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Il clima cambia? Non così in fretta…

Alcuni anni fa, circa una ventina, la discussione sui temi del clima è passata attraverso un significativo cambiamento…lessicale. Le evoluzioni di temperatura, pressione, umidità, insomma, del clima, da climatic change divennero climate change. Nella nostra lingua la differenza è poco apprezzabile, ma in quella originale, con ciò intendendo la lingua di chi ha coniato il cambiamento, si intende il passaggio da qualcosa che cambia per sua intrinseca natura, a qualcosa che cambia verso situazioni diverse e, presumibilmente, mai sperimentate.

Ecco che infatti nella maggior parte dei casi, quel che avviene sembra non aver precedenti, sia nella comunicazione, che poco si cura dell’attendibilità di questo giudizio, sia nella ricerca, dove si fanno paragoni tra l’attualità e il passato che si curano poco o nulla dell’impossibilità di applicare il dettaglio di conoscenza attuale agli avvenimenti del passato remoto.

Posto che è noto che questo pianeta è passato attraverso cambiamenti climatici radicali, fino ad oggi, l’elemento chiave per attribuire questi ultimi a forzanti esogene, le attività umane, è stato sin qui la rapidità dei cambiamenti. Certo, si dice, in passato ci sono state variazioni della temperatura ordini di grandezza superiori a quelle attuali, ma queste sono avvenute gradualmente e nell’arco di migliaia di anni, non decine di anni come ora.

Ma, appena qualche giorno fa, è uscito un lavoro su Nature Communications, che ha di fatto demolito questo assioma. Il problema, scrivono gli autori, è che la definizione con cui riusciamo a guardare al passato remoto, quello con cui va fatto il confronto, non consente di valutare la velocità con cui questi cambiamenti si sono verificati. Ovviamente, tanto maggiore è il periodo temporale che è possibile analizzare, tanto più lento apparirà il cambiamento. Ma questo nasconde le variazioni ad alta frequenza, non le esclude.

Maximum rates of climate change are systematically underestimated in the geological record
Il lavoro è liberamente accessibile, e c’è un commento anche su Science Daily.

Una iniezione di razionalità nel dibattito scientifico sull’evoluzione del clima? Può darsi, anche se proprio su SD, il commento e il virgolettato degli autori si conclude ricordando che in uno dei più radicali cambiamenti attraverso cui è passato il pianeta, circa il 90% delle specie animali trovarono l’estinzione. Non si può stare un minuto tranquilli.

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Published inAttualitàClimatologia

16 Comments

  1. Maurizio Rovati

    Caro Fabio.

    Non saprei come meglio esporre i ragionamenti scaturiti dalla mia critica alla tua frase, quindi li citerò riassumendo il tutto in poche righe nella speranza di esser compreso..

    1- la frase [citata]si regge solo nel sottinteso paradigma CAGW.

    2-il “principio di precauzione” come direttiva etica, offre delle suggestioni a seconda delle intenzioni di chi lo usa ma trascura o suppone inutile il ricorso agli strumenti di verifica in nome di un “rischio” tutto da dimostrare.

    3-L’IPCC basa i suoi report per i politici su modelli di dubbia capacità predittiva, che vanno contro le osservazioni e il buon senso e che vengono “aiutate” costantemente con un processo revisionistico senza tregua nè vergogna da parte dei curatori dei data set.

    4-Ma bisognerebbe anche pensare che:
    a- il pianeta (inteso come esseri viventi) potrebbe trarre anche qualche vantaggio da un clima più caldo.
    b-una carestia energetica e una decrescita “felice” potrebbero causare un danno ancora più serio al pianeta.
    c-il prezzo lo dobbiamo pagare noi occidentali … ma nessuno garantisce che cina, india, russia, brasile etc seguiranno l’esempio e non approfitteranno invece del nostro tafazzismo per i loro scopi.
    d-la montagna smisurata di denaro richiesta per “salvare” il pianeta fa indubbiamente gola a molti profittatori il cui interesse è ben altro. Parlo di banche, assicurazioni, certificati di emissione, burocrazie voracissime, industrie sovvenzionate, mercati drogati, tasse nascoste in bolletta…

    Fabio, tu non sarai un ipercatastrofista ma i tuoi scritti sostengono che ci sono delle probabilità di catastrofe calcolate da dei modelli, che sono quelle dell’IPCC che contano perché sono maggiormente sostenute, che se anche ci fosse qualche contrario si fa la media e il risultato non cambia perché equivale a salire su un aereo che ha il 50% di possibilità di precipitare e quindi il principio di precauzione deve indurci a cambiare radicalmente il nostro stile di vita. Se non catastrofista come minimo sei in “concorso esterno”, come direbbe un giudice.

    Sempre cordialmente.

    PS. In mancanza di novità o di risposte ai punti indicati, penso che la discussione possa considerarsi conclusa, per quel che mi riguarda.

  2. Fabio, penso che sei tu a non aver letto attentamente i nostri commenti… Nessuno nega che le probabilità c’entrino (e come si potrebbe pensare che qualcuno lo faccia su un forum gestito da un meteorologo), ma non si può prescindere anche dal costo dell’evento probabile, che va quantificato. Il rischio e le politiche di gestione non possono prescindere da probabilità _e_ quantità. Niente quantità, niente scienza e rimane solo l’arbitrio totale. Chiunque potrebbe sostenere che il cambiamento climatico, per quanto probabile, farebbe meno danni di altre cose su cui sarebbe meglio investire primariamente.

    Parli di medicina? Bene: è sotto gli occhi il danno che stanno facendo le posizioni irrazionali di chi si oppone ai vaccini, invocando l’inesistente “principio di precauzione” invece di fare una valutazione del rischio che ha a che fare con la probabilità che si verifichino effetti collaterali _e_ la loro portata, in confronto alla probabilità di ammalarsi della malattia su cui immunizzarsi. Questo perché è stato amplificata al massimo _la quantità_ del rischio dell’effetto collaterale (la famigerata correlazione con l’autismo), in modo del tutto arbitrario.

  3. Fabio Vomiero

    Maurizio e Fabrizio, io invece non riesco molto a cogliere il senso delle vostre obiezioni al mio commento, che francamente trovo anche poco pertinenti, a meno che voi non siate così tanto sicuri della vostra posizione, beati voi, da non avere mai alcun dubbio in merito. Maurizio, io non credo di essere assolutamente un ipercatastrofista, a meno che lei non ritenga tale chiunque la pensi in modo diverso da lei e che invece, a mio avviso giustamente, può essere preoccupato (in questo periodo storico, domani chissà) da quanto sta emergendo attualmente dalla ricerca scientifica in campo climatico. Io, nel mio intervento non ho appoggiato nessuna teoria ipercatastrofista, ho solo analizzato le cose dal punto di vista del rischio, e mi dispiace doverlo ripetere, ma il rischio climatico dal punto di vista scientifico esiste, e ho anche detto che delle discussioni sulle dinamiche politiche, sociali ed economiche mi interessa poco, visto che come vedete, e come avevo già anticipato non se ne esce. Fabrizio, il concetto di rischio può comportare diverse definizioni a seconda del contesto in cui viene applicato, e comunque è sicuramente collegato anche al concetto di probabilità che un evento si possa verificare, per cui nella mia analisi non c’è niente di sbagliato, nella sostanza del ragionamento. Donato ha fatto l’esempio delle strutture abitative e del rischio sismico, è soltanto un esempio, non credo assolutamente volesse sostenere che possano esserci delle reali affinità concettuali, investigative, metodologiche tra definizione del rischio sismico di un edificio e definizione del rischio climatico, visto che sono due dimensioni completamente diverse sotto tutti i profili. Secondo me, invece, la mancanza del tuo, di ragionamento, è quella di pretendere a tutti i costi un’espressione da parte della scienza del clima, non in termini di concetto, ma di quantità. Purtroppo Fabrizio, temo che questa tua pretesa rimarrà insoddisfatta ancora a lungo… e nel frattempo cosa facciamo? Ti ricordo, anzi vi ricordo, che tolte la matematica e la fisica classica (meccanica, cinematica ecc.), la scienza dei sistemi complessi DEVE necessariamente ragionare per possibilità e per probabilità, c’è poco da fare, e questo riguarda praticamente tutti i problemi scientifici concreti con cui dobbiamo confrontarci oggi a parte il clima, dalla innocuità dei vaccini e degli OGM, alla funzionalità farmacologica, alla biologia, ecologia, fisiologia, neuroscienze, nutrizione, tutto quello che volete. Ne ho parlato spesso in molti miei interventi, ho anche citato scienziati di fama internazionale, tipo Rovelli, Boncinelli, Redi, Boero, Wilson ecc., o filosofi della scienza tipo Corbellini e Flynn, che non sono scienziati del clima, e che quindi fuori da ogni sospetto (visto che a sentire qualcuno sembra ci sia una cospirazione) guardacaso la pensano tutti più o meno come me e che vi consiglierei di leggere se avete tempo. Vi accorgereste anche che c’è veramente poco in comune tra scienze evolutive (non galileiane) e i calcoli strutturali di un ponte, per capirci.
    Noto comunque che i miei interventi creano quasi sempre parecchio dibattito, non so se questo sia un bene o un male.
    Vi saluto cordialmente

    • dnt

      Caro Fabio, i tuoi interventi sono, per quel che mi riguarda, e credo per tutti gli utenti di CM, un bene. Io odio il pensiero unico e le tue considerazioni anche un po’ controcorrente (ma non troppo, per la verità 🙂 ) sono molto preziose perché mi fanno riflettere: sono dei campanelli che mi dicono di fare attenzione e riflettere meglio. Giusto per dirtene una prendendo spunto dal tuo commento del 14 novembre, ho elaborato un post che dovrebbe essere pubblicato a breve.
      Quindi continua tranquillamente ad esprimere il tuo punto di vista: io lo apprezzo e credo che lo stesso valga per tutti gli altri utenti di CM.
      Ciao, Donato.

    • Fabio Vomiero

      Caro Donato, ti ringrazio per il tuo commento. Per me è sempre un piacere interloquire con te, apprezzo molto la tua competenza, così come il tuo immancabile equilibrio e la disponibilità intellettuale che dimostri sempre anche nei confronti di chi, magari, non la pensa esattamente come te. Anch’io, come avrai capito, odio il pensiero unico, il pregiudizio, l’ideologia.
      Ciao, Fabio

  4. ” ci sono delle evidenze scientifiche (che proprio perché scientifiche, non si possono trascurare) abbastanza significative, che inducono a pensare che esista un determinato rischio di un possibile cambiamento climatico abbastanza importante”

    Oltre alle considerazioni di Maurizio e Donato, che sottoscrivo, c’è un’altra cosa da dire. Fabio, tu parli di quantificazione del rischio, ma citi solo una probabilità. Assumendo anche il calcolo per buono (ma solo per questi cinque minuti), l’esempio sismico di Donato fa presente che c’è una seconda variabile, che è l’intensità dell’evento rischioso. In poche parole, non mi basta dire che c’è il 50% di probabilità che in vent’anni si verifichi un sisma, ma devo anche capire di che grado. Io non capisco niente di edilizia, e mi correggerà Donato se scrivo cose troppo insensate, ma un conto è pensare ad un sisma del 6° grado Richter, un altro uno del 9° grado. Visto che è impossibile ragionare a risorse infinite, e Donato ha fatto presente il punto chiaramente, a me sembra chiaro che se dovessimo fronteggiare un terremoto così intenso, tutti i ragionamenti di sicurezza dovrebbero cambiare in modo radicale. Non si potrebbe neanche pensare di salvare gli edifici, forse ci si dovrebbe concentrare sulla costruzione di piccole capsule di sicurezza (p.es. in camera da letto), o forse bisognerebbe prendere semplicemente atto che certe regioni d’Italia non possono essere abitate. In ogni caso, entrerebbe in gioco il fattore priorità, per cui sarebbe evidente che ogni euro speso per altri motivi, come la classificazione energetica, sarebbe sprecato e andrebbe speso in altro modo.

    Fuor di metafora, la grandezza mancante nel tuo ragionamento, sempre ammesso e non concesso che il cambiamento climatico sia controllabile, è l’aumento di temperatura e le sue conseguenze. 2°C? 3? 4? 7? Oppure 1?. Perché il concetto è che se il cambiamento fosse ormai inevitabile ed ampio, sarebbe del tutto stupido spendere risorse per contenerlo ed ogni centesimo andrebbe invece investito in altre forme di contenimento del danno. Ora, purtroppo, non solo le percentuali di rischio sono molto vaghe: lo sono ancora di più le cifre che quantificano il cambiamento, se è vero, come è vero, che nessun modello è stato in grado di prevedere neanche l’evoluzione a quindici anni e ancora si sta a discutere di “ritoccare” il tuning relativo alle misure.

    È un discorso che ho già ripetuto, ma alla fine per me è il discorso fondamentale.

    Quindi, di che stiamo a discutere?

  5. Fabio Vomiero

    Maurizio, grazie per il commento, provo allora a contestualizzare meglio il senso della mia frase.
    -Nonostante la nostra conoscenza del clima e delle sue dinamiche sia ancora abbastanza relativa, ci sono delle evidenze scientifiche (che proprio perché scientifiche, non si possono trascurare) abbastanza significative, che inducono a pensare che esista un determinato rischio di un possibile cambiamento climatico abbastanza importante, dalle conseguenze difficili da prevedere ma presumibilmente critiche soprattutto per alcune aree del mondo.
    -Esiste inoltre un determinato rischio che una delle cause principali di questo cambiamento climatico possa essere identificata nell’attuale e recente impatto delle attività umane.
    -Calcolare questo rischio non è facile, ma secondo l’IPCC e la maggior parte della letteratura scientifica ed enti climatologici mondiali, per esempio, la probabilità che ciò possa corrispondere alla realtà, è attualmente (perché potenzialmente modificabile nel tempo al progredire delle conoscenze) molto elevata, fino al 90%.
    -Mettiamo il caso che le ragioni dello scetticismo climatico siano scientificamente valide, il che potrebbe andare a ridurre quella probabilità dal 90% fino al 50%, cioè il cambiamento climatico pericoloso, dalla componente antropica importante, ha il 50% di verificarsi e il 50% di non verificarsi, ci siamo ridotti al lancio della classica moneta.
    -La probabilità che un aereo possa cadere è bassissima (non saprei quanto), ma il rischio, anche se basso, esiste comunque, ma tutti, proprio perchè basso, accettiamo di correrlo.
    -Se sapessimo che un determinato aereo, invece, avesse la probabilità del 50% di cadere (come quella del cambiamento climatico importante nella seconda ipotesi), ma anche soltanto per dire del 5%, nessuno di noi si sognerebbe di prendere quell’aereo.
    E’ più o meno questo il senso logico e sostanziale della mia frase e dei miei ragionamenti sul rischio e la percezione del rischio e che, come sempre, tendono a privilegiare un approccio strettamente scientifico. Per quanto riguarda invece l’approccio politico, sociale, economico e quindi principio di precauzione o altro, mi rendo conto che entriamo in una sfera che va ulteriormente complicandosi di meccanismi e dinamiche che spesso però hanno poco a che vedere con la scienza, e quindi, pur avendo una posizione critica personale in merito abbastanza chiara, ma non granitica, e sempre pronta ad evolversi, di solito mi astengo da soggettivi e relativi commenti, che peraltro tendono ad animare, spesso inutilmente (perché in assenza di evidenze scientificamente valide, non se ne esce mai) ogni dibattito pubblico, dagli OGM ai vaccini, dalle staminali alle linee guida per uno stile di vita sano, dall’immigrazione alle ragioni esistenziali dell’ISIS o del fondamentalismo religioso ecc. ecc.
    Saluto cordialmente.

    • Maurizio Rovati

      Fabio grazie per la risposta.

      Forse non mi sono spiegato bene, ma il significato della tua frase l’avevo colto e non hai fatto altro che esplicitarlo ulteriormente.
      Il fatto che non abbia senso (logico) dal mio punto di vista è dovuto all’appiattimento sulle posizioni ipercatastrofiste dell’IPCC e di tutto il circo barnum di salvatori del mondo che lo circonda.

      Posizioni quelle dell’IPCC basate su modelli di dubbia capacità predittiva, che vanno contro le osservazioni e il buon senso e che vengono “aiutate” costantemente con un processo revisionistico senza tregua nè vergogna da parte dei curatori dei data set. Con queste premesse, altro che 90%.

      Senza considerare che il pianeta (inteso come esseri viventi) potrebbe trarre anche qualche vantaggio da un clima più caldo.
      Senza considerare che una carestia energetica e una decrescita “felice” potrebbero causare un danno ancora più serio al pianeta.
      Senza considerare che il prezzo lo dobbiamo pagare noi occidentali con le scelte allucinanti dei nostri governi, ma nessuno garantisce che cina, india, russia, brasile etc seguiranno l’esempio e non approfitteranno invece del nostro tafazzismo per i loro scopi.
      Senza considerare che la montagna smisurata di denaro richiesta per “salvare” il pianeta fa indubbiamente gola a molti profittatori il cui interesse è ben altro. Parlo di banche, assicurazioni, certificati di emissione, burocrazie voracissime, industrie sovvenzionate, mercati drogati, tasse nascoste in bolletta…

      Il paragone che fai con l’aereo è ovviamente capzioso e dà per scontato o altamente probabile il disastro climatico antropogenico. Il fatto è che sull’aereo ci siamo già comunque, nessuno può scendere (non c’è un altro pianeta) possiamo solo impedirgli di volare. Tutto ciò mentre alcuni piloti, steward e hostess con il paracadute, parlano incessantemente nell’intercom dicendo che se continuiamo a volare moriremo tutti e quindi dobbiamo spegnere i motori. Come stai facendo tu.

      Cordiali saluti.

      PS. E’ pur vero che moriremo tutti, solo che con il loro sistema rischiamo di farlo prima del tempo.

  6. Fabio Vomiero

    Certo Donato, infatti io, non ho usato la parola “rischio” per caso. In realtà tutti noi quotidianamente abbiamo a che fare con il rischio e con l’incertezza ( o non determinatezza) delle cose, e quindi, in un certo senso dovremmo tutti abituarci ad avere un pò più di dimestichezza con questi concetti. Ogni nostra azione comporta una certa dose di rischio, così come ogni innovazione tecnologica. Poi naturalmente c’è rischio e rischio, legato alle frequenze o alla probabilità, fumare una sigaretta è diverso da fumarne quaranta, prendere un farmaco per un giorno è diverso da prenderlo per un anno, bere mezzo bicchiere di vino è diverso da berne due bicchieri, oppure legato agli effetti che potrebbe comportare, ad esempio le conseguenze di un cambiamento climatico globale importante, sarebbero molto più pericolose e insostenibili rispetto agli effetti di una singola alluvione o al crollo di una abitazione fatta male. Poi, ci potrebbe anche essere un aspetto legato alla conoscenza e alla consapevolezza del rischio. Tutti sappiamo ( o dovremmo sapere) che prima o poi un altro aereo precipiterà, un’altra alluvione, visto il dissesto idrogeologico esistente, causerà purtroppo ancora delle vittime, altre abitazioni fatiscenti crolleranno da sole o alla minima scossa, è questione di statistica, conosciamo abbastanza bene i fenomeni da poterne prevedere in qualche modo ( in termini probabilistici) una loro quasi sicura manifestazione, senza poterne definire una esatta collocazione temporale. Purtroppo riguardo al cambiamento climatico è tutto meno chiaro, questo perchè aimè, non conosciamo ancora sufficientemente bene il sistema. Ma, ripeto, allo stato attuale dell’arte, il rischio esiste, e dal mio punto di vista, al di là di tutto, gli elementi conoscitivi di cui disponiamo oggi (mi riferisco alla produzione della ricerca scientifica naturalmente, perchè il resto mi interessa poco), seppure ancora parziali ed incerti, non dovrebbero permetterci di dormire sonni troppo tranquilli. Se, per esempio tutti sapessimo, che un certo volo avesse una probabilità, anche molto ma molto più bassa della probabilità che le attività umane possano incidere significativamente sul riscaldamento globale, nessuno si sognerebbe di prendere quell’aereo. Quindi a volte, rischio reale e percezione del rischio non sono la stessa cosa.
    Saluto cordialmente

    • Maurizio Rovati

      Sono d’accordo che il rischio reale e la percezione del rischio non sono la stessa cosa infatti sappiamo che ogni aereo ha una probabilità di incidente (comunque inferiore a ogni altro mezzo di trasporto). Ebbene, c’è chi lo conosce e vola lo stesso, c’è chi non, lo conosce ma sapendo che esiste ha paura e non vola.

      Quello che non mi torna è il senso della frase:

      ” Se, per esempio tutti sapessimo, che un certo volo avesse una probabilità[di avere un incidente], anche molto ma molto più bassa della probabilità che le attività umane possano incidere significativamente sul riscaldamento globale, nessuno si sognerebbe di prendere quell’aereo. Quindi a volte, rischio reale e percezione del rischio non sono la stessa cosa.”

      Infatti per poter sapere se nessuno prenderebbe quel volo bisognerebbe stabilire almeno approssimativamente, una relazione tra l’aereo e l’AGW in termini di probabilità di evento catastrofico, cosa che è impossibile perché – molto ma molto più bassa – non è un’indicazione quantitativa tanto quanto – significativamente – .
      In altri termini, la frase si regge solo nel sottinteso paradigma CAGW.
      Tutto ciò dà anche un’idea di quanto sia capzioso il “principio di precauzione” come direttiva etica, proprio perché offre delle suggestioni a seconda delle intenzioni di chi lo usa ma trascura o suppone inutile il ricorso agli strumenti di verifica in nome di un “rischio” tutto da dimostrare.

      Cordiali saluti.

  7. giovanni p.

    Da geologo sono non posso che sottoscrivere e applaudire una pubblicazione che finalmente si occupa dell’argomento centrale che mina alle radici l’affidabilità e la validità dei modelli climatici e del circo catastrofista che ci orbita intorno, trasformandolo in quello che é veramente, scusate i termini, una discarica piena di spazzatura

  8. Fabio Vomiero

    Condivido pienamente l’obiettiva analisi di Guidi nell’introduzione alla problematica. Per quanto riguarda il lavoro invece, che ho letto sommariamente, al di là dei risultati, mi sembra di percepire comunque un messaggio di ammissione da parte degli autori, anche se questo potrebbe essere un bias personale, che in fondo si riferirebbe a quello che io sostengo da sempre. I dati strumentali della moderna climatologia sono una cosa, i dati proxi o paleoclimatici sono un’altra. Rappresentano domini completamente differenti, per metodo, risultato, margine di errore e anche se ovviamente la tentazione è sempre quella di poterli confrontare tra di loro, mediante improbabili processi di calibrazione, in realtà la loro natura, così intrinsecamente diversa, non ci permetterà mai di farlo in modo adeguato, così come la nostra tentazione ci indurrebbe a credere. Io penso invece, come succede in tutti i campi scientifici, che i domini di applicazione a cui ci rivolgiamo debbano essere prima di tutto sempre ben riconosciuti, caratterizzati e contestualizzati e di conseguenza, utilizzati ed indagati con la giusta consapevolezza. La paleoclimatologia ci sta fornendo una mole impressionante di dati e conoscenze utili, e questo va detto e apprezzato, ma a mio avviso andrebbe anche precisato, o meglio riconosciuto, che se da queste informazioni pretendiamo di scorgere o trovare affinità con i dati con cui siamo invece abituati a ragionare oggi, e cioè variazioni di temperatura dell’ordine del decimo di grado, per periodi di anni o pochi decenni, siamo completamente fuori strada, di questo ne sono convinto. Peraltro i limiti di indagine e conoscitivi, tecnici o concettuali che siano, a cui mi riferisco, sono propri di molti altri campi della scienza, non solo della climatologia, e di questo ne ho già parlato in altri miei interventi, vedi ad esempio la paleontologia e la filogenesi evolutiva. Ricordiamoci sempre che la climatologia non è una disciplina a sé stante, ma rappresenta un campo di applicazione della scienza in generale, ed è quindi soggetta alle stesse caratteristiche di base che contraddistinguono la scienza, in questo caso la scienza evolutiva dei sistemi complessi. Per cui, in sostanza, detto tutto questo, sfiderei chiunque, a riuscire a trovare nelle serie paleoclimatiche, una traccia scientificamente valida e affidabile di un cambiamento climatico, come quello odierno, che ha visto aumentare le temperature di circa 0,6°C in circa quarant’anni. Da notare l’uso del “circa” riferito anche ai più moderni dati strumentali che abbiamo.
    Saluto cordialmente

    • Appunto Fabio. L’eliminazione della locuzione “senza precedenti”, assunto che questa non può essere scientificamente validata, ricondurrebbe tutto il dibattito a qualcosa di molto più “normale”, ovvero alla necessità di progredire nella conoscenza per affinare la capacità di confrontarsi con quel che accade, non di considerarla acquisita ai fini del processo decisionale.
      gg

    • Fabio Vomiero

      Certo Guidi, sono perfettamente d’accordo. Però dal mio punto di vista, è anche vero che, vista l’impossibilità concreta di un raffronto scientificamente valido (in termini quantitativi ma anche concettuali, ad esempio di rapporto causa-effetto) con quanto accaduto in passato, remoto o più recente che sia, il rischio che quel 0,6°C in quarant’anni possa rappresentare qualcosa di anomalo, supportato anche da cause anomale, sussiste.
      Saluto cordialmente

    • Donato

      “… il rischio che quel 0,6°C in quarant’anni possa rappresentare qualcosa di anomalo …”
      Giusto, anzi giustissimo, ma stiamo parlando di rischio e non di certezza (nei limiti dell’incertezza 🙂 , ovviamente.
      .
      Vedi, Fabio, io sono abituato a convivere con i rischi (anche grossi): progetto edifici in zona sismica e dirigo i relativi lavori di costruzione. In fase di realizzazione il rischio che il carpentiere mi mandi all’aria le ipotesi di calcolo è altissimo: basta che aggiunga acqua, a mia insaputa, al calcestruzzo e la frittata è fatta. Per questo usiamo appropriati coefficienti di sicurezza e sovradimensioniamo le strutture. Il rischio che un lavoratore si faccia male è molto alto e solo l’abitudine multidecadale mi consente di conviverci e dormire la notte.
      Vivo, però, anche con delle certezze: sono certo che il sisma per cui sto calcolando il mio fabbricato presto o tardi, si verificherà. E ciò mi inquieta perché so anche che se si verificherà il terremoto, la probabilità che sia più intenso di quello di progetto non è trascurabile: e per questo non ho coefficienti di sicurezza. Spiace dirlo, ma per questioni di PIL la legge in base a cui effettuiamo i nostri calcoli ci consente di utilizzare terremoti di progetto meno intensi di quelli che potrebbero verificarsi. Il pannicello caldo che consente di superare le angosce è la vita media dell’edificio: 50 anni, in genere, per gli edifici per civile abitazione. Il terremoto di progetto è tale, infatti, che la probabilità che si verifichi entro i 50 anni è alta, mentre è difficile che si verifichi, in tale periodo, un terremoto più intenso. Quest’ultimo ha tempi di ritorno più alti (plurisecolare) e lo utilizzo per lo stato limite ultimo: quello detto salvavita, nel senso che l’edificio, dopo il sisma, dovrà essere demolito e ricostruito in quanto non più riparabile, ma chi abita l’edificio dovrebbe riuscire a salvare la pelle. Come vedi siamo gente che ama il rischio 🙂 .
      Quando sento parlare del rischio climatico e lo confronto con quello sismico mi viene da ridere: per il fantomatico rischio climatico spendiamo una barca di soldi ed abbiamo l’obbligo, per legge, di dotare ogni fabbricato oggetto di compravendita o di locazione di un Attestato di Prestazione Energetica (in mancanza il contratto è nullo), mentre nessun fabbricato viene certificato ai fini del rischio sismico. La conseguenza è che consento di immettere sul mercato fabbricati che sono dei gioiellini dal punto di vista climatico (nel senso che un edificio ristrutturato in classe A ha ridotto enormemente l’ipotetico rischio connesso al cambiamento climatico), ma che probabilmente crolleranno al primo evento sismico (certo come la morte) sull’ignaro acquirente che, però, morirà contento per aver contribuito a salvare il mondo acquistando un edificio in classe A invece che uno in classe G (casomai antisismico 🙂 ).
      Mah, il mondo va così. Pazienza.
      Ciao, Donato.

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