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C’è rischio e rischio

Qualche ora fa, stimolato da un commento di F. Vomiero, ho fatto un confronto tra il rischio climatico e quello del terremoto. Mi sono reso conto, però, che un commento non era lo spazio adatto per sviluppare in modo compiuto una tematica così complessa per cui ho deciso di scrivere questo post.

La questione è stata affrontata ieri, anche se in modo estremamente sfumato, da uno dei relatori, docente di Scienza delle Costruzioni presso l’Università di Perugia, in un seminario organizzato nell’ambito delle iniziative di formazione permanente degli ingegneri. A volte bastano poche parole per farti capire in modo estremamente chiaro un problema: questo è ciò che è capitato a me ascoltando la relazione.

Il relatore faceva notare che vi era una grande sproporzione nel modo in cui viene affrontato il rischio sismico e quello in cui viene affrontato quello climatico. Alla stragrande maggioranza dei colleghi presenti la cosa sarà sfuggita, ma per me che mi occupo di entrambe le tematiche è stata una rivelazione.

Per comprendere bene la questione è necessario quantificare il concetto di rischio. Normalmente il rischio viene definito come il prodotto della magnitudo dell’evento per la probabilità che ha l’evento di verificarsi. A parità di magnitudo ciò che conta è la probabilità di accadimento dell’evento calamitoso. A titolo puramente esemplificativo il rischio connesso al fatto che un asteroide colpisca la Terra ha una magnitudo enorme, ma una probabilità estremamente bassa di verificarsi per cui il rischio connesso all’evento è molto basso. Nel caso del terremoto ci troviamo di fronte ad una magnitudo alta in termini economici e di perdita di vite umane ed una probabilità di verificarsi uguale ad uno. Il rischio è altissimo. Eppure il problema non è sentito se non in presenza di un evento sismico. In queste occasioni (L’Aquila, l’Emilia, l’Irpinia, il Friuli ecc., ecc.) si corre ai ripari investendo miliardi di euro in interventi di ricostruzione e si cercano i capri espiatori su cui ribaltare la responsabilità delle perdite economiche e di vite umane. I vari livelli politici acquisiscono, in questi frangenti, una grande visibilità e si vengono a creare una serie di clientele, legate ai contributi post sisma che sono molto redditizie dal punto di vista elettorale.

Detto in altri termini invece di mitigare il rischio sismico riducendo la magnitudo mediante interventi di adeguamento o miglioramento strutturale dei fabbricati a qualunque uso destinati, si preferisce aspettare il sisma e riparare i danni che esso produce. E i morti? Potrà sembrare cinico, ma sono effetti collaterali ed il modo in cui sono strutturate le leggi nel nostro Paese, avvalora questa sciagurata ipotesi. Faccio solo un esempio. Immaginiamo di avere un edificio storico o semplicemente un fabbricato adibito, per esempio, ad edificio scolastico.  La nostra legislazione prevede, per questo tipo di strutture, due tipi di intervento: miglioramento ed adeguamento strutturale. Nel primo caso le norme non danno alcun livello minimo di sicurezza per l’edificio: basta dimostrare che, con gli interventi eseguiti, il livello di sicurezza del fabbricato è aumentato. Di quanto? Non ha importanza: anche dell’uno per cento va bene. Mi si dirà che 1% è irrisorio e che il tutto è profondamente illogico. Concordo, ma non posso farci niente: “dura lex, sed lex”. Per quel che mi riguarda avendo fatto un intervento di miglioramento ed avendo dimostrato con due diversi calcoli statici (pre e post intervento) di aver aumentato il grado di sicurezza del fabbricato, sto a posto con la legge. E questo vale per tutta la filiera: decisori politici, decisori tecnici, esecutori ed utilizzatori.

In questi anni molte scuole ed edifici pubblici sono stati sottoposti ad una serie di interventi che, in orrendo gergo tecnico, si definiscono di “efficientamento energetico”. Si cambiano gli infissi esterni, si applicano cappotti termici e si sostituiscono le caldaie a gas con pompe di calore alimentate da pannelli solari da installare sulle coperture. Lo scopo è modificare la classe di efficienza energetica dell’edificio e, in ultima analisi, ridurre le emissioni di anidride carbonica dell’edificio come certificato nell’Attestato di Prestazione Energetica (APE) del fabbricato. L’intervento costa centinaia di migliaia di euro, in qualche caso milioni di euro. Andiamo ad analizzare il rischio connesso all’evento “emissione di CO2”. La magnitudo del rischio non è elevata; la probabilità che l’evento si verifichi (cambiamento climatico) piuttosto bassa.  Entrambe le grandezze (magnitudo e probabilità) diventano elevate sulla base del consenso degli scienziati perché, in realtà, sono entrambe incerte e solo sulla base del “principio di precauzione” che non è un principio fisico, ma un principio “ideologico”.  Detto in parole più semplici ci troviamo di fronte ad un rischio che consideriamo alto non sulla base di fatti fisici, ma sulla base di considerazioni ideologiche.

In caso di terremoto un edificio non sismico crolla (magnitudo grave) e, prima o poi accadrà (probabilità uguale a certezza). Ci troviamo, cioè, di fronte ad un rischio effettivamente alto. La cosa non è ritenuta, però, importante in quanto dovendo scegliere tra “efficientamento energetico” ed “efficientamento sismico”, oggi come oggi si preferisce il primo. E ciò grazie alle normative comunitarie e nazionali. La dimostrazione la troviamo nel fatto che per gli edifici non è prevista l’obbligatorietà dell’attestato di prestazione sismica, ma quella dell’APE.

Ci troviamo, pertanto, di fronte al paradosso che se io voglio vendere o affittare un appartamento non posso farlo senza l’APE, ma posso farlo senza alcun problema dal punto di vista della sicurezza sismica o strutturale in genere. Immaginiamo adesso di avere un appartamento da vendere che pur essendo in zona sismica, non è in grado di resistere alle sollecitazioni sismiche. Non è un’ipotesi di scuola, ma del tutto reale. In Italia la caratterizzazione sismica del territorio è stata fatta a tappe per cui una città come Benevento fino agli anni ’90 del secolo scorso, ricadeva in zona sismica S=9, successivamente in zona sismica S=12. Tutti gli edifici realizzati prima degli anni novanta del secolo scorso non sono conformi alle attuali norme sismiche per cui se io fossi chiamato a valutare il grado di sicurezza dei fabbricato, dovrei dire che esso è conforme alle norme tecniche all’epoca della costruzione, ma non è conforme alle attuali norme sismiche. La situazione è ancora peggiore nei centri storici: edifici che, come dimostrano i terremoti verificatisi nel corso degli anni, crollano seppellendo tra le macerie decine o centinaia di persone. Eppure nessuno di preoccupa del fatto che questi fabbricati sono liberamente sul mercato immobiliare.

Rischio prima e dopo
Fig. 1: dal confronto tra le due figure si vede come la classificazione sismica del territorio nazionale sia cambiata nel corso degli anni. Si nota che oggi tutto il territorio nazionale ricade in zona sismica: la stragrande maggioranza in aree propriamente sismiche, la restante parte in zona 4 (a bassa sismicità). Particolarmente eclatante il caso dell’Emilia, del litorale laziale, di parte della Toscana e dell’area a confine tra Veneto, Trentino e Lombardia: nella prima classificazione avevano “dimenticato” i terremoti storici verificatisi in tali zone.

Torniamo, però, al nostro appartamento non conforme alle norme sismiche. Quasi certamente andando a valutare le sue prestazioni energetiche, l’edificio ricadrà in classe G (la peggiore) e, quindi, avrà un appeal piuttosto scadente: consuma troppa energia, ormai lo sappiamo tutti. Supponiamo di decidere di intervenire sull’appartamento eseguendo dei lavori di ristrutturazione che riguardano anche l’aspetto energetico, ma che non riguardano la struttura (costerebbe troppo). Ciò anche alla luce del fatto che le norme attuali incentivano con una detrazione fiscale del 65% gli interventi di miglioramento energetico e con una detrazione del 50% tutto il resto. Dopo l’intervento la classe energetica dell’appartamento passa da G a B o addirittura ad A. L’appartamento si riuscirà a vendere più facilmente ed a prezzo certamente superiore a quello che si sarebbe potuto spuntare senza ristrutturazione. Chi compra l’appartamento è contento in quanto è convinto di aver fatto un affare: esso consuma quasi niente e si sta caldi d’inverno e freschi in estate. In realtà l’appartamento è una bomba ad orologeria ed al primo terremoto subisce danni gravissimi o addirittura crolla seppellendo lo sfortunato proprietario. Cosa si è verificato?

Il vecchio proprietario, incentivato dalle leggi vigenti, ha ristrutturato l’appartamento mitigando il “rischio climatico”: l’appartamento ha emissioni di anidride carbonica estremamente basse e, quindi, il rischio per il clima è basso. Si è mitigato un rischio la cui probabilità di verificarsi è piuttosto incerta e la cui magnitudo non si conosce con certezza, mentre non si è tenuto assolutamente conto di un rischio estremamente alto in conseguenza di un evento che sicuramente si verificherà con magnitudo altissima. Ed il nuovo proprietario? Mah, probabilmente sarà morto contento, convinto di aver contribuito a salvare il mondo.

Questo per il patrimonio edilizio esistente. Per il nuovo non è che le cose vadano molto meglio.  Ho scritto che il terremoto si verificherà in modo certo, ma la probabilità che sia più intenso di quello di progetto non è trascurabile. Spiace dirlo, ma per questioni di PIL la legge in base a cui effettuiamo i nostri calcoli ci consente di utilizzare terremoti di progetto meno intensi di quelli che potrebbero verificarsi. Il pannicello caldo che consente di superare le angosce è la vita media dell’edificio: 50 anni, in genere, per gli edifici per civile abitazione. Il terremoto di progetto è tale, infatti, che la probabilità che si verifichi entro i 50 anni è alta, mentre è difficile che si verifichi, in tale periodo, un terremoto più intenso. Quest’ultimo ha tempi di ritorno più alti (plurisecolari) e lo utilizzo per lo stato limite ultimo: quello detto salvavita, nel senso che l’edificio, dopo il sisma, subirà tanti e tali danni che dovrà essere demolito e ricostruito in quanto non più riparabile, ma chi abita l’edificio dovrebbe riuscire a salvare la pelle. Chi è estraneo al mondo della progettazione rimarrà sorpreso nel sapere che si progettano edifici per terremoti di intensità inferiore a quella che potrebbe verificarsi. Non c’è da sorprendersi perché i terremoti di progetto possono essere anche del 30% meno intensi di quelli effettivi. Progettare per terremoti così intensi equivarrebbe a realizzare edifici estremamente costosi che sarebbero fuori mercato. Utilizzando terremoti meno forti si realizza un compromesso tra sicurezza e costi. Personalmente ho provato a suggerire a qualche cliente di progettare edifici più sicuri, ma la risposta è stata molto tiepida se non addirittura ostile: la legge che dice? Fai come prevede la legge. E io obbedisco, in quanto la legge attribuisce al proprietario la scelta del tipo di terremoto di progetto: fissa solo un minimo sotto cui non è consentito scendere e lo fa con il parametro vita media del fabbricato e quello di classe d’uso che tiene conto della destinazione d’uso dell’edificio (agricolo, residenziale, commerciale). Questi minimi sono, però, del 30% più bassi di quello che può capitare.

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Published inAmbienteAttualità

19 Comments

  1. Filippo Turturici

    Forse questo articolo meriterebbe un seguito: sulle politiche di mitigazione del rischio.
    Un distinguo iniziale. Proprio essendo ingegnere, trovo che il principio di precauzione abbia scarso valore sia tecnico che scientifico: attenzione, questo è ben diverso dalla valutazione del rischio e dalla sua mitigazione, che avvengono migliorando la tecnologia esistente es. aerei o reattori nucleari. Il principio di precauzione, invece, possiamo definirlo come il divieto (o almeno un forte disincentivo) preventivo di una certa tecnologia, per un rischio non verificato, non dimostrato, e particolarmente improbabile (lontano). Molte campagne recenti, es. quelle sull’elettrosmog, si basano sul principio di precauzione così definito, e non su rischi reali e loro mitigazione.
    Assumiamo dunque che possano verificarsi entrambe le condizioni in discussione: un cambiamento climatico su scala planetaria a causa delle attività umane, e che tale cambiamento sia “disastroso”. Occorrerà dunque mitigare il rischio. Una prima valutazione, dovrebbe essere quella di quantificare sia il rischio che i costi della mitigazione: in sostanza, ne vale la pena, o facciamo ancora più danni? O anche solo, spendiamo ingenti risorse per risultati miserabili.
    Una seconda valutazione, sarà evidentemente quella atta a selezionare le migliori politiche di mitigazione: la sostenibilità ambientale è certamente importante, ma altrettanto importante (lo dico credendoci e rifiutando il moralismo da quattro soldi di chi finge di ripudiare il concetto) è la sostenibilità finanziaria. Senza entrambe, e ribadiscono che ci vogliono tutte e due, non esiste sostenibilità umana.
    Ecco allora la domanda finale. Spesso abbiamo visto spendere ingenti risorse in fonti energetiche dallo scarso impatto sul bilancio sia elettrico che energetico globale (in particolare solare ed eolico): il cui prezzo si è pur ridotto, e di molto, ma senza raggiungere un valore così basso da renderle autonomamente competitive – specie perché si tende a trascurare il loro impatto sulle griglie elettriche nazionali, con ulteriori costi. Si tende inoltre a tralasciare il loro enorme consumo di suolo, che altrimenti sarebbe un “peccato capitale” ambientale. Abbiamo anche assistito a numerose altre fughe in avanti, condite da forti incentivi statali, verso tecnologie non ancora mature né competitive, come i veicoli elettrici, o fughe filosofiche verso politiche recessive (decrescita) che ben difficilmente potrebbero sostenere un paese contemporaneo e reale. Quando invece, tecnologicamente, economicamente ed anche filosoficamente, esistono alternative più valide, ma a volte volutamente trascurate.
    Mi e vi chiedo dunque, il reale problema sta nel mitigare il rischio-CO2; o il definirlo il più grande pericolo attuale, è solo uno slogan per attuare ben altre politiche, con ben altri interessi?

    • Donato

      Fabrizio, sto riflettendo su un “sequel” dell’articolo nella direzione da te indicata. Nel frattempo una chicca. Da giugno sono in vigore le nuove linee guida sul risparmio energetico e, tra le tante cose che prevedono, spicca una nuova forma di APE con tante faccine più o meno tristi a seconda dell’esito della verifica e l’obbligo di un “disclaimer”: decantare le doti della diagnosi energetica e sottolineare che gli interventi di miglioramento sono incentivati dallo Stato.
      Si sono resi conto, bontà loro, che non è altro che un miserrimo foglio di carta che lascia il tempo che trova e cercano di renderlo più gradevole. Il problema è che il suo costo aumenterà. 🙂
      Ciao, Donato.

  2. Confermo che adesso le due cartine si vedono anche sullo schermo del portatile e con la finestra del browser aperta a 3/4 di schermo.
    Ottimo lavoro Guido! Grazie.

  3. Commento di lamentazione, per Guido:
    Nel nuovo layout
    1) non compare più in automatico nome, e-mail, sito di chi commenta (o almeno i miei dati)
    2) non compaiono più la data e l’ora dei commenti (mi farebbe piacere sapere con quanto ritardo arrivo a commentare)
    3) in questo post di Donato non sono riuscito a vedere per intero le due cartine affiancate. Se tengo la finestra del browser aperta solo parzialmente, come faccio di solito, la barra laterale (quella con i dati di Pinna, per intenderci) copre la cartina di destra. Se apro tutta la finestra vedo meno di metà della stessa cartina.

    Lo so che stai lavorando molto e non voglio stressarti più di tanto, ma si può fare qualcosa? Grazie di cuore.. Franco

    • Franco
      1. Per i dati in automatico dovrebbe essere un problema di cache lato tuo.
      2. Per le dimensioni, questo tema è “full responsive” ciò vuol dire che cambia aspetto in base alle dimensioni della finestra che gli si dedica. Non credo ci sia molto da fare per soddisfare la tua abitudine 😉
      3. Per data e ora dei commenti devo indagare.
      gg

    • max

      ps tecnico: anche su monitor FULL HD 1920*1080, browser aperto a tutto schermo, le due cartine affiancate non si vedono interamente, quella di destra è tagliata all’altezza del golfo di Policastro;

      ci sono due ampie fasce, mooolto ampie, bianche, di spazio inutilizzato sia sulla sx che sulla dx… se potessi allegare screenshot lo farei ma qui non posso…

    • Mario, real non ...

      Si, adesso l’immagine e totalmente visibile 😉

  4. Caro Donato,
    bellissimo post su un argomento molto interessante. Il mio parere sul rischio climatico è diverso da quello di Fabio Vomiero, di cui peraltro apprezzo gli interventi sempre puntuali. Essendo riemerso da un periodo di apnea, rischio di mescolare le cose dette sia in questo post che nel post precedente di Guido, ma credo che se dovesse esserci una modifica climatica dovuta alle attività umane -diciamo con probabilità 50%, ma forse anche del 20%- questa non deve essere necessariamente un rischio, ma una delle tante, tantissime, fluttuazioni a cui un ipotetico “clima medio” viene sottoposto da 4 miliardi di anni, ovviamente fluttuazioni nei due sensi ed entrambe “rischiose”.
    La rapidità dei cambiamenti, postulata spesso come effetto principalmente antropico, si vede in molte serie paleoclimatiche (al solito, verso il riscaldamento e verso il raffreddamento). Concordo con Fabio Vomiero sul fatto che la calibrazione temporale di queste serie sia, come minimo, problematica, ma la rapidità o la lentezza della crescita degli anelli di alberi, dovuta a sole cause naturali, non è in discussione; lo è solo la possibilità di appendere un’etichetta con un anno oppure un altro a quella variazione. Quindi non credo esista un “rischio climatico” ma solo rischi legati alla prevenzione e alla cura del territorio (sui loro costi non discuto: capisco che possano essere molto elevati e non convenienti. Capisco però, anche, che malgrado i vari proclami solenni di religioni e società varie, la perdita di vite umane è un danno collaterale accettato e accettabile).
    Mi dispiace, ma non riesco a considerare reale qualcosa (i modelli e le scelte che da questi derivano) basato su una quantità impressionante di assunzioni (spesso) non dimostrate e su dati (spessissimo) lacunosi, inattendibili e “massaggiati” al limite della decenza. Ovviamente non mi riferisco alla ricerca, che fa cose egregie con quello che ha, ma alle scelte, con un occhio alla politica, di alcuni scienziati e alle scelte della politica che approfitta di questi scienziati per i suoi scopi. La caccia all’untore, purtroppo, va sempre di moda e l’essere umano, cattivo e sempre bisognoso di qualche “sacerdote” che gli indichi la retta via, è sempre più gettonato.
    Donato, scusa lo sfogo e buon prossimo post!
    Franco

  5. Donato

    Innanzitutto grazie a tutti per le considerazioni estremamente interessanti espresse nei vari commenti.
    Qualche considerazione sui vari commenti è, però, doverosa anche per chiarire qualche aspetto del post.
    .
    @ Maurizio Rovati
    Maurizio, stai tranquillo: la tua casa potrai godertela serenamente per tantissimi altri anni. Nel post ho scritto “vita media”, ma dietro queste due parole vi è un discorso molto più lungo che si riferisce ad una cosa diversa dalla durata del fabbricato.
    La normativa italiana sulla statica delle costruzioni è contenuta nel D. M. Infrastrutture del 14/01/2008. Ho scritto nel post che la norma cerca di contenere il costo degli edifici: ciò avviene attraverso un meccanismo che incide sul “periodo di riferimento per l’azione sismica”. Dietro questa dizione si nasconde il periodo di ritorno del terremoto e, in ultima analisi, l’intensità del terremoto di progetto: minore è il tempo di ritorno e minore è la sua intensità. La normativa italiana per ogni opera individua una vita nominale ovvero “…il numero di anni nel quale la struttura, purché soggetta alla manutenzione ordinaria, deve potere essere usata per lo scopo al quale è destinata.” E’ implicito in questa definizione che mediante opportuni interventi di manutenzione straordinaria si può allungare la vita nominale della struttura (se fatti male tali interventi possono anche accorciarla, però). Esistono tre tipi di vita nominale: minore o uguale a 10 anni (opere provvisorie), maggiore o uguale a 50 anni (opere ordinarie, ponti, opere infrastrutturali e dighe di dimensioni contenute o di importanza normale) e, infine, grandi opere, ponti, opere infrastrutturali e dighe di grandi dimensioni o di importanza strategica che hanno vita nominale maggiore o uguale a 100 anni. La vita nominale viene scelta dal progettista e, successivamente, moltiplicata per un coefficiente d’uso per determinare il periodo di riferimento per l’azione sismica. Tale coefficiente dipende dalla classe d’uso dell’opera e va da 0,7 a 2. Il valore minore vale per i fabbricati con modesto affollamento (stalle, depositi agricoli, ecc) quello maggiore per costruzioni pubbliche o di importanza strategica.
    Per le nostre abitazioni il coefficiente d’uso è uguale ad uno per cui se io ipotizzo una vita nominale di 50 anni, il periodo di riferimento per l’azione sismica, alias tempo di ritorno del terremoto, è di 50 anni: un terremoto di intensità medio-bassa. E’ ovvio che se io fisso la vita nominale a 75 anni, aumenta anche l’intensità del terremoto in quanto il tempo di ritorno è maggiore e quindi la struttura diventa più costosa in quanto più robusta.
    Come mi regolo? mi metto d’accordo con il proprietario, l’importante è che la vita nominale sia maggiore o UGUALE a 50 anni. 🙂
    .
    @ F. Vomiero
    Mi hai dato un’idea! 🙂 (A proposito della differenza tra rischio sismico e rischio climatico). Vi dovrete sorbire un altro sproloquio. Per il resto condivido in massima parte quanto hai scritto.
    .
    @ Marco
    La definizione di rischio è piuttosto complessa e quella che hai illustrato nel tuo commento è del tutto condivisibile. La mia definizione è molto più stringata e presuppone che alcuni dei parametri da te indicati vengano incorporati nella magnitudo e nella probabilità che ha l’evento di verificarsi. La magnitudo, cui faccio riferimento nel post, deve tener conto delle perdite economiche e di vite umane e, pertanto, ingloba necessariamente una parte della pericolosità (intensità dell’evento), la vulnerabilità (suscettibilità dell’opera realizzata a subire dei danni che dipende, a sua volta, dalla robustezza e duttilità della struttura che sono legate al terremoto di progetto e, quindi, anche dalla sua intensità) e, infine, l’esposizione che consiste nell’entità del danno subito e di cui si tiene conto mediante il solito terremoto di progetto.
    .
    @ L. Mariani
    Caro Luigi, come al solito i tuoi suggerimenti sono preziosissimi: nel prossimo post suggerito da F. Vomiero, mi atterrò scrupolosamente ad esso.
    .
    @ max
    Sono molto curioso di leggere il resoconto del convegno. Credo che ne leggeremo delle belle. 🙂
    Ciao, Donato.

    • Maurizio Rovati

      Non avevo dubbi 🙂
      Quindi non esistono “legalmente” edifici con vita nominale compresa tra 10 e 50…

    • donato

      No, non esistono.
      Ciao, Donato.

  6. Luigi Mariani

    Onde evitare prolemi con le definizioni suggerirei di attenerci alla terminologia del United Nations Office for Disaster Risk Reduction (Unisdr), organismo dell’ONU che si occupa di disastri. tale terminologia si trova qui:
    http://www.unisdr.org/we/inform/terminology

  7. Marco

    condivido l’articolo completamente perchè evidenzia la sproporzione tra le risorse spese per limitare le emissioni di CO2 e quelle per fronteggiare i rischi reali del nostro territorio. Apprezzando molto il blog per il suo rigore mi permetto di fare una precisazione terminologica sulla parola Rischio e sulla sua confusione con il termine pericolosità ( in inglese Hazard). Nel liguaggio tecnico scientifico per Rischio su un dato territorio si intende il prodotto di una formula empirica: R = P*V*E dove P sta per Pericolosità ( ovvero la probabilità che un dato evento accada in un dato tempo e con una determinata intensità o magnitudo), V sta per vulnerabilità ( ovvero la capacità di resistere da parte di un elemento che sia una casa, una città, una barriera corallina o altro, all’evento) e E sta per Esposizione ( il valore, economico o sociale, dell’elemento a rischio). La formula è tale che se la vulnerabilità è zero (esempio se ho un terremoto di M = 8 in un’area dove tutti gli edifici resistono senza danno a tale scossa) il rischio è zero se E = 0 ( esempio precedente in una zona disabitata e senza elementi con un valore sociale o economico) il rischio è zero. Mi riesce difficile pensare che possa esistere un rischio “climatico”. Il clima è parte della terra e casomai può influenzare altri rischi specifici ( idrogeologico, siccità, uragani ecc, tra l’altro positivamente o negativamente.) ma non essere esso stesso un rischio. Se invece si parla di rischio che il clima cambi, allora prima qualcuno dovrebbe dirci in che direzione cambia. Per ora sappiamo che le temperature sono aumentate ma non ho ancora trovato nessuno che dica chiaramente per un dato territorio ( in particolare per il territorio nel quale viviamo) in che direzione vanno le variabili che influenzano le inondazioni, le frane, le siccità eccetera e se saranno più frequenti o intense. E se non sappiamo tutto questo, che sarebbe poi ciò che va a influenzare la Pericolosità, il primo fattore della formula, figuriamoci se possiamo parlare di rischio senza che si finisca in una genericità che favorisce solo la confusione e il baccano pseudoscientifico che ci assorda in tutti i media. Un saluto

    • Maurizio Rovati

      Chiarissimo, ottimo.
      M.

  8. Maurizio Rovati

    Donato, non mi spiego come si faccia ad assegnare una vita media di 50 a un edificio. A me sembra poco, a occhio direi che potrebbe essere il doppio o anche di più… Il cemento armato ha la data di scadenza? perché allora devo cominciare a preoccuparmi per casa mia 😉

    M.

  9. Fabio Vomiero

    Caro Donato, ho letto con piacere e con attenzione il tuo articolo, come sempre chiaro, interessante e ricco di spunti di riflessione e di informazione.
    Provo ora a fare alcune considerazioni personali di carattere generale, premettendo però la mia incompetenza per quanto riguarda soprattutto le aree tecniche o legislative in materia edilizia o sismica.
    -Penso di aver capito il discorso relativo alle ristrutturazioni che tendono a privilegiare il problema del consumo energetico rispetto al rischio sismico, e mi pare anche di aver capito, e nel caso condividerei, che si tratta di azioni a questo punto non propriamente legate all’effettivo rischio reale, quanto piuttosto a fattori culturali, sociali, economici e di forse errata “percezione del rischio”. Peraltro, c’è da dire che chi sostiene opere di riqualificazione energetica, quasi sempre lo fa per puntare ad un ritorno economico, non per altri motivi, magari etici o morali.
    -La definizione di rischio che hai fornito è chiara e condivisibile, probabilmente si riferisce anche a quanto voleva farmi presente Fabrizio l’altro giorno, riguardo la magnitudo, anche se credo che, come ho già detto, il termine possa essere soggetto ad una semantica abbastanza flessibile in base ai contesti in cui viene utilizzato, vedi anche rischio di mercato, rischio d’impresa ecc.e al grado di conoscenza che si ha, nei confronti di un determinato fenomeno.
    -Personalmente non sono scandalizzato dalle dinamiche, anche legislative, che regolano l’edilizia dal punto di vista energetico o sismico, lo stesso discorso penso si potrebbe fare per quanto riguarda il dissesto idrogeologico o la densità abitativa ecc., purtroppo a mio avviso, il problema principale è che chi fa le normative o chi ci governa, purtroppo, il più delle volte, non capisce quasi niente di scienza, mentre capisce sempre molto bene di “apparenti” termini di risparmi o tornaconti economici.
    -Sono iperconvinto che scienza ed economia (o business) abbiano molto poco in comune, un conto è la scienza e la ricerca di base, un conto sono le applicazioni e l’uso che se ne fa la società, e quello che mi dispiace intuire nelle persone, è la confusione e i fraintendimenti che spesso si creano tra i due domini, il che porta la gente ad avere erroneamente poca fiducia nella scienza alimentando ulteriormente un clima di antiscientismo, che, secondo me, in ultima analisi, è la causa principale del declino culturale, sociale e di conseguenza economico a cui stiamo assistendo.
    -Questo importante concetto, secondo me, naturalmente si riflette anche sul riferimento all’”ideologia” del cambiamento climatico. Naturalmente spesso può esistere l’ideologia nell’ipercatastrofista, così come nello scettico più convinto e granitico che non lo smuovi nemmeno con una bomba. Detto questo, come tu già sai, io sono estremamente convinto, invece, che esiste molta buona scienza non ideologizzata anche in campo climatico, semmai il problema è una questione di limiti, tecnici, pratici e concettuali. Ripeto ancora, basta guardare a cosa succede anche in molti altri campi di applicazione della scienza.
    -Forse in questo pezzo (ma potresti farlo in un altro) non si è troppo affrontato (o io non sono riuscito a cogliere sufficientemente) il tema delle reali differenze (e se ci sono delle affinità) che potrebbero esistere tra definizione del rischio sismico per un’ abitazione o in generale, e definizione del rischio climatico. Perché a mio avviso, i due piani concettuali sono molto diversi, e naturalmente la complessità del rischio climatico è molto più articolata e vasta del problema relativo, per esempio, all’efficienza energetica degli edifici.
    Comunque complimenti per l’ottimo lavoro.
    Ciao, Fabio

  10. carlo

    Condivido al 100% quanto scritto nell’articolo, anche perché facendo lo stesso mestiere dell’autore so bene di cosa stia parlando: molte volte mi è capitato di veder calare il budget della parte strutturale di un edificio, solo perché il cliente voleva spendere di più sulle piastrelle del bagno! Al di là di questo, nonostante il normatore sia mosso da questioni ideologiche, la gente comune è invece attratta dal mero risparmio economico. Con le detrazioni sul risparmio energetico, il cliente si trova un edificio che gli fa risparmiare sulla bolletta, e di questi tempi tutto fa brodo. E il terremoto? Mah, è facile che muoia prima che arrivi….

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