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Se ne ammazza molti più il freddo che il caldo

Genesi e motivi di uno scoop a scoppio ritardato

È l’inverno la stagione più letale: uccide 20 volte più dei colpi di calore – Le basse temperature favoriscono ictus e infarti e stare in luoghi chiusi avvantaggia la possibilità di trasmissione di virus e batteri che portano a influenza e polmoniti”. Così titolava il 16 dicembre 2016 il Correre della Sera in un articolo a firma Silvia Turin.

Da dove venga la notizia pubblicata dal Corrierone ce lo chiarisce un articolo a firma di Antonella Petris uscito su meteoweb  il 20 dicembre 2016 e in cui si scrive fra l’altro che:  “con l’inverno e l’arrivo del freddo inizia il periodo più pesante, in cui la probabilità di morire è 20 volte maggiore rispetto ai giorni di grande caldo. Lo afferma, ricorda il New York Times, uno studio condotto in 13 paesi del mondo tra cui l’Italia, pubblicato dalla rivista Lancet, secondo cui gli aspetti più pericolosi non sono tanto i giorni di picco negativo della temperatura, quanto i periodi prolungati di temperature un po’ sotto la media”.

La notizia è interessante perché attinge ad un articolo del 2015 a firma di Gasparrini et al. uscito sull’autorevole rivista Lancet e che su CM a fine 2015 commentammo come segue nel documento  “Nullius in verba”:

A livello globale la mortalità nella popolazione da eventi termici estremi è nettamente più spiccata per il freddo che per il caldo. Uno studio a livello globale condotto da Gasparrini et al. (2015) e pubblicato su Lancet giunge alla seguente conclusione: ” La maggior parte del carico di mortalità globale correlato alla temperatura è riconducibile al contributo di freddo. Questo dato di fatto ha importanti implicazioni per la progettazione di interventi di sanità pubblica volti a ridurre al minimo le conseguenze sulla salute di temperature negative, e per le previsioni di effetti futuri degli scenari del cambiamento climatico.”. In sostanza l’aumento delle temperature globali si sta traducendo in una diminuzione della mortalità da eventi termici estremi che è evidenziata per l’Europa (Healy, 2003) e per gli USA. Ciò non toglie che non si debba prestare attenzione ad evitare la mortalità da caldo, soprattutto per quel che riguarda gli areali urbani, il cui disagio termico è tuttavia ascrivibile a fattori di carattere locale quali l’isola di calore urbano.

Quale lezione da questo scoop a scoppio ritardato

Segnalo il curioso “scoop a scoppio ritardato” perché ci aiuta forse a capire qualcosa in più sui meccanismi dell’informazione nel regime in cui oggi abbiamo la ventura di vivere e in relazione ai quali azzardo la seguente ipotesi: pur trattandosi di una notizia ghiottissima anche perché una volta tanto mette in luce un aspetto positivo del global warming (il che, da un pubblico ormai insofferente ai continui annunci di catastrofe, è visto un po’ come il caso del “padrone che morde il cane”) , esce solo oggi in quanto non dà ombra ai COP di Parigi e Marrakech; altrimenti, state tranquilli, oggi saremmo qui a parlare dei pinguini morti di caldo in Antartide ove, scoop degli scoop, pare sia scoppiata l’estate.

Tutto questo mostra a mio avviso l’utilità di un’iniziativa, quella di Nullius in verba , di cui pubblicheremo una versione aggiornata nei primi mesi del 2017 ed il cui spirito è riassunto nella premessa alla prima edizione, che riportiamo qui di seguito:

“Nullius in verba”[1] (o, se si preferisce, “stiamo ai dati e lasciamo da parte gli artifici retorici, alias slogan”) è il motto della celeberrima associazione scientifica britannica Royal Society (https://it.wikipedia.org/wiki/Royal_Society), la quale fin dalla sua fondazione, avvenuta il 28 novembre 1660 per iniziativa di John Evelyn, ha lo scopo di promuovere l’eccellenza scientifica per il benessere della società.

Questo motto è tornato alla mente mentre a margine delle trattative del COP21 di Parigi assistevamo alla messa in onda sui principali mezzi di comunicazione nazionali ed internazionali di una “fine del mondo prossima ventura” fatta di mari che salgono, deserti che avanzano, ghiacci che fondono, ondate di caldo inarrestabili e bombe d’acqua.

Di fronte a tale alluvione retorica non basta limitarsi ad attendere che la stessa si esaurisca. Pertanto noi di Climatemonitor abbiamo ritenuto necessario redigere un “Appello alla ragione” ponendo una serie di paletti basati su letteratura scientifica recente e che ci pare necessario richiamare al fine di ristabilire l’“Est modus in rebus” cui ci richiamava Orazio (Satire 1, 1, 106-107), evitando che sia la spinta emotiva a condizionare decisioni che dovrebbero essere assunte su base razionale e cioè a partire da dati di buona qualità interpretati in modo equilibrato.

Partendo pertanto dall’idea che il cambiamento è una delle caratteristiche strutturali più profonde del sistema climatico terrestre, obiettivo finale del documento è da un lato quello di discutere i cambiamenti climatici degli ultimi due secoli e dall’altro quello di discuterne gli effetti ecosistemici. Per tale ragione il documento è organizzato per aree tematiche costituite da anidride carbonica, temperature globali, eventi estremi, mortalità, agricoltura ed ecosistemi naturali.

[1] La frase “Nullius in verba” è tratta da una delle Epistole di Orazio e più precisamente da un passaggio in cui l’autore si paragona a un gladiatore che, essendosi ritirato dalle arene, è libero dal controllo di qualsiasi padrone. Queste sono le parole nel contesto originale: “Nullius addictus iurare in verba magistri, quo me cumque rapit tempestas, deferor hospes“.

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Published inAmbienteAttualità

4 Comments

  1. Uberto Crescenti

    Articolo di Luigi Mariani come sempre ben documentato e rispondente alla reale conoscenza dell’argomento. I dati forniti corrispondono a quanto in proposito è noto scientificamente. Come è possibile fare affermazioni in contrasto, attribuendo al caldo maggiore rischio per la salute. Ho sempre più il dubbio che molti catastrofisti non siano in buona fede.

  2. Guido Botteri

    Sono anni che lo ripeto, le statistiche della mortalità mensile mostrano dei picchi nei mesi freddi, e dico “freddi” perché da noi, nell’emisfero settentrionale, i mesi più freddi sono gennaio e febbraio, mentre nell’emisfero meridionale sono luglio e agosto. E la mortalità segue i mesi freddi, quindi è maggiore a gennaio e febbraio da noi, e a luglio e agosto in Australia.

    Per questo mi fa rabbia questa disinformazione fatta dal mainstream, che vuole demonizzare il caldo, e a cui si piegano troppe persone che dovrebbero far scienza e non politica o ideologia.
    Secondo me.

  3. Luigi

    ” In Europa, ogni anno, perdono la vita a causa del caldo circa200.000 persone; tuttavia, circa 1,5 milioni di europei muoiono nello stesso periodo per il freddo: è più di sette volte il numero dei decessi dovuti al caldo.” (da “Stiamo freschi”-perchè non dobbiamo preoccuparci troppo del riscaldamento globale- Bjorn Lomborg 2007).
    Continuate ad informarci e Buon Natale a tutti

  4. Luca Maggiolini

    A conferma della generalizzata banalità (per non dire stupidità, ma non vorrei esagerare) con cui ssi parla dell’argomento “tempo e clima”, vorrei far notare una cosa che mi è balzata all’orecchio, perlomeno per chi è milanese o comunque gira attorno alla metropoli lombarda, negli ultime settimane.
    Dopo qualche anno in cui tanti dicevano che “ahh ormai la nebbia non c’è più, il clima è cambiato,” sia l’anno scorso che quest’anno abbiamo avuto due bei periodi di nebbiosità non indifferente, non tanto per intensità quanto per la sua persistenza (dove abito io nell’Ovest di Milano il sole non si è visto per quasi 10 gg di fila quest’anno).
    Ora, invece che dire: “Ah, siamo tornati alla normalità (presunta, dato che è un termine senza senso nel contesto nda), c’è la nebbia!!!” sento dire: “Ehhh ma non è normale questo caldo, tutta sta nebbia, le stagioni son proprio cambiate!!!” Mi piacerebbe farli venire ad apprezzare il teporino della nebbia gelata.
    La cosa che più mi deprime è sentire queste cose da gente tutt’altro che stupida, ma che si appiattisce su valutazioni e frasi fatte davvero sconfortanti senza un minimo di senso critico (non dico di conoscenza, ci mancherebbe altro, ma un filo di senso critico…..).

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