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Oceani e modelli, tanto per capire

Gli oceani occupano come noto oltre il 70% della superficie del pianeta, per cui la capacità di riprodurne il comportamento è di sostanziale importanza ai fini della riporduzione, nel suo complesso, delle vicende del clima. Come ben evidente nell’immagine, questa capacità i modelli non sembrano averla, nel sul piano spaziale, ovvero per quel che riguarda la distribuzione dei trend, né sul piano qualitativo, perché le variaizoni osservate e quelle previste sono molto differenti anche in termini di valore assoluto.

In particolare spicca nelle osservazioni il deciso riscaldamento della porzione settentrionale dell’Atlantico, del tutto assente nella previsione, e un pattern positivo a forma di ‘C’ sul Pacifico, dove invece nella previsione è previsto un riscaldamento lungo la fascia intertropicale e uno sul settore settentrionale del bacino. Con riferimento a quanto avvenuto in Atlantico, se le simulazioni a prevalente fattore dominante antropico non riescono a riprodurne il riscaldamento, è probabile che quel pattern abbia origini naturali, per esempio nel ritorno in territorio positivo dell’AMO (Atlantic Multidecadal Oscillation), virata avvenuta alla fine del secolo scorso. Per l’Oceano Pacifico, la distribuzione delle anomalie positive rispecchia le dinamiche dell’indice ENSO, che ha visto la prevalenza di condizioni di El Nino fino a pochi anni fa, in accordo con il segno positivo della PDO (Pacific Decadal Oscillation).

Tanto l’AMO, quanto la PDO, quanto ancora l’ENSO, sono dinamiche climatiche di assoluta origine naturale – nel senso che esistono a prescindere dal forcing antropico – che però hanno la non trascurabile abitudine di dettare il ritmo delle vicende climatiche nel medio (ENSO) e lungo periodo (AMO, PDO). Dalla temperatura di superficie degli oceani, infatti, dipende ad esempio il pattern della nuvolosità, delle precipitazioni e, in ultima analisi e con il contributo di molti altri fattori, anche delle temperature.

Nonostante l’ampiezza globale degli effetti che le variazioni di questi indici testimoniano, si potrebbe pensare che la riduzione per quanto ancora ampia della scala di riferimento, cioè l’esame di una o più porzioni di singoli bacini oceanici, nasconda la capacità delle simulaizoni di riprodurre il trend delle temperature di superficie a livello globale.

 

fig-2-global-comparison

Così non pare, giacché a fronte di un riscaldamento previsto di 0,16°C/decade, ne è stato osservato uno di 0,08°C/decade, cioè la metà. A questo punto (se credete andate qui per entrare ancora di più nel dettaglio di questo confronto), c’è da porsi una domanda: ha senso fare affidamento su sistemi di simulazione che falliscono nel riprodurre quel che accade sul piano orizzontale per il 70% della superficie del pianeta e presumibilmente pesa ancora di più in totale?

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