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Il riscaldamento è globale, ma gli emisferi sono due!

Ci sono alcuni aspetti nell’ambito del dibattito sul clima ai quali capita di rado che si presti attenzione. Si tratta per lo più di questioni che mettono in seria difficoltà la natura ‘globale’ del problema che staremmo affrontando, per cui quanti sono impegnati sul fronte del clima che cambia e cambia male capita che se ne occupino solo per eliminare i problemi, piuttosto che per risolverli. Come nel caso di cui ci occupiamo oggi. Attenzione, per chi naviga quotidianamente alla ricerca di novità climatiche non è proprio un piatto appena cotto, perché se ne parla già da un po’, ma vale la pena comunque discuterne.

Si dice, per molti aspetti giustamente, che chi conosce il passato ha buone chance di conoscere il futuro, specialmente se presta attenzione al presente. Quest’ultimo per oggi lo lasciamo stare, non vorrei infierire, perché se dovessimo guardare al presente dovremmo chiudere in un cassetto la querelle del riscaldamento globale e dimenticarcela, né più né meno come il pianeta si è dimenticato di riscaldarsi negli ultimi tre lustri e più. Concentriamoci piuttosto sul prima, solo alla fine di questo post daremo anche un’occhiata al dopo.

Con riferimento al clima e più specificatamente alle temperature, conoscere il passato è la questione del secolo, anzi, dei secoli, quelli per cui è necessario avere un’idea il più precisa possibile di quale ampiezza abbiano avuto le oscillazioni della temperatura media del pianeta. Senza questa informazione, va da se’ che sarebbe oltremodo difficile attribuire un carattere di anomalia all’ampiezza delle variazioni più recenti, quelle coincise con una decisa impennata delle attività antropiche a rischio di impatto sul clima. Ma il passato è beffardo, si nasconde nella rarità di informazioni oggettive – leggi osservazioni – e nella difficile interpretazione dei dati vicari, che gli esperti del settore chiamano proxy, come gli anelli di accrescimento degli alberi, i carotaggi nel ghiaccio e nelle sedimentazioni etc etc. Tutti questi dati, in un modo o nell’altro si è scoperto che hanno vari livelli di riconducibilità alle temperature, con margini di errore più o meno ampi e con parecchie incertezze ancora irrisolte circa la loro effettiva rappresentatività. Ma, bene o male, queste relazioni hanno un fondamento fisico o chimico, quindi a volte anche solido, che però deve essere testato e comunque sempre accompagnato dall’informazione inerente l’incertezza delle informazioni.

Per ragioni che sono abbastanza intuibili sia i dati osservati che quelli di prossimità sono molto più abbondanti nell’emisfero nord che nell’emisfero sud. Quest’ultimo è infatti occupato dagli oceani molto più di quanto non lo sia il primo, e inoltre quasi tutte, se non proprio tutte le civiltà moderne si sono sviluppate nell’emisfero settentrionale. In poche parole, con riferimento sia al passato recente che remoto, sappiamo molte più cose sulla parte nord del pianeta di quante ne sappiamo per quella sud. Nelle ricostruzioni della temperatura globale, infatti, i dati inerenti all’emisfero nord sono sempre in maggioranza, e questo genera uno squilibrio importante nelle informazioni se si vuole, come è necessario, attribuire un significato globale ai dati analizzati e rappresentati.

Appena una settimana fa è stato pubblicato un nuovo studio su Nature Climate Change (qui il comunicato stampa) con cui si è cercato di dare qualche risposta a questo problema. Si tratta infatti di una ricostruzione delle temperature dell’emisfero sud basata su vari dataset di dati proxy. Ne è venuto fuori un carattere climatico dell’emisfero meridionale molto spesso in disaccordo con quello settentrionale. Si è trovata la conferma dell’esistenza di un periodo di generale raffreddamento coinciso con la PEG (Piccola Età Glaciale) e si invece attribuito un carattere più regionale, non riferito quindi a tutto il pianeta, per il Periodo Caldo Medioevale. Ma, soprattutto, è stata riscontrato che le tendenze della temperatura sono state quasi sempre in disaccordo, confermando in generale una risposta molto diversa tra i due emisferi alle forzanti interne ed esterne al sistema che possono essersi presentate nel corso del tempo. In tutto il millennio, pare che l’unico periodo in cui si è riscontrato un comportamento molto simile sia l’ultimo, quello in cui avrebbe prevalso la forzante esterna peggiore, quella riconducibile alle attività umane ed alle emissioni di anidride carbonica.

E qui casca l’asino, o meglio, è caduto, perché questo ha fatto sì che su questo studio abbia attirato le attenzioni di quanti affrontano il tema del riscaldamento globale con atteggiamento molto scettico. Insomma, per dirla in breve, dei cattivi. Due degli autori, inoltre, sono stati in passato protagonisti di una vicenda alquanto controversa culminata con il congelamento (ritiro) di un’altra pubblicazione similare rivelatasi scientificamente molto debole ove non proprio minata da un dubbio trattamento dei dati.

E, purtroppo, pare che un certo genere di cattive abitudini facciano fatica ad essere abbandonate.

Il problema è in questi termini. Come abbiamo accennato qualche riga fa, i dati proxy sono tali perché hanno una relazione chimica o fisica con la temperatura. La loro validità o rappresentatività può venire solo da quella relazione. Gli autori di questa nuova ricerca, invece, per decidere se utilizzare o meno i dati a loro disposizione, cioè per selezionarli, hanno deciso di fare dei test di rappresentatività utilizzando delle osservazioni, cioè, sono state ritenute idonee allo scopo solo le serie che andavano d’accordo con quanto già si sapeva. Tutte le serie che raccontano qualcosa di diverso, cosa che dovrebbe invece essere l’oggetto di una ricerca, finiscono per essere scartate. Questo già mette qualche dubbio sul valore aggiunto che queste informazioni proxy possono aver portato, ma il problema è ancora maggiore. Non essendo ovviamente disponibili delle osservazioni in numero e vicinanza sufficiente allo scopo, sono state ritenute valide le serie che hanno passato il test di confronto con dati sì locali, intendendo con questi quelli contenuti nel raggio di 1000km dal punto dove le serie sono state raccolte e assemblate. Per fare un esempio, sarebbe come prendere un carotaggio nei sedimenti del Lago di Garda e usarlo per capire che temperatura c’era a Palermo nel periodo cui i sedimenti sono riconducibili. E, inoltre, il dataset impiegato per il confronto, quello del GISS (NASA), ha una griglia di 2° X 2° di latitudine e longitudine. In un cerchio con raggio 1000km ci sono dentro decine di celle (centinaia verso i poli) e ognuna di queste, se non contiene dati osservati, cosa molto frequente, riporta il valore mediato e interpolato con le celle ad essa adiacenti, considerando uno spazio utile al riempimento qualcosa che sia entro 1200km dalla cella in questione. Quanto può essere grande qualcosa di locale è un concetto che la scienza del clima ama diversificare secondo esigenza, evidentemente.

Insomma, alla fine il discorso è sempre lo stesso, certi studi paleoclimatici hanno spesso il difetto di essere finalizzati alla composizione di informazioni che raccontino una storia preconfezionata. A quanto pare, neanche l’aver riscontrato delle importanti differenze tra i due emisferi per gran parte del periodo analizzato ha fatto suonare il campanello d’allarme sulla successiva e recente uniformità di comportamento. La CO2, l’effetto antropico, in definitiva, avrebbero in un sol colpo azzerato il contributo delle distese oceaniche, il ruolo delle terre emerse e della disposizione delle catene montuose, il fattore astronomico, tutto.

La selezione dei dati proxy da impiegare, quindi, confermerebbe le preoccupazioni inerenti il carattere anomalo del recente riscaldamento. Gli stessi proxy, però, raccontano anche molte altre cose. Lo leggiamo da un editoriale pubblicato sempre su Nature Climate Change (di cui qui, non so perché, trovate la versione integrale e accessibile).

Innanzi tutto, come già accennato, il comportamento dei due emisferi non è quasi mai stato sincrono, mentre lo è nelle simulazioni climatiche, di cui si scopre l’ennesimo limite. L’emisfero sud, principalmente occupato da oceani, si è scaldato molto meno di quello nord (su questo varrebbe la pena di approfondire il tema della prossimità tra i punti di misura e le aree urbane, ma non è questa la sede), come se gli oceani fossero in grado di agire da buffer e mitigare l’effetto delle forzanti, esterne o interne che siano. Le importanti differenze riscontrate, infine, sono attribuite dagli autori dello studio ad una forte variabilità naturale. Forte. Ciò significa, o potrebbe significare, che il sistema è meno sensibile all’azione delle forzanti di quanto si creda e, soprattutto, di quanto è programmato per esserlo nelle simulazioni climatiche. Cioè, visto che il pianeta è uno ma gli emisferi sono due e si comportano diversamente, si mettono in evidenza i limiti dell’attuale capacità di capire e prevedere le variazioni della temperatura globale da una decade all’altra.

Attenzione però, questo evidentemente non vale per gli ultimi 20 o 30 anni, per i quali, naturalmente c’è la CO2, c’è stato il global warming e ci sarebbe stato il cambiamento climatico. Ora la CO2 c’è ancora, anzi ce n’è di più; il cambiamento climatico c’è perché c’è sempre stato; qualcuno ha visto dov’è andato il global warming?

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Published inAttualità

2 Comments

  1. carlo

    …mi immagino nell’antica Roma un gruppo di “homines scientiae” che si battono per la sostituzione delle inquinanti torce a grasso e pece con delle più salutari candele a cera….

  2. alessandrobarbolini

    Se fossimo qui nel 3000 saremmo ancora a discutere di eventi climatici..e lo avremmo fatto anche ai tempi di cristo

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