Con questo post si chiude la serie che ho dedicato alla COP 22 di Marrakech. Un ultimo contributo che vuole essere un bilancio di un evento che dovrebbe essere di importanza capitale, in quanto riunisce quasi tutto il mondo per discutere di un qualcosa che non ha pari: le sorti future del pianeta, cioè di noi tutti. Eppure….
Capita su queste pagine di discutere con lettori che si chiedono inorriditi come mai dei miserrimi “cittadini semplici” senza “patente” osino mettere in dubbio la scienza o, per essere più precisi, quanto asseriscono gli scienziati che si occupano di climatologia, piuttosto che le conclusioni di un consesso mondiale come l’IPCC e sostengano che il mondo non finirà a causa del cambiamento climatico. Io mi meraviglio sempre della loro meraviglia e mi chiedo come mai non sentano il bisogno di andare a vedere cosa bolle nel pentolone del cambiamento climatico o di andare a vedere le carte di coloro che sostengono le tesi catastrofiste tanto care agli esponenti del pensiero unico dominante. Forse perché bisogna studiare molto materie per cui non si è portati, forse per pigrizia, forse per eccessiva fiducia nel prossimo. Non lo so e forse non lo saprò mai. Dovrò farmene una ragione.
Dopo aver seguito le vicende della COP 22 si è ulteriormente acuito il senso di sfiducia nei confronti dei rappresentanti del mainstream cambioclimatista: potrebbe sembrare impossibile per uno che frequenta CM, ma purtroppo è così.
Avevo deciso di non scrivere più niente sulla COP 22 in quanto reputavo che la Dichiarazione di Marrakech fosse ampiamente sufficiente a sintetizzare dodici giorni di incontri, conferenze, convegni e chi più ne ha più ne metta, ma mi son dovuto ricredere mentre ascoltavo alla radio un servizio del GR2 RAI. La Dichiarazione di Marrakech non è stata sufficiente a far capire alla giornalista cosa fosse successo a Marrakech, ha dovuto intervistare un climatologo per farsi spiegare quanto successo. I lettori di CM sono certamente più smaliziati e non hanno certamente bisogno di questa cronaca, ma ho deciso di scriverla comunque a futura memoria. Arriverà, infatti, la COP23, poi la 24, la 25 e chissà quante altre. In quelle occasioni forse queste brevi considerazioni potranno suonare profetiche o potranno tornare utili.
A Marrakech si è consumato un fallimento clamoroso che fa seguito a quello della COP 21 di Parigi ed a quelli delle altre 20 Conferenze delle Parti che si sono celebrate nel passato. A Parigi le Parti sottoscrissero un accordo vuoto, un accordo di principio. Era un patto nato morto, ma dirlo avrebbe significato offendere la presunzione dei Francesi e degli Europei in genere. Come si poteva fallire un vertice che era stato propagandato per mesi, forse anni, come l’ultima occasione per salvare il pianeta? Non si poteva e non lo si fece: Parigi aveva segnato una svolta clamorosa nella storia del mondo. A Parigi si era messo un punto fermo che rappresentava il discrimine tra la salvezza e la perdizione, tra il bene ed il male, tra il progresso e la conservazione, tra la vita e la morte del pianeta Terra.
James Hansen che qualcosa di clima capisce, avendo guidato la climate division della NASA per parecchi anni, disse subito che l’accordo era un involucro vuoto e se ne andò in Cina per discutere con i rappresentati del più grosso inquinatore del pianeta e maggior emettitore di gas serra del pianeta. Fu definito negazionista dai duri e puri del mainstream e la cosa finì lì.
A Parigi i nodi principali del problema climatico erano rimasti ben stretti: gli impegni volontari delle Parti non erano sufficienti neanche a mantenere l’incremento delle temperature al di sotto dei 2°C rispetto all’era pre-industriale (ammesso che l’aumento delle temperature sia dovuto alle emissioni antropiche) figuriamoci al di sotto di 1,5°C; non erano previsti sistemi di controllo delle emissioni delle singole Parti e non erano previste sanzioni per chi venisse meno agli accordi, in altre parole l’Accordo non era vincolante; non erano previsti meccanismi chiari per la costituzione e la gestione del fondo annuo di almeno 100 miliardi di dollari USA per realizzare i trasferimenti ai Paesi in via di sviluppo e permettere loro di mantenere gli impegni assunti di riduzione delle emissioni.
Tutto fu demandato alle successive edizioni della Conferenza delle Parti. Secondo qualche osservatore, con linguaggio un po’ colorito, la legge era fatta, mancavano i decreti attuativi.
A Marrakech si dovevano scrivere, o cominciare a scrivere, questi benedetti decreti attuativi, ma non è stato fatto assolutamente nulla. Non sono stati individuati meccanismi di contabilità delle emissioni, non sono stati individuati nuovi impegni di riduzione delle emissioni, non sono stati individuati i meccanismi per costituire e gestire il fondo di 100 miliardi di dollari. Nulla di nulla. Eppure la COP 22 è stata descritta come un successo.
A chi mi chiede di fidarmi degli “esperti” in materia di clima, rispondo che non ssarei disposto a farlo neanche se mi pagassero, in quanto gli “esperti” cercano di prendermi per i fondelli. Io sono andato e andrò anche nelle occasioni future, a vedere le carte, a fare le pulci ai vacanzieri di tutte le COP. Perché alla fine di questo si tratta: dei problemi del mondo non frega niente a nessuno, alla COP si va per trascorrere 12 giorni di vacanza con la scusa del salvamento del mondo. Mi si risponderà che non è così, che a Marrakech ci si è dannata l’anima per avere successo.
Non è vero niente perché a Marrakech non si è avuto alcun risultato. E non possono prendersela neanche con Trump, in quanto lui non è ancora presidente in carica, non si è minimamente interessato alla COP 22 e nonostante tutto i delegati non sono riusciti a cavare un ragno dal buco. Solo un misero documento di mezza pagina in cui si ribadisce che si impegnano a rispettare gli impegni. Ciò che veramente sta dietro le COP non lo dice nessuno. Dietro le COP ci sono 100 miliardi di dollari all’anno che devono essere spesi dai Paesi industrializzati nei Paesi in via di sviluppo. I Paesi industrializzati sono disposti a spenderli, ma a condizione che possano decidere come devono essere spesi. Di fronte al netto rifiuto dei Paesi in via di sviluppo di farsi dettare l’agenda, i cordoni della borsa restano chiusi. Il clima? E’ l’aspetto secondario della questione, la foglia di fico che copre il vile denaro che muove tutto il resto.
Non ci credete? Se il clima fosse l’aspetto principale della questione i decisori politici starebbero ben attenti a prendere tutte le decisioni per modificare le traiettorie dell’evoluzione delle temperature in modo che esse restino ben al di sotto dei 2°C, anzi di 1,5°C di aumento rispetto all’era pre-industriale.Invece la cosa sembra non interessare a nessuno visto che con gli impegni assunti e che i Paesi ricchi non stanno mantenendo, andremo a parare ben oltre i 2°C di aumento rispetto all’era pre-industriale: 3°C secondo gli ottimisti, 4°C secondo i pessimisti. Sempre che ciò che ci dicono gli “esperti” sia vero e che il diossido di carbonio sia il driver del clima, ovviamente.
Caro Donato, ti ringrazio anch’io per l’impegno profuso in questa e in tante altre cronache passate.
Maurizio Rovati
Donato, solo per ringraziarti per il grande lavoro fatto con questa cronaca della COP, e per dire che condivido tutte le tue considerazioni sull’inutilita’ di questi eventi e sulla natura delle vere forze in campo dietro le quinte. Ci vuole uno stomaco forte per seguire questi eventi, quando non si e’ allineati sulle posizioni catastrofiste e fondamentaliste di chi le organizza… 😉
Molto forte, ma ormai mi sono abituato. 🙂
Ciao, Donato.
In azienda da me gira una sorta di barzelletta per sfottere i project manager: “Ti stai annoiando? Non sai cosa fare? Vuoi avere visibilità? Organizza una riunione! Grafici, tabelle, colonne evidenziate! Tanti splendidi modi di passare il tuo tempo e ricevere qualche applauso”.
Ecco, l’ IPCC e i suoi accoliti appartengono al gruppo dei ‘project manager del clima’.
Costose e inutili riunioni per avere visibilità, con tanti bei grafici, ma ben poco contenuto.
@ L. Mariani
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Caro Luigi, credo che non esistano alternative a questo tipo di adunanze. Il problema è che i partecipanti sono veramente convinti che stanno salvando il mondo, per cui per loro va bene così, non c’è nulla da fare. ONU ed ONG vogliono, pretendono che sia così, perché solo ammassando 20000 (ventimila) delegati in una città possono dire che il mondo intero vuole che le cose vadano in quel modo. Pensa che dall’Italia sono partiti esponenti di ONG, esponenti di associazioni ambientaliste trans-nazionali, rappresentanti di comuni, delegati regionali e ministeriali: un esercito. La media è di circa 100 delegati per ogni Paese partecipante!
Per fare un esempio, dall’Italia è partito anche il sindaco di Assisi che non poteva esimersi dal dare il proprio contributo alla COP in quanto Assisi è la città di S. Francesco, che può essere considerato, tra l’altro, il primo difensore del Creato e la cui testimonianza è stata resa attuale dall’enciclica “Laudato si'” di Papa Francesco (parole sue, io mi limito a riportarle). Ti sembrano sensate queste motivazioni? A me no, ma il mio parere conta poco per chi vuole salvare il mondo!
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La cosa potrebbe risolversi con l’intervento dei soli delegati istituzionali: il numero dei partecipanti si ridurrebbe di 10 volte, ma i rappresentanti della società civile ci vogliono esserci a tutti i costi, altrimenti non possono stare con il fiato sul collo dei politici per costringerli a fare progressi (sic).
E’ un carrozzone di un’inutilità pazzesca, ma guai a toccarlo, si scatena la rivoluzione. E poi vuoi mettere l’effetto sull’opinione pubblica quando si dice che il movimento salvapianeta viene dal basso perché quasi ventimila rappresentanti della società civile mondiale lo vuole. Le crociate le voleva Dio, le COP le vuole il popolo sovrano (almeno quello che si riconosce nel catastrofismo imperante).
Dobbiamo rassegnarci. Adda passà a nuttata! 🙂
Ciao, Donato.
“Le crociate le voleva Dio, le COP le vuole il popolo”
– COP populi, Vox Dei –
Caro Donato,
Nel ringraziarti di cuore per aver commentato il COP22, mi pare che – a parte i problemi di merito che già da soli mi fan venire il mal di mare – emerga un enorme problema di metodo e cioè quello dell’efficacia di meeting costosissimi che richiedono la presenza di un enorme numero di persone: pensiamo solo a quante emissioni – di CO2 e di inquinanti veri – sono state prodotte con i soli viaggi aerei…
Peraltro penso che il problema si ponga non solo in relazione al tema del cambiamento climatico ma per qualsiasi problema globale (e ve ne sono parecchi: acqua, inquinanti che nulla c’entrano con il clima, sicurezza alimentare, urbanesimo, commercio, ecc.) che siamo e sempre più saremo chiamati ad affrontare in futuro. A tuo avviso esistono metodi più efficienti per gestire queste cose in modo partecipato (penso ad esempio a gruppi di lavoro connessi in video-conferenza e che sgrezzino via via il problema per poi demandare a un comitato ristretto la stesura delle conclusioni)?
Luigi
Luigi,
spero di non essere frainteso se sollevo qualche dubbio sul metodo partecipato. Le dimensioni oceaniche della folla di partecipanti a questi eventi, non sono frutto del gran numero di temi da affrontare e quindi della necessità di esperti delle materie più svariate. Sono invece il frutto delle opportunità di spazio che offre il circo del disastro climatico. E’ un circo socialmente utile solo per chi vi partecipa.
gg
Ci mancherebbe, Guido, la preoccupazione che tu esprimi circa le reali motivazioni dei partecipanti a queste adunate è anche mia. Tuttavia stavo cercando di spingermi oltre chiedendomi come fare per il futuro, posto che il sistema appare decotto e sussiste la necessità di garantire in futuro la partecipazione delle persone giuste.