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Tag: cambiamento climatico

Livello del mare e climate change

Dov’è finito il riscaldamento globale? Nessuno lo sa, almeno per ora. Si dice in fondo al mare, ma non c’è verso di scoprirlo. Si dice offuscato dalla variabilità naturale, ma nessuno è in grado di spiegare dove sia stata fino ad ora. Si dice rallentato a causa di una minore attività solare, ma ancora una volta nessuno spiega perché l’elevata attività solare di qualche decennio fa non potrebbe avere avuto un ruolo importante.

Si dicono un sacco di cose, ma, soprattutto, se ne sussurra una: il riscaldamento globale è fermo, quale ne sia la ragione. Ma, si dice anche, il clima cambia lo stesso, basta guardare altrove. E di altrove ce ne sono a iosa. Ghiacci artici (ma non antartici per carità) e livello dei mari, tanto per fare un paio di esempi.

Ed è proprio sul livello dei mari che si è concentrato uno studio appena pubblicato su Nature Climate Change. Vediamolo.

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Leggi La Stampa che ti passa…la fame!

In realtà quella che viene meno prima è la voglia di leggere. Così La Stampa il 28 febbraio scorso:

Riscaldamento globale diminuirà produzione cereali

Vediamo un po’, pare siano le anticipazioni della seconda tranche del 5° rapporto dell’IPCC. Dopo le basi scientifiche presentate lo scorso autunno è ora la volta degli impatti. Tra questi, in un mondo più caldo (che però non si scalda più ma questa è un’informazione accessoria), spicca la prevista drastica riduzione della produzione cerealicola, cioè dei prodotti alla base della catena alimentare. Il 2% ogni dieci anni, con annessa perdita di 1.450 mld di dollari.

 

Così, sempre La Stampa, il 3 ottobre scorso:

Cereali, sarà un 2013 da recordProduzione al massimo storico

Eh sì, in quello che alla fine abbiamo scoperto essere stato il 4° anno più caldo la produzione cerealicola era in ottobre avviata verso il massimo storico. Se poi ci sia arrivata non lo so, ma di sicuro non è stato un anno di carestia.

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La serie storica di copertura nevosa dell’emisfero nord e il cambiamento climatico brusco del 1987

Giorni orsono Guido Guidi, nel post dedicato all’ottobrata ed al nuovo indice circolatorio OPI, ha segnalato un  sito della Rutgers University dedicato alle coperture nevose. In tale sito, alla pagina, è presente una interessante tabella che riporta i dati mensili di fonte NOAA delle superfici innevate nell’emisfero boreale per il periodo 1966 – 2013 su cui ho mi è parso interessante condurre alcune analisi del tutto preliminari di cui qui sotto riporto i metodi impiegati ed i risultati ottenuti.

 

Anzitutto per ragioni di qualità dei dati (i dati dei primi anni solo parzialmente presenti e con alcuni spikes), ho preferito analizzare i soli dati dal gennaio 1973 al dicembre 2012. Da tali dati mensili ho ricavato gli innevamenti medi annuali espressi in milioni di kmq. Le medie, ad una prima analisi visuale, mostrano la presenza di un evidente discontinuità (alias change point, alias breakpoint), con l’innevamento che cala drasticamente a decorrere da fine anni ’80. Per sostituire all’analisi visiva un criterio più oggettivo ho applicato il test di Bai e Perron presente nel software Strucchange di R Cran e che è deputato all’individuazione di discontinuità singole o multiple. Il test, i cui risultati sono illustrati in figura 1,  individua un’unica discontinuità che con una confidenza del 99% ricade fra l’aprile 1986 ed il settembre 1988 (linea orizzontale rossa) e che ha come momento più probabile di accadimento il marzo 1987. Il livello  di confidenza molto alto (99%) ed il fatto che la banda di confidenza sia così ristretta rendono il test assai probante. Si noti che in virtù del “gradino” del 1987 la nevosità media annua passa dai 25.6 milioni di kmq del periodo gennaio 1973- marzo 1987 ed i 24.7 milioni di kmq del periodo aprile 1987-dicembre 2012.

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Se piove forte non c’è il Sole

Tranquilli, non sono stato troppo tempo sotto al sole, è ovvio che quando la pioggia cade copiosa per vedere il sole bisogna andare sopra le nuvole ma, in effetti, è proprio lì che vorrei andare.

 

Passavo dalle pagine di Tallbloke e ho trovato un articolo che collega gli eventi alluvionali sul nord Italia alle fasi di debole attività solare. Il paper ha questo titolo:

 

Orbital changes, variation in solar activity and increased anthropogenic activities: controls on the Holocene flood frequency in the Lake Ledro area, Northern Italy

 

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La faccia come il…PIL

L’immagine qui sopra viene dal blog di Roger Pielke jr. Rappresenta l’andamento dei danni causati dagli eventi atmosferici estremi in relazione al PIL (Gross Domestic Product). I dati relativi al 2012 non sono ancora consolidati e che si tratta di una analisi a scala globale, vengono da una analisi condotta, referata e pubblicata per conto della Munich Re, la multinazionale delle assicurazioni, e dalle Nazioni Unite. Nel paper in questione gli autori concludono:

 

Sin qui non ci sono prove che il cambiamento climatico abbia fatto aumentare i dati normalizzati relativi ai danni causati dagli eventi estremi.

 

Ne tengano conto i soliti parolai al prossimo temporale forte, ma, procediamo.

 

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Talebani e climate change

Appena qualche giorno fa all’International Donors Conference per l’Afghanistan sono stati stanziati 16 miliardi di dollari fino al 2015. Questo e molto altro l’impegno della comunità internazionale per la popolazione afgana. La notizia è significativa perché testimonia la continuità di un impegno che dura ormai da anni.

Facendo ricorso alla solita googolata non sono riuscito a trovar traccia di questa notizia sui nostri media, forse qualcuno dei lettori saprà far meglio. Curiosamente però, appena qualche giorno fa, la Repubblica riportava una notizia al cui confronto quanto appena detto finisce decisamente in secondo piano.

[info]

Afghanistan: dall’Onu 6 mln per combattere il Climate Change, 11:02

Il Programma ambientale delle Nazioni Unite e il governo afghano hanno lanciato la prima iniziativa nella storia del paese nella lotta contro il cambiamento climatico

(Rinnovabili.it) – L’Afghanistan è uno dei paesi più vulnerabili a livello mondiale per ciò che concerne gli effetti degli impatti dei cambiamenti climatici. Per dare una mano alla nazione e alla lotta che già oggi il territorio afghano si trova a dover intraprendere, le Nazioni Unite hanno deciso di collaborare con il governo per dar vita ad un’iniziativa da 6 milioni di dollari. Il progetto si propone di operare nelle comunità più vulnerabili ‘puntellando’ la capacità delle istituzioni afgane d’affrontare autonomamente i rischi provocati dai cambiamenti del clima. Un’azione necessaria se si considera come si tratti d’un Paese dove le catastrofi e gli eventi meteo estremi – tra cui siccità, tempeste di sabbia, e rigidi inverni – hanno influenzato oltre 6,7 milioni di persone dal 1998. Il Programma Ambientale delle Nazioni Unite (UNEP) collaborerà direttamente con l’Agenzia Nazionale per la protezione dell’ambiente (NEPA) sfruttando i finanziamenti provenienti dal Fondo mondiale per l’ambiente (Global Environmental Facility, GEF) è il meccanismo di finanziamento delle principali convenzioni nel settore ambientale, approvate in occasione del Vertice di Rio. Gli interventi dell’iniziativa si concentreranno sulla gestione delle acque e dei bacini idrografici, sul miglioramento dei sistemi agro-forestali e pastorali, accanto ad una componente di formazione e sensibilizzazione. “Il governo dell’Afghanistan sta mostrando un notevole impegno a lavorare con le comunità per un approccio orizzontale che affronti i cambiamenti climatici nel paese”, ha commentato il Coordinatore delle Nazioni Unite in Afghanistan,Michael Keating, in occasione del lancio dell’iniziativa, che si è tenuto a Bamiyan, 200 km a ovest della capitale, Kabul. “Accogliamo con favore anche la possibilità di aiutare le istituzioni afgane ad affrontare meglio gli shock e i pericoli ambientali, e ad aumentare la resilienza”.

[/info]

Per cui, nell’ordine, registriamo che:

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Unisci i puntini

Importa a qualcuno cosa dice la scienza? E’ questo l’interrogativo che si pone Roger Pielke jr in uno dei suoi ultimi post. A ispirarne la scrittura, un articolo uscito recentemente sul New York Times.

Argomento, l’ennesimo sondaggio d’opinione sul global warming. Ma con quesiti nuovi, essenzialmente volti a ‘saggiare’ la convinzione del pubblico sul collegamento tra l’occorrenza di eventi estremi e le recenti dinamiche del clima. E così, malgrado il consenso del pubblico stia calando – una consapevolezza per ovvie e giustificabili ragioni per lo più disinformata – sale quello dello stesso pubblico circa il fatto che il tempo stia diventando sempre più pazzo perché è impazzito il clima. Lo definiscono “erratic”, la cui traduzione più idonea potrebbe essere “bizzarro”.

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La verità, nient’altro che la verità

Internet 2.0. I social network. Le discussioni incrociate sui blog. Lo scambio delle informazioni. Questi sono i nostri tempi. Tempi in cui quando nevica a Roma il 99% dei romani invece di uscire a godersi la neve corre ad aggiornare la bacheca di Facebook. Per carità, non tutto passa attraverso video e tastiera, siano essi di un PC, di un palmare o di un semplice cellulare. Non tutto ma molto. E la discussione sul clima, naturalmente, non fa eccezione. Anzi, a ben vedere senza l’esplosione della comunicazione globale il dibattito non si sarebbe mai aperto, vista la blindatura che il mainstream scientifico ha costruito sulle riviste scientifiche tradizionali.

I media generalisti, quindi, pur avendo ancora un ruolo primario nella diffusione delle notizie se non vogliono perdere ulteriore terreno non possono esimersi dall’entrare nel merito, ma lo fanno inevitabilmente secondo i canoni appunto tradizionali. Bianco o nero, buoni e cattivi, vero o falso, in una ridda continua di prese di posizione e di supporto alla posizione di quello che hanno compreso essere il mainstream.

Nel frattempo però il dibattito continua, ed ecco che qualcuno si chiede se questa forma di comunicazione, che ha dato la possibilità di rendere pubbliche le macroscopiche incertezze che minano quella che alcuni si ostinano a definire una conoscenza scientifica ‘settled’, non sia in qualche modo scomoda o addirittura dannosa.

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A scuola di pensiero unico

Il prossimo passo saranno le veline, non quelle di striscia la notizia, ma quelle che circolavano nel ventennio, perché a nessuno venisse in mente di avere una propria opinione.

Dal blog di Roger Pielke Sr, una notizia che ha dell’incredibile, ma che ci si ferma un attimo a riflettere, rientra perfettamente nel quadro di una dichiarata necessità di cementare nell’opinione pubblica o in quelli che con essa possono avere a che fare, magari in veste di ‘esperti’, tutti i dogmi del riscaldamento globale, cambiamento climatico, disfacimento climatico di origine antropica. Già, dogmi, proprio quelli che la scienza non è in grado di chiarire, ma di cui non si può fare a meno se si vuol fomentare l’isteria da clima che cambia.

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Dagli al meteorologo!

Cari professionisti della previsione, è giunta l’ora del giudizio. Non già per quello che avete sempre pensato che vi avrebbe portato al pubblico ludibrio, cioè l’ennesima previsione sbagliata, quanto piuttosto per il vostro scetticismo impenitente. Voi disinformati disinformanti, voi specialisti di serie B, voi minus habens, sarete sottoposti alla seguente procedura:

  1. Iniziale accurata selezione attraverso le segnalazioni dei vostri utenti scontenti;
  2. Schedatura;
  3. Corso di indottrinamento intensivo;
  4. Esercizio della professione di fede attraverso accurata diffusione del verbo sui media che occupate in modo tanto immeritato;
  5. Salvezza (forse…e comunque mescolati al popolo bue) grazie all’intervento di color che tutto sanno.

Questa in realtà è la conclusione. Ora la storia.

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