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La Cellula di Hadley e il Riscaldamento Globale

Fonte Hadley Centre

In un commento a questa discussione, l’amico di CM Alessio afferma: “…ignorando il fatto che un rinforzo della parte ascendente della cellula di Hadley, tra le altre cose, aumenta il rilascio di calore latente riscaldando l’atmosfera invece che raffreddandola…”

Il fatto è tecnicamente corretto ma, allo stesso tempo, è sostanzialmente incompleto.

La cellula di Hadley è un elemento passivo della circolazione generale dell’atmosfera che viene fuori, mediando nel tempo, dal motore vero della circolazione stessa: la convezione equatoriale, scatenata dal riscaldamento differenziale dell’oceano tropicale. L’eccesso d’energia che il Sole regala lungo una stretta banda di latitudine (intorno all’Equatore, a meno di oscillazioni stagionali e vincoli geografici) è trasportato verso l’alta troposfera, al di fuori della cappa di gas serra, dove può così essere espulso per via radiativa verso lo spazio siderale. Tutta quest’aria che si muove verso l’alto attraverso le torri convettive deve tornare verso il basso da qualche parte, chiudendo il circolo. Al di là della circolazione locale di ogni singolo cumulonembo, ecco dunque che la chiusura del circuito descrive quella che è definita la cellula di Hadley ed è rappresentata, dalla parte discendente della fascia subtropicale di alte pressioni e aria secca. La parte ascendente della cellula di Hadley, dunque, non esiste in maniera indipendente rispetto alle altre sue parti: se una certa quantità d’aria è andata su, una quantità uguale deve tornare giù.

Che succede allora se si rinforza, per un qualche motivo, la parte ascendete del circuito? Che l’aria negli strati superficiali dell’atmosfera dovrà accelerare per colmare il vuoto; aumenta, cioè, la velocità del vento che scorre sull’oceano e quindi aumenta la cessione di calore latente dal mare, raffreddandolo. Questo vuol dire che l’intensità della cellula di Hadley (tutta) è proporzionale all’attività di raffreddamento della superficie terrestre; se da una parte riscalda l’alta troposfera, dall’altra raffredda la superficie. E’ quello che fa da sempre e farà per sempre (in maniera passiva, per carità). Scaldare in alto e raffreddare in basso è il modo efficiente con cui il sistema climatico permette la dispersione verso lo spazio dell’energia arrivata dal Sole. Questo è il grande condizionatore del pianeta che, grazie all’acqua, mette in contatto la calda superficie dell’oceano col freddo universo.

E non è finita qui. Se anche la parte discendente si rafforza, come deve essere, l’espansione della zona secca di subsidenza permette una migliore dispersione dell’energia per via radiativa, cioè un maggiore raffreddamento. Inoltre si rinforza anche la grande inversione termica esistente sugli oceani tropicali, che si manifesta con quelle vaste coperture di stratocumuli che riflettono indietro tanta radiazione solare. Con questo non voglio dire che le cose vadano di certo così, ma che la macchina è molto complessa e che non si può mai estrapolare un singolo elemento da un sistema cosi complesso ed interindipendente e trarne delle conclusioni.

A margine di questo discorso, si può capire perché quelle variazioni nel Pacifico che vanno sotto il nome di El Nino Southern Oscillation (ENSO) hanno così profonde ripercussioni sulla circolazione globale. Se è vero che l’aria dovrebbe sollevarsi lungo la fascia equatoriale per via della maggiore energia solare che vi giunge, vi sono dei disturbi fisici che fanno sì che ciò avvenga in maniera preminente su una certa zona. Questo disturbo è rappresentato dal continente marittimo, quell’insieme di grandi isole e alte montagne tra l’Asia sud-orientale e l’Australia. Se accade qualcosa che modifica la risalita di aria in quella zona o la sposta, vuol dire che le zone di subsidenza e la corrente a getto subtropicale, che è diretta conseguenza di quella risalita, subiranno una profonda modifica allo stesso tempo, sconvolgendo la circolazione globale. In contemporanea, oltre alla parte di modifica puramente dinamica, si aggiunge la componente termica dovuta all’estensione (o contrazione) della superficie d’oceano con alte temperature dell’acqua. A parità di contenuto in calore del sistema climatico, se aumenta la superficie attraverso cui l’energia accumulata dall’oceano può sfuggire in atmosfera, questa si scalda e, molto importante, l’oceano si raffredda.

Da qualunque direzione si guardi, ad ogni modifica del sistema, lo stesso reagisce in maniera contraria in modo da tornare alla situazione precedente. Eppure qualcuno è convinto che la Terra sia dominata dai feedback positivi. D’altra parte si affida agli attuali modelli climatici!

Forse uno di questi modelli ha anche prefigurato un mondo futuro dominato da uno stato semi-permanente di El Nino nella sua fase calda (o negativa). Se qualcuno vi dicesse che sarà così, voi rispondete tranquillamente che è vero, a patto che si affondi l’Indonesia!

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Published inAttualitàClimatologiaNews

5 Comments

  1. Alessio

    Beh, grazie della citazione 🙂 Ben lungi dal voler banalizzare, il mio era un commento sulle, quelle si, semplificazioni che si potevano leggere tra le righe nelle parole di Erl Happ.
    Ad integrazione del pezzo di Paolo si puo’ aggiungere che molto interessanti appaiono le correlazioni tra la variabilita’ della cella di Hadley e la circolazione meridionale media delle medie ed alte latitudini. Particolarmente piacevole (lo suggerivo nell’altro post, ma lo riporto qui che’ pertinente) e’ la review di Salby (ed il lavoro Salby&Callaghan doi:10.1016/j.dynatmoce.2006.11.002) sulle correlazioni diverse variabili tra zone tropicali e polari sul piano meridiano. In particolare, un aumento pari ad una deviazione standard nella divergenza a 200hPa in zona equatoriale (in inverno boreale) (proxy per la forza della parte superiore del ramo ascendente della cella) mostra una diretta correlazione con un calo tella temperatura nella bassa stratosfera equatoriale ed un aumento nella troposfera equatoriale. Tuttavia ben visibile e’ anche l’aumento della temperatura della bassa stratosfera nord-polare, cosa che suggerisce la connessione con la circolazione di Brewer-Dobson, e, giocoforza, il calo dell’intensita’ del vortice polare. L’analisi prende solo in considerazione il punto di vista della media zonale delle variabili in gioco e mostra le correlazioni ma solo suggerisce possibili connessioni causali (le ipotesi sono ancora aperte, anche se l’idea della modifica delle guide d’onda per le onde planetarie sembra la piu’ plausibile).
    Un aumento della temperatura nella bassa stratosfera equatoriale (qualunque ne sia la causa: heating rate anomalo per presenza di aerosol vulcanici, ciclo solare, ecc..), per contro, porta ad un aumento della stabilita’ statica nell’alta troposfera equatoriale (che puo’ essere visto, forse un po’ semplicisticamente, come un abbassamento della tropopausa tropicale) che sembra direttamente connesso con una modifica della parte ascendente della cella di Hadley: non si parla di generale indebolimento della cella, quanto di una sorta di “biforcazione” della parte ascendente con indebolimento nell’emisfro estivo e leggero incremento appena a nord dell’equatore. La parte interessante e’ un netto calo del ramo discendente nell’emisfero invernale (attorno 30N), con conseguente diminuzione del riscaldamento adiabatico, ed il netto calo della temperatura nella bassa stratosfera-alta troposfera polare con rafforzamento del vortice polare. La “cella” di Ferrel mostra di reagire coerentemente indebolendosi e in particolare indebolendo la sua “parte ascendente” (ovviamente non stiamo parlando di una cella diretta come quella di Hadley) mostrando una netto segnale di riscaldamento adiabatico nella media latitudini.
    Concordo con te: maledettamente complicato il sistema. Un appunto andrebbe fatto anche a chi lo semplifica in teorie come quella di Happ: ok fare le pulci al rapporto IPCC, ma si discuta criticamente anche certi altri lavori.

    Il modellame vario mostra, non sono il primo a dirlo e nessuno lo nasconde, difficolta’ nel riprodurre la variabilita’ associata a queste connessioni: e’ ambito di ricerca e, a parer mio, e’ interessante capire dove e perche’ falliscono. Paolo: il sistema puo’ reagire sotto l’effetto di un forcing costante rilassandosi in uno stato differente da quello precedente al forcing. Un piccolo esempio: dopo eruzioni vulcaniche esplosive tipo quella del M. Agung (1963), M. El Chichon (1982) e Pinatubo (1991) per i 2 inverni successivi all’evento il sistema ha mostrato di reagire al forcing costante degli aerosol iniettati in stratosfera proponendo uno stato simile ad una AO+, con uno shift verso nord delle storm tracks nell’emisfero N e rafforzamento del vortice polare (c’e’ una caterva di studi in proposito, ma propongo uno sulla statistica degli eventi http://ams.allenpress.com/perlserv/?request=get-abstract&doi=10.1175%2F2007JCLI1657.1).

    Perche’? Quali sono stati i meccanismi che hanno spostato la variabilita’ dell’inverno boreale verso una probabilita’ maggiore di uno stato invece che di un altro? E’ anche utilizzando i modelli che falliscono che si risponde a queste domande e chi li usa quei modelli non mi pare sia convinto di nulla ma aperto a differenti ipotesi.

    • Tore Cocco

      Gentile sig. Alessio, in verità tutto cio che afferma per quanto complesso possa apparire è addirittura ovvio. Se consideriamo la situazione nel complesso, ricordandoci che il sistema atmosferico o meglio le masse d’aria che fluiscono trasportano due quantità, il calore ed il momento angolare, e ricordandici inoltre che le due quantità seppur legate dalla massa d’aria hanno cause fisiche da bilanciare assolutamente distinte, tutto diventa piu chiaro. Spesso si dimentica di parlare del momento angolare, ma ecco che se lo riprendiamo in considerazione ci accorgiamo che ad una variazione della temperatura superficiale equatoriale corrisponde una variazione della velocità di movimento di una massa d’aria e della sua densità media, non potendo queste variabili compensarsi vicendevolmente alla perfezione (la densità dipende molto dall’evaporazione superficiale) si verifica una variazione del punto di chiusura della cella di Hadley, e con essa, con reazione a catena deve riconfigurarsi tutta la circolazione emisferica a tutte le quote; ma siccome lo scopo della macchina termica atmosferica rimane quello di ridistribuire il calore equatore-polo (il momento angolare è solo un “fastidio” che deve essere superato), per garantire la stessa (IDENTICA!!) efficienza alla macchina termica al variare dei flussi di momento angolare, l’atmosfera cambia i modi di configurazione cui lei ha accennato e che noi sperimentiamo sulla nostra pelle come stagioni piu calde o fresche o perturbate etc… ma in fin dei conti tutto ciò, se guardiamo la struttura nel suo complesso, non solo è ovvio ma anche obbligatorio che accada dal punto di vista fisico.

    • Il messaggio di questa discussione e dei commenti è che il sistema è maledettamente complicato ed interconnesso.
      E’ vero che i modelli numerici sono uno strumento importante per cercare di comprendere la complessità ma, al di là delle incertezze, ad oggi tali simulazioni hanno mostrato un’abilità nulla nel prevedere eventi a breve. Se ad esempio si guarda alla previsioni multi-stagionali, i successi sono non differenti da quelli che si avrebbero se si gettasse un dado (in effetti credo che il più delle volte le previsioni stagionali siano proprio fuorvianti, ma non ditelo in giro).
      La verità è, a mio parere, che ancora non abbiamo capito abbastanza e siamo ad un livello di pura ricerca. I tentativi di fare previsioni stagionali o decennali sono delle fughe in avanti che si vendono come buone a chi non ne capisce niente (i policy makers).
      Con questo non voglio dire che non si riesca a fare una previsione di flussi atmosferici a larga scala oltre i 5 giorni. Ci sono dei casi in cui i segnali sono abbastanza forti (El Nino, riscaldamento stratosferico) che possono indurre ad un certo successo; se prima, però, questa segnali non si manifestano, noi siamo nel buio più completo.

    • Tore Cocco

      Caro Paolo, non essere cosi severo, i modelli nelle previsioni multi-stagionali non danno previsioni affatto inutili, da un punto di vista meramente probabilistico, possiamo affermare con certezza quasi assoluta che tra tutti gli scenari realizzabili è praticamente impossibile che quelli venuti fuori dai modelli si avverino…e ti pare poco? è gia un passo avanti no?

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