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Il Rapporto Isotopico dell’Ossigeno nella CO2 Atmosferica

Ho scoperto per caso l’esistenza di una variabile climatica che non conoscevo: il rapporto isotopico dell’ossigeno 18O/16O o δ18O, misurabile nella CO2 atmosferica (e noto anche come δ18O-CO2 o d18O-CO2).
Il ciclo della CO2 contiene in modo naturale uno scambio biosfera-atmosfera nel quale il rapporto isotopico dell’ossigeno nella CO2 varia in funzione sia del ciclo del carbonio che del ciclo dell’acqua; per questo non è facile interpretare la variabilità del d18O-CO2 (cioè la presenza variabile nel tempo dei due isotopi dell’ossigeno).
Per quanto ne so, le misure di questa grandezza sono iniziate attorno al 1957, in occasione dell’anno geofisico internazionale (IGY), ma le prime serie partono dal 1976 (dati SIO, Scripps Institution of Oceanography) e riguardano tutti i principali osservatori di CO2: all’inizio solo le stazioni Polo Sud [SPO] e Isola di Natale [CHR] e poi tutte le altre, incluse Point Barrow [BRW, ma al SIO è indicata come PTB] e Mauna Loa [MLO].

In questo post ho usato prima le serie NOAA disponibili al GML (Global Monitoring Laboratory) e successivamente le stesse serie (BRW, MLO, SPO) disponibili all’Istituto Scripps dell’Università della California a San Diego (UCSD).

Per l’interpretazione dei dati ho usato come base il lavoro di Welp et al., 2011, che sembra essere uno dei pochi lavori (a me sembra l’unico) su questo argomento, scritto da diversi autori del SIO. Ho tentato una ricerca di lavori più recenti, senza risultato. In bibliografia cito il lavoro di Graven et al., 2013 solo per riprendere la loro figura 4 che confronta impietosamente otto modelli climatici CMPI5 (l’RCP non è indicato) con le osservazioni e si occupa di CO2 e sua variazione; esula quindi dall’argomento del post. Tra gli autori, però, sono presenti Lisa Welp e Ralph Keeling, il figlio di Charles D. Keeling, fondatore delle osservazioni della CO2 e che ha inventato la misura di d18O-CO2, entrambi autori di Welp et al., 2011.

Welp et al., 2011 hanno esaminato 10 serie SIO (e le confrontano con una serie neozelandese del CSIRO australiano) e, fin dal titolo del lavoro, deducono che la variabilità di d18O-CO2 è guidata da El Nino e suggeriscono che la ridistribuzione di umidità e precipitazione ai tropici faccia aumentare il rapporto 18O/16O nella pioggia e nell’acqua delle piante e che questo segnale venga poi trasferito alla CO2 atmosferica tramite il ricordato scambio gassoso biosfera-atmosfera.

Per identificare la relazione con El Nino gli autori usano l’indice ENSO per la precipitazione (ESPI, Curtis e Adler, 2000), uno dei numerosi indici che tracciano ENSO, in questo caso basandosi sulle anomalie precipitative di due regioni del Pacifico tropicale, una in mare aperto e l’altra più “terrestre”. Alla fine del post verrà presentato il grafico e lo spettro di ESPI e si cercherà di mettere in evidenza somiglianza e diversità con le serie d18O-CO2.

Le serie NOAA
Seguendo lo schema temporale con cui ho analizzato le serie, inizio con i dati NOAA di Mauna Loa, South Pole e Barrow (Pacifico tropicale, Polo Sud, Alaska e quindi un trio di stazioni a latitudine variabile ma con circa la stessa longitudine).

Fig.1: Serie NOAA di d18O-CO2 per le tre stazioni utilizzate. Tutte le misure sono “flask”, cioè con il materiale (CO2) in provetta (o pallone graduato). La sigla VPBD significa Vienna Pee Dee Belemnite, uno standard di riferimento in queste misure.
Fig.2: Spettri LOMB delle tre serie NOAA di figura 1. Per un ingrandimento delle parti di alta frequenza vedere gli spettri delle singole stazioni nel sito di supporto.

Dalle figure precedenti possiamo ricavare che la struttura del d18O-CO2 è la stessa per le tre stazioni e apparentemente è indipendente dalla latitudine: vediamo percentuali diverse ma credo che questo dipenda dalle condizioni locali di interscambio biosfera-atmosfera. Le serie mostrano tutte un minimo attorno al 1995-97 e un massimo tra il 2000 e il 2005; inoltre il rapporto isotopico dell’ossigeno tende a diminuire nel tempo.
Gli spettri sono notevolmente simili e infatti tutti e tre mostrano i massimi a 11-13, 6-7 e 4-5 anni e due su tre quelli a 2-3 e 1-2 anni.

Le serie SIO
Rispetto alle serie NOAA, ferme al 2014-2015, le serie SIO sono aggiornate al novembre 2021 e le misure continuano. Ci si aspetta quindi qualche diversità ma anche alcune conferme, specie negli spettri, rispetto a NOAA. Infatti, ad esempio per Mauna Loa, si osserva una minore estensione temporale e quindi un diverso aspetto dovuto alla differenza di scala ma il confronto diretto tra le due serie mostra una notevole somiglianza e differenze minime nei massimi spettrali secondari. Il massimo principale a 12-13 anni è lo stesso nei due casi.

Fig.3: Le serie SIO di d18O-CO2 per le tre stazioni considerate.

Dai confronti diretti (per le altre due serie v. il sito di supporto, bande gialle) dobbiamo quindi aspettarci risultati molto simili: in pratica stiamo esaminando gli stessi dati su periodi parzialmente sovrapposti.
Questo aspetto è ben evidenziato anche dagli spettri della figura successiva che mostrano la stessa struttura “da un capo all’altro del globo” e per i quali le differenze sono probabilmente legate a situazioni locali (ad esempio per Barrow il massimo tra 3 e 4 anni è molto debole e per Mauna Loa quello a ~5 anni non è presente).

Fig.4: Spettri LOMB delle tre stazioni di figura 3. Per un ingrandimento delle parti di alta frequenza vedere gli spettri delle singole stazioni nel sito di supporto.

Con lo scopo di osservare possibili variazioni dovute alla latitudine ho calcolato il ciclo annuale di d18O-CO2, mostrato nella figura successiva, per le sei serie disponibili e ho verificato che ad alta latitudine nord (BRW) la massima escursione è del 77%, con massimo in aprile e minimo in ottobre; a latitudini tropicali (MLO) vale circa il 60%, con massimo tra maggio e luglio e minimo in ottobre mentre al Polo Sud vale il 19% con minimo in luglio e massimi a dicembre e gennaio (in questo emisfero il processo è invertito). A mio parere è da sottolineare la progressiva distanza tra le osservazioni NOAA e SIO di Point Barrow successive a giugno per la quale non ho una spiegazione accettabile (e non credo che le differenze di estensione delle serie -complessivamente modeste- possano esserne la causa).

Fig.5: Ciclo annuale delle sei serie NOAA (cerchi) e SIO (quadrati). Notare la dipendenza dalla latitudine e le differenze nelle serie di Point Barrow, in particolare dopo luglio. Il ciclo annuale è composto dalla media dei singoli mesi, calcolata su tutto l’intervallo temporale disponibile.

Conclusioni
Seguendo il ragionamento sviluppato da Welp et al., 2011, confrontiamo lo spettro dell’indice ENSO derivato dalle precipitazioni (ESPI) con quelli delle serie di d18O-CO2 delle figure precedenti.

Fig.6: ENSO precipitation index (ESPI) dal 1979 al 2021. Questo è un modo di descrivere ENSO tramite la precipitazione media su due fasce di longitudine lungo il Pacifico equatoriale. Notare gli El Niño 1982-83, 1997-98 e 2015-16, i tre più forti eventi dall’inizio delle osservazioni, indicati dalle frecce.

Come ci si aspetta, lo spettro di ESPI è dominato dalle frequenze tipiche di El Nino (periodi tra 2 e 10 anni) ma contiene anche il periodo attorno a 11-13 anni, ben visibile negli spettri delle “zone” Nino (tranne Nino 1+2), alcuni dei quali contengono anche il massimo a circa 22 anni che osserviamo in Barrow e debolmente in South Pole. ESPI è in grado di rappresentare ENSO (cioè la SST del Pacifico equatoriale) in modo accurato tramite l’uso della precipitazione media, come si può vedere in Curtis ed Adler (2000) e quindi il suo spettro contiene gli stessi massimi che si osservano nelle singole serie di d18O-CO2. In effetti, anche un confronto non troppo accurato permette di verificare la concordanza con ESPI e quindi la connessione del regime idrologico della fascia equatoriale del Pacifico con le variazioni del rapporto isotopico dell’ossigeno contenuto nella CO2.

L’unica perplessità riguarda la figura 5, dove la maggiore variabilità nel corso dell’anno si osserva a Point Barrow; risulta difficile per me capire come una variazione intermedia ai tropici (MLO), attribuita all’interscambio biosfera-atmosfera, possa produrre una maggiore variabilità alle alte latitudini settentrionali (BRW). E’ vero che quest’ultima area è probabilmente ricca di foreste che favoriscono il suddetto interscambio ma questo non spiega l’affermazione di Welp et al., 2011 “This suggests that anomalies start in the tropics and propagate to high latitudes over the course of several months.“.
Non mi risulta che un grafico come la figura 5 sia stato prodotto in precedenza e quindi non ho il conforto di pareri più esperti del mio su questo argomento.

Welp e coautori affermano che “la mancanza di un trend nel d18O-CO2 … è consistente con il fatto che le emissioni da carburanti fossili contribuiscono poco al contenuto 18O/16O della CO2 e che i suoi atomi di ossigeno si rinnovano tramite lo scambio con l’ossigeno dell’acqua delle foglie, del suolo e del mare circa ogni 2 anni o meno”: ne prendo atto ma devo notare che le serie più estese temporalmente mostrano tutte un trend in discesa (solo la brevissima serie di MLO lo mostra in salita) e quindi che il contributo descritto possa essere anche inferiore.

Bibliografia

  • Curtis S. & Adler R.: ENSO indexes based on patterns of satellite-derived precipitationJ. Climate,13, 2786-2793, 2000. https://doi.org/10.1175/1520-0442(2000)013<2786:EIBOPO>2.0.CO;2
  • H.D. Graven, R.F. Keeling, S.C. Piper, P.K. Patra, B.B. Stephens, S.C. Wofsy, L.R. Welp, C. Sweeney, P.P. Tans, J.J. Kelley, B.C. Daube, E.A. Kort, G.W. Santoni, J. D. Bent: Enhanced Seasonal Exchange of CO2 by Northern Ecosystems Since 1960 ScienceVol. 341, 1085, 2013. https://doi.org/10.1126/science.1239207
  • Lisa R. Welp, Ralph F. Keeling, Harro A. J. Meijer, Alane F. Bollenbacher, Stephen C. Piper, Kei Yoshimura, Roger J. Francey, Colin E. Allison & Martin Wahlen: Interannual variability in the oxygen isotopes of atmospheric CO2 driven by El NinoNature477, 579-582, 2011. https://doi.org/10.1038/nature10421
    Tutti i dati e i grafici sono disponibili nel sito di supporto
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Published inAttualitàClimatologia

8 Comments

  1. ..” Il cambiamento climatico è reale e ripercorre la storia geologica della Terra. Siamo in una tendenza al riscaldamento globale da oltre 140 anni. Contrariamente alla teoria climatica prevalente, questa tendenza al riscaldamento di origine antropica è guidata principalmente da una riduzione dell’evaporazione indotta da CO2 (ER), non da gas serra CO2 (GHG). L’ER guidato dalla CO2 è inconfutabilmente un driver di riscaldamento globale (AGW) antropogenico (creato dall’uomo) di 11 volte maggiore rispetto ai gas serra di CO2. L’AGW è effettivamente guidato dalla CO2, ma non dal CO2 GHG come teorizzato, ma piuttosto dalla CO2 ER. Secondo il grafico sottostante, l’umidità relativa troposferica è costantemente diminuita dello 0,13% all’anno dal 1970, richiedendo precipitazioni e ER simili, che hanno generato l’aumento della temperatura misurata. La soluzione proposta per l’evaporazione dell’oceano (mostrata nella foto sotto) costa <4% delle attuali soluzioni di GHG e solo circa il 2,4% del budget federale degli Stati Uniti.

    Il vapore acqueo è un gas serra 192 volte più forte della CO2 quando si tiene conto sia dell'assorbanza infrarossa che delle concentrazioni atmosferiche. Tuttavia, i sostenitori dei gas serra di CO2 continuano a promuovere la causalità della CO2 piuttosto che il vapore acqueo

    Inoltre, la teoria CO2 GHG è una teoria piuttosto semplicistica, non quantificata e problematica che non si adatta alle correlazioni storiche CO2/temperatura e non può essere modellata direttamente utilizzando le assorbanze infrarosse GHG . "..

    http://www.docdroid.net/StukqXG/co2-globa…e-30apr2021-pdf

    Dal 1880 la temperatura Media Globale e' incrementata di + 1,3 C. , la CO2 dal 1880 da 280 a 420 ppm

    quanto potrebbe essere la sensibilita climatica al raddoppio della CO2 ? ,

    teoricamente , la temperatura globale dovrebbe aumentare di un altro + 1 C. nei prossimi decenni se la concentrazione di CO2 dovesse superare i 500 ppm

    il Clima che si e' riscaldato negli ultimi decenni e' un dato di fatto incontrovertibile ,

    ma sembra anche evidente come mostrano i modelli climatici imperfetti in quanto sovrastimano
    https://irprout.it/wp-content/uploads/2020/02/SCA_2.jpg
    che con dati e correlazioni ,
    per quanto il sistema climatico e' complesso e caotico e' altrettanto difficile rispondere a questa domanda ..

    'quanto potrebbe essere la sensibilita climatica al raddoppio della Co2 ?..' ,

    poiche sono molteplici i fattori variabili che possono condizionare l andamento climatico , anche il Vapore Acqueo e' un gas serra e aumenta in conseguenza del riscaldamento.
    Riscaldamento certamente anche dal incremento di forzanti endogeni con il rilevante contributo antropico .

  2. rocco

    l’unico modo sicuro di misurare le temperature è un bel vecchio termometro a mercurio (con le dovute accortezze sull’uso della teoria degli errori), i restanti sistemi sono approssimazioni.
    Anche se oggi ci vorrebbero far credere che i sensori ad infrarossi e digitali siano perfetti nella misura, bisogna tener sempre conto della emittanza del materiale e si possono fare meglio misure relative che misure assolute.
    Anche questa modalita isotopica di stabilire una “costante climatica” risulta fallace.
    Quando si ha a che fare con gli isotopi, bisogna tener conto dei raggi cosmici, che non sono costanti, nè tantomeno hanno un ciclo ben definibile.
    L’imprevisto di una supernova è sempre in agguato.

    • Le misure meteo-climatiche non sono osservazioni fatte in laboratorio con condizioni ben definite e stabili: anche a me dà fastidio che molto spesso l’incertezza delle misure sia 2 sigma anzichè 1 sigma, ma questo è il segno che le misure sono generalmente più incerte. Il mio termometro a massima e minima (a mercurio, vecchio di oltre 60 anni) fornisce misure molto simili a quelle di uno dei tre sensori (tutti appoggiati al muro, due nel lato est della casa, uno nel lato ovest, stesso lato del termometro) ma sono entrambi a oltre 20 metri di altezza: quanto posso confrontare le mie misure con quelle standard prese a 2 metri e con un bel praticello alla base e intorno alla stazione? Direi non troppo…
      In questo momento (17:45) i miei tre sensori misurano 17.5 (ovest), 17.4 e 17.8 gradi mentre l’umidità è, rispettivamente, 76, 74, 72 %: cosa faccio?
      Rinuncio o cerco di avere almeno un’idea della situazione?

      I raggi cosmici mostrano una serie di cicli ben definiti: nell’immagine lo spettro dei RC osservati da Usoskin nel 2002 a Sodankala, Finlandia, dove le bande verticali sono i cicli astronomici evidenziati da Scafetta. Si vede bene che i massimi corrispondono a quelli astronomici, anche se saltuariamente una supernova può generare delle fluttuazioni imprevedibili. Franco

      Immagine allegata

    • Luca Rocca

      Ho dei dubbi che il 18-O sia prodotto dai raggi cosmici. Si tratta di un isotopo stabile con 10 neutroni e 8 protoni , le probabilità che si formi per l’aggiunta di 2 neutroni cosmici è molto bassa. Credo che la maggior parte abbia origine dal decadimento di altri elementi radioattivi nella crosta terrestre

  3. Luebete

    Domanda da ignorante (altrimenti non la farei ovviamente).
    IL fatto che il rapporto isotopico cambi è dovuto al fatto che la biosfera e i mari hanno una predilezione per un isotopo al posto dell’altro? Pertanto una variazione della loro attività determina una variazione del rapporto?
    Negli idrocarburi il rapporto isotipico è differente? Per quale ragione?

    • Non credo di essere molto meno ignorante sull’argomento: come ho scritto, non avevo mai sentito parlare del d18O-CO2.
      Il fatto che il rapporto cambi mi sembra di aver capito che dipende dalla maggiore pesantezza del 18O che, rispetto al 16O, precipita in maggiore misura facendo cambiare il rapporto, ad esempio nelle acque di condensa mentre il contrario avviene durante l’evaporazione delle acque marine.
      Non so cosa avviene del rapporto isotopico negli idrocarburi. Franco

  4. Luca Rocca

    il 18-O è presente nell’ atmosfera sia nella forma 18-O2 che in quella H218-O
    Questo potrebbe spiegare l’estrema variabilità in aree come l’Alaska dove la nebbia è una condizione frequente rispetto al Mauna Loa dove l’umidità è assente o quasi

    • Mi sembra una spiegazione sensata, anche considerando, in figura 5, che SPO mostra una variabilità ancora minore rispetto a MLO, essendo l’Antartide un posto con l’umidità di un deserto. Non saprei, però, se l’apparente dipendenza dalla latitudine mostrata in figura 5 è reale o se maschera una dipendenza dall’umidità. Franco

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