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Terra verde, terre rare, terra di conquista

La Terra verde è la Groenlandia. Le terre rare sono quelle preziosissime materie prime sconosciute ai più che costituiscono il fondamento della tecnologia occidentale, materiali di cui è straricca la Cina, molto meno tutti gli altri. Pare che ne sia ricca anche la Groenlandia, secoli fa teatro dello sviluppo e del declino della tribù di Erik il Rosso grazie ad un lungo periodo particolarmente caldo anche per quelle latitudini, oggi abitata da poche decine di migliaia di persone riunite in uno stato sulla carta autonomo in realtà legato a filo doppio e triplo con la Danimarca.

 

La novità è che i groenlandesi hanno deciso di dar corso allo sfruttamento del loro sottosuolo, comunque raggiungibile solo dopo aver attraversato qualche centinaia di metri di ghiaccio. Però, secondo Yahoo finanza, il riscaldamento globale starebbe rendendo quei suoli più accessibili, sicché gli abitanti della ex terra verde ora ancora bianca malgrado quanto scritto su Yahoo, avrebbero lanciato una campagna di attrazione degli investimenti esteri. Soldi, naturalmente, ma anche teste e braccia (possibilmente attaccate tra loro attraverso delle spalle e qualche collo), perché servirebbe anche parecchia manodopera. Leggiamo, con l’aggiunta di qualche neretto (originale) e un po’ di rosso (mio):

 

 

La Groenlandia è nota per essere un potenziale tesoro di risorse naturali. Su quest’isola, infatti, sotto centinaia di metri di ghiaccio si trova di tutto: ferro, rame, nichel, zinco, uranio, minerali e rubini, senza parlar del petrolio e degli altri gas naturali. Risorse che stanno diventando più facilmente estraibili dal sottosuolo in seguito allo scioglimento dei ghiacciai; inoltre le nuove politiche di investimento della neo premier Aleqa Hammond stanno aprendo la Groenlandia al resto del mondo, per ottenere una maggiore indipendenza economica.

Per anni l’isola ha resistito alle richieste degli europei, ma anche di americani, australiani e cinesi di coinvolgerli in progetti di investimento; ora però, stanca della sua condizione di semi-dipendenza dalla Danimarca, ha deciso di utilizzare le sue risorse naturali per produrre ricchezza e diventare finalmente autonoma. Così, dopo aver deciso di togliere il divieto di estrazione dell’uranio – vietato in Danimarca – poiché le terre rare sono spesso mescolate con l’uranio, il secondo passo è quello di avvicinare investitori stranieri e manodopera – la Groenlandia è abitata solo da 56 mila persone – investendo circa 1,7 miliardi di dollari in progetti per lo sviluppo del territorio attraverso anche nuove infrastrutture.

L’idea fa gola a tutti, così già molte società si sono avvicinate: una britannica per il ferro, gli scozzesi stanno testando il petrolio sottomarino, gli australiani si sono concentrati sulle terre rare mentre i canadesi puntano sui rubini. Progetti e infrastrutture che porterebbero alla Groenlandia una ricchezza – attraverso l’export – e un’autosufficienza economica definitiva da Copenaghen. Più di 100 progetti sono stati già presentati per testare ed aprire nuove strade a questo nuovo mercato.
Investire, questo è il mood. In tutti i campi, perciò largo a banchieri sì, ma anche tecnici, ingegneri, progettisti e minatori da ogni parte del mondo. Persino dalla Cina, leader nel mercato dei metalli preziosi, un Paese che la Groenlandia ha sempre tenuto a distanza ma che oggi “è importante avere come alleata, come con tutti gli altri paesi che hanno interesse ad investire in progetti di finanziamento”, ha affermato la Hammond. Sottolineando come “non c’è bisogno solo di soldi dal di fuori, ma anche di mani”.

L’inclinazione verso la Cina potrebbe avere un peso significativo in termini geopolitici e incrinare i rapporti tra la Danimarca e gli Stati Uniti, che non vedono di buon occhio Pechino, più vicina alla Russia. Non facile la posizione della Danimarca, che però preferisce negoziare alleanze strategiche con il governo della Groenlandia, favorendo lo sviluppo economico, piuttosto che limitare lo sviluppo e rischiare un conflitto con la popolazione locale.

 

Uhm…vuoi vedere che il problema più che il ghiaccio era la presenza del divieto all’estrazione dell’uranio? Certo che questo riscaldamento globale capita proprio a fagiolo. Nel grafico qui sotto,  gentilmente messo a disposizione da climate4you.com, appare evidente come e quanto in passato quei suoli siano stati potenzialmente più accessibili e quale grossa mano stia dando oggi la nuova fase di riscaldamento. Visto che si è parlato di scioglimento dei ghiacciai e visto che molti sono convinti che sia tutta e solo colpa nostra, sempre da climate4you.com è possibile vedere anche quale sia stato il contributo della CO2 alle temperature groenlandesi.

 

GISP2 TemperatureSince10700 BP with CO2 from EPICA DomeC

 

 

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Published inAttualità

Un commento

  1. Direi che è anche interessante qualche considerazione più prettamente economica. Negli ultimi 10-15 anni sull’economia del paese si è detto prima che sarebbe decollata grazie all’idrogeno (vedi Rifkin): la grande disponibilità di risorse geotermiche, secondo il tuttologo, avrebbe permesso di “imbottigliare” l’energia sotto forma di idrogeno e trasferirla in tutto il mondo con navi gasiere. Ma per ora non se ne è fatto niente – anzi, non se ne parla proprio. Poi è stata la volta del “modello Groenlandia”: non si capiva bene cosa fosse, ma ne parlavano giornali e TV, ed il paese era indicato come uno dei capisaldi della new economy. Quando si è capito bene cos’era, si è rivelata una bolla speculativa. Se Yahoo! finanza ha ragione, lo sviluppo arriverà dal tradizionale sfruttamento di risorse del sottosuolo. Un po’ come il nuovo traino negli USA è il petrolio ed il gas non convenzionale. Insomma, come al solito i fatti poi smentiscono la fuffa.

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