Salta al contenuto

La forte diminuzione di AMOC dal 1850 circa

Nel 2015 Rahmstorf e colleghi (tra cui Michael Mann) avevavo pubblicato una ricostruzione (tramite dati di prossimità) dell’indice AMOC (Atlantic Meridional Overturning Circulation) tra gli anni 900 e 2000 CE, derivato dalle temperature marine (SST), notando un suo rallentamento (una diminuzione dei valori dell’indice) nel ventesimo secolo e in particolare dal 1970, con un parziale recupero dal 1990. Nell’articolo il rallentamento viene, come ipotesi, attribuito allo scioglimento della calotta groenlandese e si nota anche come l’evento sia “unprecedented” nell’ultimo millennio.

Gli autori notano che il flusso di AMOC (in Sverdrup, 1 Sv=106m3/s) è ben rappresentato dalla differenza delle SST tra la zona del vortice subpolare (Gyre) e l’intero emisfero nord (NH) e usano questa rappresentazione analitica per studiare le variazioni di AMOC.
L’indice AMOC ricostruito è mostrato in figura 1, insieme al confronto con una delle due componenti che lo definiscono, la SST dell’emisfero nord, NH, l’altra componente essendo la temperatura marina superficiale (SST) del vortice subpolare (o subpolar gyre).

Fig.1: a) L’indice AMOC basato sulle temperature. b) Confronto con la temperatura media dell’emisfero nord (NH), cambiata di segno e scalata di 0.5 °C per mostrare meglio differenze e similitudini.

Sulla base di questa definizione gli autori scrivono:

We thus assume that differences in surface temperature evolution between the subpolar gyre and the whole Northern Hemisphere are largely due to changes in the AMOC

Ma, pur essendo chiaro che AMOC è un enorme processo di rimescolamento che investe anche l’Oceano Globale oltre che l’Atlantico, se il suo indice (che, ricordiamolo, riproduce molto bene il flusso di AMOC, anche se esclusivamente in ambito modellistico) è il risultato di una differenza di temperature, a me sembra che sia questo a dipendere dall’evoluzione delle componenti e non viceversa come appare dalla frase. In definitiva, visto anche il quadro b) della figura, l’andamento complessivo di AMOC a mio parere dipende dalla struttura di NH, con la serie del vortice subpolare (Gyre) che regola le oscillazioni della circolazione atlantica. Infatti in figura 2, mentre NH è spesso in opposizione di fase, Gyre sembra concordare con la maggior parte delle oscillazioni di AMOC.

Fig.2: Confronto fra l’indice AMOC e le due variabili da cui deriva. Notare come NH (con il segno cambiato) sia simile ad AMOC, come già sottolineato in figura 1b e come la serie del vortice subpolare (gyre) contribuisca alle oscillazioni di AMOC.

Rahmstorf e colleghi notano che la serie del vortice subpolare raggiunge “quasi” il valore minimo alla fine del ventesimo secolo, in pieno riscaldamento globale e sottolineano che in lavori precedenti, Mann aveva messo in evidenza l’anomalia negativa della zona del vortice, vicina alla Groenlandia.
Dalla figura (o dal suo ingrandimento), però, si vede bene che il basso valore della serie del 1998-99 (la concomitanza con La Nina 98-99 di indice ONI -1.5 non credo sia casuale) si accompagna ad un valore simile nel 1905 circa (anche in questo caso un forte El Nino raggiunge il minimo valore, -42.6, dell’indice SOI calcolato dal BOM australiano (SOI BOM) nel maggio del 1905, preceduto da una La Nina di forte intensità nell’aprile 1904 con SOI BOM=31.7) e al minimo assoluto dell’intera serie nel 1615, in piena LIA.
Curiosamente, quest’ultima data coincide con picchi di emissività (massimi relativi) di molti elementi derivati dai sedimenti del Lago Lungo (Rieti), come Al, Co, Cu, K, Si e con quello della suscettibilità magnetica χ (v. http://www.climatemonitor.it/?p=53208).

Nell’articolo si afferma anche, basandosi sullo spettro, che

We find no significant peak in the 50–70-year period range although our index should pick this up, suggesting that the ‘Atlantic Multidecadal Oscillation’ (AMO) described in previous studies is not a prominent feature of our AMOC index time series.

La figura 3, anche senza usare lo spettro di AMOC, conferma questa affermazione: il confronto tra AMOC e AMO (da NOAA ESRL) non mostra molte analogie tra le due serie temporali.

Fig.3: Ingrandimento di figura 1 nell’intervallo temporale 1800÷2020 e confronto con la serie AMO (Atlantic Multidecadal Oscillation) per mettere in evidenza la scarsa sintonia tra le due variabili. Viene riportata anche la temperatura media dell’emisfero nord (NH), cambiata di segno, per sottolineare la similitudine e le differenze con AMOC.

Anche lo spettro MEM di AMOC non presenta massimi (o li mostra molto deboli) attorno a 70 anni, come lo spettro MTM della figura 4 di Rahmstorf et al., 2015, e conferma quindi l’affermazione precedente, sostenuta dal confronto con lo spettro LOMB di AMO.

Fig.4: Spettro MEM di AMOC. Questo spettro, o la sua versione in frequenza, può essere confrontato con quello pubblicato da Rahmstorf et al., 2015. Il periodo di circa 60 anni che Chambers et al., 2012 identificano nel livello marino di varie aree del globo può essere indicato dai due massimi di 54 e 60 anni, anche se con qualche forzatura dovuta alla bassa potenza del picco a 60 anni.

Malgrado nell’articolo non si faccia cenno a periodi secolari e multi-secolari, lo spettro di AMOC mostra massimi spettrali attormo a 600, 500, 400, (300, debole), 200, 100 anni, oltre a quelli ricordati in Rahmstorf et al., 2015 di 54, 27, 22 anni, a cui si aggiunge un non citato, ma potente, 39 anni. Due massimi, a 60 e 12 anni, sono ben visibili anche se di bassa potenza.

Fig.5: Spettro wavelet di AMOC

Lo spettro wavelet nell’intervallo di periodi 0-190 anni circa, conferma lo spettro MEM: mostra che il periodo di 129 anni è stato presente dal 1250 al 1700 se consideriamo la presenza del cono di influenza e per un intervallo temporale ben più esteso della LIA (1150÷2000 almeno) senza tenere conto del cono. Il periodo di 12 anni si osserva dal 1570 ad oggi, con una interruzione dal 1850 al 1920, mentre quello di 22 anni inizia a manifestarsi poco dopo il 1500 e continua tutt’ora; il periodo di 27 anni inizia attorno al 1300 e anch’esso dura fino ai nostri giorni anche se con due ampie interruzioni, dal 1630 al 1730 e dal 1760 al 1930. Il massimo a 192 anni, anche se del tutto fuori dal cono di influenza, è presente per tutto l’intervallo considerato di 1100 anni.

È interessante osservare la serie temporale delle differenze tra AMOC e la temperatura dell’emisfero boreale (NH) cambiata di segno (v. figura 1b), cioè la somma AMOC+NH.

Fig.6: Differenze tra AMOC e l’inverso della temperatura boreale NH. È presente una chiara interruzione attorno al 1500 che separa la serie in due distinte fasi, entrambe mediamente costanti e spostate di circa 0.4 gradi, ciascuna della durata di circa 440 anni come evidenziato dallo spettro (quadro inferiore), dominato dal massimo a 438 anni.

Dalla figura 2, si vede che il break point del 1500 dipende dalla SST del vortice subpolare che, attorno a quella data, ha subìto una diminuzione di 0.3-0.4 °C, quando la temperatura NH era già scesa di 2-3 °C, circa 50 anni prima, nel 1450. Entrambe le serie, sfasate di mezzo secolo, mostrano l’inizio della LIA dalla quale “emergono” nel 1850.
La prima delle due fasi, identificate dal massimo spettrale dominante, di 438 anni, contiene, per gran parte della sua durata, il periodo caldo medievale (MWP, o, come definita in Mann et al., 2009 e usata da molti altri autori, MCA, acronimo per Medieval Climate Anomaly, dal 950 al 1250 CE) mentre la seconda fase, come già detto, comprende gran parte della LIA. Dopo il 1970, quando Rahmstorf et al. 2015 identificano una forte diminuzione di AMOC, la serie di figura 6 evidenzia una forte diminuzione delle differenze AMOC+NH, ma non più forte nè più significativa delle altre precedenti. Questa osservazione, usando lo stesso criterio che ha permesso l’identificazione di LIA e MWP e la figura 2, mostra una diminuzione della SST del vortice subpolare (NH nello stesso periodo è in crescita). Dopo il 1990, AMOC recupera seguendo l’aumento di entrambe le serie componenti NH e Gyre.

Conclusioni
Nell’introduzione, Rahmstorf et al., 2015 scrivono:

To put the twentieth-century AMOC evolution into a longer-term context, in the following we develop an AMOC index based on surface temperatures from instrumental and proxy data.

ma poi propongono che la diminuzione dell’indice dipenda da fattori fisici legati allo scioglimento dei ghiacci groenlandesi (We discuss a possible contribution of the melting of the Greenland Ice Sheet to the slowdown) e, in generale, alla variazione di salinità del Nord Atlantico causata dallo scioglimento della calotta groenlandese, “dimenticando” quale è l’origine dell’indice e che questo è correlato (ρ=0.451) alla temperatura marina media dell’emisfero nord.

Per non dimenticare con che tipo di eventi “unprecedented” abbiamo a che fare, è bene ricordare quanto ha scritto Steven Mithen nel suo libro del 2003 After the Ice: A Global Human History, 20,000–5000 BC.

Il prossimo secolo di riscaldamento globale antropogenico sarà, nelle previsioni, molto meno estremo di quello avvenuto nel 9600 aC. Alla fine del Dryas Recente la temperatura globale media era salita di 7°C in cinquanta anni mentre l’aumento previsto per il prossimo secolo è minore di 3 °C. La fine dell’ultima era glaciale ha portato ad un aumento di 120 metri del livello del mare mentre la previsione per i prossimi cinquanta anni è di 32 miseri centimetri al massimo

Bibliografia

  • Chambers, D., M. Merrifield, and R. S. Nerem: Is there a 60-year oscillation in global mean sea level? GRL39, LI18607, 2012. doi:10.1029/2012GL052885
  • Camille Lique & Matthew D. Thomas: Latitudinal shift of the Atlantic Meridional Overturning Circulation source regions under a warming climateNature Climate Change8, 1013-1020, 2018. https://doi.org/10.1038/s41558-018-0316-5
  • Michael E. Mann, Zhihua Zhang, Scott Rutherford, Raymond. Bradley, Malcolm K. Hughes, Drew Shindell, Caspar Ammann, Greg Faluvegi, Fenbiao Ni: Global Signatures and Dynamical Origins of the Little Ice Age and Medieval Climate Anomaly Science326, 1256-1260,2009. doi:10.1126/science.1177303Supporting material(SM local)
  • I. Medhaug and T. Furevik: North Atlantic 20th century multidecadal variability in coupled climate models: sea surface temperature and ocean overturning circulationOcean Sci. Discuss.8, 353-396, 2011. https://doi.org/0.5194/osd-8-353-2011
  • Rahmstorf, S., J.E. Box, G. Feulner, M.E. Mann, A. Robinson, S. Rutherford, and E.J. Schaffernicht: Exceptional twentieth-century slowdown in Atlantic Ocean overturning circulation.Nature Climate Change5, 475-480, 2015. https://doi.org/10.1038/nclimate2554
    Tutti i dati e i grafici sono disponibili al sito di supporto

 

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...Facebooktwitterlinkedinmail
Published inAttualitàClimatologia

17 Comments

  1. Brigante

    La circolazione oceanica nel nord-atlantico è decisamente più complicata rispetto ad altre aree del globo, non fosse altro perché costituisce la porta di accesso all’Oceano Artico. Tutti i grandi eventi di raffreddamento globale recenti, o quanto meno successivi al LGM (Last Glacial Maximum), sono da ricondurre, o altrimenti sono associati, a notevoli variazioni della portata delle circolazione oceanica, sia superficiale che di media profondità. La batimetria e la tettonica fanno il resto. Alcuni lavori sono datati, ma rendono bene l’idea di variazioni per lo più limitate al nord atlantico e non estendibili a tutto il resto del “nastro trasportatore” termoalino: https://www.pnas.org/content/pnas/97/4/1339.full.pdf, ed anche: https://agupubs.onlinelibrary.wiley.com/doi/epdf/10.1029/2008PA001717; e per finire segnalo: https://cp.copernicus.org/articles/9/1505/2013/cp-9-1505-2013.pdf che rende bene l’idea dell’influenza reciproca delle varie componenti in gioco, ovvero dei diversi rami di correnti talvolta contrastanti, ma pur sempre interconnessi.

    • Grazie! Articoli decisamente interessanti; per ora ho guardato più in dettaglio
      Broecker (2000), molto ricco di spunti e di collegamenti tra le diverse aree del pianeta. Non sono del tutto d’accordo con lui sui cambiamenti climatici di durata millenaria (The Bipolar Seesaw. The evidence for the antiphasing of the millennial-duration climate changes occurring on the Antarctic continent compared with …) perché i miei spettri delle carote artiche, antartiche e tropicali (es: http://www.climatemonitor.it/?p=55977 per Cariaco, http://www.climatemonitor.it/?p=43843 per GISP e GISP2 e
      http://www.climatemonitor.it/?p=52291 per GRIP) non mostrano un massimo a 1000 anni e le oscillazioni millenarie di cui parla Broecker dovrebbero essere visibili nello spettro (in un paio di casi si vede un massimo a 1000 anni, ma debole, in uno spettro dominato da periodi più lunghi. Ma la forza di questo articolo è la sua capacità di legare aspetti diversi ai quali non avevo pensato (confronterò quanto prima Cariaco con Byrd).
      Franco

  2. Brigante

    Ringrazio per la chiarezza e per il fine lavoro di sintesi. Purtroppo, come spesso accade per molte variabili climatiche, le influenze sono sovrapposte e interferenti in modo quasi imprevedibile, tanto che le correlazioni appaiono spesso casuali o, al contrario, scontate. Faccio notare una quasi equivalente (in magnitudo) diminuzione dell’indice AMOC tra il XV e il XVII secolo, ma l’approssimazione di temperatura mantiene un trend in discesa, seppur lieve. Esattamente l’opposto di quanto avvenuto nell’ultimo secolo. Lo stesso dicasi tra il VII e il X, quando a fronte di un sostenuto aumento delle temperature, l’AMOC appare indifferente.
    Le dinamiche e le componenti coinvolte sono tante e alcune sono state citate nei commenti, ma credo che per spiegare certe anomalie, più che negli effetti indiretti della calotta groenlandese, bisognerebbe cercare nelle profondità che sovrastano la dorsale medio-oceanica, a valle e a monte dell’Islanda, oltre al comportamento della dorsale di Lomonosov.
    Relativamente alla perdita di ghiaccio in Groenlandia, cercherei di incrociare i dati sugli effetti isostatici a carico della grande isola, ammesso che la perdita sia quantitativamente importante e abbastanza stabile nel tempo. Potrebbero derivarne delle sorprese.

    • Sono d’accordo: come ho accennato in una risposta ad un commento precedente, AMOC è un sistema complesso che, a mio parere, si presta male ad eccessive semplificazioni. Come giustamente tenta di fare la ricerca, bisognerebbe analizzare i singoli aspetti (complessi anch’essi) perché poi ci sia la possibilità di una sintesi in grado di rappresentare in una sola “immagine” la sua complessità. Mi sembra che la mappatura di vari rami di AMOC fatta nella figura presente in questo lavoro:
      https://usclivar.org/research-highlights/anatomy-long-term-mean-amoc-northern-high-latitudes
      possa rendere l’idea, almeno vaga, di quando ho scritto.

      Ho velocemente cercato di ottenere la serie numerica di AMOC indietro nel tempo, almeno fino ai primi secoli del passato millennio ma non ho trovato nulla: avrebbe qualche indicazione in proposito? Grazie. Franco

  3. Luca Rocca

    Buongiorno. Mi ricordo un articolo sulle anomalie di temperature delle basi antartiche, ma non riesco a trovarlo,. Se non ricordo male la Admunsen Scott aveva un anomalia inspiegabile di 3 gradi e se non sbaglio era una delle basi più esposte alle correnti meridionali di AMOC. Ritiene ci possa essere una relazione?

    • Mi dispiace di non aver inserito una carta con la posizione della base che si chiama anche South Pole perché è esattamente al polo sud, lontano dalle influenze marine. Non ricordo di aver letto di anomalie di temperatura di 3 gradi ma da figura 1 si osservano effettivamente circa 3 (o più) gradi tra i valori minimi e massimi della serie, anche se le variazioni massime tra i valori medi (i fit) sono circa 1.5 gradi. In ogni caso non credo sia facile ipotizzare relazioni tra AMOC e temperatura al centro del continente, anche
      perché le relazioni potrebbero o dovrebbero avvenire tramite teleconnessioni
      atmosferiche e la pressione (figura 3) è quasi costante o debolmente decrescente dal 1975 in poi. Franco

  4. Ale69

    Buongiorno, sono di nuovo qui. Anche stamattina scorrendo gli articoli del fatto non ho potuto non notare questo https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/11/27/cambiamenti-climatici-alla-statale-di-milano-un-master-per-imparare-a-farli-comprendere-con-un-modulo-sul-ruolo-dei-pregiudizi/6407439/ per carità, ci può anche stare, purchè i propositi siano quelli elencati verso la fine del pezzo, ovvero, una discussione e quindi degli studi master basati sul reciproco rispetto dei punti di vista di chi crede o è scettico sul divenire del riscaldamento globale. Ma tu non puoi scrivere all’inizio del pezzo che l’obiettivo sia quello di denudare uno scetticismo fatto anche di studi e ricerche di chi è appunto scettico ( e non negazionista, nessuno nega il riscaldamento, semmai i dubbi che siano a causa dell’uomo) additando quest’ultimi appunto di avere pregiudizi. Ma quali pregiudizi mi chiedo. Io, da scettico, potrei avere allo stesso modo pregiudizi sul riscaldamento antropogenico ( che brutta parola ). Non è che il pregiudizio, quello vero, sia giá fra noi? E con tanto di master… Ma dov’è in tutto questo il metodo scientifico di cui alla fine del pezzo si fa riferimento ( confronto, dialogo, ecc), se giá all’inizio mi scrivi che gli scettici ( ma li si insiste con negazionista, e non sopporto più questo) hanno pregiudizi. Se le parole dell’articolo fossero numeri inseriti in un’equazione, il risultato non sarebbe un’uguaglianza di due rapporti. Ale.

    • Ho letto l’articolo del Fatto. Non so se definire questo master un “nulla cosmico” o un “cavalcare l’onda che va per la maggiore”, ma essendo un seguito di master precedenti, propendo per la prima definizione.
      Mi sembra che il pezzo non dica nulla ma faccia solo un po’ pubblicità rivolta a chi non sa bene come impiegare il suo tempo o è già fanatico di suo. L’apparente ambito politico-sociale del master per me significa che mai verranno messe in discussione le basi dell’AGW ma, come al solito, le ragioni di chi non si lascia convincere. Franco

  5. Stefano

    Io sto iniziando a pensare che, ben nascosto tra i negazionisti dell’AGW, ci sia il clima.

  6. rocco

    Ale89 mi ha anticipato.
    Ho letto anch’io il lancio dello studio, in cui pare che si dica che la salinità è aumentata, mentre mi è parso di capire che l’articolo dipanato da Franco afferma che lo scioglimento del ghiaccio groenlandese apportando acqua dolce fa rallentare la corrente. Magari può essere che siano vere tutte e due le ipotesi, magari perchè considerati luoghi diversi.
    La corrente, in fondo, è un fiume che scorre nello stesso fluido, provocando vortici, biforcazioni… esattamente come avviene in atmosfera con il vapore acqueo ed i vari fenomeni atmosferici: tutti legati al ciclo dell’acqua.
    Vi sarà una relazione sul potere di questa molecola nel modellare il clima? (altro che CO2)
    E’ detta anche circolazione termoalina, il cui motore è la differenza di salinità e densità, anche la temperatura è un parametro così come lo è la morfologia del fondale marino.
    Puro caos termodinamico, in cui vige la turbolenza…l’effetto farfalla.
    Magari eruzioni sottomarine immettono sali che influiscono sulla forma della corrente.
    Mi pare strano che diminuisca da inizio secolo o prima quando si stava uscendo dalla PEG. Non trasporta forse calore tropicale fino in Europa? Dovrebbe essere il contrario, ossia freddo in Europa = corrente rallentata; caldo corrente al massimo. Ma forse mi sfugge qualcosa, anche se ricordo una ipotesi sullo Younger Drias che contempla prioprio il blocco della corrente come causa.
    Magari la corrente ha un suo ciclo di massimi e minimi.

    • Approfitto per correggere un mio errore nella risposta ad Ale69: ho citato il Ca/K che non viene trattato da Tesi et al.2021 ma da un altro gruppo che si occupa di paleo dati con i quali sto aggiornando una vecchia nota. Da qui la confusione.

      Non rispondo direttamente sul lavoro di Tesi e C (oltre a quanto ho scritto a
      Ale69) perché ho bisogno di tempo per leggerlo.

      Per il resto, l’argomento è complesso e secondo me dipende da tanti fattori
      non sempre compresi e non sempre “mescolati” opportunamente. Franco

    • Buongiorno.
      grazie per il riferimento “Ansia” ad un articolo interessante (uscito ieri 24 novembre e liberamente disponibile). L’articolo originale è: Tommaso Tesi + altri 12 autori: Rapid Atlantification along the Fram Strait at the beginning of the 20th century, Science Advances, 7, eabj2946, 2021.
      https://doi.org/10.1126/sciadv.abj2946 e i dati usati sono disponibili in un repository pubblico.

      Ovviamente non ho potuto leggere il testo completamente, ma l’argomento merita un approfondimento (usano come proxy molti marker biologici sui quali non sono del tutto addentro e il rapporto Ca/K che non trovo descritto in letteratura).
      Ho appena finito di scrivere una nota (http://www.zafzaf.it/clima/dm58.html), per ora incompleta (che penso non pubblicherò), su una zona adiacente a quella usata da Tesi et al. e mostrata nella loro figura 1A dove si vede (ultima freccia in alto a destra) il ramo della Corrente del Golfo che lambisce il nord della Norvegia. La figura 5 della mia nota riporta le temperature marine (SST) nelle tre zone “cerniera” tra l’Atlantico e il Mare
      di Barents tra il 1920 e il 2000 (la serie più lunga detta Kola che quindi non è troppo diversa dalle serie di Tesi). Solo la serie FB (vicino all’Isola degli Orsi), la più vicina all’Atlantico, mostra un riscaldamento di (0.7+-0.5) gradi/secolo mentre le altre calano (poco; diciamo che non crescono). Anche le temperature terrestri in Canada (figure precedenti della nota) si comportano in modo variegato e a mio parere non compatibili con l’amplificazione artica.

      Non ho dubbi che un Atlantico in espansione termica possa entrare in altre aree marine e scaldarle (lo fa già la Corrente del Golfo), nondimeno l’articolo di Tesi & C mi sembra un ottimo lavoro: devo capire perché molte delle serie proxy comincino a crescere dal 1900, improvvisamente e non gradualmente come ci si attenderebbe dall’uscita dalla LIA, ma per questo mi serve più tempo.
      E, come al solito, l’Ansia è specializzata nel dare risalto a quello che le fa comodo. Franco

    • donato b.

      Sto scrivendo un commento all’articolo cui si riferisce l’ANSA. Molto interessante e piuttosto illuminante anche alla luce dei risultati di F. Zavatti. Soero di tiuscire a finire il commento a breve. Per mestiere faccio altro. 🙂
      Ciao, Donato.

    • Caro Donato, ottima idea quella di scrivere un post su questo articolo: lo aspetto, anche se so che nella vita fai altro e per questo sarò paziente. Buon lavoro! Ciao. Franco

  7. Caro Donato,
    grazie per aver condiviso le tue prime esperienze “climatiche”, direi tragiche e caratterizzate dalla boriosa autoproclamata superiorità nei confronti di chi, sommessamente, tenta di avvicinarsi ad una materia che, come sappiamo oggi, è del tutto definita e non ha bisogno di incertezze da colmare e di dubbi da chiarire :-).
    La mia storia è diversa: all’inizio ho letto Le Scienze (credo di essere stato abbonato per un anno) che ho abbandonato quando mi sono reso conto che degli argomenti al di fuori del mio campo non capivo una parola e che quindi non poteva essere divulgativa, almeno per me.
    Ho poi letto, dopo la pensione, i blog climatici di cui parli anche tu ma per fortuna con moderazione (non più di qualche volta). Tutti i luoghi di lavoro hanno i loro problemi, anche sul piano divulgativo, e l’Astronomia non ne è certo esente ma il livello di acredine (direi di odio) che caratterizza la climatologia (divulgativa, del ramo professionale so molto poco) è stato per me una sorpresa non troppo bella, da quando ho constatato
    il livello di certezza presente e la totale eliminazione del dubbio.
    Ormai ho capito che non è scienza ma solo politica …

    E veniamo al lavoro di Rahmstorf: è vero, non è giovanissimo, ma è appena uscito un breve lavoro, nella sezione “Brief Communication” di Nature Geoscience, di Caesar et al. (2021), dove al.include lo stesso Rahmstorf (https://doi.org/10.1038/s41561-021-00699-z, purtroppo a pagamento), che conferma il lavoro del 2015 e lo appoggia con molti confronti con altre serie, ma, ancora, non cerca di capire da cosa possa dipendere lo “slowdown” di AMOC. Purtroppo il lavoro del 2015 è ancora un cavallo di battaglia dei
    nostri amici credenti che, come al solito, mai si pongono un dubbio al riguardo.

    E, per finire: la tua chiosa finale non solo è vera ma è ben viva e lotta insieme a noi in questi tempi di (false) certezze imperanti. Ciao. Franco

  8. donato b.

    Caro Franco,
    la Corrente del Golfo è l’ennesima dimostrazione di quanto poco conosciamo del sistema climatico terrestre. E questo mi rende ancora più difficile pensare che abbiamo l’ardire di poter solo immaginare di poter controllare un sistema, di cui ignoriamo buona parte degli aspetti fondamentali.
    Quando iniziai ad avvicinarmi a questi argomenti, non avevo la più pallida idea di quale effettivamente fosse il livello di conoscenza del sistema. Mi limitavo a prendere per buone le “divulgazioni” di “Le Scienze” e dei mezzi di comunicazione di massa.
    .
    I primi echi di ciò che stava accadendo, mi giunsero agli inizi del 2010 quando dalle mura della torre d’avorio dei custodi dell’ortodossia climatica, partirono le bordate contro il compianto prof. E. Bellone, già direttore di “Le Scienze”. Mi sembrarono surreali la violenza e la sgangheratezza degli attacchi sferrati contro una persona che, fino a quel momento, era considerata una specie di mito nell’ambito della divulgazione scientifica nostrana e che io stimavo e stimo profondamente ancora oggi.
    Furono proprio quegli attacchi che mi spinsero ad indagare in un campo lontano mille miglia dai miei interessi. Mai avrei immaginato, di restare invischiato in una polemica come quella che caratterizza il mondo del clima e mai avrei immaginato, di dedicare gli anni succesivi allo studio delle discipline legate alla fisica dell’atmosfera. Neanche che sarei diventato bersaglio degli strali di quelle stesse persone che avevano attaccato violentemente le idee del prof. Bellone.
    .
    All’inizio non capivo: come può essere possibile, mi chiedevo, che persone di elevato spessore culturale, ricercatori, giornalisti, divulgatori si scontrino in questo modo? In fondo si tratta di scienza e, quindi, il problema deve essere risolto nell’alveo del dibattito scientifico che, immaginavo, potesse essere aspro, ma non offensivo, come quello in corso.
    .
    Manifestai queste idee anche in un blog cui fanno capo buona parte delle vestali del clima e mal me ne incolse. Nell’intervento lamentavo la mancanza di dialogo tra le parti e, candidamente, confessavo le mie scarse competenze in materia e la mia modesta conoscenza della lingua inglese. Mi fu risposto a muso duro che era meglio che mi facessi da parte e mi accontentassi delle veline pubblicate dai giornali e riviste, allineate con la linea di pensiero principale, tanto non avevo alcuna possibilità di capire quello che, invece, loro avevano capito benissimo. Un altro scrisse, in tono sprezzante, che uno che non conosceva bene la lingua ufficiale della scienza, era meglio che evitasse di aprire bocca.
    .
    Ci rimasi male, ma l’episodio mi spinse a cercare di colmare le lacune che caratterizzavano le mie conoscenze. Iniziai a studiare (anche l’inglese) e, dopo diverso tempo, incappai nel “Villaggio di Asterix”. Mi accasai qui e la storia successiva è nota.
    Nel frattempo mi sono reso conto che la sicumera di coloro che mi avevano invitato a starmene da parte, si fonda sul concetto fallace che esistono delle persone che hanno capito tutto del sistema climatico, tanto da poterlo controllare.
    .
    Non è affatto vero e quello da te citato è un articolo che, seppur non recentissimo, lo dimostra chiaramente. Condivido, infatti, tutte le tue perplessità circa la catena causale che sottende il dibattito intorno alla Corrente del Golfo: è essa che determina le temperature superficiali del mare o sono queste ultime che determinano la corrente ?
    Personalmente sono del tuo stesso avviso: il motore delle correnti oceaniche è termico e, quindi, sono le temperature a determinare i flussi convettivi che chiamiamo correnti oceaniche. Che poi la corrente trasporti acque calde alle latitudini dell’Irlanda, è un altro paio di maniche.
    .
    Oltre a non aver chiare le cause e gli effetti della Corrente del Golfo nel periodo da te indagato, gli scienziati non sono ancora riusciti a decifrare le caratteristiche della Corrente del Golfo nel corso degli ultimi 25000 anni. Nel 2018 mi occupai di uno studio condotto da Hong Chin Ng e colleghi. In tale studio le conclusioni spiegavano in modo chiaro le variazioni della velocità della Corrente nel Golfo nel corso dello stadiale di Heinrich, ma fallivano clamorosamente la spiegazione, di quanto accadde nei successivi eventi che caratterizzarono lo Younger Dryas.
    Chiosavo la mia fatica con la considerazione seguente:
    “Alla fine bisogna concludere che il legame tra clima ed AMOC è ancora largamente da scoprire, per cui continueremo ancora a lungo (spero non tanto) a chiederci se sia AMOC a determinare il clima o viceversa.”
    Credo che tale chiosa si adatti perfettamente a commentare anche la tua fatica.
    Eh, sì! Soffriamo proprio della sindrome della mosca cocchiera.
    Ciao, Donato.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Categorie

Termini di utilizzo

Licenza Creative Commons
Climatemonitor di Guido Guidi è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 4.0 Internazionale.
Permessi ulteriori rispetto alle finalità della presente licenza possono essere disponibili presso info@climatemonitor.it.
scrivi a info@climatemonitor.it
Translate »