delle misure e delle osservazioni, un mondo dove, pur con riluttanza, anche l’IPCC si è dovuto calare, segnando un importante cambiamento di passo riguardo a questi aspetti rispetto al precedente report del 2007 che, invece, paventava un futuro di maltempo esacerbato con sfumature di vari colori a seconda dello scenario climatico proposto dalle simulazioni. Tutt’altra cosa il mondo virtuale. In questo, per esempio, si può scrivere (e pubblicare) un articolo con questo titolo:

 

Recent Intense Hurricane Response to Global Climate Change – Holland & Bruyere 2013.

 

Vediamo un po’. Il periodo preso in esame va dal 1975 al 2010, il metodo è originale. Per cercare un elemento di forcing sui Cicloni Tropicali in questo studio si mette a punto un indice di “antropizzazione del clima” denominato ACCI. Tale indice scaturisce dalla differenza tra la media degli output di modelli climatici forzati anche con l’aumento della concentrazione di CO2 e la media degli output degli stessi modelli però privati del forcing antropico e lasciati dunque in balia della sola variabilità naturale. Naturalmente, nel mondo CO2 centrico delle simulaizoni climatiche, i modelli forzati con la CO2 sono quelli che meglio riproducono le serie storiche della temperatura, come mostra chiaramente la figura 1 del paper. Quel mondo però è finito da circa 15 anni, perché come detto poco fa, le temperature hanno smesso di aumentare. Questo fattore non può essere sfuggito agli autori del paper, i quali infatti per non sbagliare, proprio nella figura in questione fanno terminare i dati osservati al 2000, portando invece ben oltre (e ben più in su) quelli simulati.

 

Ciò non toglie, e di questo va loro dato atto, che quando questo indice tutto modellistico (differenza tra diverse simulazioni) viene messo a confronto con l’attività dei cicloni tropicali, si nota una buona correlazione. Ergo, cresce l’antropizzazione virtuale del clima, cresce la realtà dell’attività degli uragani. Con questi risultati:

 

We conclude that since 1975 there has been a substantial and observable regional and global increase in the proportion of Cat 4–5 hurricanes of 25–30 % per °C of anthropogenic global warming.

Si conclude che a partire dal 1975 ci sia stato un sostanziale ed osservabile aumento a livello regionale e globale della porzione di uragani di categoria 4-5, circa il 25-30% per °C di riscaldamento globale antropogenico.

Rivediamo un po’.

  1. Apprendiamo che tutto l’aumento delle temperature medie superficiali (temperature di superficie del mare quindi incluse) occorso dal 1975 è antropico; se, come si evince dalla loro figura, in assenza di forcing antropico le temperature non sarebbero aumentate, parimenti non dovrebbe essere aumentata l’intensità degli uragani. Per la cronaca, la fase di attività sostenuta di questi eventi è proseguita anche nel periodo recente di assenza di ulteriore riscaldamento.
  2. I numeri. Dal 1975 la temperatura è aumentata di 0,4°C circa. L’aumento dell’attività degli uragani di categoria 4-5 dal allora ad oggi dovrebbe essere quindi il 40% del 25-30%, cioè attorno al 10%. E’ tanto?

 

Ririvediamo un po’. La NOAA, che può essere considerata la massima autorità mondiale in materia di uragani spiega che la variabilità interannuale e/o di più lungo periodo dell’attività degli uragani è influenzata da molti fattori. Tra questi, quelli più importanti sono le temperature di superficie (SST) del mare, l’ENSO e l’AMO, dove il secondo è l’indice che descrive le oscillazioni di breve periodo ma a-periodiche delle temperature di superficie dell’Oceano Pacifico e la seconda è un indice che descrive invece le oscillazioni multidecadali sempre delle temperature di superficie ma dell’Oceano Atlantico. Circa le SST in generale, esse rappresentano l’incubo delle simulazioni numeriche, specie su ridotta scala spaziale, nel senso che le difficoltà che i modelli hanno nel riprodurle sono macroscopiche. Circa l’ENSO, che è il fenomeno climatico più significativo che si conosca, perché coinvolge la massa liquida più vasta del Pianeta, le difficoltà delle simulazioni sono anche superiori. E infatti gli autori hanno deciso di applicare un filtro di 5 anni alle loro serie proprio per cercare di liberarsi del segnale dell’ENSO. Che però non ha assolutamente una periodicità quinquennale. Con ENSO positivo, gli urgani aumentano nel Pacifico e diminuiscono in Atlantico, con ENSO negativo accade il contrario. Circa l’AMO, scopriamo che la NOAA spiega che con AMO positiva si assiste ad aumento dell’attività degli uragani. L’AMO è entrata in fase positiva alla fine degli anni ’70, per cui l’attuale intensificazione dell’attività degli uragani, che tra l’altro rientra nella variabilità cui questo fattore è soggetto nel lungo periodo, è perfettamente spiegabile con il segno dell’AMO.

 

figure-27

 

Piuttosto che prendere in considerazione questa possibilità, che avrebbe indebolito non poco la credibilità dell’indice di antropizzazione del clima definito per questa ricerca, ed evitando accuratamente di uscire dal mondo virtuale delle simulazioni, nel paper si preferisce immaginare che ci siano degli errori sistematici nelle osservazioni, cioè in come nel tempo si sono consolidate le serie storiche relative a questi eventi. Del resto, se i modelli dicono che l’attività degli uragani deve aumentare e se non si prendono in considerazione gli elementi che normalmente concorrono a queste variazioni, la spiegazione non può che essere che i modelli hanno ragione e le osservazioni torto. Virtuale batte reale 1-0.NB: la foto in testa al post è falsa eh? 🙂

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