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Politica del clima, una terza via improntata alla razionalità

Un dibattito sul clima e sulle politiche del clima dovrebbe oggi essere orientato al fatto che fra catastrofismo e negazionismo esiste una terza via che si potrebbe definire illuministica poiché si ispira al portato degli illuministi italiani dell’800 (Gioia, Cattaneo) o, se si preferisce, al Voltaire di Candido.

In sostanza in ambito climatico prendere atto della realtà con misure quantitative dovrebbe essere oggi la sola base per decisioni politiche razionali. E’ rispetto ad un tale ambizioso obiettivo che le sterili polemiche fra “tifosi” dell’”andiamo tutti arrosto” (i catastrofisti) e tifosi del “non sta accadendo nulla” (i negazionisti) ci distolgono in modo irreparabile.

Alcuni elementi pratici:

  • in passato la civiltà è andata periodicamente in crisi (carestie, morti per fame) per il freddo o per la siccità, mai per il caldo
  • nel 2050 saremo 9.5 miliardi sul pianeta; per dar da mangiare a tutti occorrerà tanto cibo, il che comporterà la disponibilità di moltissima acqua per irrigare le colture; pertanto il problema chiave è quello delle risorse idriche
  • se c’è l’acqua anche le alte temperature non spaventano (ed anzi possono rivelarsi come un sistema per produrre di più, ovviamente facendo scelte oculate di specie e varietà coltivate)
  • d’altro canto la CO2 è un alimento per i vegetali (più CO2 c’è e più producono cibo)
  • il cosiddetto riscaldamento globale è globale per modo di dire in quanto interessa le latitudini medio-alte, mentre le fasce intertropicali manifestano una confortante stazionarietà termica
  • il 50% della popolazione mondiale vive in aree urbane e soffre degli effetti dell’Isola di Calore Urbano (UHI), molto più potenti di quelli del riscaldamento globale. Chi sta oggi ragionando di politiche urbanistiche serie per combattere l’UHI?
  • dal 1973 al 2008 gli abitanti del pianeta al disotto della soglia di sufficienza alimentare sono passati dal 35% al 15%
  • Le serie 1983-2008 di NDVI per le grandi aree a rischio di desertificazione indicano che deserti non solo non avanzano ma arretrano; nel frattempo la superficie a bosco in Italia sta inesorabilmente aumentando (dal 1910 ad oggi è passata da 4.5 a 7 milioni di ettari con una crescita del 60%)
  • Le temperature globali sono ferme dal 1998.

Quanto sopra riportato delinea una visione chiaroscurale e ci dice che stanno accadendo fatti importantissimi e non tutti negativi, dalla cui valutazione siamo tuttavia distolti in continuazione da dibattiti miseri e di scarsa portata strategica di cui sono pieni i nostri mezzi di comunicazione.

Per inciso da un dibattito più rispettoso della realtà ci distoglie oggi anche la continua riproposizione del binomio clima-energia. Politiche energetiche sagge (diversificare le fonti, favorire la disponibilità di energia per i PVS) si dovrebbero poter fare indipendentemente da come va il clima.

Quali governanti fanno oggi discorsi di questo tipo? Il sistema (ce lo confermano le dichiarazioni sui temi del clima che periodicamente ci dispensano il Segretario Generale ONU e il Presidente della Commissione Europea) pare oggi sempre più orientato ad utilizzare le minacce di catastrofe per far prendere alle popolazioni decisioni che nessuno altrimenti prenderebbe. Si avvera così l’amara profezia del libro “Stato di Paura” di Michael Crichton.

Tuttavia oggi il livello culturale raggiunto dalla popolazione mondiale è tale che risulta a nostro avviso  possibile mettere i cittadini di fronte ai dati di fatto sopraelencati, in modo che si facciano le scelte più razionali per il nostro futuro. E’ questo che a mio avviso manca oggi alla “politica del clima” attuale,  una politica che non guarda ai dati di fatto per prendere le proprie decisioni e che pertanto non ama certo circondarsi di una  scienza che abbia una attenzione particolare ai dati di fatto ma viceversa tende a prediligere una scienza che parla tramite modelli, tenendo in scarso conto l’osservazione della realtà. E vale qui la pena di ricordare che è proprio sull’osservazione della realtà che Galileo Galilei, che tutti a parole mostrano di apprezzare, fondò la quella nuova scienza che è, o dovrebbe essere, anche la nostra scienza.

Vorrei a questo punto elencare alcune conseguenze operative che derivano dalle suddette considerazioni:

  1. occorrerebbe un nuovo modo di fare politica, attento ai fatti e che eviti il più possibile gli slogan
  2. occorrerebbe un nuovo modo di fare giornalismo, che presenti dati e fatti in modo il più possibile oggettivo
  3. occorrerebbe un nuovo modo di fare scienza, basata sull’equilibrio fra misure e modelli

Più rifletto su queste cose e più sento che mi manca Karl Popper, mi mancano le sue riflessioni ed il suo pragmatismo. La mia proposta finale è dunque quella di ripartire da Popper.

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Published inAttualitàNews

10 Comments

  1. Luigi Mariani

    Caro Pagano, non so cosa risponderle….nel senso che ognuno di noi ha esperienza di disfunzioni più o meno grandi; nel nostro Paese ci sono tante case che potrebbero ospitare 100 milioni di persone e forse più e non oso pensare a quante di queste sono state edificate abusivamente, magari in zone soggette a rischio idrogeologico.

    L’altra sera ospite di amici in Calabria guardavamo una piana costiera (terra buona, una volta) ormai del tutto edificata; i miei ospiti mi dicevano che tutti quegli edifici (seconde case, a occhio e croce migliaia di villette), erano stati edificati abusivamente.

    Possibile che molte delle persone che si incontri per strada abbiano sulla coscienza operazioni di questo genere? In che razza di Paese ci è dato di vivere? E che fare per non farsi cadere le braccia? E soprattutto che eredità culturale lasciamo alle future generazioni, anche perché questo distorto sistema di valori si trasmette con estrema facilità ai giovani.

    In particolare mi preoccupa il fatto che l’Italia ospiti oggi il 50% del patrimonio artistico e culturale mondiale e, per gestire un tale patrimonio, sarebbe necessario un livello culturale alto, che andrebbe costruito nelle nuove generazioni.

    Difficile comunque pensare che qualcuno si prenda la briga di intervenire su queste situazioni in modo deciso per via legislativa, anche perché gli abusivi e gli evasori votano….

  2. max pagano

    stavolta non riesco ad essere in disaccordo con nessuno, diciamo che mi sento un po’ più vicino alla posizione pessimista di Paolo, ma tant’è….

    sulla gestione del territorio nel suo complesso, visto che se ne è parlato, beh, c’è solo da mettersi le mani nei capelli, ricordo solo che nell’inverno 2002 (o 2003), mezza Italia centrale era semialluvionata da piogge abbondantissime e costanti, e che mentre i TG facevano vedere quotidianamente immagini di straripamenti e campi alluvionati, i sindaci di una zona dell’alto Lazio, nel reatino e nella Sabina, spinsero per ottenere una deroga alla legge sul vincolo edificatorio del limite di 150 metri dalle sponde fluviali…. quando il cattivo esempio viene dall’alto, la soluzione dov’è?

    non credo che il catastrofismo possa essere utile alla sensibilizzazione della gente, anche perché nel momento in cui si dovesse dimostrare che le teorie “da fine del mondo” sono solo fantasie, tutto il mondo scientifico nel suo complesso perderebbe credibilità…..
    forse, però, data la pigrizia e l’incoscienza culturale ormai imperante nel nostro paese, ci vorrebbero in alcuni casi delle “forzature legislative” (vedi puntata di ieri sera di “Presa Diretta”, come ha fatto la Norvegia a portare al 40% la presenza femminile nei consigli di amministrazione di tutte le aziende quotate in borsa)…..è un dato di fatto che nella nostra legislazione i reati ambientali sono trattati alla stregua di marachelle o poco più…..

  3. Luigi Mariani

    Caro Paolo,

    ti ringrazio per le tue riflessioni con cui provo a confrontarmi ad iniziare dal tema dei grandi errori e delle grandi catastrofi (eventi di macroscala che segnano in modo indelebile un’intera generazione e fette consistenti dell’umanità). Circa tali eventi il rischio è che alla fine da essi si impari poco o nulla, nel senso che la ferita che ne deriva fa regredire una società in modo permanente.

    Ad esempio la lezione della seconda guerra mondiale ha segnato un decisivo progresso per l’occidente ma ha congelato i Paesi dell’est in “paradisi del proletariato” che hanno fatto loro perdere il treno dello sviluppo, con danni economici, sociali e culturali che persistono tutt’oggi e si protrarranno per chissà quanto in futuro (penso ad es. ai Paesi del Caucaso).

    La conclusione è secondo me che la cosa più saggia consista nel migliorare con gradualità i sistemi socio economici garantendo progresso stabile e duraturo (fantastoria: quanto progresso in più per l’umanità se nazismo fascismo e comunismo non avessero distrutto le democrazie borghesi che pur piene di difetti erano presenti in Russia, in Italia e in Germania prima della Grande Guerra….).

    Circa poi il tuo dubbio finale “Non è che in fondo, conoscendo come è fatta l’umanità, prefigurare gli scenari più disastrosi serve poi in effetti a far fare dei passi in avanti che altrimenti chissà quando sarebbero venuti? Non è un modo per superare i nostri limiti naturali, di semplice specie umana?” si tratta di un dubbio che penso colga tutti noi quando vediamo che le cose non progrediscono come vorremmo.

    Tuttavia credo che sia comunque sbagliato paventare catastrofi per tre ordini di motivi:
    1. perché con la menzogna non si costruisce nulla di stabile e duraturo
    2. perché spesso chi paventa catastrofi non lo fa per scopi filantropici
    3. perché se si paventano catastrofi inesistenti (o si enfatizzano problemi di secondaria entità) si altera l’ordine delle priorità nel risolvere i problemi più importanti, con gravi danni per la collettività nel suo complesso.

    Su questo tema e con specifico riferimento al GW ricordo le interessanti riflessioni di Christy e di Roger Pielke junior. Quest’ultimo in un suo lavoro recente analizzava l’opportunità di considerare o meno il GW come elemento trainante per le politiche economiche dei prossimi anni.

    Infine, alla luce di quanto sopra detto, segnalo che le catastrofi di “mesoscala” (Soverato, alluvione del Piemonte, ecc.) costituiscono per tutti noi un’occasione persa per esercitare il gradualismo. Sono convinto che i non interventi di oggi li pagheremo cari in futuro.

    Luigi

  4. Vorrei aggiungere al dibattito un po’ di pessimismo.

    Prendendo lo spunto dai fiumi lombardi che allagano la grande Milano.

    Il problema è risaputo da decenni eppure, nonostante i disagi, mi pare che non si sia fatto niente.
    Lo stesso dicasi per Atrani.

    Ci sono dei disastri che da parte di molti sono ritenuti “tollerabili” dalla collettività e che, quindi, se riguardano pochi, la soluzione possa essere procrastinata.

    Di solito sono soltanto degli eventi di rottura che portano a sensibili progressi culturali: la seconda guerra mondiale, l’alluvione del Piemonte del ’94 o quella di Soverato.

    E ciò non è neanche garantito, né è garantito che, col passaggio della generazione vittima, non si possa ripetere l’errore nel futuro distante.
    E’ vero che il progresso tecnologico ha dato una grande mano all’umanità, ma il progresso culturale è un’altra cosa.

    In ogni caso sono convinto che bisogna passare dall’assistenza post-fatto al premio per il buon operato preventivo di chi si prende la responsabilità per il territorio.

    La cosa non è facile anche perché certi eventi sono rari e quindi il sistema sarà messo alla prova chissà quando. Inoltre, che si fa con quelle comunità che mal si sono gestite. Le si abbandona al loro destino o si dà un salvatore calato dall’alto?

    Per riallarciarmi al tema del post.
    Non è che in fondo, conoscendo come è fatta l’umanità, prefigurare gli scenari più disastrosi serve poi in effetti a far fare dei passi in avanti che altrimenti chissà quando sarebbero venuti?
    Non è un modo per superare i nostri limiti naturali, di semplice specie umana?

  5. Luigi Mariani

    Cari Fabio e Guido,
    sono contento perché siamo d’accordo sul piano dell’analisi.

    Aggiungo che, se una “rigenerazione culturale” è oggi più che mai necessaria, la stessa non si possa ottenere senza punti di riferimento culturali forti. In ciò la ragione del mio richiamo a Popper, nei cui scritti si trovano idee di grande rilievo ed in particolare:

    1. che nella scienza come nella politica siano vincenti l’approccio empirico ai problemi ed il confronto critico fra posizioni diverse, senza scomuniche reciproche

    2. che il sistema democratico si è in genere rivelato superiore a qualunque altro sistema perché è in grado di apprendere dai propri errori e di correggerli in modo graduale, evitando che i problemi divengano troppo grandi

    3. che una perenne minaccia per i sistemi democratici è rappresentata dalle utopie totalizzanti che sono foriere di grandi sciagure (basta guardare al 20° secolo per averne un campionario molto ampio). Gli utopisti sorvolano le critiche, anche quelle ragionevoli, e non si curano di correggere con gradualità gli errori compiuti e ciò accade per si propongono un fine superiore. Qui il pensiero va a quanti oggi pensano che per “salvare il pianeta” si possano usare molti mezzi, compresa la calunnia o l’ostracismo nei confronti di chi esprime idee diverse (è quanto emerge dalla famosa vicenda delle e_mail rubate).

    Aldilà del richiamo a Popper è comunque cruciale a mio giudizio il problema dei riferimenti culturali per l’agire politico, giudiziario , giornalistico, scientifico, imprenditoriale, ecc. E per avere riferimenti culturali è necessario da un lato disporre di esempi (maestri, testimoni) e dall’altro avere cultura, cultura che non si acquisisce senza sacrifico (una parola, “sacrifico”, che insieme con “dovere” e “impegno” è sempre meno di moda).

    Luigi

    PS: sul tema del dissesto idrogeologico il caso Milano è emblematico. Milano è la città in cui ho la ventura di abitare da anni e che sotto una patina di efficientismo nasconde un atteggiamento pasticcione nell’affrontare i problemi, per di più condito da una fastidiosa dose di presunzione.
    Il problema della regolazione dei fiumi che da nord raggiungono la città (Lambro, Seveso, ecc.) è aperto da decenni e nessuno s’è mai sognato di affrontarlo in modo sistematico. Pertanto quanto accaduto nei giorni scorsi (allagamento del metro, ecc.) non può a mio avviso esser fatto rientrare fra le calamità imprevedibili.

  6. Fabio Spina

    Caro Luigi, condiviso parola per parola quel che scrivi, però sono fatti reali anche che:
    1. l’attuale politica è attenta quasi esclusivamente ai sondaggi di ciò che le persone vogliono sentirsi farsi dire;
    2. il giornalismo d’indagine o informazione è quasi scomparso (appaiono così solo striscia la notizia e le iene), per lo più è “commerciale”, si seguono solo le problematiche d’interesse per l’economia, pubblicità e politica…sempre più spesso in modo fazioso e orgogliosamente dichiarato (basta ricordare Mieli con il Corsera prima delle elezioni, La Repubblica, Il Giornale, Libero, etc. etc.)
    3. la scienza per avere fondi è costretta a seguire solo ciò che piace a chi la finanzia.
    Questo è un problema più ampio della sola, seppur importante, politica del clima, riguarda molti aspetti della società attuale. Questo è un sistema in cui i ruoli si sono confusi, siamo assuefatti al fatto che si sovrappongono e scambiano continuamente, dove la “morale del principe” è ormai anche quella di molti “non principi” (fortunatamente non tutti, anzi credo che la maggioranza delle persone sia eccellente ma disgregata e demoralizzata a tal punto da preferire di non “impicciarsi”). Non credo che manchi Popper, manca una “rigenerazione culturale” del Paese e che tutte le persone serie s’impegnino, ognuna nel proprio campo, per evitare che con comandino quasi ovunque gli “yes man” del potente di turno che di volta in volta sono o giornalisti o politici o scienziati (o magistrati o ambientalisti o veline o intellettuale o artista o architetto o….) al solo scopo di portare avanti degli interessi di una parte e non del Paese. Facile a dirsi e molto difficile da farsi.

  7. Luigi Mariani

    Francamente mi interessa relativamente poco la conta dei favorevoli e dei contrari all’ipotesi AGW.
    Quello cui mi interesserebbe è che si potesse giungere è un sistema libero da preconcetti di natura ideologia e in cui sia i sostenitori sia i detrattori della teoria AGW (perchè il confronto fra teorie è fisiologico nel modo scientifico) potessero confrontarsi su dati e non su slogan, producendo informazioni utili all’opinione pubblica e a coloro che devono assumere decisioni.
    L’illuminismo nella sua forma più alta (penso a Gioia e Cattaneo) indicava un approccio ai problemi basato sul mettere da parte i preconcetti, leggere i dati in modo oggettivo e su tale base prendere decisioni.
    E’ questo un concetto molto generale: giocare sull’emotività della gente (come spesso accade nelle vicende legate al clima) porta spesso a decisioni avventate e a volte sciagurate. Quanta dell’attività legislativa in atto non solo a livello italiano ma comunitario viene oggi “forzata” dall’emotività del momento, che può peraltro essere abilmente manovrata da gruppi d’interesse che usano in modo spregiudicato i media e la stessa politica?
    Penso non solo al referendum sul nucleare ma anche alle leggi sula violenza, sull’immigrazione, sulla tutela del territorio, ecc.
    In proposito faccio due esempi pratici: il rischio del dissesto idrigeologico non è in Italia oggetto di attenzione costante ma lo diviene solo a valle di emergenze con molte perdite di vite umane. Le emergenze portano molto denaro da spendere con rapidità e senza troppi controlli. Quando poi le emergenze si sono concluse ognuno torna a fare le porcate di sempre.
    Altro esempio pratico vicino ai nostri dibattiti sul clima: a valle del report Ipcc 2007 ricordo un’intervista ad un giornale radio nazionale in cui un illustre fisico che aveva partecipato alla stesura di quel report sosteneva che i modelli indicavano che nell’area del Mediterraneo in futuro sarebbe piovuto sempre meno e dunque bisognava prepararsi. Un’indicazione di questo tipo rischia di sconvolgere le priorità nel senso che un governo saggio dovrebbe attivare enormi investimenti nel settore dei bacini idrici. Tuttavia è a tutti noto che la precipitazione è una variabile la cui prevedibilità è estremamente bassa e dunque se io fossi un governante mi guarderei bene dall’assumere decisioni di questo tipo senza considerare i dati osservativi (le serie storiche di precipitazione, evapotraspirazione e bilancio idrico).
    Insomma: la scienza dovrebbe smetterla di fare da “mosca cocchiera” a interessi molto più grandi di lei e aiutare veramente chi ne ha bisogno a leggere in modo razionale i dati osservativi e da modelli.
    Oggi il livello culturale della popolazione è tale che si può a mio avviso coinvolgere la gente nei dibattiti, che è esattamente l’opposto rispetto all’idea sciagurata secondo cui solo facendo prendere tanta paura ai nostri concittadini è possibile far loro appoggiare decisioni che in condizioni normali non si sognerebbero mai di appoggiare (filosofia che, lo ricordo, nel mondo del’AGW ha avuto la propria enunciazione nel discorso sugli “scary scenarios” di Schneider).

    • Guido Botteri

      dici [ il rischio del dissesto idrigeologico non è in Italia oggetto di attenzione costante ma lo diviene solo a valle di emergenze con molte perdite di vite umane. Le emergenze portano molto denaro da spendere con rapidità e senza troppi controlli. Quando poi le emergenze si sono concluse ognuno torna a fare le porcate di sempre. ]
      Proprio in questi giorni lamentavo, in un discorso tra amici, la stessa cosa, e lamentavo che una buona amministrazione dovrebbe fare buona manutenzione preventiva, invece di bussar a soldi a tragedia avvenuta e morti da seppellire.
      Ma le opere di manutenzione preventiva non sono visibili quanto una “bella” (cioè maledetta, tragica, sciagurata) catastrofe, che invece porta soldi facili e veloci.
      E allora ?
      Allora io farei come per i medici dell’imperatore della Cina, che venivano pagati quando sua eccellenza stava bene, e non venivano invece pagati quando stava male.
      Quando c’è una catastrofe dovrebbe dunque esserci un’inchiesta che stabilisca se si erano fatte precedentemente tutte le manutenzioni razionalmente prevedibili, se si era fatto quanto necessario per evitare l’insorgere di problemi.
      Per esempio, e penso al Dragone (il torrente di Atrani), da quando si erano dragati, l’ultima volta i fiumi ? Si era fatta opera di consolidamento dei terreni ritenuti possibili di smottamento ? E così via.
      Nelle tragedie c’è spesso una parte di imprevedibilità, come nei terremoti, ma i Giapponesi stanno usando tecniche per prevenirne gli effetti più deleteri. Una buona amministrazione non può essere ritenuta colpevole di un accadimento imprevedibile (un meteorite, per esempio), ma deve rispondere delle opere che, razionalmente, avrebbe dovuto fare e non ha fatto.
      Premiare, quindi, coloro che amministrano bene, anticipando le tragedie e prevenendole, e colpire coloro che alla notizia di una tragedia si sfreghano le mani contenti, pensando ai soldi che lucreranno.
      Secondo me.
      ps
      sulla conta dei contrari e dei favorevoli sono d’accordo con te, spero di non aver dato l’impressione contraria, perché io sono per riportare il discorso sui fatti, e NON per accentuarne lo scontro politico, ideologico o religioso che sia.

  8. Guido Botteri

    Naturalmente, come ho anche ribadito più volte, nell’ambientalismo c’è di tutto e il contrario di tutto.
    Anche tra gli scettici c’è di tutto e il contrario di tutto, e il confine tra scettici e sostenitori dell’ipotesi AGW è assai più confuso e incerto, di quel che si pensi, come provano vari casi di persone attaccate da una parte e dall’altra, a seconda delle dichiarazioni che mano mano rilasciano.
    La ragione principale di ciò sta, credo, nel fatto che la verità (o anche, se vogliamo, l’opinione che ognuno ne ha) non è mai tagliata con la scure…di qua chi ha ragione, di là chi ha torto.
    Non basta un bit (che può essere solo “zero” o “uno”) per stabilirla, ma essa ha tanti volti, tante sfaccettature, a volte contraddittorie.
    E’ quindi legittimo avere opinioni che non ricalcano perfettamente uno schieramento, qualunque esso sia.
    Ovvero, il mondo non si divide in scettici/catastrofisti.
    ps
    A questo ragionamento, visto che mi trovo, vorrei aggiungere anche una casistica particolare.
    Tempo fa, quando incominciavo ad occuparmi di queste problematiche, notai che spesso le critiche alle tesi catastrofiste venivano da persone che si dichiaravano apertamente sostenitori, solo che dicevano più o meno che era tutto vero (quello che dicevano i sostenitori dell’ipotesi AGW), meno che nel loro campo specifico di conoscenza.
    Solo che, prendendone un altro, e poi un altro, di ricercatori ufficialmente sostenitori dell’ipotesi AGW, questa storia che era tutto vero, meno che nel loro specifico campo di conoscenza, si ripeteva in continuazione.
    E allora, mettendo su un puzzle, a chi dovremmo attribuire ogni tessera ?
    Diciamo che le tessere “calde” siano rosse, e quelle “fredde” blu, e allora, così immaginando il puzzle, ascoltando le testimonianze dei ricercatori vedremmo tanti bei puzzle rossi, con un punto blu nel punto di loro pertinenza, e quindi diverso da ricercatore a ricercatore.
    Se però sovrapponessimo tutte le tessere, dando prevalenza alle competenze specifiche, allora otterremmo un puzzle con tante tante tessere blu…
    Potere dell’autorità, della propaganda mediatica, o di altro ?
    Certo è difficile (e forse pericoloso) remare contro corrente, eh…
    Secondo me.

  9. Guido Botteri

    Dici:
    [ Politiche energetiche sagge (…) si dovrebbero poter fare indipendentemente da come va il clima. ]
    Io, però, ho l’impressione che il clima sia solo una scusa portata avanti proprio per bloccare il progresso.
    L’obiettivo vero NON è la CO2 (che è solo una “conseguenza” di altri obiettivi).
    Secondo me.

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