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Salento, Italia

La strada per Torre Chianca è un nastro di asfalto che inizia là dove finisce la periferia di Lecce, in un progressivo diradarsi disordinato e architettonicamente sconclusionato di case basse, scuole, edifici pubblici e distributori di benzina. Si snoda attraverso terreni pietrosi, riarsi dal sole, scarsamente coltivati, punteggiati di masserie e di olivi malati ché la xylella, maledetta, è arrivata anche qui.

E poi ci sono le pale eoliche: una ventina di turbine per un totale di quasi 40 megawatt di potenza installata. Checché se ne dica, fanno bella mostra di sè, questi grandi ventilatori. Quasi sempre in movimento, vivaddio, per la felice collocazione geografica in una penisola protesa tra lo Jonio e l’Adriatico, e per l’azione delle brezze che in giorni come questi di inizio estate garantiscono energia eolica per tante ore, anche in condizioni di stabilità atmosferica pressoché assoluta.

Distanti dal mare, i ventilatori, quel tanto che basta per non deturpare il profilo di questo tratto di costa adriatica battuto da venti di tramontana per gran parte dell’estate, come vogliono i manuali di meteorologia che collocano il basso Adriatico nel mirino delle correnti di grecale pilotate dall’anticiclone delle Azzorre. Ché il clima sarà pure impazzito, ma i leccesi vi confermeranno che le giornate senza tramontana sono rare sull’Adriatico, oggi come 50 anni fa, ed è soprattutto per questo che tanti di loro preferiscono la calma (quasi) assicurata dei versanti ionici, sottovento alla circolazione prevalente.

Non sono i ventilatori a deturpare la bellezza di questo tratto di costa altrimenti selvaggio, dove sfocia l’unico fiume del Salento: l’Idume. Un fiume carsico che riemerge, proprio in prossimità della costa, dalle profondità della terra. A sorpresa, come una sacara che sbuca tra le rocce assolate, inaspettata, ipnotica, e disegna curve eleganti, e mutevoli, nel suo incedere inevitabile verso il mare. Ci ha pensato l’uomo a deturparlo, questo tratto di costa, così come tanti altri molto più noti al turismo di massa: costruendo orrori architettonici, cementificando indiscriminatamente nell’illegalità e nell’impunità più assolute. Nell’incuria complice e ignorante degli amministratori locali e nel contesto generale di una azione di governo che con la regolarità di un metronomo ha sfornato condoni edilizi per decenni, istigando a compiere ulteriori scempi ambientali in un diluvio di cemento che ha sepolto gran parte delle coste salentine e dell’Italia centro-meridionale.

Residui di politica industriale

Dalla spiaggia di Torre Chianca si scorge in lontananza la sagoma dalla centrale termoelettrica di Cerano, che si staglia nell’imponenza dei suoi 2.6 gigawatt di potenza installata: la seconda centrale termoelettrica più grande d’Italia. Una centrale a carbone. Tanto è stato fatto, e continua ad essere fatto, per diminuirne l’impatto ambientale attraverso sistemi di abbattimento di ossidi di azoto, ossidi di zolfo, polveri. Rimane inevasa, tuttavia, la domanda sul perché un Paese privo di una industria estrattiva del carbone scelga di alimentare una mega-centrale termoelettrica importando la materia prima dall’estero, piuttosto che sfruttando l’idrocarburo più abbondante, più pulito e più economico a disposizione: il gas naturale. Un mistero tra i tanti, nel modello generale di sviluppo economico che si è pensato molti anni fa per il sud Italia.

Oggi le fabbriche chiudono anche qui, per quanto poche. Si cerca di introdurre un modello di sviluppo basato sul turismo e sui servizi. Ma i posti di lavoro si perdono ugualmente, e la “nuova economia” non è in grado di sostituirli, anche perché è difficile reinventarti a 50 anni, da operaio, quando la tua fabbrica chiude. Qui come nel resto d’Italia. Ed è magra consolazione constatare che, pur tra i tanti errori commessi, è comunque esistito un tempo in cui in questo Paese si ragionava ancora in termini di modelli di sviluppo industriali degni di una potenza economica tra le prime al mondo. Quello che resta, della “vecchia economia”, è il caporalato: una condizione di sfruttamento medioevale che nella sua versione moderna viene declinata in una lotta tra poveri, con italiani e immigrati a contendersi lavori pagati pochi euro al giorno per spezzarsi la schiena nelle campagne, magari pagati con i voucher, quando va bene.

Falsi problemi e problemi veri

Nonostante l’abbondanza di problemi endemici che aspettano di essere affrontati o almeno riconosciuti come tali, la classe politica locale scende in campo e arringa le folle per manifestare contro un tubo: la TAP, destinata a portare il gas azero in Italia attraverso l’Adriatico meridionale. Si protesta per l’espianto temporaneo di 211 ulivi, nello stesso momento in cui si stima in circa 10 milioni il numero degli ulivi condannati a morte per xylella, e altri 90 milioni minacciano di cadere nel prossimo futuro, trasformando il Salento in un cimitero scheletrico di piante secolari. Un bel regalo della globalizzazione la xylella, dopo il punteruolo rosso che ha fatto sparire quasi tutte le palme già da una decina d’anni.

Il problema ambientale vero e drammatico del Salento è proprio la xylella, i cui danni inflitti alla coltivazione dell’ulivo sono stati quantificati in circa 1 miliardo di euro. Soldi che servirebbero anche per impiantare varietà resistenti al batterio, come il Leccino o la Favolosa. Peccato che la Commissione Europea proibisca i reimpianti, anche di specie resistenti, con decreto esecutivo del 2015. È la stessa UE che ha speso nel 2015 1.2 miliardi di euro per supportare le attività di una miriade di ONG. Ecco, forse quello che servirebbe al Salento è una bella ONG, magari straniera, che giustifichi un progetto di reimpianto alla luce della necessità di integrare ed accogliere specie esotiche. È un tasto che vale la pena toccare, con i burocrati di Bruxelles.

Verso la Città Bella

Sulla strada che porta a Gallipoli gli oliveti scheletriti rendono il paesaggio spettrale, a tratti angosciante. Combattono, gli olivi, provando a tirar fuori quegli stessi getti che ogni anno, da tante centinaia di anni, scintillano letteralmente nella luce abbagliante di Giugno, e restituiscono bellissimi riflessi iridescenti nelle rare giornate di pioggia, quando il sole fa capolino tra le nuvole, magari dopo un temporale pomeridiano. È la voglia di vivere di piante che avevano resistito secoli, millenni, prima di pagare il loro prezzo personale alla libera circolazione di uomini, merci, e batteri. E resistono anche gli agricoltori, nonostante tutto, con la tenacia di chi questa terra la lavora con fatica da altrettanto tempo: gli olivi sono potati severamente, il terreno arato con cura e l’erba trinciata come richiesto dal servizio fitosanitario regionale. Servisse almeno a qualcosa.

Il calvario degli olivi ti accompagna fino a Gallipoli, dove cede il passo ai ritmi indiavolati della movida dell’estate salentina. Bellissima, Gallipoli, ché nomen omen, mai come in questo caso: kalè polis, dicevano i greci: “città bella”, appunto. Isola e fortezza, vicoli e chiese. E d’estate, fulcro del divertimento balneare salentino. Svilita e banalizzata nell’assedio di bancarelle e negozietti così uguali a quelli di tante altre mete del turismo estivo globalizzato. Imbruttita e involgarita negli eccessi del turismo cafone, quello dei ragazzini sballati di cui altre località di villeggiatura si sono liberate per far posto ad una offerta meno penalizzante per i locali e più adatta ad un turismo più consapevole, e più redditizio. Un tormento, il mese di Agosto, per i residenti. Tanti affittano le loro case e vanno in vacanza altrove, qui come in altri angoli di Salento. È il prezzo da pagare al turismo di massa e alle mode del momento ma va bene così, che per i restanti 11 mesi il Salento torna ai salentini. E in autunno Gallipoli torna bellissima, come Otranto.

Una finestra sull’Oriente

Misteriosa ed evocativa Otranto, nelle notti d’inverno con i suoi vicoli deserti e il vento che soffia immancabilmente sulle mura del Castello Aragonese che ispirò nel 1764 quella che è considerata la prima novella gotica: Il Castello di Otranto di Horace Walpole. Simbolo di mistero e lontananza, di esotismo dal sapore orientale l’Otranto immaginata, anzi, sognata da Walpole. Non c’è traccia, di quell’esotismo e di quel mistero in estate, sostituiti dalla solita sfilata di negozietti e bancarelle e dallo sciamare dei turisti, compressi a migliaia nella fiumana che scorre implacabile per le viuzze del centro storico.

Eppure una testimonianza del rapporto complicato con quell’Oriente misterioso e minaccioso resiste, anche in estate. Nella spendida Cattedrale dove riposano le spoglie di 800 martiri rifugiatisi proprio lì, nel vano tentativo di sfuggire alle truppe di Maometto II, nel 1480. E decapitati, fatti a pezzi a colpi di sciabola, segati vivi per il loro rifiuto di rinnegare la fede cristiana. La conclusione truculenta di un massacro costato la vita, secondo alcune ricostruzioni, a circa 15,000 persone.

E chissà cosa pensano, quelle povere spoglie, del blaterare confuso dei nostri giorni sulla retorica dell’accoglienza. Retorica che è stata frettolosamente appiccicata anche al Salento, a dispetto di una storia fatta di invasioni, massacri, resistenze eroiche, martirii, e testimoniata architettonicamente dalla presenza di tante masserie fortificate, dal susseguirsi di torri di avvistamento lungo tutto il perimetro della costa, e dalla quasi totale mancanza di centri abitati, sulla stessa costa. Prima che residenti e politicanti locali decidessero di ricoprirla, quella costa, di milioni di metri cubi di cemento orrendo. Ché il suo personale martirio ambientale il Salento l’ha conosciuto in tempi molto più recenti. E per colpa del cemento, non di un tubo interrato. E per mano di indigeni, non di invasori.

Fine del viaggio

Questo viaggio alternativo nella provincia di Lecce non può che concludersi nel suo capoluogo. Il salotto barocco del Salento, in una abusata quanto felice definizione. Superba Lecce, nella consapevolezza del suo fascino e della sua storia. Nelle sue chiese barocche che ti sorprendono all’improvviso, sbucando da un vicolo. E nella fragile ed eterna bellezza di quella pietra ingiallita dal tempo o restituita al candore originario da un restauro. Nel recupero felicissimo del suo centro storico, intatto eppure rinnovato nella presenza di negozi raffinati e discreti, quasi nascosti nella eleganza esuberante degli edifici che li ospitano. Vetrine scintillanti, locali alla moda frequentati da turisti e residenti, gente gentilissima, ovunque: non manca mai un un sorriso, l’offerta di un aiuto, il pasticcino gratis, la caramellina o una semplice carezza per i bambini.

Ti sorprende Lecce, se non l’hai visitata per tanti anni. Nella sua bellezza antica e nella novità di un turismo che aggiunge molto più di quanto tolga. Nella insolita dimestichezza dei giovani con l’inglese, gli stessi giovani che accolgono turisti stranieri nei locali e allo stesso tempo parlano in dialetto con i loro amici o con i clienti del posto. Ché l’accoglienza del Salento, forse, è proprio in questo senso straordinario di ospitalità unito all’orgogliosa difesa della propria identità, della propria cultura, delle proprie tradizioni. Prendano appunti, i profeti sbavanti del melting-pot globalista che infuriano senza sosta in TV e sui giornali nostrani.

Ti sorprende Lecce, in questa estate del 2017, per lo stato dei suoi ficus. Parliamo proprio di piante: i ficus leccesi e salentini in generale sono letteralmente spennati. Hanno sofferto il gelo associato alla straordinaria nevicata di gennaio, come tante piante grasse, letteralmente decimate nell’incredulo racconto degli stessi residenti. La straordinarietà dell’evento è stata non tanto nell’entità delle nevicate, comunque cospicue, quanto nei valori termici rimasti estremamente bassi per giorni, e con temperature massime anche inferiori allo zero, evento davvero rarissimo da queste parti. I soliti esperti ci insegnano che il freddo salentino del Gennaio 2017 è “tempo”, mentre il caldo di questi giorni è “cambiamento climatico”. Contenti loro. Ai non-esperti restano invece i ficus spennati, i cactus bruciati e i tuffi nel mare caldo e cristallino di sempre: i problemi veri sono altro che il climate change, e le chiacchiere di certi esperti restano solo chiacchiere mentre la vita vera va avanti, a dispetto di quelle chiacchiere.

Sant’Oronzo sembra salutarti, mentre lasci la Piazza. Liberò i leccesi dalla peste. E chissà che non interceda anche per la peste degli ulivi. Le ragioni per invocare la sua protezione non mancano in questo lembo estremo d’Italia dove tanti problemi sono quelli di tutto il Paese: disoccupazione, stagnazione economica, declino industriale, emigrazione di tanti giovani che lasciano una terra bellissima solo per mancanza di opportunità, e con la stessa sofferenza dei loro nonni che emigravano in Svizzera o in Germania. La stessa Germania verso cui emigrano tanti loro nipoti oggi. Qualcosa deve essere andato davvero storto, se i problemi di oggi sono quelli di sempre e se i giovani vanno ancora via, oggi come un secolo fa. Ma le ragioni per essere ottimisti non mancano.

Il Salento ce la farà, con la stessa forza e ostinatezza dei suoi ulivi che provano a resistere all’assedio, come gli idruntini nel 1480. Proprio come loro, muoiono a migliaia gli ulivi sotto l’assedio di agenti esterni contro cui pare non esserci difesa. E chissà che con quegli stessi agenti non si riesca a convivere un giorno, anche dopo una lotta strenua e spietata e in apparenza senza speranza. È tutta qui, forse, la sfida che attende i salentini. E non solo loro.

Buona fortuna Salento, buona fortuna Italia.

 

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Published inAttualità

22 Comments

  1. Franco Maria Nardelli

    I politici pugliesi li hanno eletti i pugliesi. Esistono le responsabilità sociali, non solo quelle individuali. E sembra che ora tali politici locali (forse non potendosi far finanziare dai costruttori) si facciano finanziare dalle lobby energetiche straniere. A danno dell’Italia. Non si spiega diversamente il fatto che perdano ogni dignità denunciando il danno che il tubo porta agli ulivi.

  2. Franco Maria Nardelli

    Dica quel che vuole, ma un popolo che manifesta contro un tubo che rovina 211 olivi, per me ha perso la sua dignità.
    E comprerò olio spagnolo: è ottimo.

    • Massimo Lupicino

      Caro Franco, io penso che l’olio italiano sia molto migliore di quello spagnolo, e quello pugliese e’ il mio preferito… Non mi sembra il caso di punire un intero settore gia’ devastato per tanti motivi solo perche’ politicanti locali incitano a protestare contro un tubo non credi?
      Alla fine a rimetterci sono sempre i poveracci, in questo caso contadini o produttori che stanno letteralmente sulle spese e non riescono a tirare avanti…
      La migliore forma di protesta secondo me sarebbe non votare chi cerca di raggranellare voti spaventando la gente, come si faceva nel far west davanti alla prospettiva che arrivasse la ferrovia…

    • Alessandro

      Chi vuol mettere il tubo perchè non è convincente? chi vuol mettere il tubo lo mette dove è più facile metterlo e quindi come al solito siamo davanti ad una scelta del popolino: se metti paura alla gente vedrai quante cose puoi riuscire a fargli fare senza che questa accenda il proprio cervello…siamo a questi livelli in Italia il tasto della luce “in soffitta” è nella maggior parte dei casi su OFF/spenta.

    • Maurizio Rovati

      Tranquillo Franco, è chiagn’ e fotte, nella maggior parte dei casi. Come sempre chi soffre davvero non va nemmeno in video e se cerchi la dignità la trovi più facilmente lì. L’origine dell’olio poi è come la paternità, sempre incerta.

    • DarioC

      Ho fatto 10 giorni sul Gargano ed ho visto molti uliveti ben arati e con l’impianto a goccia. Sicuramente tra le mie prossime mete ci sarà anche il Salento.
      Hai ragione sui 211 ulivi ed anche a mè la cosa ha fatto schifo però comperare spagnolo mi pare la solita pirlata che non risolva nulla.
      Se qualche politico cavalca la situazione si voti un’altro. La soluzione non è “tanto sono tutti uguali”.
      Sono convinto che anche l’olio spagnolo sia buono anche se spesso pare sia tunisino “naturalizzato” spagnolo.
      Se mia moglie mi prepara la cena e non mi aggrada una volta posso anche andare al ristorante ma farlo sempre diventa un lusso che non mi posso permettere. Stessa cosa se la preparo io ed a lei non piace. O si impara a cucinare o patate e mortadella per tutti.
      Stessa cosa sulle auto tedesche ed altre moltissime cose. La pensione e l’ospedale non ce la pagano nè i tedeschi, nè gli spagnoli…….ma comunque doddiamo pagare NOI e se un pò di lavoro resta “in casa” forse ci sarà qualche problema in meno.

  3. Guido Botteri

    Sono stato a Bari qualche giorno fa, e sono rimasto colpito per la cortesia e la gentilezza dei suoi abitanti.

  4. giuliano49

    Grazie per lo stupendo articolo. Bellissimo e verissimo. Una terra e una gente incantevole. Non mente mai né a sé stessa né a chi la visita spesso in lungo e in largo, trovandosi meglio che a casa propria, come il sottoscritto. Vedi Trani e poi muori, mi vien da dire…..

    • Massimo Lupicino

      Grazie a te Giuliano. Chi ama il Salento si sentira’ sempre a casa sua, da quelle parti…

  5. donato b.

    Caro Massimo, complimenti per il tuo articolo. Leggendoti non ho potuto fare a meno di immedesimarmi nei fatti e nei personaggi che tu hai magistralmente delineato.
    Vivo in una realtà che ha gli stessi problemi di quella che tu hai descritto, ma che non ha neanche la speranza che hanno le genti salentine. Io vivo nelle zone interne del Sannio campano: da noi non c’è il mare, quei pochi B&B che sono nati grazie ai finanziamenti UE (POR, PSR, ecc.) stanno pian piano chiudendo. I giovani vanno via come i loro genitori, nonni, zii e parenti vari nel corso degli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, ma con una differenza di fondo: quelli avevano intenzione di rientrare e in buona parte sono rientrati, questi li abbiamo persi per sempre.
    Le zone interne del sud dell’Italia si vanno via via spopolando e tutti i centri urbani vedono diminuire costantemente il numero di abitanti. Non c’è turismo, non c’è industria, non c’è agricoltura, non ci sono servizi, solo pensioni, indennità, vaucher e lavoro nero. In dieci anni tutte le attività economiche, compresa la mia, hanno visto crollare in modo quasi verticale ricavi e guadagni. Non so cosa ci aspetta, anzi lo so benissimo, ma cerco di non pensarci.
    Per quel che mi riguarda, in modo estremamente egoistico, non ci sono problemi: ho un impiego che mi consente di vivere anche piuttosto bene, ho una seconda attività (legale e tassata 🙂 ) che mi consente di arrotondare i guadagni, ma ho l’animo colmo di tristezza. Ciò che mi rattrista è vedere la desolazione che avanza, i giovani che vanno via, le scuole che rischiano la chiusura per mancanza di alunni (la mia classe, 1959, era formata da circa 60 elementi, quella di quest’anno a mala pena raggiunge i 20 elementi). L’orizzonte temporale, sia a breve che a lungo termine, è cupo e minaccioso, ma nel frattempo chi ci governa, sia a livello locale che nazionale e sovranazionale, pensa ad altro. Pensa alle emissioni di CO2, alle alchimie elettorali, ai lacci e laccioli all’economia e chi più ne ha più ne metta.
    Mi viene in mente il vecchio detto: i medici discutono ed il malato muore.
    Ciao, Donato.

    • Massimo Lupicino

      Caro Donato ti capisco benissimo. Il Sannio tra l’altro e’ terra bellissima e affascinante, come tanti posti dimenticati dell’appennino italiano. Come sottolinei tu, se e’ difficile fare turismo in modo organizzato ed efficiente in un posto come il Salento dove le attrazioni naturali, culinarie o artistiche sono innumerevoli, figurarsi nell’entroterra dell’appennino centro-meridionale. Eppure si potrebbe, se ci fosse leadership politica, una classe dirigente preparata, una VISIONE per questo Paese. Invece non si intravede niente di tutto questo. Anzi. Sembra un piano inclinato, oliato e con un fossato pieno di coccodrilli piu’ in basso.
      Ma l’ottimismo non bisogna perderlo, mai. Questo Paese si e’ sempre risollevato trovando le energie per farlo dentro di se’. Lo faremo anche stavolta 🙂

    • Alessandro

      Non sono d’accordo con il fatto che ci si stia basando sul binomio paesaggi e arte, basta farsi un giro per l’Italia e vedere il degrado agricolo della nostra terra. Difficilmente si vedevano 30 anni fa tanti terreni come oggi abbandonati e vi assicuro che è un vero orrore fotografarli..quindi nulla non si punta nemmeno sul cavallo che sicuramente sarà piazzato, perchè la gestione della nostra realtà quotidiana non è italiana. ma beninteso questa gestione l’ha voluta il popolo italiano col tipico comportamento del gregge di pecore.
      Verrà anche il mattino, ma vi assicuro che è notte fonda!

    • Alessandro

      P.S. gestione non italiana nel senso della “logica italiana” e della valorizzazione del nostro territorio.Il popolo non ne è consapevole ed è più consapevole invece che la si pul sfangare col clientelismo, i soldi facili, gli aiutini, gli appoggini, ecc.

    • donato b.

      “… ed è più consapevole invece che la si pul sfangare col clientelismo, i soldi facili, gli aiutini, gli appoggini, ecc.”
      .
      Esatto! E questa è la cosa più preoccupante.
      Ciao, Donato.

  6. virgilio

    Qua mi pare non se ne accenni, a me risulta che c’è in atto anche una polemica riguardo all’infezione degli uliveti che fa riferimento a presunti oscuri complotti dell’industria Monsanto per sostituire gli ulivi naturali della zona con altri OGM. Quest’infezione sarebbe stata propagata apposta per malvagia volontà di chi lavora e guadagna coi mostruosi organismi suddetti (queste almeno idee che circolavano). Dopo tal polemica è scaturita pure quella del gasdotto, cioè con la scusa che comunque gli ulivi son malati si espiantino pure per farci passare quel terribile frutto della degenerata tecnologia umana: il tubo… Io penso da libertario e secondo me fintanto che, soprattutto in Italia, non cambia quest’endemica diffidenza verso il progresso tecnico e la ricerca scientifica libera saremo sempre afflitti da una qualche Xylella di turno e/o dall’immobilità politica e/o sociale oppure dalle solite banali e consuete attività industriali che vanno avanti per inerzia o per imbrogli vari, vedi più di qualche volta edilizia scadente e impropria o esageratamente costosa (però da libertario confesso che non amo divieti e ostracismi a meno che non siano assolutamente giustificati). Fra l’altro mi par di ricordare che uno dei fattori che contribuì a favorire la diffusione dell’infezione X… sia stata la solita opposizione ecologista all’impiego dei pesticidi. Si continui così: paura delle sostanze chimiche (vedi pesticidi), paura della scienza tecnica innovativa (vedi OGM), paura di fonti energetiche che funzionano davvero (vedi riserve di gas, idrocarburi vari o in alternativa energia nucleare),.. Proseguiamo con tali paranoie e vedi l’Italia quanto va lontano! Inoltre vorrei far un appunto sul concetto: economia felice fondata sul turismo… Sì qualche volta per qualche località geograficamente limitata questo può andar bene ma pensare che un intero grande e popoloso territorio si soddisfi solo sul binomio: bei paesaggi e belle opere storico-artistiche, per quanto il tutto possa esser perfettamente organizzato, a mie par eccessivo ottimismo. Fosse così Grecia ed Egitto almeno in qualche periodo moderno avrebbero dovuto stare ai vertici dell’economia mondiale. Il che non mi risulta.

    • Massimo Lupicino

      Virgilio, il complottismo non manca mai in vicende di questo tipo. Come sottolinea Luigi, il tutto ha un sapore vagamente manzoniano. La libera circolazione di persone e merci, del resto, aiuta il proliferare di nuove malattie, o il ritorno di malattie prima dimenticate.
      Quanto ai pesticidi la questione e’ controversa: purtroppo i vettori della xylella, le cosiddette “sputacchine” sono molto numerosi e si muovono con molta facilita’ e per aggredirli con pesticidi si dovrebbe fare praticamente terra bruciata di tutto, con gli effetti sull’ambiente che si possono intuire. L’unica soluzione e’ trovare varieta’ di olivo resistenti, perche’ altrimenti questo problema potrebbe avercelo tutta l’italia, o tutto il mediterraneo presto o tardi.
      Quanto alle economie “basate sul turismo” gli esempi mirabolanti non mancano, basti pensare ai caraibi (Haiti tra tutti) o alla grecia, tanto per citarne un paio. Non esistono potenze mondiali “basate sul turismo”. La stessa svizzera, paese a evidente vocazione turistica, ha un tessuto industriale di primissimo piano, tanto per fare un esempio… Sono chiacchiere in liberta’ per menti poco preparate, come al solito, come tante.

  7. Alessandro2

    Bellissimo articolo, mi ha fatto venire voglia di tornare a rivedere Lecce ed il Salento. Ah, le bellissime ragazze che al tramonto ballavano la pizzica in piazza Sant’Oronzo (sospiro di uomo ormai sposato)…
    Sulla vicenda degli ulivi: è un altro esempio della gestione all’italiana di un’emergenza. Soldi sprecati, parole in libertà, demagogia. Santoni vari che pontificano (il noto cantante, ad esempio).
    La vicenda dei martiri quattrocenteschi: un monito per il presente, senza se e senza ma (mi si passi la frase idiomatica).
    Infine, da “nordico” le dico: non disprezzi la fiumana dei turisti agostani. Spesso hanno solo agosto per vedere le bellezze d’Italia. E non tutti vengono in Salento perché va di moda, o per sbevazzare impunemente. Molti affollano le bancarelle ma apprezzano soprattutto le atmosfere, i colori, gli odori, i gusti così diversi da quelli della pianura padana. E tutti, ma proprio tutti , portano tanti bei soldini, che lì come altrove non penso facciano così schifo.

    • Massimo Lupicino

      Grazie Ale2. Sul turismo vale quanto detto piu’ avanti, ovvero che da’ piu’ di quanto toglie. Ma viene vissuto in modo controverso dai locali: da una parte c’e’ quel senso di accoglienza genuino gia’ citato, dall’altra c’e’ il dispiacere per non poter piu’ fruire del proprio territorio in Agosto. La stessa notte della taranta e’ un evento che da tanti viene percepito come “scippato”. In tanti ormai la seguono in televisione perche’ andarci di persona e’ diventato un calvario. Ma questo e’ un sentire comune a chiunque viva in n posto di villeggiatura senza fruire dei ritorni del turismo.
      Il problema del turismo salentino e’ che in gran parte si tratta di turismo mordi e fuggi, i luoghi piu’ belli come Gallipoli sono paradossalmente meta del turismo piu’ cafone e squattrinato, e comunque il turismo non ha portato ricchezza diffusa, ma concentrata in gran parte nelle mani di chi aveva gia’ grosse disponibilita’ da reinvestire in un nuovo settore. Per il resto il brulicare di tanti b&b ovunque non ha arricchito veramente nessuno, al massimo ha aiutato a tappare qualche falla. Sono discosi molto lunghi, difficile riassumerli in un articolo o in un commento, penso si percepisca comunque la difficolta’ di caratterizzare in modo univoco le cose: non e’ la cartolina che il turista immagina, il Salento. Al tempo stesso il turismo non e’ solo fastidio ma soprattutto risorsa.
      E di sicuro il turista non e’ percepito con fastidio, anzi, e’ accolto con l’entusiasmo e la passione genuina di chi vuole condividere qualcosa con lui, e non solo spennarlo per sbarcare il lunario…

  8. Alessandro

    Ma gli olivi secolari di cui si parla hanno 4000 anni?
    Probabilmente una pianta così vecchia teme maggiormente qualunque malattia?

    • Massimo Lupicino

      Ciao Ale, la datazione degli olivi e’ un campo molto complesso proprio per la tendenza del tronco a scavarsi al suo interno e a deformarsi notevolmente nel corso dei secoli. Comunque alcune piante sono state datate fino al 500 AC. Diciamo che qualcuna ha fino a 2000-2500 anni o giu’ di li’.
      Il problema che poni e’ interessante. Alcuni studiosi sostengono che varieta’ molto antiche non riescano ad affrontare nuove minacce biologiche con la stessa “forza” di varieta’ selezionate piu’ di recente. Uno dei motivi per cui la varieta’ “Favolosa” ha una resistenza al batterio notevolissima, molto superiore al leccino. Pare che la favolosa mostri una quantita’ di carica batterica pari a un centesimo delle varieta’ locali, e 2 centesimi rispetto al leccino stesso, praticamente immune, pare. L’aspetto positivo della favolosa e’ che e’ un incrocio della varieta’ Frantoio, che e’ pugliese, e questo potrebbe aiutare a non perdere la DOP, per quanto molto difficile…
      Il CNR sta facendo veramente un grande lavoro per studiare il morbo e selezionare varieta’ resistenti. Sono sicuro che ce la faranno. Le eccellenze in Italia non mancano del resto. Tutto sta ad utilizzarle per cause giuste come questa, e remunerarle adeguatamente. E convertire tanti contratti precari di ricercatori del CNR in contratti a tempo indeterminato, ma questo e’ un discorso lungo…

  9. Massimo Lupicino

    Caro Luigi, grazie per il commento che arricchisce e completa la discussione (l’articolo e’ gia’ abbastanza lungo di suo…). Concordo su tutto. Alcune specie resistono alla xylella, pur venendone infettate, ma sviluppando una carica batterica molto piu’ bassa. Da questo punto di vista, correggimi se sbaglio, si comporterebbero da “portatrici sane”. Ma il punto e’ che l’alternativa quale sarebbe? Una potrebbe essere trasformare completamente il paesaggio e l’economia agricola del salento, che e’ una soluzione evidentemente estrema e che comporta altro tipo di problemi di difficile gestione. Un altro, piantare specie piu’ resistenti, del resto l’infezione ormai e’ stabilmente insediata sul territorio quindi peggio di cosi’… Aggiungiamo che l’infezione si sta comunque estendendo, quindi sussiste il rischio che, in ogni caso, raggiunga il resto d’Italia, con o senza reimpianti.
    Sull’analogia con la peste manzoniana, che dire, i comportamenti umani si replicano nel tempo, inevitabilmente. Si e’ fatto un gran fracasso per non abbattere poche centinaia di piante, adesso quelle malate si contano a milioni. Nessuno puo’ garantire che il semplice abbattimento avrebbe eliminato il male, ma non si puo’ contestare neanche il contrario, quindi era un tentivo che probabilmente valeva la pena fare.
    Il problema e’ che in tanti casi i proprietari degli uliveti sono persone comuni che non fanno gli agricoltori di mestiere, hanno ereditato appezzamenti e piante che per la loro natura sono capaci di resistere anche per secoli senza cure particolari. L’oliveto spesso e’ usato per il consumo proprio, in alcuni casi le olive non si raccolgono nemmeno.
    Abbattere gli olivi costa, e solo di recente sono arrivati incentivi sigificativi dalla regione. E abbattere un olivo secolare per un salentino e’ un dolore terribile, ti si spezza il cuore. Abbattere un olivo e’ come tagliare le proprie, di radici. Non e’ come espiantare una vite o un pero. E’ il fattore sentimentale e quello economico, prima ancora di quello manzoniano (che comunque esiste) ad aver ritardato fino a questo punto l’espianto degli alberi malati.
    E’ una situazione veramente difficile, e il fatto che a fronte di questo si protesti per l’espianto TEMPORANEO di 200 piante che con ogni probabilita’ si ammaleranno comunque, rende l’idea di come e’ affrontata la materia, anche a livello di politica locale.

  10. Luigi Mariani

    Massimo,
    circa la resistenza di Leccino a Xylella non è che le cose siano così chiare e la ricerca ha bisogno dei suoi tempi, per non ritrovarci fra qualche anno con olivi reimpiantati che manifestano la malattia.
    Al riguardo segnalo che EFSA, ente UE che si mosso con tempestività sulla vicenda, ha prodotto nel marzo 2017 un report (https://www.efsa.europa.eu/sites/default/files/4772.pdf) dal cui abstract si legge che ” From experimental infectivity studies and from surveys in olive orchards, converging lines of evidence indicate tolerance of the Leccino variety to ST53 infections, although no long term observations on yield are available yet. While the variety Leccino can become infected with the pathogen, it develops milder symptoms compared to those observed on susceptible varieties (e.g. Cellina di Nardò, Ogliarola salentina). Also the size of the X. fastidiosa bacterial populations measured in Leccino infected plants is lower compared to susceptible olive varieties. Preliminary results show that tolerance or resistance traits can also be found in other olive varieties. New research is now in place in the EU to study the level of susceptibility of many olive varieties to ST53 infections. Therefore more relevant results will be come available in the coming years.”
    Al riguardo devo anche rammentare che alla ricerca non ha per nulla giovato la sceneggiata montata su Xylella che è stata particolarmente deprimente, in quanto vi si ravvisano tutti i principali ingredienti che Manzoni aveva individuato con orrore descrivendo la peste di Milano del 1630 nei Promessi sposi e nella Storia della colonna infame e cioè gli untori (i ricercatori accusati di aver diffuso la malattia per fare l’interesse delle multinazionali) e i don Ferrante (quelli che credono tuttora che la malattia non esista, ad esempio un noto cantante della zona…).
    Per fortuna che la malattia colpisce l’olivo e non l’uomo, altrimenti non oso immaginare cosa sarebbe successo.

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