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Poteva Mancare il Working Group III?

E’ un mega documento di più di 3000 pagine, fitto di numeri, calcoli, tabelle, grafici incomprensibili e grafici impressionanti, tutti intervallati da moniti e anatemi sul futuro segnato del clima. E’ il rapporto che l’IPCC ha pubblicato nel 2007. Consta di tre volumi, redatti da tre gruppi di lavoro diversi. Il primo fornisce le basi scientifiche, il secondo gli impatti ed il terzo suggerisce le azioni di mitigazione.

Negli ultimi mesi, con l’esplosione delclimategate, abbiamo scoperto che le basi scientifiche sono state costruite con un atteggiamento a dir poco disinvolto dei ricercatori del WGI. Non è detto che questo debba risultare in un cambiamento degli assunti cui sono giunti, l’inchiesta della commissione parlamentare inglese è appena iniziata, ma, di sicuro, non ci hanno fatto un gran figura.

Poi, sull’onda dell’insuccesso di CO2penhagen quando i leader di tutto il mondo hanno tirato un sospiro di sollievo nell’apprendere che potevano ritirare il loro appoggio al movimento dell’AGW senza essere necessariamente additati come distruttori dell’umanità, come accaduto a qualche ex-leader che secondo me ora se la ride di gusto, i media hanno rispolverato il giornalismo investigativo, si sono tuffati nelle famose migliaia di pagine e sono arrivati i dolori di pancia per il WGII. Fonti ideologicamente schierate, errori marchiani, omissioni a dir poco sospette, tutti fattori che hanno spinto nella direzione di una sistematica sovrastima degli impatti del cambiamento climatico.

Molti di voi avranno sentito parlare del principio di precauzione. Al di là del fatto che si tratta di un principio politico e non scientifico, per molto aspetti anche superato, è innegabile che “passare all’azione” ci hanno sempre detto che avrebbe avuto comunque dei benefici, a prescindere dalla possibilità che l’impatto delle attività umane sull’evoluzione del clima sia o meno così devastante. Chi ce lo ha detto? Il WGIII, quello che si occupa appunto delle politiche di mitigazione. Logico pensare che almeno su questo si sia cercato di raccogliere il meglio del meglio e, soprattutto, si sia fatto ricorso a letteratura già sdoganata dalla comunità scientifica.

Neanche per idea. Vi presento Richard Tol, famoso economista contributor dell’IPCC. A suo dire il materiale a supporto del terzo volume del 4AR è per una parte molto esigua letteratura peer reviewed, mentre il resto si divide tra autocitazioni degli autori dei capitoli, citazioni di altri lavori dell’IPCC e varie altre fonti non meglio specificate (qui e qui). Qualche esempio è doveroso. Nel discutere diversi modelli di riduzione delle emissioni in questa pagina, ci sono nel terzo paragrafo tre riferimenti bibliografici, nessuno di questi è stato sottoposto a revisione. Nell’intera pagina i lavori citati sono ben sette, uno solo risulta essere stato pubblicato su una rivista scientifica. Un altro argomento topico è senza dubbio quello dell’impatto della politica di riduzione delle emissioni sui posti di lavoro. Quasi tutti i provvedimenti legislativi in materia sono di fatto venduti come booster occupazionali, leggere il Climate Bill americano per credere. Bene, nell’affrontare questo tema vengono citate sei pubblicazioni, di cui una sola risulta essere peer reviewed.

Una delle cose che abbiamo sentito ripetere fino alla noia dal 2007 ad oggi, è che il lavoro dell’IPCC raccoglie il meglio della ricerca scientifica in fatto di clima, ossia di tutto il materiale prodotto dai ricercatori, sottoposto a revisione paritaria e pubblicato su riviste specializzate. Tutto ciò che non rientra in questa logica non può essere preso in considerazione. Di qui l’esigenza di mettere le mani anche sul processo di peer review, come si è letto tra le famose mail del climategate, ma questa è un altra storia. Il punto è che alla faccenda del materiale tutto peer reviewed, dei 2500 scienziati etc etc, ci hanno praticamente creduto tutti. Questo è quanto il presidente del panel dichiarava dalle pagine di un documento dell’EPA:

Niente da obbiettare, quella che viene normalmente definita gray literature, ovvero rapporti di associazioni, di governi, di organizzazioni governative e non, o qualunque altra provenienza abbia, è letteratura che molto più facilmente può essere soggetta a condizionamento ideologico, politico, lobbystico e quant’altro, non è detto che non sia buona, ma il rischio che pecchi di scarsa obbiettività è piuttosto alto. Bene, in tutta evidenza all’insaputa del suo presidente, il panel ha redatto un rapporto letteralmente infarcito di gray literature. Tutta dello stesso segno, tutta per rafforzare le basi scientifiche, amplificare gli impatti e sottostimare gli aspetti negativi delle politiche di mitigazione. Una enorme operazione di condizionamento dell’opinione pubblica e dei suoi rappresentanti, complimenti.

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Published inAttualitàNews

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