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Un ottimo esempio di distorta interpretazione dei dati

Nei giorni scorsi i media nazionali (grandi quotidiani e TV) hanno dato spazio a questioni demografiche, riprendendo i contenuti di un report sul 2022, appena pubblicato dall’Istat. In questa nota discuterò di quanto detto a proposito della mortalità, cercando di spiegare come il commento ai dati possa portare alla diffusione di idee per nulla confacenti alla realtà dei numeri. Nel riquadro sottostante la pagina 4 del report.

Nel primo capoverso sono forniti i dati essenziali, ma non viene affatto chiarito al pubblico il loro significato. Quanto avvenuto infatti nel triennio 2020-2022 non ha paragoni col passato, al punto che si deve risalire all’apocalisse della Spagnola del 1918, per trovare una crisi sanitaria maggiore di quella innescata dal Covid. Nella serie storica del numero dei decessi annui si può osservare che nessuna delle grandi epidemie influenzali degli anni ’50 e ’60 ha prodotto un salto comparabile a quello determinato dal triennio in oggetto.

L’andamento del tasso di mortalità (‰) mostra come si sia avuta una stabilizzazione per lungo tempo attorno a 9,6~9,7 cui è seguita una crescita negli anni Duemila, presumibilmente dovuta all’invecchiamento della popolazione. Comunque, il balzo recente appare chiaramente fuori scala rispetto alla variabilità osservata in tutto il periodo post 1950, per cui sarebbe veramente un serio problema se non si dovesse ritornare ai livelli osservati fino al 2019.

Una situazione preoccupante, anche in rapporto ad altri paesi europei con i quali spesso si operano dei confronti. In effetti, se utilizziamo come valore normale la mediana 2016-2019, gli incrementi italiani dei decessi ammontano, rispettivamente per il 2020, 2021 e 2022, a 17,7  10,7 e 12,6%, mentre le corrispondenti percentuali risultano 5,3  9,4 e 13,7 per la Germania e 10,0  8,3 e 10,6 per la Francia. Ebbene, nulla di tutto ciò è spiegato ai lettori del report, mentre, già col titolo del paragrafo (Picco dei decessi nei mesi più caldi e freddi), è palese l’intenzione di portare la loro attenzione su altre questioni.

Dal secondo capoverso, i nostri amici dell’Istat iniziano in effetti ad affrontare argomenti di bioclimatologia, dimostrando di saperne poco o nulla e, al contempo, di essere animati da un adente desiderio di confermare certi dogmi inerenti alla “crisi climatica”. La frase «Il numero più alto dei decessi si è avuto in concomitanza dei mesi più rigidi, gennaio e dicembre, e nei mesi più caldi, luglio e agosto» è suggestiva, ma ha il difettuccio di essere erronea dal punto di vista demografico e da quello climatologico; si osservi in proposito la seguente tabella, nella quale le temperature derivano dal solito set (26 stazioni) che aggiorno progressivamente.

È sufficiente leggere i numeri delle morti per constatare che febbraio e marzo hanno superato il dato di agosto. Se poi confrontiamo i singoli mesi – come sarebbe corretto fare – tenendo conto della loro differente durata, febbraio sale al terzo posto, quindi oltrepassando pure luglio; allo stesso modo, agosto è così inferiore sia ad aprile che a novembre.

Inserire poi dicembre fra “i più rigidi” è: a) sbagliato, come caratteristica del clima italiano (febbraio ha medie leggermente inferiori); b) ridicolo, nello specifico del 2022. Questo è risultato l’anno più caldo in assoluto per il nostro territorio; un risultato cui ha contribuito proprio il dato termico del mese di dicembre, il più alto di tutta la sua serie storica.

Al di fuori della fase-Covid, le oscillazioni della mortalità nel corso dell’anno sono sempre dipese da tre fattori: 1) le epidemie influenzali (a seconda della loro aggressività e della tempistica dell’apice di diffusione); 2) il freddo nell’inverno; 3) il caldo nella stagione estiva. Il picco di morti del dicembre 2022 (quasi 68 mila unità) va ancora interpretato nelle sue cause, ma è sicuro che il clima non possa aver giocato un ruolo particolare, vista la mitezza di questo mese.

Impressionante è il dato di luglio (oltre 65 mila), di gran lunga maggiore di qualunque altro valore di tutti i precedenti mesi estivi. Correlato senza dubbio alle forti ondate di calore registratesi, mi pare comunque eccessivamente alto per non essere anche legato ad aspetti ancora non troppo chiari del quadro sanitario e sociale, conseguente agli effetti di lungo periodo della pandemia.

Tornando ai commenti del report Istat, si vede che nel quarto e nel quinto capoverso l’analisi vorrebbe assumere un carattere diacronico, senza però che siano indicate le necessarie delimitazioni temporali; scaturisce perciò la netta sensazione di essere in presenza di informazioni diffuse a uso e consumo di certi desiderata dei redattori, piuttosto che per reali finalità di corretta divulgazione. Infatti, quanto rilevato nel report per certe anomalie delle annate 2003, 2015, 2017 e 2022 lo si ritrova più volte anche in periodi pregressi, ma la cosa è allegramente ignorata nello scritto, così da far pensare al lettore che certi valori di tali annate siano senza precedenti.

In conclusione del finora citato coacervo di errori e interpretazioni distorte, si arriva finalmente all’anelato ossequio alle solite “verità” mediatiche, con la frase: «… quanto i cambiamenti climatici stiano assumendo rilevanza crescente anche sul piano della sopravvivenza …». Frase davvero bella in termini di politicamente corretto, ma purtroppo corrispondente a una totale invenzione, come inequivocabilmente dimostrabile da qualsiasi analisi seria dei dati demografici. Consiglio, ad esempio, di leggere l’articolo di Zhao Q., et al., uscito nel 2021 sulla rivista Lancet Planet Health. Un lavoro consistente in un’analisi a livello globale delle relazioni fra temperatura e mortalità; analisi condotta mediante l’applicazione di un appropriato modello ai dati giornalieri (nel ventennio 2000-2019) di 730 località, ricadenti in 43 diversi Paesi. Lo studio ha fatto emergere che le morti dovute alle basse temperature hanno superato di 9,4 volte quelle causate dalle temperature elevate (in Europa tale rapporto è risultato di 3,7 a 1). In base a questi risultati, gli Autori hanno stimato che il riscaldamento climatico negli anni Duemila – con conseguenti effetti sui decessi di miglioramento della situazione in inverno e contemporaneo peggioramento in estate – abbia portato complessivamente a una riduzione annua delle morti di circa 170 mila unità.

Concludo questa nota con una ricorrente esortazione: passare un po’ di tempo a studiare ciò di cui si vuole discutere e sostituire la propaganda con veri argomenti scientifici.

NB: il post è uscito in origine sul blog dell’autore.

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Published inAttualità

11 Comments

  1. Giulio Gentili

    Che la mortalità sia maggiore nei mesi freddi è un’ovvietà. Basta pensare alle malattie da raffreddamento (incluse le polmoniti), l’influenza, che purtroppo uccide anche una decina di migliaia di persone/anno, le malattie infantili.
    Non possono essere fatte correlazioni di mortalità tra periodi diversi in cui è assai diversa l’entità della popolazione, l’aggregazione della popolazione nei centri maggiori, lo stile di vita, la qualità dell’alimentazione, la situazione socio-sanitaria, la disponibilità di medicamenti (era preantibiotica e attuale) e l’accesso a cure gratuite, le condizioni igieniche di vita (acqua calda corrente, bagni adeguati, riscaldamento), le vaccinazioni.

  2. michele

    Ma, anche io avevo qualche sospetto. Grazie a Pinna e agli altri abitanti del “villaggio” per l’impegno nel verificare questi aspetti. Del resto, con una popolazione mondiale che cresce, e sta crescendo di più dove fa più caldo, la favoletta della catastrofe suona proprio male. Ma, a parte coloro che dolorosamente ci lasciano, e limitandosi al territorio italico, mi porrei la domanda se il regresso della numerosità della popolazione non abbia a che fare anche (ovviamente la storia è molto più complessa) con i continui messaggi di temperature sempre più estreme, che generano fenomeni sempre più estremi (anche di freddo; perchè è vincente anche: fa molto freddo perchè fa molto caldo), e a cui molti furbi incapaci di gestire il territorio hanno trovato modo di dare la colpa….e allora magari i nostri giovani fertili cominceranno a dare spazio a questi tarli nella loro testa e allora un pensierino si insinua: ” sai che ti dico? Al massimo mi prendo un cane; sto con la fidanzata/amica sul divano, mi ordino da mangiare con la solita App e così un poveretto in bici mi porta da mangiare, il tutto dopo aver valutato la sostenibilità della faccenda; perchè ci tengo al pianeta. Se poi bisogna farsi sentire comincio a sporcare qualche monumento.”

  3. Paolo

    Credo che manchi una considerazione, mi ha colpito il fatto che dal 2000 in poi il tasso di mortalità generale tenda ad aumentare e non credo che sia del tutto ascrivibile all ‘ invecchiamento della popolazione.
    Personalmente penso coincida con il disimpegno pubblico nei riguardi della sanità con conseguente riduzione degli investimenti, questo va ovviamente a peggiorare la salute della popolazione e tende ad aumentare la mortalità.
    L’ISTAT ovviamente come altre istituzioni tendono ad incolpare il clima che ormai è una facile scusa per non investire nella salute e nel sociale, il clima è ormai una scusa buona per tutto,d’altronde vengono portati i giovani in piazza a manifestare per esso e non contro il precariato ed i lavori sottopagati che attendono la maggior parte di essi.

  4. Mario

    Più che l’ossequio al politicamente corretto di cui consiglio di leggere gli articoli del sociologo Luca Ricolfi, esemplari per accuratezza e profondità, mi sembra il pronarsi alla logica della sostituzione delle energie fossili con l’avventurismo ecologico-catastrofista che porterà a nefaste conseguenze.
    All’ISTAT tengono famiglia come direbbe il buon Leo Longanesi che ci aveva descritto molto bene nei suoi pungenti scritti.

  5. Valter prinsep

    Ho preso i dati della tabella dei decessi 2022 ordinandoli per mortalità “giornaliera” ed evidenziando in verde le temperature medie basse rispetto a quella alte( in arancio). Nei primi sette mesi per mortalità solo uno è con temperatura media alta ed è anche il mese con quella più alta in assoluto. Come si f a dire che i decessi sono maggiori nei mesi caldi E in quelli freddi?

    Immagine allegata

  6. DonatoP

    Il carrozzone Istat per “essere alla moda” deve cavalcare i sentiment correnti: parità di genere e cambiamento climatico.
    Nulla di nuovo di cui rammaricarsi (ma non stupirsi).

  7. Ale69

    Buongiorno Prof. Pinna.
    Ha colpito molto anche me l’affermazione ISTAT che giustifica il numero di decessi associandola ai cambiamenti climatici ( che sempre ci son stati, ci sono e ci saranno, infatti io non nego percui non sono negazionista, semmai sono scettico). Trovo molto irreverente che ISTAT si sostituisca agli studi scientifici, al metodo scientifico, nonché al dubbio che richiama inesorabilmente l’attitudine e il bisogno di fare ricerca. Che gli statistici facessero gli statistici, come una sorta di segreteria tecnica, considerando tutti i fattori e le variabili del caso specifico sull’andamento dei decessi. La nota ISTAT mi sembra più un pronarsi al pensiero comune ma allo stesso tempo superficiale. Vero! Vero invece che durante la spagnola gli abitanti in Italia erano meno di ora, complice anche la grande guerra appena terminata, quindi matematicamente è inconcepibile relazionare in termini percentuali i due periodi, quello della spagnola e quello degli ultimi anni appena trascorsi, senza considerare giustamente che la popolazione italiana ora è più anziana di allora, quindi maggior probabilità di un numero di decessi ora rispetto allora, e siam circa 60 ml e non circa 45 ml come allora. Terzo, .. Nella mia testa ho sempre considerato Febbraio il mese più freddo, almeno, mi riferisco alle zone in cui vivo, l’est milanese. Grazie per l’articolo, molto chiaro e dannatamente logico. (-:

    ps. mi capita a volte di passare dal suo blog (-:
    Ale.

  8. Guido Botteri

    C’è qualche motivo per cui non mi pubblicate i commenti?
    Giusto per capire…

    • Guido è solo un ritardo nella moderazione 🙂
      GG

  9. Guido Botteri

    Alcuni anni fa Indur Goklany affermò che si moriva di più nei mesi freddi che nei mesi caldi.
    In un periodo di demonizzazione del caldo, la cosa mi sembrò interessante, ma prima di farla mia pensai di verificarla e andai a vedere la mortalità mensile nei Paesi della fascia temperata sia dell’emisfero settentrionale che di quello meridionale, visto che i mesi freddi sono diversi, e trovai una perfetta corrispondenza con quello che aveva scritto Goklany.
    Leggendo ora queste affermazioni che trovo fuorvianti sono andato a controllare proprio da loro se qualcosa fosse cambiato e ho verificato che tuttora si muore di più nei mesi freddi.
    Sono dati Istat per l’Italia (ma la tendenza è vera anche per altri Paesi, non è un fatto solo “italiano”) e proprio quei dati Istat confermano che si muore di più nei mesi freddi…. basta andare a leggerli. Qualche giorno fa l’ho pubblicato sulla mia pagina FB, mostrando due annate di esempio, ma la cosa vale per tutti gli anni; non ho ancora trovato (immagino che ci sarà, ma io non l’ho trovato) un anno in cui succeda qualcosa di opposto.

    Ora, trovo molto furbetto mettere assieme gli opposti per avere sempre ragione.
    Io ho sei modelli per indovinare il tiro di un dado, e non fallisco mai, almeno uno centra il risultato.

    Non metto dati, ma i dati sono quelli proprio dell’Istat e sono pubblici, andate a verificare, come ho fatto io.

    Sono convinto che una diminuzione della temperatura media globale del pianeta causerebbe molti più morti di un uguale aumento.

    Del resto ci sono molti più abitanti nella calda Nigeria o in India che nella fredda Siberia o in Canada.
    Se facciamo un confronto della popolazione per paralleli, chissà perché la popolazione preferisce il demonizzato caldo rispetto all’auspicato freddo. Dati alla mano, non credete a me, controllate.

  10. Luca Rocca

    Dati totalmente avulsi dalla realtà. Non si può calcolare la mortalità senza separare il tasso infantile dalla altre cause di morte. . Nel XIX secolo il rapporto fra mortalità infantile in confronto alle altre cause poteva aggirarsi su 2: 1 ora parliamo di tassi di mortalità intorno all’ 1 per mille. Altro dato che andrebbe analizzato è quello dell’ aspettativa di vita. Attualmente in Italia è di circa 80 anni il che significa che il maggior numero di bambini salvati negli anni 40-60 sta arrivando al limite di età. Quindi abbiamo un grafico che sul lato sinistro mostra la mortalità infantile e su quello destro quella senile. Anche il tasso di mortalità non è attendibile dato che fa una comparazione fra una popolazione con età media di 30 anni degli anni 60, con quella di circa 60 degli anni 2000
    Ragionando (per assurdo) secondo la loro logica e estendendo l’analisi a tutta la scala temporale posso dimostrare che la mortalità era molto più alta quando faceva più freddo fra la fine dell’ ottocento ed i primi del novecento con un picco negli anni 40-45 uno dei periodi più freddi del XX secolo e casualmente coincidenti con la seconda guerra mondiale

    Immagine allegata

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