L’8 gennaio 2021 Luigi Mariani ha pubblicato su CM il commento ad un articolo (Yue e Lee, 2018) che analizzava l’insorgere e la diffusione della peste in Europa e Nord Africa tra il 1347 e il 1760 in connessione a periodi climatici freddi.
Personalmente, non sarei mai arrivato alla rivista di medicina (BMC Infectious Diseases) dove l’articolo è stato pubblicato e aver potuto conoscere questo lavoro lo considero un merito di Luigi. A mio parere il lavoro è stato importante anche perché ha reso disponibile (e ha permesso di conoscere) la serie annuale che elenca gli scoppi (gli eventi, pari a 6929) di peste nelle aree di cui si parla, pubblicata da Büntgen et al., 2011 e mostrata con il suo spettro in figura 1.
La “Black Death” del 1347, indicata in figura 1, è l’evento che in italiano è stato chiamato “peste nera”. Ho indicato anche la peste di Marsiglia del 1720 perché, pur essendo un evento limitato alla sola città, ha ucciso quasi la metà della popolazione. La peste del 1630, narrata da Manzoni nei Promessi Sposi, è avvenuta nel mezzo della guerra dei trent’anni che ha insanguinato l’Europa. Lo spettro è caratterizzato da un notevole numero di massimi sui quali spicca (non si apprezza bene perché la scala è logaritmica) quello a 20-21 anni e tra i quali non è presente il massimo a 32 anni di cui si discuterà in seguito.
Lo scopo di Yue e Lee è quello di verificare la dipendenza dell’insorgere della peste da fattori climatici, tipo la minore temperatura e la siccità, e quindi derivano, per confronto, le due serie della temperatura e dell’indice di siccità di Palmer (PDSI); in particolare, per la temperatura indicano
“Our temperature data is extracted from the reconstructed temperature dataset compiled by Büntgen et al. [29] (Fig. 2a). In the dataset, the temperature anomaly series is derived with respect to the period of AD1901–2000.“
Il lavoro di Büntgen citato è Büntgen et al. (2011) ma la figura 2a non riporta il grafico della temperatura. La figura giusta è la 4, dove la temperatura è disponibile come un grafico poco leggibile che gli autori sembrano aver digitalizzato (non ho trovato indicazioni di un dataset numerico disponibile); l’informazione importante, che hanno fornito in modo errato (“… total of 1547 tree ring chronologies are used for the annual temperature reconstruction”), è che la temperatura è quella estiva (JJA, giugno, luglio, agosto). Come si possa verificare una correlazione tra bassa temperatura e peste utilizzando la sola temperatura estiva, per me è difficile da capire; ritengo poi ulteriormente scorretto discretizzare i dati di una figura senza fornire i valori numerici ottenuti come approssimazione dei dati originali.
Questo fatto ha quindi costretto me a discretizzare la loro figura 2, aggiungendo incertezza ad incertezza.
Yue e Lee usano la causalità alla Granger per dimostrare la relazione di causa-effetto e la direzione di tale relazione tra temperatura (bassa) e insorgenza della peste ma, a parte l’uso delle temperature estive, Koutsoyiannis e Kundzewicz (2020) hanno illustrato come la causalità alla Granger usi in realtà la matrice di correlazione e che, quindi, si tratta sempre di correlazione, non di causalità.
Con i dubbi espressi sulla temperatura usata nel lavoro di Yue e Lee (2018) ho preferito utilizzare anche ETA, l’anomalia di temperatura media annuale europea (base 1961-90) che i lettori di CM trovano anche tra i widget della home page, ha il vantaggio di essere appunto la media annuale osservata in 29 stazioni europee e come tale lo svantaggio, in questo caso, di avere una estensione temporale inferiore a quella della serie degli eventi di peste. Il grafico di ETA è in figura 3 mentre il link al suo spettro MEM è in didascalia.
L’indice di siccità PDSI è “obtained from the Old World Drought Atlas (OWDA) by Cook et al. [36] (Fig. 2b). The OWDA is a self-calibrated PDSI database at annual time step based on uniform tree ring chronology across the entire continent of Europe, with its negative value representing dry conditions and vice versa“. Il riferimento bibliografico è a Cook et al., 2015. Non ho commenti da fare sulla serie OWDA. Ancora una volta gli autori non specificano che PDSI è riferito al periodo estivo (JJA).
I confronti
Yue e Lee producono alcune serie di analisi di correlazione fatte con le wavelets. Io non ho il software per realizzare le stesse analisi per cui mi limito a confrontare gli spettri MEM e LOMB e gli spettri wavelets delle quattro serie utilizzate. Le funzioni di cross-correlazione (CCF) tra le serie climatiche e la serie della peste sono disponibili nel sito di supporto.
Un primo esempio è il confronto fra ETA e la serie di peste (Figura 5), seguito dal confronto fra la temperatura estiva JJA e la peste (Figura 6), e da quello tra PDSI e peste (Figura 7).
I confronti precedenti ci dicono che alcuni massimi spettrali coincidono approssimativamente negli spettri della coppia di serie considerate; quindi si osservano ciclicità comuni, anche se la causa di queste oscillazioni potrebbe essere diversa nelle singole serie. Come si è accennato all’inizio, l’uso del test di Granger non garantisce la causalità e il suo verso.
Dal confronto tra gli spettri si può dedurre una certa correlazione fra loro, con 4-6 coincidenze nei massimi spettrali. Solo il confronto ETA-peste sembra meno promettente, ma in questo caso mancano oltre 300 anni di dati.
Gli autori, nella discussione delle correlazioni tra le serie, fanno spesso riferimento a un periodo di 32 anni che negli spettri wavelet appare saltuario o in gran parte posto all’esterno del cono di accettazione: solo nella serie della peste è presente tra il 1500 e il 1650. Anche gli spettri Mem e Lomb confermano la non esistenza o, al massimo, la debolezza di questo massimo spettrale. Solo lo spettro di ETA mostra un picco ben visibile di periodo 35 anni.
L’aspetto più strano è che parte della concordanza deriva dal confronto con le temperature estive, il che sembrerebbe contraddire una delle conclusioni principali dell’articolo di Yue e Lee “there are more frequent plague outbreaks in a cold and arid climate”.
A conferma delle perplessità generate anche dall’analisi degli spettri wavelets, mostro in figura 9 le quattro serie, sovrapposte e sulla stessa base temporale, per verificare de visu l’affermazione degli autori. Sembra che solo il periodo attorno alla peste manzoniana coincida con una temperatura relativamente bassa, ma con indice di siccità tendente verso una situazione umida.
Anche il breve tratto in comune tra ETA e peste sembra mettere in discussione le conclusioni dell’articolo: notiamo che sia l’alta temperatura e la siccità, sia l’esatto contrario, coincidono con una bassa frequenza di eventi di peste, anche se si utilizzano le temperature JJA.
Commenti conclusivi
Per quanto ho potuto capire dall’articolo di Yue e Lee, continuo a credere che sia un lavoro interessante e da leggere, anche se le conclusioni che gli autori derivano non sembrano consistenti con le serie utilizzate.
Noi tutti, in periodo di covid-19, “sappiamo” che i virus si sviluppano meglio nei periodi freddi e che questi periodi sono da temere più di quelli caldi: dopo la lettura di questo lavoro, però, può sorgere la convinzione che gli agenti patogeni, (almeno quello della peste) siano abbastanza indifferenti alla temperatura e che solo casualmente la loro efficacia sia associabile alla bassa temperatura e all’aridità.
Bibliografia
- Ulf Büntgen, Willy Tegel, Kurt Nicolussi, Michael McCormick, David Frank, Valerie Trouet, Jed O. Kaplan, Franz Herzig, Karl-Uwe Heussner, Heinz Wanner, Jürg Luterbacher, Jan Esper: 2500 Years of European Climate Variability and Human Susceptibility, Science, 331 (6017), 578, 2011. Supporting material
- Ulf Büntgen, Christian Ginzler, Jan Esper, Wil Digitizing Historical Plague, Clinical Infectious Diseases, 55,11, 1586-1588, 2012. See also non-pdf and the Dataset
- Cook ER, Seager R, Kushnir Y, Briffa KR, Büntgen U, Frank D, Krusic PJ, Tegel W, van der Schrier G, Andreu-Hayles L.: Old world megadroughts and pluvials during the common era, Sci Adv., 1(10),e1500561, 2015. https://doi.org/10.1126/sciadv.1500561
- Koutsoyiannis D., Kundzewicz Z.W.: Atmospheric Temperature and CO2: Hen-Or-Egg Causality? (Version 1) , Sci, 2-72, 1-27, 2020. https://doi.org/10.3390/sci2030072
- Yue Ricci P. H., Lee H.F.: Pre-industrial plague transmission is mediated by the synergistic effect of temperature and aridity index, BMC Infectious Diseases, 18, 134, 2018. https://doi.org/10.1186/s12879-018-3045-5.
Tutti i dati e i grafici sono disponibili nel sito di supporto
Caro Franco,
grazie per l’interessante lavoro di analisi che hai effettuato.
A corredo di quanto già emerso in sede di discussione osservo che la peste nel medioevo e fino al XIX secolo (peste manzoniana inclusa) ha presentato picchi di mortalità nella stagione estiva, che peraltro è la più favorevole alle pullulazioni di roditori (il ratto nero in primis) che sono i vettori del batterio Yersinia pestis, che si trasmette all’uomo tramite le pulci. In proposito cito da Welford & Bossak (2009) la seguente frase: “Historical accounts, such as parish records, burial registers, Bills of Mortality, and documentary “plague tracts”, composed during the time of the Medieval Black Death (and extending through the Plague of Moscow in 1771), suggest that mortality peaked during the warm weather months between April and October.”
Curioso è poi che gli stessi Welford & Bossak evidenziano che pesti precedenti al 1348 e successive al XIX secolo hanno avuto invece picchi di mortalità autunno-vernini e non ti so dire se questo dipenda dal fatto che la peste più mortale non è quella bubbonica ma quella polmonare, che si manifesta cioè come una polmonite molto violenta.
Su questi temi su consiglio di uno amico ho visto di recente la conferenza dello storico professor Alessandro Barbero “Il clima cambia nel 300 e l’Europa non mangia più” (https://www.youtube.com/watch?v=i4kfbIyypTY). Tale conferenza è dedicata alla crisi climatica medioevale che fa seguito all’inizio della piccola era glaciale, inizio che il professor le Roy Ladurie (2019) colloca nel 1303 e che avrà come effetto una serie di grandi carestie (https://it.wikipedia.org/wiki/Crisi_del_XIV_secolo) e per l’appunto la peste nera, eventi che barbero tratta con molta ricchezza di dettagli.
Ciao.
Luigi
Riferimenti
Le Roy Ladurie E., 2019. Le climat : une profonde rupture, disponibile al sito
https://www.vie-publique.fr/parole-dexpert/277001-le-climat-une-profonde-rupture-par-emmanuel-le-
roy-ladurie (sito visitato l’8 gennaio 2021).
Welford & Bossak, 2009. Validation of Inverse Seasonal Peak Mortality in Medieval Plagues, Including the Black Death, in Comparison to Modern Yersinia pestis-Variant Diseases, Plos one, https://journals.plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0008401
Caro Luigi,
grazie per l bibliografia aggiuntiva: il prof. Barbero è sempre molto bravo nel descrivere ma soprattutto nell’accendere nell’ascoltatore immagini, confronti con la vita attuale e previsioni per il prossimo futuro, e questo lo rende sempre attuale e da ascoltare con piacere. Seguendo la sua conferenza, ho aggiunto alla figura 1 del post (nel sito di supporto) anche il periodo della Guerra dei 100 anni e ho registrato come lo spettro mostri picchi della stessa potenza, tra le più alte, di periodo 10-13-16 anni circa, a corredo delle sue parole che prospettavano sequenze di peste ogni 10-15 anni, in grado di annullare ogni prospettiva di sviluppo continuo della società anche se era più ricca delle generazioni precedenti.
Per qualcosa che ci riguarda più da da vicino, la sua frase “il cima cambiava anche nel medioevo” merita da sola l’ascolto in questo tempo in cui molti(ssimi) credono che il clima possa cambiare solo a causa dell’uomo e della sua rivoluzione industriale, e che in precedenza la situazione fosse stabile (e possibilmente idilliaca).
Il lavoro di Welford e Bossak è proprio da leggere: conferma e giustifica quanto Massimo ha scritto nel suo commento sulla possibilità di agenti diversi, descritti con l’unico nome di “peste”, che hanno picchi di mortalità sia in estate che inverno (le loro figure 1 e 2 parlano chiaro) e smentisce il tentativo di Yue e Lee (2018) di trovare una correlazione tra
clima freddo e insorgenza della “peste”, almeno su un dataset come quello di Bungten che hanno usato. Grazie ancora. Franco
ma non è altresì corretto dire che le condizioni igieniche ante 900 non erano quelle di oggi ?
non c’èra acqua corrente, perciò il bidet era un optional, tanto borotalco forse
i pidocchi erano frequentatori abituali del corpo umano
la gente i propri bisogni li espletava nel massimo delle comodità su un secchio poi generosamente gettato nelle strade sterrate in cui tutti percorrevano
cadaveri di animali quotidianamente soggiornavano per le strade
i secoli dell’optimum medievale e della piccola età glaciale sono anche generosamente questo
La peste è un batterio, quindi ha meno correlazione, teorica, con la maggior diffusione nel periodo più freddo dei virus stagionali
La peste è determinata da un microrganismo patogeno (la Yersinia pestis ) che non è un virus.
Può essere definito in modo molto generale un Batterio. In particolare trattasi di un cocco bacillo Gram negativo.
I virus sono altro…
Per la precisione.
Due gravi errori da parte mia:
1) la peste dipende da un batterio e non da un virus e il confronto con il covid non regge e
2) si sviluppa meglio in un clima caldo, per cui è corretto confrontare la sua incidenza con le temperature estive come hanno fatto Yue e Lee, riprendendo il lavoro di Bungten et al., 2011.
Grazie a Guido Botteri e a Luca. Franco
Il link allo spettro di ETA (figura 3) non funziona: si trova a
http://www.zafzaf.it/clima/cm174/eta-mem.png
Caro Franco, vero che si tratta di un refuso, come sottolineato anche dai nostri lettori, ma questo da la possibilità di approfondire un pò la questione, visto che studi recenti hanno messo in dubbio il fatto che tutte le epidemie di “peste” fossero davvero collegate allo yersinia pestis. Anzi, c’è chi sostiene sulla base della sintomatologia, della contagiosità e della mortalità, che tali epidemie fossero provocate da un virus simile all’ebola. Ci sono letture molto interessanti in proposito, che avevo fatto molto tempo fa. Mi limito per ora a buttare giù il primo link che ho trovato: https://www.independent.co.uk/life-style/health-and-families/health-news/black-death-was-caused-ebola-virus-9242867.html
Caro Massimo, grazie per il “refuso”, ma si tratta di un errore vero e proprio, nel senso che non mi sono preoccupato di controllare. E di questo chiedo scusa.
E’ comunque molto interessante l’informazione sui dubbi relativi al vettore di quella che è stata chiamata peste, forse in modo troppo generico. Leggerò con interesse l’articolo del tuo link (che però richiede una registrazione per essere letto: ho trovato https://abcnews.go.com/Health/story?id=117310&page=1 che credo racconti la stessa storia relativa alla peste nera).
Quando, spinto dai commenti, mi sono messo a correggere il post (che avevo scritto in gennaio e in gran parte dimenticato) ho visto che, tolta l’infelice frase sul covid e corretto un “virus” con “batterio”, tutte le conclusioni restano valide, in particolare il fatto che secondo gli autori la peste si sviluppa meglio in un clima freddo e secco (Wikipedia dice
caldo) e che questo non risulta dai dati di Bungten che Yue e Lee hanno usato. Franco
Articolo estremamente interessante. Terrei però a precisare che l’agente eziologico della peste (Y. pestis) è un batterio, non un virus.
/* Noi tutti, in periodo di covid-19, “sappiamo” che i virus si sviluppano meglio nei periodi freddi e che questi periodi sono da temere più di quelli caldi: dopo la lettura di questo lavoro, però, può sorgere la convinzione che il virus (almeno quello della peste) sia abbastanza indifferente alla temperatura e che solo casualmente la sua efficacia sia associabile alla bassa temperatura e all’aridità. */
Però il grande Zavatti ci illumina sul perché
/* Come si possa verificare una correlazione tra bassa temperatura e peste utilizzando la sola temperatura estiva, per me è difficile da capire */