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Matt Ridley: I danni alla scienza della guerra del clima

Questo articolo di Matt Ridley è uscito in origine su Quadrant on line. Merita una sosta (un po’ lunga) perché riassume e spiega molte cose di cui abbiamo discusso davvero spesso, come per esempio l’atteggiamento inutilmente ostile di chi la pensa in modo diverso. In qualche modo qui, nel villaggio si Asterix, più o meno tutti abbiamo avuto la nostra dose di ostracismo. Ma c’è anche molto altro. Spero di avervi fatto cosa gradita con la traduzione. Se preferite l’originale lo trovate qui.

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Per gran parte della mia vita sono stato uno scrittore di scienza. Questo significa che origlio quello che succede nei laboratori in modo da poter raccontare storie interessanti. E ‘analogo al modo in cui critici d’arte scrivono di arte, ma con una differenza: noi “critici della scienza” raramente critichiamo. Se pensiamo che un articolo scientifico non dice nulla, semplicemente lo ignoriamo. C’è troppa roba buona che viene fuori dalla scienza per perdere tempo a prendersela con quella cattiva.

Certo, di tanto in tanto ci occupiamo di pseudoscienza – omeopatia, astrologia, chi sostiene che gli alimenti geneticamente modificati provocano il cancro, e così via. Ma la cosa bella della scienza è che si corregge da se’. Il buono scaccia il cattivo, perché gli esperimenti vengono replicati e le ipotesi messe alla prova. Quindi, una pessima idea non può sopravvivere a lungo nel campo della scienza.

O almeno così ho sempre pensato. Ora, grazie in gran parte alla scienza del clima, ho cambiato idea. Si scopre che le cattive idee possono persistere nella scienza per decenni e, circondate da Mirmidoni di difensori furiosi possono trasformarsi in dogmi intolleranti.

Questo avrebbe dovuto essere ovvio per me. Il lysenkoism, una teoria pseudo-biologica che piante (e persone) potrebbero essere addestrate a cambiare la loro natura ereditaria, ha contribuito a far morire di fame milioni di persone eppure ha resistito per decenni in Unione Sovietica, raggiungendo il suo apice sotto Nikita Krusciov. La teoria che i grassi alimentari provocano obesità e malattie cardiache, basata su un paio di terribili studi del 1950, è divenuta ortodossia indiscussa e solo ora sta svanendo lentamente.

Ciò che queste due idee hanno in comune è che avevano il sostegno politico che ha permesso loro di monopolizzare il dibattito. Gli scienziati sono altrettanto inclini come chiunque altro al “condizionamento da conferma”, la tendenza che tutti noi abbiamo nel cercare prove che supportano la nostra ipotesi favorita e nel respingere la prova che la contraddice, come se fossimo un avvocato della difesa. E’ sciocco pensare che gli scienziati cerchino sempre di confutare le loro teorie, come a volte sostengono, né dovrebbero farlo. Ma provano a confutarsele l’un l’altro. La scienza è sempre stata decentrata, così il professor Smith contesta le affermazioni del professor Jones, e questo è ciò che la mantiene onesta.

Ciò che è andato storto con Lysenko e con i grassi alimentari era che in entrambi i casi è stato istituito un monopolio. Gli avversari di Lysenko furono imprigionati o uccisi. Il libro di Nina Teicholz The Big Fat Surprise mostra con un dettaglio devastante come oppositori dell’ipotesi grassi alimentari di Ancel Keys erano privati di sovvenzioni e congelati fuori del dibattito da un consenso di intolleranti sostenuto da interessi costituiti, ripetuti e amplificati da una stampa docile.

Cheerleaders per l’allarme

Questo è esattamente quello che è successo con il dibattito sul clima ed è a rischio di danneggiare l’intera reputazione della scienza. La “cattiva idea” in questo caso non è che il clima cambia, né che gli esseri umani influenzino il cambiamento climatico; ma che il cambiamento imminente sia abbastanza pericoloso da richiedere risposte politiche urgenti. Nel 1970, quando le temperature globali stavano scendendo, alcuni scienziati non hanno potuto resistere al richiamo di attenzione della stampa sostenendo che una nuova era glaciale era imminente. Altri pensavano fosse un’assurdità e l’Organizzazione meteorologica mondiale, giustamente, ha rifiutato di avallare l’allarme. Questa è la scienza che funziona come dovrebbe. Nel 1980, quando le temperature hanno cominciato a salire di nuovo, alcuni degli stessi scienziati hanno rispolverato l’effetto serra e hanno cominciato a sostenere che un riscaldamento inarrestabile era ormai probabile.

In un primo momento, l’establishment scientifico ha reagito con scetticismo e c’è stato spazio per diversità di vedute. E ‘difficile ricordare ora quanto era permesso mettere in discussione certe affermazioni in quei giorni. Come Bernie Lewin ci ricorda in un capitolo di un affascinante libro di saggi chiamato Climate Change: The Facts (di qui in avanti The Facts), ancora nel 1995, quando il secondo rapporto del Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC) uscì con la sua aggiunta dell’ultimo minuto circa una “distinguibile influenza umana” sul clima, la rivista Nature mise in guardia gli scienziati dal surriscaldare il dibattito.

Da allora, tuttavia, un passo alla volta, la pressione enorme di gruppi di pressione verdi è cresciuta a base di una una dieta costante ma in continua evoluzione di allarme per il futuro. Che questi allarmi – crescita della popolazione, pesticidi, foreste pluviali, piogge acide, buco nell’ozono, numero degli spermatozoi, colture geneticamente modificate si siano spesso rivelati selvaggiamente esagerati non importa: le organizzazioni che ha fatto le più grosse esagerazione hanno tesorizzato la maggior parte del bottino. Nel caso del clima, l’allarme è sempre in un lontano futuro, in modo da non poter mai essere ridimensionato.

Queste grandi multinazionali verdi, con un budget di centinaia di milioni di dollari, sono ormai sistematicamente infiltrate nella scienza, così come nell’industria e nei media, con il risultato che molti scienziati del clima di alto profilo e i giornalisti che li riportano sono diventati cheerleaders unilaterali per l’allarme, mentre una squadra di successo di blogger sempre più malevoli sorveglia il dibattito al fine di garantire che chiunque esca fuori dal seminato venga punito. Insistono sull’abbattimento di ogni menzione dell’eresia che il cambiamento climatico potrebbe non essere mortalmente pericoloso.

La scienza del clima di oggi, come sottolinea Ian Plimer nel suo capitolo in The Facts, si basa su una “conclusione preordinata, grandi quantità di evidenze vengono ignorate e le procedure di analisi sono trattate come elementi di prova”. Non sono disponibili fondi per per indagare teorie alternative. Coloro che esprimono anche i dubbi più lievi circa un pericoloso cambiamento climatico sono ostracizzati, accusati di essere al soldo di interessi di combustibili fossili o affamati di finanziamenti; quelli che prendono soldi dai gruppi di pressione verdi e fanno dichiarazioni selvaggiamente esagerate sono inondati di premi e trattati dai media come neutrali.

Guardate cosa è successo a un ecologa delle farfalle di nome Camille Parmesan quando ha pubblicato uno studio sul “Clima e la diffusione delle Specie” che ha individuato nel cambiamento climatico il responsabile per la minaccia di estinzione della farfalla Edith checkerspot in California per spostamento del proprio range verso nord. Il paper è stato citato più di 500 volte, è stata invitata a parlare alla Casa Bianca e le è stato chiesto di contribuire alla redazione del terzo report IPCC.

Purtroppo, un noto ecologo chiamato Jim Steele ebbe da ridire sulle sue conclusioni: c’era stata una estinzione locale nella parte meridionale del range della farfalla a causa dello sviluppo urbano maggiore che al nord, sicché le medie statistiche si erano spostate a nord, non le farfalle. Non c’era nessun cambiamento locale della temperatura correlato in ogni caso, e le farfalle da allora hanno recuperato tutto il loro range. Quando Steele chiese alla Parmesan i suoi dati, ottenne un rifiuto. Lo studio di Parmesan continua ad essere citato come prova del cambiamento climatico. Steele, nel frattempo, viene deriso come un “negazionista”. Non c’è da meravigliarsi se un ecologo molto scettico che conosco è molto riluttante a farsi avanti.

Jim Hansen, recentemente andato in pensione come capo dell’Istituto di Studi Spaziali Goddard della NASA, si è guadagnato oltre un milione di dollari in lucrosi premi verdi, unendosi regolarmente alle proteste contro le centrali a carbone, e si è fatto arrestare mentre contemporaneamente è stato responsabile degli aggiustamenti e dell’omogeneizzazione di uno dei dataset ritenuti oggettivi della temperatura superficiale globale. Come avrebbe probabilmente reagito se fosse venuto a conoscenza del fatto che il cambiamento climatico non è un grosso problema?

Michael Oppenheimer, della Princeton University, che testimonia spesso davanti al Congresso a favore di un’azione urgente sui cambiamenti climatici, è stato senior scientist del Fondo per la Difesa dell’Ambiente (EDF) per diciannove anni e continua ad esserne consulente. L’EDF ha un patrimonio di 209 milioni dollari e dal 2008 ha avuto oltre 540 milioni dollari da fondazioni caritatevoli, più 2,8 milioni dollari in sovvenzioni federali. In quel periodo ha speso 11,3 milioni dollari in attività di lobbying e ha cinquantacinque persone su trentadue comitati consultivi federali. Quante probabilità ci sono che uno di questi o Oppenheimer possano cambiare idea e dire che il riscaldamento globale è improbabile che sia pericoloso?

Perché è accettabile, chiede la blogger Donna Laframboise, per l’IPCC “mettere un uomo che ha trascorso la sua carriera ad incassare assegni sia dal World Wildlife Fund (WWF) che da Greenpeace come responsabile del suo ultimo capitolo sugli oceani del pianeta?” Il riferimento è a Ove Hoegh-Guldberg dell’Università del Queensland.

Questi scienziati e loro custodi della fiamma insistono ripetutamente che ci sono solo due modi di pensare circa il cambiamento climatico – che è reale e provocato dall’uomo e pericoloso (la strada giusta), o che non sta accadendo (la strada sbagliata). Ma questa è una falsa dicotomia. C’è una terza possibilità: che è reale, in parte artificiale e non pericoloso. Questo è la scuola dei “lukewarmer”, e sono felice di mettermi in questa categoria. I lukewarmers non pensano sia impossibile che i cambiamenti climatici siano pericolosi; ma pensano sia improbabile.

Scopro che molto pochi sanno a malapena cosa significhi. La maggior parte delle persone normali che non seguono i dibattiti sul clima danno per scontato che o non sta accadendo o è pericoloso. Questo si adatta a quelli con interessi nel settore dell’energia rinnovabile, in quanto implica che l’unica ragione per andar contro il loro spreco di tempo e di denaro è “non credere” nel cambiamento climatico.

Che consenso per il futuro?

Gli scettici, come Plimer spesso si lamentano che il “consenso” non ha posto nella scienza. In senso stretto hanno ragione, ma penso che questa sia una falsa pista. Accetto volentieri che ci possa essere un certo grado di consenso scientifico sul passato e sul presente. La terra è una sfera; l’evoluzione è vera; l’anidride carbonica è un gas serra. L’IPCC afferma nel suo ultimo rapporto di essere al “95 per cento” sicuro che “più della metà” della (lento) riscaldamento occorso “dal 1950” sia originato dall’uomo. Me la berrò, anche se è una pretesa piuttosto vaga. Ma davvero non si può avere molto consenso circa il futuro. Gli scienziati sono terribili a fare previsioni, anzi come documenta Dan Gardner nel suo libro Future Babble sono spesso peggiori dei laici. E il clima è un sistema caotico con molteplici influenze di cui le emissioni umane sono solo una, il che rende ancora più difficile la previsione.

L’IPCC ammette effettivamente la possibilità di fare lukewarming nel suo consenso, perché dà una gamma di possibili temperature future: pensa che il mondo sarà tra circa 1,5 e quattro gradi in media più caldo entro la fine del secolo. E’ un range enorme, da marginalmente utile a terribilmente dannoso, sicché è difficilmente un consenso sul pericolo, e se si guardano le “funzioni di densità di probabilità” della sensibilità climatica, si nota che si raggruppano sempre verso l’estremità inferiore.

Per di più, nel piccolo paragrafo che descrive le ipotesi dei “Percorsi di Concentrazione Rappresentativi”, si ammette che la parte superiore del range sarà raggiunta solo se la sensibilità al biossido di carbonio è alta (cosa dubbia); se la crescita della popolazione mondiale subirà una nuova accelerazione (cosa improbabile); se l’assorbimento di anidride carbonica da parte degli oceani rallenterà (cosa improbabile); e se l’economia mondiale andrà in una direzione molto strana, rinunciando al gas, ma ricorrendo ad un uso di carbone dieci volte superiore (cosa non plausibile).

Ma i commentatori ignorano tutti questi avvertimenti e cianciano sul riscaldamento “fino a” quattro gradi (o anche di più), per poi castigare come “negazionista” ognuno che dice, come faccio io, che l’estremità inferiore della scala sembra molto più probabile dati i dati effettivi. Questa è una tattica deliberata. Dopo quello che lo psicologo Philip Tetlock chiamò la “psicologia del tabù”, c’è stata una campagna sistematica e approfondita per bollare la via di mezzo come eretica: non solo sbagliato, ma fondato su errori, immorale e irricevibile. Questo è ciò che la parola negazionista con le sue deliberate connotazioni di negazione dell’Olocausto è destinata a fare. Per ragioni che non capisco completamente, i giornalisti sono stati vergognosamente felici di accompagnare questo progetto fondamentalmente religioso.

I politici amano questa polarizzazione perché significa che possono attaccare un uomo di paglia. E’ quello che sono bravi a fare. “Il dubbio è stato eliminato”, ha detto Gro Harlem Brundtland, ex primo ministro della Norvegia e Rappresentante speciale dell’ONU sui cambiamenti climatici, in un discorso nel 2007: “E ‘irresponsabile, temerario e profondamente immorale mettere in discussione la gravità della situazione. Il tempo per la diagnosi è finito. Ora è il momento di agire. “John Kerry dice che non abbiamo tempo per una riunione della società della terra piatta. Barack Obama dice che il 97 per cento degli scienziati concordano sul fatto che il cambiamento climatico è “reale, artificiale e pericoloso”. Questo è una bugia (o una frase molto ignorante): come ho fatto notare in precedenza, non vi è consenso sul fatto che sia pericoloso.

Allora, dov’è l’indignazione degli scienziati verso questa distorsione presidenziale? E’ peggio di quello, in realtà. La cifra 97 per cento deriva da due pezzi di pseudoscienza che avrebbero messo in imbarazzo un omeopata. Il primo era un sondaggio che ha rilevato che il 97 per cento di appena settantanove scienziati pensa che il cambiamento climatico sia artificiale, non che sia pericoloso. Un sondaggio più recente di 1854 membri della American Meteorological Society ha trovato che il vero numero è il 52 per cento.

La seconda fonte della cifra 97 per cento è stato un sondaggio di articoli scientifici, ora ampiamente demolito dal professor Richard Tol della Sussex University, che è probabilmente il miglior economista climatico a livello mondiale. Come la blogger australiana Joanne Nova ha riassunto le scoperte di Tol, John Cook dell’Università del Queensland e il suo team hanno usato un campione non rappresentativo, lasciato fuori dati molto utili, usato osservatori di parte che erano in disaccordo con gli autori dei paper che erano a chiamati a classificare due volte su tre, e raccolto e analizzato i dati in modo tale da consentire agli autori di regolare loro conclusioni preliminari mentre andavano avanti, una pratica scientifica proibita, se mai scientifica ce n’è stata una. I dati non possono essere replicati, e lo stesso Cook ha minacciato un’azione legale per nasconderli. Eppure, né il giornale, né l’università dove Cook lavora ha ritirato lo studio, e la comunità scientifica si rifiuta di smettere di citarlo, per non parlare di denunciarlo. Le sue conclusioni sono troppo utili.

Questo dovrebbe essere uno scandalo enorme, non foraggio per un tweet da parte del leader del mondo libero. Joanne Nova, per inciso, è un esempio di una nuova generazione di critici della scienza che il dibattito sul clima ha generato. Con poco appoggio, e fronteggiando l’ostracismo per la sua eresia, la talentuosa giornalista scientifica ha abbandonato ogni possibilità di una normale e redditizia carriera per esporre sistematicamente come il grande treno merci finanziario che è la scienza del clima abbia distorto i metodi della scienza. Nel suo capitolo in The Facts, Nova sottolinea che l’intera industria da mille miliardi di dollari delle policy sul cambiamento climatico si fonda su un unico presupposto ipotetico, avanzato inizialmente nel 1896, per il quale fino ad oggi non ci sono prove.

L’ipotesi è che un modesto riscaldamento da biossido di carbonio deve essere fortemente amplificato da un supplemento di vapore – cioè che al riscaldamento dell’aria corrisponderà un aumento dell’umidità assoluta tale fornire “un feedback positivo”. Questo presupposto ha portato a previsioni specifiche che potrebbero essere verificate. E i test sono sempre negativi. Il grande feedback positivo che può trasformare un riscaldamento delicato in uno pericoloso proprio non c’è. Non vi è alcun hot-spot nell’atmosfera tropicale. Le carote di ghiaccio mostrano in modo inequivocabile che la temperatura può scendere mentre l’anidride carbonica rimane alta. Le stime della sensibilità climatica, che dovrebbe essere alta se le risposte positive fossero forti, sono invece sempre più basse. Soprattutto, la temperatura non è salita come previsto dai modelli.

Scandalo dopo scandalo

Il paper di Cook è uno dei molti scandali ed errori nella scienza del clima. C’è stata la volta del 2012, quando lo scienziato del clima Peter Gleick ha rubato l’identità di un membro dello (scettico) consiglio dell’Heartland Institute, ha sottratto documenti riservati che comprendevano anche una “strategia memo” che pretendeva di descrivere i piani dell’Heartland, che era una chiara contraffazione. Gleick è scusato, ma continua ad essere un rispettato scienziato del clima.

C’era Stephan Lewandowsky, allora presso la University of Western Australia, che ha pubblicato un articolo intitolato “La NASA ha finto l’allunaggio quindi la scienza [del clima] è una bufala“, da cui lettori potrebbero aver dedotto, secondo il titolo del Guardian, che “una nuova ricerca rivela che gli scettici tendono anche a sostenere le teorie del complotto, come quello che lo sbarco sulla Luna sia finto”. Eppure in effetti nel sondaggio per il paper, solo dieci intervistati su 1145 pensavano che gli sbarchi sulla Luna siano una bufala, e sette di questi non pensava che lo fosse il cambiamento climatico. Una particolare ironia qui è che due degli uomini che sono effettivamente stati sulla luna sono dichiarati scettici del clima: Harrison Schmitt e Buzz Aldrin.

Ci sono voluti anni di insistenza prima che fisico Jonathan Jones e il politologo Ruth Dixon siano riusciti a far entrare in stampa (nel marzo di quest’anno) una critica dettagliata e devastante dei difetti metodologici dell’articolo e del bizzarro ragionamento di Lewandowsky, con una rivista che ha consentito a Lewandowsky si opporsi alla pubblicazione delle loro riposte. Lewandowsky ha poi pubblicato un paper sostenendo che le reazioni al suo precedente lavoro hanno dimostrato che aveva ragione, ma era così fallace da dover essere ritirato.

Se questi esempi di pratica scientifica suonano troppo oscuri, provate con Rajendra Pachauri, presidente dell’IPCC per tredici anni e spesso descritto come “il miglior scienziato del clima del mondo”. Una volta liquidò come”scienza voodoo” una relazione ufficiale dal glaciologo leader in India, Vijay Raina, perché aveva impugnato una bizzarra affermazione in un rapporto dell’IPCC (che citava un rapporto del WWF, che citava un articolo del New Scientist ), che i ghiacciai dell’Himalaya sarebbero spariti nel 2035. L’affermazione nasce con Syed Hasnain, che successivamente ha ottenuto un lavoro presso The Energy and Resources Institute (TERI), la società con sede a Delhi di cui il dottor Pachauri è direttore generale, e la sua ipotesi sui ghiacciai ha permesso a TERI di vincere una sovvenzione di tre milioni di euro da parte dell’Unione europea. Non c’è da stupirsi che Pachauri non avrebbe voluto che fosse contestata l’affermazione del 2035.

Eppure Raina aveva ragione, questo ha dimostrato di essere l’errore di più alto profilo dell’IPCC, e il dottor Pachauri ha dovuto battere in ritirata, lui e la sua frase “voodoo”. Lo scandalo ha portato ad un rapporto molto critico per l’IPCC da parte di alcuni studiosi di scienze tra i più importanti del mondo, che ha raccomandato, tra l’altro, che il capo dell’IPCC si dimetta dopo un mandato. Il dottor Pachauri ha ignorato questa raccomandazione, ha continuato il suo lavoro, ha girato il mondo esortando gli altri a non farlo, e ha pubblicato un romanzo, con scene piccanti di seduzione di giovani donne da parte di un uomo anziano. (Si è dimesso quest’anno in seguito alle accuse penali di cattiva condotta sessuale con una lavoratrice di ventinove anni, che lui nega, e che sono oggetto di indagini della polizia.)

Eppure i blogger del clima che costantemente tengono d’occhio gli scettici sono riusciti ad evitare anche di segnalare la maggior parte di tutto ciò. Se volete seguire la carriera del dottor Pachauri si può contare solo su una instancabile, ma auto-finanziata giornalista investigativa: La canadese Donna Laframboise. Nel suo capitolo in The Facts, Laframboise dettaglia come il dottor Pachauri sia riuscito a ottenere che il mondo lo descriva come Premio Nobel anche se non è vero.

Si noti, per inciso, quanti di questi impavidi liberi pensatori pronti a raccontare che gli imperatori sono nudi sono donne. Susan Crockford, una zoologa canadese, ha fermamente svelato la creazione del mito dell’allarmismo sugli orsi polari, con l’evidente disagio dei decani di quel settore. Jennifer Marohasy della Central Queensland University, chiedendo con insistenza perché le tendenze di raffreddamento registrate presso le stazioni meteorologiche australiane venivano modificate come tendenze al riscaldamento, ha messo in imbarazzo il Bureau of Meteorology  forzandolo a una revisione delle sue procedure. Il suo capitolo ne I fatti sottolinea il fallimento dei modelli al computer per prevedere le precipitazioni.

Ma anche gli scettici maschi hanno ottenuto dei successi. C’è stato il caso del paper su cui l’IPCC si è basato per dimostrare che le isole di calore urbane (il fatto che le città sono in genere più calde rispetto alla campagna circostante, in modo da rendere il riscaldamento dovuto a cause locali come l’urbanizzazione, ma non globale) non hanno accresciuto il riscaldamento recente. Questo paper si è rivelato – come lo scettico Doug Keenan ha dimostrato – basarsi in parte su dati inesistenti su quarantanove stazioni meteorologiche in Cina. Quando corretti, è emerso che l’effetto isola di calore urbana in realtà rappresentava il 40 per cento del riscaldamento in Cina.

C’è stato poi il nucleo di sedimenti lacustri in Scandinava che è stato citato come prova di improvviso riscaldamento recente, quando in realtà è stato utilizzato “al contrario” – in modo opposto a quello che gli autori pensavano dovesse essere utilizzato: quindi se ha dimostrato qualcosa è un raffreddamento.

C’è stato il grafico che mostra il riscaldamento recente senza precedenti che si è rivelato a dipendere da un solo albero di larice nella penisola di Yamal in Siberia.

C’è stato l’hockey Stick dell’emisfero meridionale che era stato creato dalla omissione di serie di dati scomode.

C’è stato il famigerato “Hide the decline” l’incidente di quando un grafico derivato dagli anelli degli alberi era stato troncato per mascherare il fatto che sembrava mostrare un recente raffreddamento.

E naturalmente c’è stata la madre di tutti gli scandali, il “bastone da hockey” stesso: un grafico che pretendeva di mostrare il riscaldamento degli ultimi tre decenni del XX secolo come senza precedenti in un millennio, un grafico di cui l’IPCC è stato così entusiasta che lo ha pubblicato sei volte nel suo terzo rapporto e visualizzato dietro il presidente dell’IPCC alla sua conferenza stampa. Era un grafico che mi aveva convinto ad abbandonare il mio scetticismo (fino a quando ho scoperto i suoi difetti), perché pensavo che la rivista Natura non avrebbe mai pubblicato qualcosa senza controllare. Ed è un grafico che è quantomeno forviante come dimostrato da Steven McIntyre e Ross McKitrick, fatto questo che McKitrick racconta nel suo capitolo di The Facts.

La sua forma di bastone da hockey dipendeva pesantemente da un insieme di dati provenienti da pini bristlecone del sud-ovest americano, arricchiti da un approccio statistico che enfatizzava eccessivamente circa 200 volte qualunque grafico con la forma di hockey-stick. Eppuregli anelli degli alberi bristlecone, a detta di chi ha raccolto i dati, la temperatura non la rispecchiano affatto. Per di più, lo scienziato dietro il paper originale, Michael Mann, aveva sempre saputo che i suoi dati dipendevano pesantemente su questi alberi inappropriati e qualche altra serie, perché quando finalmente ha ceduto e dovuto rilasciare i propri dati ha accidentalmente incluso un file chiamato “censurato” che lo provava: aveva provato l’effetto di eliminare la serie di pini bristlecone e un’altra, scoprendo che la forma di hockey-stick scompariva.

Nel marzo di quest’anno il dottor Mann ha pubblicato un articolo sostenendo che la Corrente del Golfo sta rallentando. Ha ottenuto titoli in tutto il mondo. Sorprendentemente, la sua prova che la Corrente del Golfo sta rallentando non è venuta dalla corrente del Golfo, ma da “proxy” di alberi di pino in Arizona – sì, bristlecone – sedimenti al contrario del lago in Scandinavia e larici in Siberia.

La democratizzazione della scienza

Ognuno di questi scandali, per esempio in medicina, potrebbe comportare sospensioni, inchieste o ritrattazioni. Eppure l’establishment scientifico del clima reagisce ripetutamente come se niente fosse. Sottolinea eventuali errori sul fronte lukewarming, ma ignora quelli sul fronte dell’esagerazione. Questa complicità mi ha sconvolto e ha fatto più di ogni altra cosa per indebolire il mio lungo supporto alla scienza come istituzione. Ripeto che io non sono uno pienamente scettico sui cambiamenti climatici, per non parlare di un “negazionista”. Penso  che il riscaldamento indotto dall’anidride carbonica nel corso di questo secolo sia probabile, anche se penso che sia improbabile che si riveli rapido e pericoloso. Quindi io non sono d’accordo con quelli che dicono che il riscaldamento è tutto naturale, o tutto guidato dal sole, o solo un artefatto di cattive misure, ma credo anche che niente giustifichi la cattiva pratica scientifica a sostegno della teoria dell’anidride carbonica, e ogni volta che uno di questi scandali erutta e l’istituzione scientifica ci chiede di ignorarlo, mi chiedo se gli scettici estremi non abbiano ragione. Mi sento veramente tradito dalla professione con cui ho trascorso così tanto della mia carriera di successo.

Vi è, tuttavia, una buona cosa che è accaduto alla scienza come risultato del dibattito sul clima: la democratizzazione della scienza grazie ai blogger scettici. Non è un caso che i siti scettici continuano a vincere i premi “Bloggies”. Non c’è niente di meglio di loro per il traffico voluminoso, per un ricco dibattito e una peer review realmente aperta. Seguire Steven McIntyre su anelli degli alberi, Anthony Watts o Paul Homewood sulle serie di temperatura, Judith Curry sull’incertezza, Willis Eschenbach sulle nuvole o carote di ghiaccio, o Andrew Montford sulla copertura mediatica è stato uno dei piaceri degli ultimi anni per coloro che sono interessati alla scienza. Documenti che erano passati alla revisione tra pari e pubblicati su riviste sono stati comunque lacerati in pochi minuti sui blog. C’è stato la volta in cui Steven McIntyre ha scoperto che un andamento della temperatura antartica nasceva “del tutto dall’impatto dello splicing di due insiemi di dati”. O quando Willis Eschenbach ha mostrato un grafico pubblicato che aveva “tagliato l’estremità moderna della serie di biossido di carbonio nelle carote di ghiaccio proprio nel momento in cui l’anidride carbonica aveva iniziato a crescere di nuovo” circa 8000 anni fa, omettendo così il fatto sorprendente, ma scomodo, che nel corso dei millenni i livelli di anidride carbonica sono aumentati mentre le temperature sono diminuite.

Agli scienziati non piace questa lesa maestà, naturalmente. Ma è la scienza dei cittadini che internet ha da tempo promesso. Questo è ciò che l’intercettazione sulla scienza dovrebbe essere, seguendo i meandri di ogni storia, le repliche e le contro-repliche, costruendo la vostra idea sulla base delle evidenze. E questo è esattamente ciò che il lato non scettico non ottiene. I suoi blogger sono quasi universalmente noiosamente condiscendenti. Si stanno comportando come i preti del XVI secolo che non pensavano che la Bibbia dovesse essere tradotta in inglese.

I rinnegati eretici nella scienza sono particolarmente presi di mira. La BBC è stata sottoposta a torrenti di proteste anche solo per aver intervistato Bob Carter, un distinto geologo e esperto di scienza del clima che non segue la linea dell’allarme e che è uno dei redattori del Cambiamento Climatico Riconsiderato, un’indagine seria e approfondita dello stato della scienza del clima, organizzata dal gruppo non governativo sul cambiamento climatico e ignorato dai media mainstream.

Judith Curry del Georgia Tech è passata dall’allarme ad un mite scetticismo e per questo ha subito critiche al vetriolo. Recentemente ha scritto:

C’è una pressione enorme perché gli scienziati del clima si conformino al cosiddetto consenso. Questa pressione non viene solo dai politici, ma da agenzie di finanziamento federali, università e società professionali, e dagli scienziati stessi che sono attivisti verdi e sostenitori. A rafforzare questo consenso ci sono forti interessi monetari, reputazionali e autorità. La chiusura della mente sulla questione del cambiamento climatico è una tragedia sia per la scienza che la società.

Il distinto meteorologo svedese Lennart Bengtsson era così spaventato per la sua famiglia e la sua salute, che dopo aver annunciato l’anno scorso che stava per entrare nel consiglio consultivo della Global Warming Policy Foundation si è ritirato dallo stesso affermando che “E’ una situazione che mi ricorda i tempi di McCarthy.”

L’astrofisico Willie Soon è stato falsamente accusato da un attivista di Greenpeace di non aver comunicato i sui conflitti di interesse ad una rivista accademica, un’accusa ampiamente ripetuta dai media mainstream.

Cancellazione della terra di mezzo

Gran parte di questa guerra del clima è parallela a quanto è successo con l’islamismo, ed è il risultato di una simile deliberata politica di polarizzazione e messa a tacere del dibattito. Etichettare gli avversari “islamofobi” o “negazionisti” è nella stragrande maggioranza dei casi sia errato sia destinato a polarizzare. Come Asra Nomani ha scritto sul Washington Post di recente, una comunità di polizia anti-blasfemia nata da una decisione politica deliberata da parte dell’Organizzazione per la Cooperazione Islamica:

e cominciò cercando di controllare il dibattito sull’Islam. Questa armata lancia l’etichetta di “islamofobo” a opinionisti, giornalisti e tutti coloro che hanno il coraggio di parlare di ideologia estremista nella religione … Gli insulti possono sembrare simili al trollismo su internet e si possono trovare commenti al vetriolo su qualsiasi sito, sia esso un blog o di notizie. Ma sono più coordinati, spaventosi e persistenti.

Si confronti con quello che è successo a Roger Pielke Jr, come raccontato da James Delingpole in The Facts. Pielke è un professore di economia ambientale presso l’Università del Colorado e un esperto molto rispettato sui disastri. Non è un negazionista, pensa che il riscaldamento globale di origine antropica sia reale. Ma nella sua area di competenza è molto chiaro che l’aumento delle perdite delle assicurazioni arriva perché il mondo sta diventando sempre più ricco e abbiamo più roba da perdere, non perché stiano accadendo più tempeste. Questo è incontrovertibilmente vero, e l’IPCC è d’accordo con lui. Ma quando ha detto questo sul sito FiveThirtyEight di Nate Silver, lui e Silver sono stati azzannati dai commentatori, guidati da tale Rob Honeycutt. Schiacciato dalla furia che aveva scatenato, Silver si è scusato e ha smesso di collaborare con Pielke.

Rob Honeycutt e i suoi alleati sapevano quello che stavano facendo. Delingpole sottolinea che Honeycutt (su un sito web diverso) ha esortato la gente a “mandare le truppe a martellare” ogni cosa moderata o scettica, e di “far crescere il team dei frantumatori”. Quelli di noi che hanno avuto a che fare con questo genere di cose sanno che è esattamente come quello che la polizia anti blasfemia fa con l’islamofobia. Veniamo falsamente etichettati come “negazionisti” ed accusati di  eresia spesso con attacchi personali.

Ancora più scioccante è stata la folla di linciaggio bullistico assemblata quest’anno dagli allarmisti per impedire alla University of Western Australia, i datori di lavoro di un tempo del seriamente smentito complottista Stephan Lewandowsky, di dare un posto di lavoro all’economista Bjorn Lomborg. Il motivo era che Lomborg è un “negazionista”. Ma non lo è. Egli non contesta affatto la scienza. Egli dibatte per motivi economici alcune politiche sul cambiamento climatico, nonché le priorità oblique che portano alla spesa inefficace di soldi per soluzioni ambientali sbagliate. Il suo approccio è stato più volte rivendicato nel corso di molti anni in molte diverse occasioni, da molti dei principali economisti mondiali. Eppure c’era a malapena un squittio di protesta da parte dell’istituzione accademica per il modo in cui è stato abbattuto e diffamato per aver l’ardire di cercare di istituire un gruppo di ricerca in una università.

Beh, su internet i troll girano per le foreste su ogni argomento, per cui di cosa mi lamento? La differenza è che nel dibattito sul clima hanno il sostegno tacito o esplicito della comunità scientifica. Istituzioni venerate come la Royal Society non criticano quasi mai i giornalisti per essere eccessivamente allarmisti, solo per essere troppo tiepidi, e si comportano sempre come pseudoscienziati, omettendo fatti scomodi.

Rendere scuse per le previsioni fallite

Ad esempio, gli scienziati hanno predetto un ritiro del ghiaccio marino antartico, ma invece si è ampliato e, al giorno d’oggi, stanno sostenendo come astrologi che dopo tutto è colpa del riscaldamento. “Per favore”, afferma Mark Steyn in The Facts:

C’è poco da ridere, è così puerile: ogni professore di climatologia sa che il ghiaccio più spesso di sempre è un chiaro segno di ghiaccio sottile, perché, con gli oceani caldi, i ghiacciai si staccano dall’Himalaya e sono trasportati da El Ninja giù per il Gore stream attraverso il Capo di Buon Speranza dove si uniscono alla calotta di ghiaccio di fusione, cui ha dato un nome di sensibilizzazione il rapper Ice Sheet…

Oppure si consideri questo esempio, dal recente libretto della Royal Society sul cambiamento climatico:

Il recente rallentamento del riscaldamento significa che il cambiamento climatico non sta più accadendo? No. Poiché dopo le temperature superficiali molto calde del 1998, in seguito al forte El Niño del 1997-1998, l’aumento della temperatura media superficiale è rallentato rispetto al decennio precedente di rapido aumento temperatura, con il calore in eccesso immagazzinato negli oceani.

Lo direste mai che questa scusa “si nasconde negli oceani” è solo un ipotesi non provata, e una che implica che la variazione naturale ha esagerato il riscaldamento nel 1990, rafforzando così l’argomento lukewarmer. Né si sa (come Andrew Bolt racconta nel suo capitolo di The Facts) che la pausa nel riscaldamento globale contraddice previsioni specifiche ed esplicite come questa, dal Met Office del Regno Unito: “entro il 2014 si prevede che la temperatura sarà di 0,3 gradi più calda rispetto al 2004”. O che la lunghezza della pausa è ormai oltre il punto in cui molti scienziati ha detto di essere sufficiente a smentire l’ipotesi di rapido riscaldamento artificiale. Il Dr Phil Jones, capo della Climate Research Unit presso la University of East Anglia, ha dichiarato nel 2009: “l’assenza di tendenze al rialzo dovrà proseguire per un totale di 15 anni prima di arrivare a preoccupare.” Ed ora la scadenza dei 15 anni è stata superata.

Giustificare previsioni errate è un trucco da astrologia; è il modo che sostengono gli pseudoscienziati. Nella scienza, come Karl Popper tempo fa ha insistito, se si fanno previsioni e non riescono, non si fanno scuse e non si insiste di essere ancora più nel giusto di prima. La Royal Society, una volta promise che non avrebbe “mai utilizzato la sua opinione come istituzione su qualsiasi argomento”. Il sua stesso motto è “nullius in verba“: non dar fiducia alla parola di nessuno. Ora si mette a fare catechismo su quello che si deve credere. Sicuramente, la trasmissione dei dogmi è per le chiese, non per le accademie scientifiche. Competenza, autorità e leadership non dovrebbero contare nulla nella scienza. Il grande Thomas Henry Huxley si esprime così: «Colui che persegue la conoscenza naturale rifiuta di riconoscere l’autorità in quanto tale. Per lui, lo scetticismo è il più alto dei doveri; la fede cieca un peccato imperdonabile “Richard Feynman è stato ancora più succinto: “La scienza è la fede nell’ignoranza degli esperti”.

Il danno per la scienza

Ho paura a pensare quanto danno questo episodio avrà fatto alla reputazione della scienza in generale, quando la polvere si sarà posata. La scienza avrà bisogno di una riforma. Garth Paltridge è un illustre scienziato del clima australiano, che, in The Facts, firma un saggio paragrafo che temo sarà l’epitaffio della scienza del clima:

Dobbiamo almeno considerare la possibilità che l”apparato scientifico dietro il problema del riscaldamento globale sia stato trascinato nella trappola di sopravvalutare seriamente il problema del clima o – cosa che è più o meno la stessa cosa, di sottovalutare seriamente le incertezze associate con il problema clima nel suo sforzo di promuovere la causa. Si tratta di una trappola particolarmente perfida nel contesto della scienza, perché rischia di distruggere, forse per secoli a venire, la reputazione unica e conquistata a fatica per l’onestà, che è alla base del rispetto della società per la ricerca scientifica.

E tuttavia non funziona. Nonostante valanghe di soldi vengano spesi per la ricerca per trovare le prove di un rapido riscaldamento artificiale, nonostante ancora più ne siano spesi speso per la propaganda e il marketing e per sovvenzionare le energie rinnovabili, il pubblico rimane dubbioso. I dati dei sondaggi più recenti di Gallup mostrano che il numero di americani che si preoccupano “molto” per il cambiamento climatico è in leggero calo rispetto a 30 anni fa, mentre il numero di quelli che non si preoccupano “affatto” è raddoppiato dal 12 per cento al 24 per cento – e ora supera il numero di quelli che si preoccupano “solo un po’ ” o “in un certo modo”. Tutto questo allarmismo ha ottenuto meno di niente: se qualcosa si è indurito è lo scetticismo.

Niente di tutto questo sarebbe importante se si trattasse di sola inchiesta scientifica, sebbene questa raramente arrivi di per se’ a buon mercato. La grande differenza è che questi scienziati che insistono sul fatto che prendiamo per buona la loro parola, e che saremo messi in croce se non lo facciamo, ci stanno anche chiedendo di fare enormi, costosi e rischiosi cambiamenti dell’economia mondiale e delle condizioni di vita della gente. Vogliono spendere una fortuna per abbattere le emissioni al più presto possibile. E vogliono che lo si faccia anche se fa male ai poveri di oggi, perché, dicono, i loro nipoti (che come sottolinea Nigel Lawson, in The Facts e come i loro modelli assumono, saranno molto ricchi) contano di più.

Eppure non sono disposti a discutere la scienza che sta dietro le  loro preoccupazioni, il che mi sembra sbagliato.

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Published inAttualità

24 Comments

  1. Fabio Vomiero

    Fabrizio, hai perfettamente ragione sul principio, concettualmente, eticamente, filosoficamente, moralmente errato di autorità, anche se, come tante altre dinamiche sociali strane, purtroppo concretamente presente. Forse non mi sono spiegato bene nel post, ma non mi riferivo assolutamente a questo. Infatti, a dimostrazione di ciò, ho messo sul piatto della bilancia anche l’esempio dei due scienziati, teoricamente entrambi autorevoli e autoritari, ma uno che sa come usare la scienza e che fa ricerca da decenni nell’ambito dei sistemi complessi, per esempio, e un altro che magari per altre ragioni non ha mai avuto la possibilità e la fortuna di poter sperimentare oltre i confini della fisica classica. Prova magari a rileggere il mio commento tenendo conto anche di questa precisazione. Perchè poi ci sono grandi differenze anche tra scienze galileiane (fisica classica) e scienze evolutive (climatologia compresa), queste ultime per esempio richiedono approcci del tutto diversi a seconda dei casi e soprattutto sempre rigorosamente multidisciplinari.

  2. A proposito di esagerazioni che non troveranno alcuno scetticismo ma troveranno molta stampa, ecco un bel report sui rischi che il climate change pone alla salute pubblica. Pericoli per lo più indiretti (migrazione, scarsità di risorse alimentari, conflitti). Tuttavia, se si metterà la giusta quantità di risorse per la creazione di un ennesimo corpaccione burocratico che li tenga d’occhio e indichi la via della soluzione, sempre il climate change finirà per essere una grande occasione per migliorarla.
    http://www.thelancet.com/commissions/climate-change#Jun23
    gg

  3. CORRIGE: “(ma a questo punto stiamo parlando di qualcosa che sta intorno alla scienza e non è necessariamente scienza)”

  4. Ovviamente mi associo agli scambi di cordialità qui sopra. Dopodiché:

    “mi auguro abbastanza teorici,”

    Eh, no. Guido ed io abbiamo fatto riferimento a cose già accadute e documentate.

    “Come parlando di clima, un conto sarà l’opinione di un climatologo di professione, un conto sarà l’opinione di uno scienziato che si occupa di fisica delle particelle e quindi immaginate a chi mi riferisco. E di questo un’istituzione scientifica che deve accettare un lavoro, assumere una persona ecc., o una rivista scientifica, ne dovranno pure tenere conto”

    Francamente, questo mi sorprende assai: è di fatto il principio di autorità. In realtà, non ha proprio cittadinanza in ambito scientifico: devono parlare i dati, i modelli, la riproducibilità, la capacità di fare previsioni misurabili, eccetera, e queste cose sono ortogonali all’esperienza dell’autore. Mi sta bene che l’autorevolezza di uno scienziato sia considerata nel caso di assunzione in un ente di ricerca, ovvio; mi sta bene quando parliamo di un dibattito informale in TV o su un giornale (ma a questo punto non stiamo parlando di qualcosa che sta intorno alla scienza e non è necessariamente scienza); invece non è affatto corretto che venga usata per stabilire la correttezza o no di un paper. Che avvenga in pratica lo so, ma non è una cosa buona.

    In scienza conta la riproducibilità, non l’autorevolezza

  5. Fabio Vomiero

    Ringrazio Donato per il commento, anche per me è un grande piacere e una grande opportunità di crescita poter discutere, su temi che tra l’altro che ci interessano molto, con tutti voi. Il grande merito di Guido Guidi l’ho già riconosciuto in un altro commento e lo riconfermo, naturalmente. Guido Botteri ha ragione, la parola democrazia deve essere usata con cautela perchè può dar luogo a fraintendimenti e gli esempi che riporta sono emblematici e concreti, ma anche se possibili, mi auguro abbastanza teorici, io conosco un pò anche il mondo della ricerca in altri settori e per fortuna le cose molto spesso funzionano come devono funzionare. Il concetto di democrazia nell’ambito della scienza che volevo esprimere è abbastanza semplice. In ambito sociale dovremmo avere tutti la stessa dignità, lo stesso valore etico, le stesse possibilità e potenzialità, la stessa libertà di espressione, in questo senso la democrazia è il valore più grande a nostra disposizione. Nell’ambito scientifico le cose cambiano, perchè dobbiamo necessariamente introdurre i concetti di competenza e professionalità. La scienza è una grande risorsa da quattrocento anni a questa parte, chi la conosce e la pratica lo sa, come sa anche però che per arrivare a conoscerla e a capirla ci vuole un sacco di impegno, studio, applicazione, la scienza non è una cosa semplice. Quindi in sostanza, date queste premesse, se discutiamo di un qualsiasi problema di natura scientifica, un conto sarà l’opinione di un scienziato che mastica bene gli argomenti perchè in linea di massima li conosce più o meno bene, ma quantomeno conosce regole e meccanismi, un conto sarà l’opinione magari di un letterato che non ha mai studiato scienze in vita sua e non sa nemmeno quale sia la differenza tra un virus e un batterio. Come parlando di clima, un conto sarà l’opinione di un climatologo di professione, un conto sarà l’opinione di uno scienziato che si occupa di fisica delle particelle e quindi immaginate a chi mi riferisco. E di questo un’istituzione scientifica che deve accettare un lavoro, assumere una persona ecc., o una rivista scientifica, ne dovranno pure tenere conto. Guardate che poi è così in tutto il mondo del lavoro e del mercato, non c’è niente di strano, ciò non significa che il letterato intelligente e curioso non possa dedicarsi alla scienza. E questo non deve spaventare, o generare equivoci, il discorso peraltro è valido anche al contrario. Quando tra amici si discute, per esempio, se parliamo di argomenti scientifici io sono quasi sempre in grado di sostenere il livello di discussione, se parliamo di Monet e parlo con il letterato lo ascolto in silenzio e cerco di apprendere e di capire. Se poi parliamo di Freud, qualcosa da dire ce l’avrei anch’io. Ecco cosa intendevo, molto sinteticamente, per democrazia. Saluto sempre tutti cordialmente.

    • Guido Botteri

      Gentile Fabio Vomiero, il tuo commento è da condividere. Io non mi riferivo però all’uso corretto della scienza, e sono d’accordo sul discorso sulla competenza e professionalità. Oltre ad avere avuto nella mia vita a che fare con vari ambienti di ricerca (multinazionali, ditte private, consorzi) sono assolutamente favorevole alla ricerca, e dico da tempo che sia giusto incentivare la ricerca, NON il mercato, quando il prodotto non è competitivo. Sfondi una porta aperta da questo punto di vista.
      Ma viviamo in un mondo reale, dove le persone sono esseri umani, con i loro pregi e i loro difetti, e non personaggi immaginari, puri e perfetti.
      Ho avuto la possibilità di leggere il materiale copiato dall’Hacker “russo” (aver usato un server russo non è garanzia che l’hacker fosse russo lui stesso) e quel che si respira (a mio opinabilissimo parere) non è l’aria di seri professionisti alla ricerca della verità, ma di un gruppo di persone fortemente partigiane che ostacolano persone che ritengono a loro avverse. Per quanto si tratti di autorevoli scienziati, questo non è scienza, a casa mia, non è quel tipo di scienza che hai in mente tu, e che vorrei anch’io.
      Ti saluto anch’io cordialmente.

    • Donato

      Fabio sono d’accordo con te, ma avrei da fare un piccolo distinguo.
      Se parliamo di Monet, di Freud, di Dante, di buchi neri, di bosoni e via cantando il tuo ragionamento mi sta anche bene: ognuno può avere le sue idee, anche sbagliate, alla fin fine mi interessa poco: la scienza ha tutto il tempo di auto-correggersi e, nel frattempo, grandi danni non se ne faranno.
      Il problema nasce allorché lo scienziato elabora una teoria che può condizionare la mia vita: in questo caso non mi interessa più che lui è uno scienziato ed io un letterato. Vado a vedere le sue carte, cerco di scoprire quel che ha fatto e pretendo di fargli le pulci anche a costo di scrivere e dire castronerie fino a che non emerge la verità. Ecco cosa sta avvenendo nel campo della climatologia: la scienza non è neutra, come nell’astrofisica o nella fisica delle particelle, ma, a causa dell’attivismo di certe cerchie ideologiche, incide nella nostra carne viva e, pertanto, deve essere trattata in modo diverso dall’astrofisica.
      In campo biologico, campo a te piuttosto vicino, se non erro, si fa un gran parlare di etica della ricerca e di rischi dell’applicazione tout-court delle scoperte scientifiche nella vita di tutti i giorni in quanto potrebbero sconvolgere la nostra vita. Gli OGM sono, per esempio, demonizzati dagli stessi soggetti che si ergono a difensori dell’integrità scientifica dei climatologi: due pesi e due misure. Eppure scienziato è il biologo che studia OGM e scienziato è il climatologo che studia l’evoluzione del clima.
      Ciò che nel dibattito che si è sviluppato intorno al mondo della climatologia non mi è mai andato giù è questo atteggiamento bifronte: i climatologi che sostengono l’AGW sono “più scienziati” di quelli che sono contrari o dei biologi che si occupano di OGM o dei fisici che si occupano di uso civile del nucleare. Se la scienza è la stessa e presenta gli stessi margini di incertezza nei suoi risultati (sia in climatologia, che in astrofisica, che in biologia) perché applichiamo il “principio (sic!) di precauzione” ai prodotti OGM (censurando il parere della stragrande maggioranza degli scienziati che li reputano sicuri) e non alle conclusioni dei climatologi che hanno lo stesso margine di incertezza di quelle dei biologi (secondo me addirittura superiori, ma lasciamo perdere)?
      E’ questa domanda che mi inquieta e che mi ha fatto entrare in questa arena “climatologica”. E che mi ha fatto scoprire quanto ampi sono i margini di incertezza della scienza climatologica, quante cose i climatologi ancora ignorano e quanto sia pericoloso per le sorti dell’umanità applicare, sic et simpliciter, le loro “scoperte” alla vita di tutti i giorni.
      Ciao, Donato.

  6. Fabio Vomiero

    Alex, scusa, ma mi piacerebbe conoscere il tuo punto di vista in merito anche agli altri punti delle mie obiezioni che hai citato, in quanto, forse la numero uno, era in fondo quella più facilmente attaccabile, visto che il normale dibattito si svolge proprio in ambito di quel dominio.

  7. Alex

    Volevo ribattere punto per punto all’ intervento di FV, ma vedo che dnt lo ha gia’ fatto adeguatamente. Vorrei pero’ far notare che non capisco l “ad hominem ” contro MR che, se ha qualche scheletro nell’ armadio, lo ha nel campo della finanza, non in quello della divulgazione scientifica.
    Per quanto riguarda il corpo delle obiezioni, mi limtero’ al punto numero 1, ed inviterei quelli che non sanno come funziona la scienza (ma che sanno l ‘ inglese) ad ascoltare le parole di Richard Fenmyan, che nella prima parte di questo video, sembra parlare delle controversie sul clima a cui stiamo assistendo: https://www.youtube.com/watch?v=-2NnquxdWFk&t=16m46s
    Per quelli che l’ inglese non lo sanno, riporto (ad orecchio) alcuni punti fondamentali:
    – Una teoria che viene contraddetta dai fatti non e’ valida, non esiste l’ eccezione che conferma la regola;
    – Una teoria che non e’ stata contradetta e’ valida, ma soggetta ad ulteriori verifiche, in altre parole non esiste “the science is settled”;
    – Un a teoria vaga, che quindi non puo’ essere contraddetta non e’ una teoria scientifica (qui mi viene in mente il calore che si inabissa nella profondita’ degli oceani senza lasciare traccia!).
    Trovo che questo passaggio all’ inizio (che di nuovo cito ad orecchio) basterebbe ridimensionare i modelli climatici globali: “Se avete una meravigliosa teoria, non importa quanto elegante o argomentata, se l’ esperimento (in questo caso la natura) non provoca le conseguenze che che ci si aspetta dalla teoria, LA TEORIA E’ SBAGLIATA”

  8. Daniele

    Buondì,

    volevo inviare una mail ma non l’ ho trovata nel sito.
    Volevo un vs. parere in merito all’ incredibile invasione delle meduse avvenuta di recente
    http://www.sardegnasotterranea.org/la-sardegna-invasa-dalle-meduse-rosa/

    C’è chi dice che sia colpa della moria dei predatori delle stesse e chi dice che è colpa del riscaldamento globale.
    Qual è la verità o la teoria più plausibile dell’ arrivo, ogni anno sempre più in anticipo, delle meduse sulle nostre coste?

    Un saluto

  9. Fabio Vomiero

    Donato, che dire, se posso anch’io darti del tu, le tue argomentazioni sono sempre molto lucide efficaci e convincenti. Chiarisco comunque, che anch’io condivido molto del saggio di Ridley, tuttavia, alcuni passaggi continuano a non convincermi anche oltre lo specifico di questo saggio e che ho in parte riportato sul commento precedente. A volte in alcuni ragionamenti, approcci, collegamenti, Ridley mi sembra un tuttologo un po’ improvvisato e su queste mie perplessità di carattere prevalentemente tecnico-epistemologico, trovo peraltro conferma anche nel pensiero di molti altri scienziati, non necessariamente climatologi, cito per farti qualche esempio Rovelli, Boncinelli, Redi. Riguardo la lotta tra fazioni opposte, hai ragione, purtroppo è anche così per quanto riguarda il dibattuto tema dei cambiamenti climatici, ma questa è una evidente distorsione e storpiatura della scienza, non è la normalità. E’ proprio per questo che insisto, nel mio piccolo (ma una formazione scientifica ce l’ho), a ricercare oltre ai contenuti, il metodo, l’approccio, la logica, la formalità del pensiero, la coerenza, la pertinenza, perchè alla fine sono queste caratteristiche che fanno la differenza nel pensiero scientifico, e su questo bisogna essere chiari, la scienza non è, e non può essere affatto democratica. Saluto sempre cordialmente

    • Donato

      Fabio, Ridley è un giornalista, ma zoologo di formazione ed ha qualche esperienza in campo scientifico. Come quasi tutti i divulgatori scientifici è un po’ tuttologo: la tua impressione è giusta. Del resto anch’io lo sono visto che ho una formazione scientifica, ma, qui su CM, mi occupo di tante cose che esulano dalla mia formazione specifica e molti me lo hanno fatto notare (che vuoi, nessuno è perfetto 🙂 ). Conosco, però, molti che lo sono: non è una scusante, ma mi conforta.
      Per il resto non me ne faccio un problema in quanto, come te, di un lavoro scientifico mi interessa il metodo, l’approccio, la logica e via cantando che sono comuni a tutti i campi della ricerca scientifica. Anche sul problema del cambiamento climatico cerco di non avere idee preconcette e di essere aperto a tutte le possibilità, come posso dire anche di te, tra l’altro.
      .
      In merito alla “guerra per bande” che caratterizza il dibattito climatico convengo con te che non è la normalità della comunità scientifica. Devo notare, però, che anche nella comunità scientifica la competizione è diventata sempre più spinta ed i ricercatori sono sempre più in competizione perché si fa carriera solo pubblicando più degli altri e, soprattutto, in modo originale: la revisione, il controllo, la critica hanno poco “appeal” e non aiutano ad avere finanziamenti e avanzamenti di carriera. In questo Ridley ha gioco facile quando parla di conformità degli studi scientifici alla linea di pensiero principale anche se scopre l’acqua calda: T. Kuhn nel suo “La struttura delle rivoluzioni scientifiche” lo aveva genialmente teorizzato elaborando il concetto di paradigma.
      .
      Fabio è sempre un piacere discutere con te e di questo ringrazio G. Guidi che ci offre uno spazio in cui poter scambiare liberamente le proprie opinioni ed impressioni e che stimola ognuno di noi a pensare, riflettere, confrontarsi civilmente e serenamente. E ciò è un bene perché dal confronto si esce sempre più ricchi, in ogni caso.
      Ciao, Donato.

    • Guido Botteri

      Gentile Fabio Vomiero, hai scritto
      // la scienza non è, e non può essere affatto democratica. //
      ma si tratta di capirsi.
      Se stai dicendo che il parere di un professore non può essere uguale a quello dell’alunno, posso darti ragione (anche se ci sono stati casi in cui era l’alunno ad avere ragione); che il parere di uno scienziato sia più autorevole di quello di una persona comune, siamo pure d’accordo (anche se anche qui non sono mancate le sorprese).
      Sì, la scienza non è un gioco democratico, e Shelburn scrisse su questo un raccontino intitolato “La votazione per la Terra piatta” che ti consiglio di leggere (puoi trovare Shelburn su facebook tra i personaggi inventati).
      Ora, è chiaro che le leggi scientifiche non si validano per votazione, ma vengono validate attraverso il metodo scientifico. In questo senso hai dunque ragione.
      Ma qui è in gioco un altro tipo di democrazia.
      Cercherò di spiegarmi con un caso di fantasia:
      1. uno scienziato sta facendo una ricerca, gli chiedono i dati, rifiuta;
      per me questo è logico e democratico
      (perfino a me è successo che mi hanno rubato una ricerca, trovo giusto difenderne la riservatezza);
      2. lo scienziato finisce la ricerca, la pubblica con grande successo, dalla sua ricerca dipendono le policy di interi Stati; alcuni scettici gli chiedono i dati, per verificare la ricerca;
      cosa è democratico, renderli disponibili o negarli ?
      Ripeto, ormai i meriti non gli possono essere più tolti, perché la ricerca non solo è stata pubblicata, ma è anche sulla bocca di tutti; quindi perché negare la visione dei dati ? La scienza vera non è forse fondata sulla ripetibilità degli esperimenti da parte di altri ?
      Cosa significa che la scienza non è democratica ? Forse che posso non mostrare come sono arrivato a quelle conclusioni ? Si devono fidare di me perché sono alto, biondo, bello e ho gli occhi azzurri ? O possono guardare i miei dati e verificare se li ho usati con correttezza, anche vista la loro enorme importanza ?
      Democrazia nella scienza è parola da usarsi con cautela.
      3. Messo alle strette lo scienziato rifiuta ancora di concedere i dati affermando di averli “buttati”, perché “non erano importanti” ! Oh, ma davvero, l’esito epocale di una contesa scientifica si basa su quei misteriosi dati che sarebbero la prova di quanto affermato da una fazione, e si dice che “non erano importanti” ? Ma quale persona in buona fede può prendere in considerazione una scusa infantile del genere ?
      Ecco, immagina che sia potuto accadere qualcosa del genere, e dimmi se questo rappresenta il concetto di democrazia. Non certo il “mio” concetto di democrazia, fermo restando che le leggi della fisica non si decidono per votazione popolare, e quindi non sono democratiche.
      Ma una cosa sono le leggi, altra sono i comportamenti.
      4. Immagina che qualcuno rubi delle lettere e salti fuori un comportamento partigiano.
      E’ vero che la scienza non è democratica, ma boicottare persone, ostacolarne le ricerche, fare pressioni contro di loro, non hanno nulla a che fare con la non-democrazia della scienza, ma hanno a che fare con la “non democrazia” e basta, secondo me.
      5. … (ho censurato il punto sulle Commissioni per non sollevare troppe polemiche, ma ne avrei cose da dire); sempre Shelburn ha scritto un raccontino poco rispettoso (si sa, Shelburn ci sguazza nella satira)

      Concludo ricambiando la tua cordialità, che mi è sempre gradita.

  10. “nella scienza gli errori prima o poi emergono”

    È quello che è successo finora. Ma pensare che accadrà necessariamente anche in futuro è un dogma, e Popper avrebbe qualcosa da ridire con il suo tacchino induttivo.

    Più concretamente: penso che il problema sia sui tempi di correzione. I tempi finora sono stati veloci, perlomeno in relazione all’epoca storica (voglio dire che l’etere luminifero resistette per decenni, mentre oggi non penso sia tollerabile questo lasso di tempo per un problema confrontabile). Inoltre, la correzione è sempre avvenuta in modo non traumatico: come molti epistemologi sostengono, essa sostanzialmente avviene gradualmente con il cambio di generazione. Io penso – e ovviamente questa è un’opinione non scientifica, ma la voglio mettere per iscritto – che questa volta la correzione avverrà in modo drammatico, con grande scandalo e caduta di credibilità. Il fatto è, lo dico molto schiettamente, che viviamo in un mondo in cui l’etica è andata a farsi fottere in tutti i campi: contano solo i soldi o la fama. Non c’è una categoria di persone che si salvi e basta leggere i giornali. Pensare che gli scienziati siano immuni da questo virus che affligge tutta l’umanità è un altro dogma, francamente poco credibile per me. Il metodo scientifico, che molti credono renda la scienza diversa da altre discipline, non è applicato da un super-computer che ragiona in modo esclusivamente logico: è applicato dalle comunità di scienziati, che sono esseri umani, e soggetti al virus di cui sopra. Niente etica, niente metodo scientifico. Se continuo a leggere di scienziati che si rifiutano di pubblicare i propri dati, presidenti di conferenze che invocano l’ostracismo delle minoranze (o supposte tali) e non vedo tutti gli altri che si ribellano come dinnanzi ad una dittatura, l’etica è andata già andata a farsi benedire: la comunità scientifica si è ridotta ad un mucchio di politicanti.

    “confonde chiaramente tra dibattito scientifico e dibattito pubblico”

    Forse il problema è che tutti ormai li confondono, a partire dall’IPCC?

    • Guido Botteri

      Fabrizio, vorrei ribadire e mettere in evidenza un tuo pensiero che condivido totalmente
      // Se continuo a leggere di scienziati che si rifiutano di pubblicare i propri dati, presidenti di conferenze che invocano l’ostracismo delle minoranze (o supposte tali) e non vedo tutti gli altri che si ribellano come dinnanzi ad una dittatura, l’etica è andata già andata a farsi benedire: la comunità scientifica si è ridotta ad un mucchio di politicanti. //

      Anch’io sono esterefatto per la mancanza di sdegno della comunità degli scienziati di fronte a ripetuti comportamenti simili, a cui abbiamo dovuto assistere in questi anni.

  11. Luigi Mariani

    Mi pare interessante l’argomento di Ridley secondo cui “Questi scienziati insistono ripetutamente che ci sono solo due modi di pensare circa il cambiamento climatico – che è reale e provocato dall’uomo e pericoloso (la strada giusta), o che non sta accadendo (la strada sbagliata). Ma questa è una falsa dicotomia. C’è una terza possibilità: che il cambiamento climatico sia reale, in parte artificiale e non pericoloso.”
    E a proposito di dicotomie manichee mi viene in mente la frase del ministro dell’ambiente Galletti citata ieri da un giornale radio: “Scegliere di non agire in questo momento promuovendo politiche ambientali e di lotta ai cambiamenti climatici è un atto immorale, un crimine contro l’umanità”.

    • Donato

      Luigi, a proposito della citazione di Galletti mi sembra che possa fare il pari con quella del ministro dell’ambiente francese S. Royal e riportata dall’ANSA:
      “…. nessuno è risparmiato dal dissesto climatico […] gli Stati insulari, i nostri litorali, i delta, le città costiere; e poi c’è la siccità, la moltiplicazione degli eventi meteorologici estremi. I cambiamenti climatici sono una questione di sicurezza mondiale. […] Bisogna sconvolgere gli scettici perché avremo e già abbiamo conflitti, per esempio per il controllo delle risorse naturali, dell’acqua, degli esodi massicci per via della desertificazione e delle guerre per la pesca, l’immigrazione della miseria”. [I cambiamenti climatici sono un] ”fattore di destabilizzazione per il Pianeta”. […..] ”l’inazione costa molto di più dell’azione”
      .
      Ecco, questa mi sembra una conferma di quanto scrive Ridley a proposito dell’atteggiamento dei politici di fonte ad un dibattito così polarizzato.
      Ciao, Donato.

    • Luigi Mariani

      Caro Donato, Galletti e la Royal sono la prova vivente del fatto che non c’è bastato un secolo come il XX, in cui i manicheismi hanno fatto disastri a non finire. Ancor oggi la politica (che dovrebbe essere disciplina pragmatica per eccellenza, pronta a recepire dal reale quanto di buono vi è e tenendo in gran conto le statistiche, prima ancora che la scienza) vive in troppi casi di bianco e di nero, come ai tempi di Dante. L’uomo alla fin fine è sempre uguale a sé stesso, il che mi inquieta non poco, visto che oggi siamo 7 miliardi e le sfide del nostro tempo non si vincono con i paraocchi delle ideologie manichee.
      Luigi

  12. Fabio Vomiero

    Grazie a Guidi per l’importante lavoro di traduzione del saggio. Personalmente però, non nutro molta simpatia per Ridley, che naturalmente, occupandosi anche di clima, ho in parte seguito già dalla “famosa” Lectio Magistralis al recente libro “ un ottimista razionale”, che ho letto, ma di cui non ho condiviso diversi segmenti di approccio concettuale nei confronti di varie tematiche. La mia impressione, se devo essere sincero (ma mi posso sbagliare per carità) è di un personaggio, come molti altri prima e dopo di lui, che ha avuto qualche problema personale nell’ambito della comunità scientifica e che si è un po’ “messo in proprio” diventando una sorta di Al Gore al contrario. Ma veniamo comunque al concreto di questo suo contributo e provo ad evidenziare alcune mie obiezioni, che spero possano essere spunto di riflessione.
    1. La scienza del clima, in linea di principio, non è diversa dalle altre scienze, come si vorrebbe fare intendere, cambia soltanto il campo di applicazione, quindi le regole e i meccanismi in fondo sono gli stessi, questo è bene ricordarlo soprattutto a chi magari non conosce ancora bene cosa sia effettivamente e come funzioni la scienza. Poi uno naturalmente può credere o meno alla scienza in generale, ma questo diventa un suo problema personale, quando ci ammaliamo poi corriamo tutti a farci curare dalla medicina, ovvero applicazione delle conoscenze scientifiche.
    2. La teoria dei “grassi alimentari”. Probabilmente Ridley è un po’ disinformato in questo senso e non aggiornato con le ultime ricerche in ambito nutrizionale. Inoltre pare non sappia che dire “grassi animali” è di una generalità disarmante, è come dire vitamine, senza specificare quali, c’è già una bella differenza ad esempio tra vitamine idrosolubili e liposolubili, come minimo, figuriamoci i grassi.
    3. Citare sempre gli errori occorsi nella storia della scienza del clima (ghiacciai dell’Himalaya, hockey stick, ecc.) non è che sia di grande aiuto, tutta la scienza è costellata anche di errori. La cosa importante invece è che nella scienza gli errori prima o poi emergono, a differenza di altri contesti sociologici molto più inclini al dogma o alla perpetuazione del mito.
    4. Molto spesso Ridley confonde chiaramente tra dibattito scientifico e dibattito pubblico, mentre i due livelli di discussione devono necessariamente essere sempre distinti, nel bene o nel male, in quanto seguono regole, meccanismi e dinamiche completamente differenti. Ad esempio non riesco proprio a capire cosa c’entri l’esempio dell’Islam, alla faccia della pertinenza.
    5. Che sia impossibile fare una previsione, o proiezione climatica certa o affidabile per il futuro, lo sanno tutti, siamo tutti d’accordo. E allora? Cosa facciamo, blocchiamo la ricerca?
    6. Ancora con questo consenso del 97%. Allora facciamo una cosa più semplice, togliamoci dalla testa quel benedetto 97% e ragioniamo sul “consenso”. Andiamo a leggerci un po’ di letteratura specialistica peer-review e consultiamo i siti dei principali enti climatologici internazionali e facciamoci un’idea. Credo che poi non ci saranno più dubbi in merito.
    7. Infine danno per la scienza? Dipende, e sicuramente non credo sia possibile definirlo in seguito ad un semplice sondaggio con interlocutori che nella maggior parte dei casi non sapranno nemmeno che differenza c’è tra un protone o un neutrone.
    Naturalmente io sono per natura molto scettico, ma non sono né “negazionista”, né “serrista” in merito alle vicende climatiche, suddivisione schematica impropria che peraltro non condivido. Ciò significa, che senza regole fisse, in base ai contenuti, posso essere scettico climatico, come scettico dello scetticismo, dipende. Saluto sempre tutti cordialmente.

    • dnt

      Fabio, personalmente condivido buona parte del saggio di M. Ridley. Per quel che mi riguarda ho avuto modo di sperimentare personalmente ciò che Ridley descrive nel suo lavoro.
      .
      Sei o sette anni fa nel tentativo di capirci un po’ di più sul ciclo solare 24 o, per essere più precisi, sul lungo minimo che lo ha preceduto, mi imbattei in un sito scettico e, quindi, cominciai a interessarmi di climatologia. Inizialmente le difficoltà furono enormi: di ogni lavoro che leggevo riuscivo a capire poco o niente, ma la cosa che mi faceva più impressione era il livore che caratterizzava il dibattito tra i rappresentanti delle due opposte fazioni, si fazioni: non riesco a trovare altro termine per descrivere i protagonisti del dibattito pubblico che si è sviluppato intorno alla climatologia o per essere più precisi, sui suoi risultati.
      Ebbi la malaugurata idea di commentare su un blog favorevole all’AGW e mi qualificai per quel che mi consideravo allora: un incompetente. Dopo diversi anni di studi non sono diventato un climatologo, ma posso permettermi di leggere e commentare un articolo scientifico come tu (permettimi di passare dalla terza alla seconda persona, ormai ci conosciamo abbastanza per poterlo fare, credo) hai avuto modo di verificare. Circa un anno fa in occasione di un confronto, qui su CM, con un ricercatore di cui avevo commentato un lavoro, ho avuto modo di verificare che quel commento e quella parola (incompetente) è tornata a galla: come si permette Barone, incompetente autocertificato (link al commento) di contestare il dottor …..!
      Questo aneddoto conferma pienamente ciò che scrive Ridley nel capitolo “Cancellazione della terra di mezzo”. Ti posso assicurare che ogni riga, ogni parola che scriviamo su queste pagine è oggetto di “attenzione” costante da parte di certi “ambienti”.
      Mi sono sempre meravigliato di questa attenzione verso persone come me, assolutamente marginali nel dibattito climatico, ma purtroppo è una realtà e conferma buona parte del ragionamento di Ridley. Forse non c’entra nulla con la “polizia islamica”, ma la metodologia che sottende questi episodi è quella illustrata da Ridley.
      .
      Altro aspetto che distingue la climatologia dalla restante parte della scienza è la collateralità tra scienziati ed attivisti: a volte non si riesce a distinguere chi da chi. Un esempio su tutti è M. Mann, ma Hansen non è da meno. Per conoscere altri soggetti che rientrano in questa categoria basta andare a leggere qualunque sito pro AGW nostrano ed estero. Ciò non significa che dall’altra parte si agisca diversamente: uguale ed identico è il comportamento degli scettici.
      Ridley cita J. Curry tra i rappresentanti degli scettici blandi e, sulla scorta di quello che scrive e pubblica J, Curry non si può dubitarne. Eppure è additata come una delle peggiori negazioniste (con l’aggravante di essere parte del tea-party, quindi ancora più pericolosa) da una delle massime esponenti del movimento salva pianeta del nostro Paese (la stessa che mi definì incompetente autocertificato 🙂 ).
      Voglio solo accennare a quanto successe al compianto prof. Belloni per decenni direttore di “Le Scienze”: in uno dei suoi ultimi interventi pubblici sulla rivista ebbe la malaugurata idea di avanzare dubbi sull’origine antropica dell GW. Fu attaccato in modo selvaggio e violento da una quindicina di scienziati, si scienziati e trattato alla stregua di un qualunque ignorante credulone e babbeo: se non è danno alla scienza questo, non riesco a trovarne altri.
      .
      Duole doverlo riconoscere, ma la scienza del clima è diversa dalle altre, non per la metodologia (in questo dissento da Ridley), ma per il modo in cui sollecita e determina il dibattito pubblico. E il dibattito pubblico alimenta e supporta quello politico, cioè il nostro futuro. Oggi è politicamente corretto solo chi sostiene che il mondo si sta scaldando per colpa dell’uomo (vedi il dibattito che ha suscitato l’enciclica “Laudato si'”), il resto è conservatorismo, negazione, ignoranza tenebrosa e chi più ne ha più ne metta.
      .
      Sarà pur vero che la maggioranza degli scienziati è favorevole all’AGW, ma non è falso che è l’unico e solo modo per poter pubblicare i propri lavori senza troppi problemi e poter accedere ai finanziamenti pubblici e privati. Basta, del resto, dare un’occhiata alle pubblicità delle auto: tutte mettono ben in vista il quantitativo di CO2 prodotta. E pensare che quando nel 1985 comperai la mia prima macchina nel libretto d’uso e manutenzione era scritto che la marmitta catalitica riduceva gli scarichi a due gas innocui: H2O e CO2. Molta acqua è passata sotto i ponti da allora! 🙂
      E potrei continuare, ma devo smettere perché altri impegni mi costringono.
      Ciao, Donato.

  13. Aldo Meschiari

    un intervento davvero sorprendente per onestà intellettuale e chiarezza!

  14. Teodoro Georgiadis

    mioddio ho scritto piaceri anziché’ pareri…domani starnazzar di oche già’ lo sento…ma mannaggia a me che son tornato a scrivere su questi siti negazionisti. ABIURO ABIURO ABIURO

  15. Teodoro Georgiadis

    appunto il ritorno del calore mannaro.
    ma inutile dire e ripetere e ripetere…la rete di misura e’ insufficiente, apostata! i modelli non spiegano la zona di convergenza IT, eretico!!! il lavoro nonostante piaceri dei referee non e’ stato pubblicato, bugiardo!!!! il dubbio dovrebbe essere parte integrante del lavoro dello scienziato, traditore!!!!
    e va beh…detto un poco di volte se poi ci vogliamo suicidare con le stupidaggini (che pero’ fruttano soldi e carriere) allora andate avanti voi che a me viene da ridere…no, forse piangere

  16. donato

    Mi riconosco nel 97% ( 🙂 ) dell’articolo!
    Ciao, Donato.

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