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La “Dichiarazione scientifica sui cambiamenti climatici”, un documento deludente sottoscritto da dodici società scientifiche italiane

In attesa della XXI Conferenza delle Parti dell’UNFCC (COP21) che si terrà a Parigi dal 30 novembre prossimo, il 19 e 20 novembre si è svolto a Roma presso la FAO il “Rome 2015 – Science Symposium on Climate”, evento di respiro internazionale che ha visto il coinvolgimento delle maggiori organizzazioni scientifiche italiane. L’incontro di Roma aveva l’obiettivo di stimolare il dibattito scientifico sui cambiamenti climatici, concentrando l’attenzione sulla dimensione multidisciplinare delle scienze del clima e sulle relative implicazioni socio-economiche.

Fra i risultati del simposio spicca la “Dichiarazione scientifica sui cambiamenti climatici” (l’originale è qui  – la versione integrale completa di commento elogiativo è comunque anche qui) sottoscritta dalle seguenti società scientifiche: SISC – Società Italiana per le Scienze del Clima, AGI – Associazione Geofisica Italiana, AIAM – Associazione Italiana di AgroMeteorologia, AIEAR – Associazione Italiana degli Economisti dell’Ambiente e delle Risorse naturali, ATIt – Associazione Teriologica Italiana, CATAP – Coordinamento delle Associazioni Tecnico-scientifiche che per l’Ambiente ed il Paesaggio, COI – Commissione Oceanografica Italiana, FLA – Fondazione Lombardia per l’Ambiente, GII – Gruppo italiano di Idraulica, HOS – Historical Oceanography Society, SIDEA – Società Italiana di Economia Agraria, SMI – Società Meteorologica Italiana.

Di tale dichiarazione non condivido lo spirito e la maggior parte dei contenuti. Gli aspetti della Dichiarazione che intendo segnalare ai lettori evidenziando anche i miei motivi di dissenso sono i seguenti:

  1. Il tono assai poco scientifico che la caratterizza: il titolo corretto avrebbe dovuto essere “Dichiarazione politica sui cambiamenti climatici”.
  2. L’idea che sia in atto un cambiamento climatico con prevalenti effetti negativi. In estrema sintesi e senza entrare in alcuna disquisizione di tipo climatologico segnalo che è sufficiente valutare i trend produttivi globali annui ettariali indicati dal dataset Faostat3 (faostat3.fao.org/) per il periodo 1961-2013 e relativi alle grandi colture che nutrono il mondo (+6.5% annuo per mais, +5.2% per riso +4% per frumento e +2.6% per soia) per rendersi conto che oggi non è in atto alcun cambiamento climatico distruttivo o che quantomeno gli effetti positivi per il settore agricolo sono dominanti rispetto a quelli negativi.
  3. L’avversione radicale per l’anidride carbonica, considerata un male assoluto e da combattere con tutti i mezzi. A tale riguardo un concetto che dovrebbe essere patrimonio dell’umanità (e qui ci vorrebbe l’Unesco) fin dalle scuole elementari e cioè che l’anidride carbonica è il nutrimento base delle piante e dunque il fattore produttivo essenziale per l’agricoltura, tant’è vero che se la riportassimo con una bacchetta magica ai livelli pre-industriali la produttività del settore agricolo calerebbe all’istante del 20-40%, con effetti disastrosi sulla sicurezza alimentare mondiale. In tal senso mi domando se qualcuno dei sottoscrittori del documento si sia accorto che grazie agli aumentati livelli di CO2 atmosferica è in atto un prodigioso global greening con poderosi effetti positivi sugli ecosistemi naturali.
  4. La boutade sul “consenso condiviso all’interno della comunità scientifica”. A tale riguardo non posso fare a meno di rilevare che da Galileo in avanti il dibattito e il confronto di teorie è stato sempre considerato fisiologico nel mondo scientifico. Viene allora da domandarsi cosa possa mai accadere a chi non aderisce al “consenso condiviso”: viene messo al rogo o in galera oppure perde il posto (com’è di recente capitato a un previsore della tv francese) o ancora viene ostracizzato dalla “comunità scientifica”?
  5. La strampalata idea di portare i Paesi si via di sviluppo (PVS) verso un’economia “zero-carbon”. A tale proposito ricordo che senza energia o con energia come quella da pannelli solari che c’è solo in presenza di sole (a meno di mettere in piedi sistemi di accumulatori molto costosi e difficilmente manutenibili) i PVS non si sviluppano nel senso che non possono avere luce elettrica, cure mediche, cibo e acqua salubri. Pertanto la proposta di limitare drasticamente ai PVS il set delle fonti energetiche limitandole a quelle rinnovabili costituisce a mio avviso un errore madornale, partorito da società scientifiche che operando in un paese opulento come l’Italia non si rendono neppure conto di cosa significhi vivere i drammatici problemi di sopravvivenza propri dei PVS. In proposito si consideri che oltre un miliardo di persone vivono senza elettricità e quasi tre miliardi “without clean cooking facilities”, la qual cosa secondo WHO causa circa 1.5 milioni di decessi all’anno: cosa volete che interessi a costoro generare energia “zero-carbon”? A loro basterebbe avere energia!
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Published inAttualitàCOP21 - Parigi

8 Comments

  1. Donato

    Caro Luigi, innanzitutto comprendo il tuo rammarico per la deriva dell’associazione che tu hai contribuito a fondare: ho provato le tue stesse sensazioni quando un’associazione in cui milito da 37 anni (praticamente dalla sua fondazione) ha preso una direzione che non condivido diventando lo scendiletto di alcuni politici locali.
    Premesso questo non posso fare a meno di notare come, in concomitanza con l’inizio della COP21, si faccia a gara per mostrarsi più realisti del re.
    Tutti questi slanci avranno, però, vita breve.
    .
    Partiamo dall’ultimo punto che tu hai messo in evidenza.
    I Paesi in via di sviluppo si guarderanno bene dal sottoscrivere un accordo vincolante che li obblighi a seguire la sciagurata via intrapresa dai Paesi sviluppati (UE in testa). L’incontro di Bonn è stato ad un passo dal fallimento proprio perché i PVS avevano subdorato una cosa del genere ed i co-presidenti dell’assemblea hanno dovuto fare marcia indietro in fretta e furia. E’ folle colui che pensa di poter vincolare lo sviluppo di popoli che non aspirano ad altro, con i laccioli delle politiche di contenimento delle emissioni. A meno che non si metta pesantemente mano al portafogli, ma questa è un’altra idea peregrina partorita da cervelli ideologizzati e lontani dalla realtà.
    .
    In merito al punto 4 delle tue considerazioni ci troviamo di fronte al paradosso più eclatante. La scienza non ha certezze, è vera fino a prova contraria e, anche di fronte ad un fatto incontrovertibile, dobbiamo fare i conti con l’incertezza. Le leggi fisiche, anche le più elementari, che si verificano con gli strumenti più semplici (le leggi del moto, per esempio), sono verificabili nei limiti dell’incertezza delle misure: sta scritto in tutti i libri di testo, ma molti se ne dimenticano. Ormai le certezze tipiche della teologia e della metafisica, stanno prendendo il sopravvento nel campo delle scienze. E ciò è male.
    Tanto per fare un esempio oggi alle 16,30 il GR2 di radio Rai ha comunicato a tutti gli italiani in ascolto che entro il 2050 il numero degli orsi polari si ridurrà del 30% (cito a memoria) in quanto il ghiaccio marino polare si scioglierà privandoli del loro habitat.
    Così. Senza forse, probabilmente o altri avverbi dubitativi che dovrebbero essere usati in tali circostanze: previsione a 35 anni da oggi. E’ una cosa vergognosa ed indecente, ma il mondo ormai va così.
    Ciao, Donato.

  2. Gianni

    Stona l’adesione dell’AIAM a questo documento. Si tratta di agro-meteorologi, che dovrebbero conoscere il ruolo della CO2 in agricoltura e anche i trend produttivi delle colture. Luigi potrebbe dire molte cose sulla direzione presa da questa associazione di cui è stato pioniere.

    • Luigi Mariani

      Caro Gianni,
      come sai ad Aiam sono legato da un rapporto affettivo avendola fondata insieme ad altri amici nel 1996 e poi presieduta per 9 anni. Ciò nonostante, a seguito della firma apposta al documento dall’Aiam, ho inviato all’attuale presidente Federico Spanna una lettera in cui comunico le mie immediate dimissioni dall’associazione. Questo è avvenuto con enorme rammarico e per motivi di coerenza. In particolare ho trovato l’incipit sul “consenso condiviso” ingiustificabile sul piano epistemologico e per me a maggior ragione inaccettabile perché credo fermamente nella libertà di ricerca e odio da sempre quelli che ti intruppano e poi ti fanno marciare.
      Ciao.
      Luigi

  3. Uberto Crescenti

    Concordo pienamente con le riflessioni di Luigi e provo sdegno per la iniziativa della FAO orchestrata ed appiattita sulle posizioni dell’IPCC. Trovo presuntuoso titolare il documento a nome degli scienziati italiani. Per correttezza scientifica avrebbero dovuto dire che si tratta di un documento redatto da scienziati italiani, non tutti però. Tra le società non aderenti mi fa piacere vedere che non hanno figurato la Società Geologica Italiana, la Società Paleontologica Italiana e la Società di Geologia Ambientale, associazioni scientifiche che qualcosa sul clima potevano dire. Sono state coinvolte solo associazioni con rappresentanti allineati ed inquadrati a favore del catastrofismo. Non è scienza , come giustamente ha osservato Luigi, ma politica. Il sano dubbio che è sempre alla base della ricerca scientifica non sfiora minimamente i sostenitori della dichiarazione sul clima.
    Uberto Crescenti

  4. GdB

    a proposito di riscaldamento globale ho trovato sul sito di Franco Battaglia questa nota:

    Prof. Dr. Friedrich Karl Ewert: “Tra il 2010 e il 2012 i dati misurati dal 1881 sono stati modificati in modo da mostrare un riscaldamento significativo, soprattutto dopo il 1950. Un confronto tra i dati del 2010 con i dati del 2012 mostra che la NASA-GISS aveva modificato i propri set di dati in modo che, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale appaia un riscaldamento chiaro -. anche se non è mai esistito.”
    I vecchi dati hanno mostrato cicli regolari di riscaldamento e raffreddamento nel corso del periodo, anche se la concentrazione di CO2 nell’atmosfera è passata dallo 0,03% allo 0,04%. Secondo i dataset originali della NASA, la temperatura globale media è diminuita dai 13,8°C nel 1881 a 12,9°C nel 1895. Poi è salita a 14,3°C entro il 1905 e ricadde sotto i 12,9°C nel 1920, è salita a 13,9°C nel 1930, è scesa a 13°C nel 1975 prima di risalire a 14°C entro il 2000. Nel il 2010 la temperatura è scesa fino ai 13,2°C.
    Utilizzando i dati della NASA del 2010 la temperatura della superficie a livello globale dal 1940 ad oggi si è ridotta di 1.110°C, e dal 2000 si è ridotta di 0,4223°C. Il raffreddamento ha colpito tutti i continenti tranne l’Australia, che si è riscaldata di 0,6339°C dal 2000. Le cifre per l’Europa: dal 1940 al 2010, utilizzando i dati a partire dal 2010, c’è stato un raffreddamento di 0,5465°C e un raffreddamento di 0,3739°C dal 2000.

    “Massively Altered” …German Professor Examines NASA GISS Temperature Datasets!
    Veteran journalist Günter Ederer writes a piece reporting that massive alterations have been found in the NASA GISS temperature data series, citing a…
    NOTRICKSZONE.COM

    • Luigi Mariani

      Personalmente non me la sento di parlare di alterazione dei dataset. I dataset di temperatura da stazioni di superficie non solo solo GISS-NASA ma anche HADCRUT4 di CRU East Anglia University e Hadley Center e NCDC (National Climatic Data Center Usa). In proposito se va su climate4you.com e dal menu dal titolo “Key updates” clicca su NCDC può vedere le temperature globali NCDC e GISS a confronto e vede che le cose non sono poi molto diverse.
      Elemento su cui possiamo invece discutere è la rappresentatività della rete globale di stazioni al suolo e ciò in quanto il confronto con i dati MSU da satellite ed in particolare UAH e RSS mostrano due andamenti sensibilmente diversi. E qui la diversità di comportamento potrebbe derivare da due cose:
      – dal fatto che i sensori da satellite non rappresentano la stessa cosa delle reti di stazioni al suolo perché si riferiscono a strati atmosferici
      – dalla non rappresentatività della rete al suolo.

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