Salta al contenuto

L’impronta idrica: Utilizzo o consumo di acqua? prima parte

I media spesso fanno confusione tra consumo e utilizzo di acqua e tra acqua dolce e acqua potabile. Se durante l’utilizzo il prelievo riguarda acqua potabile che allo scarico diventa acqua non potabile, o peggio acqua inquinata, questo è da considerarsi un consumo di acqua potabile, che però non cambia il ciclo dell’acqua. L’acqua dolce invece, non ha necessariamente le caratteristiche di potabilità, (ad es l’acqua dei fiumi o dei laghi) ma è l’acqua disponibile alle piante e agli animali. Quando viene prelevata e scaricata in mare è da considerarsi un consumo di acqua dolce. Il tipico esempio è il prelievo urbano che è l’azione di milioni di pompe che prelevano l’acqua dolce di falda e la pompano in mare, per dei secoli. Questo potrebbe cambiare il ciclo dell’acqua perchè il prelievo dalle riserve idriche potrebbe essere maggiore del loro ripristino tramite il ciclo dell’acqua. La quota mancante nel bilancio tra prelievo e ripristino la si deve considerare un consumo perché l’acqua da dolce diventa salata, quindi non più disponibile alle piante e agli animali terrestri.

ciclo naturale dell’acqua tra evaporazioni, riflussi e precipitazioni, a questo va aggiunto il consumo dell’uomo, che aumenta il flusso di acqua dolce verso il mare.

Dalla stessa fonte1:

“Solo l’11% delle precipitazioni su terra deriva dall’evaporazione dalla terraferma. La maggior parte viene addotta ai continenti dall’eccesso di vapore acqueo presente sopra gli oceani. La pioggia e le altre precipitazioni cadono irregolarmente dal punto di vista temporale e regionale. Alcune zone della Terra ne ricevono regolarmente enormi quantità nelle zone aride invece non piove praticamente mai.

La quantità di acqua per persona al giorno ripristinabile viene spesso utilizzata come metro per la disponibilità di acqua.
Per la Svizzera questa quantità è di 6520 m3
, per l’Arabia saudita è 160 m3, in generale nei paesi con quantità di acqua ripristinabili inferiori a 1700 m3 vi è già scarsità di acqua. Sotto i 1000 m3 vi è una vera e propria carenza di acqua.
Israele ha a disposizione ogni anno un volume di acqua dolce di 2.2 km3
che significa circa 450 m3 per persona all’anno. Israele ha sviluppato accurati sistemi di irrigazione, la microirrigazione e l’irrigazione a goccioline. Per la produzione di frutta e verdura Israele riutilizza le acque di scarico…. La restante scarsità di acqua viene compensata dall’importazione di generi alimentari: cereali, soia e carne. I prodotti agricoli importati consentono di aumentare il consumo di acqua annuo da 450 m3 a 1080 m3 per persona.
Se ad una falda acquifera o ad un lago viene sottratta più acqua di quanta ne venga ripristinata tramite gli afflussi naturali (pioggia) queste riserve con il tempo si esauriscono.”

In Israele sia i reflui urbani sia i reflui zootecnici sono riutilizzati in agricoltura previa sanificazione con varie tecniche: come fermentazione anaerobica (biogas), fermentazione aerobica (depurazione) e fitodepurazione con alghe dove gli israeliani sono all’avanguardia. Questo permette un uso più sostenibile delle scarse risorse idriche presenti in zona, e un recupero (in % diverse a seconda delle tecniche) dei minerali come azoto fosforo e potassio (N,P,K,), contenuti nei reflui che riduce l’utilizzo di concimi minerali di sintesi.

In agricoltura e in zootecnia, l’acqua dolce è soprattutto utilizzata, non consumata, perchè l’acqua che non resta negli alimenti (che va poi a far parte della nostra dieta), ritorna in falda tramite il drenaggio sotto superficiale dell’acqua di irrigazione o di fertirrigazione con i liquami, oppure evapora e quindi ritorna in breve tempo (24-48 h) nel ciclo dell’acqua. Anzi la maggior parte dell’acqua di irrigazione è acqua superficiale che da fossi, fiumi, laghi, dighe ecc viene pompata sui terreni e che in ultima analisi torna in falda quindi un arricchimento della falda, non un impoverimento. E’ noto ad es il forte calo delle portate dei fiumi cinesi dovuto alle irrigazioni per le risaie, il volume mancante nei fiumi è costituio da acqua che anzichè defluire in mare resta sui terreni, in parte evapora e in parte va ad arrichire la falda tramite il drenaggio.
Gli animalisti della LAV sostengono che l’acqua utilizzata negli allevamenti è comunque un consumo perché da acqua potabile diventa liquame, che contiene molta acqua, ma non potabile. Il ragionamento però non è corretto perché trattasi di acqua disponibile alle piante, che contiene i sali minerali azoto, fosforo, e potassio per nutrire le piante, nello stesso modo in cui l’acqua usata per l’agricoltura scioglie i sali dei concimi minerali di sintesi per renderli assorbibili dalle piante. Allora anche l’acqua di irrigazione dovrebbe essere considerata un consumo perché una volta arricchita di sali di azoto fosforo e potassio non è più potabile, in realtà sia la zootecnia sia l’agricoltura nel lungo periodo, non cambiano il ciclo dell’acqua e nemmeno la profondità e i volumi dell’acqua sotterranea.
Se invece ci si riferisce ai prelievi estivi di acqua per l’irrigazione, questi potrebbero cambiare sia la portata dei fiumi, sia la profondità di falda, ma solo nel ciclo breve stagionale, perché poi l’acqua utilizzata nell’irrigazione torna in generale nei fiumi o nella falda, quindi non si può considerare un consumo.

Questa considerazione non è corretta nelle zone considerate ad alto stress idrico (l’indice è il WSI), come le aree desertiche e semidesertiche del pianeta dove l’acqua evaporata con la traspirazione delle coltivazioni agricole e degli animali zootecnici, non è detto che vada a ripristinare le risorse idriche da dove l’acqua è stata prelevata. Gli esempi più noti delle aree soggette a forti stress idrici dovuto all’uomo, sono il lago d’Aral, il lago Tchad, e il bacino del Giordano.
Altri esempi di consumo di acqua riguardano quelle quote di acqua evaporata a causa dell’irrigazione o traspirata dagli animali che cadono:
– come pioggia sul mare anziché sulla terra
– come pioggia ma che poi che ruscella nei corsi d’acqua superficiali fino giungere al mare senza ripristinare la falda, questo a causa dell’urbanizzazione e dei periodi in cui i terreni agricoli sono nudi cioè senza copertura, e quando i terreni sono molto secchi dove l’accqua scorre anzichè infiltrarsi.

Gli scienziati Bradley G. Ridoutt del CSIRO Australia e Stephan Pfister dell’ ETH di Zurich, in una loro nota pubblicazione2 hanno lanciano l’allarme sul rischio siccità nelle zone ad alto stress idrico invitando i politici ad intervenire per ridurne l’impronta idrica.

Ma cos’è la cosiddetta impronta idrica o water footprint ? Questa è la definizione nel sito della comunità europea alla sezione ambiente:

“L’impronta idrica di una nazione corrisponde al volume totale dell’acqua utilizzata per produrre i beni e i servizi consumati dai suoi abitanti. Poiché non tutti i beni consumati sono prodotti all’interno dei confini nazionali, l’impronta idrica tiene conto sia delle risorse idriche domestiche sia dell’acqua utilizzata in altri paesi.”

In pratica l’impronta idrica è formata da due componenti:

  • l’impronta idrica interna che è la quantità di acqua prelevata necessaria a produrre i beni e servizi prodotti e consumati internamente al paese;
  • l’impronta idrica esterna che deriva dal consumo di merci importate e calcola l’acqua prelevata per la produzione delle merci nel paese esportatore.

Cito sempre dal sito della comunità europea:

  • Com’era prevedibile, nei paesi più caldi dell’Europa meridionale l’impronta idrica pro capite è maggiore che nel più fresco Nord, dato che nella statistica sono comprese tanto l’irrigazione e l’agricoltura quanto l’industria. In cima alla lista spicca la Grecia, che consuma 2.389 m3 d’acqua per abitante l’anno, a fronte dei 684 della Lettonia.
  • Se si escludono l’agricoltura e l’industria, invece, è la Svezia ad avere i consumi più alti (121 m3 per abitante l’anno), mentre i Paesi Bassi sono i più morigerati (28 m3).
  • L’impronta idrica della Cina è pari a 700 m3 per abitante l’anno, ma solo il 7% è riconducibile a beni e servizi prodotti all’estero.
  • Il Giappone, al contrario, con un’impronta globale di 1.150 m3 per persona l’anno, deve il 65% della sua impronta idrica ai beni e ai servizi prodotti all’estero.
  • L’impronta idrica degli USA è pari a 2.500 m3 pro capite l’anno.

Ricordarsi di chiudere un rubinetto è facile. Ma vi siete mai soffermati a pensare a quale volume d’acqua sia necessario per produrre il cibo che mangiate, gli abiti che indossate o l’auto che guidate? La maggior parte dell’acqua che usate rientra in questa “impronta virtuale”.

Per stimare l’impronta idrica viene considerato tutto il volume di acqua dolce prelevata dall’uomo, senza distinzione tra consumo effettivo ed utilizzo, a cui viene aggiunta la quantità di acqua prelevata per la produzione di tutti i prodotti importati, siano essi alimentari o industriali, e anche in questo caso senza alcuna distinzione tra consumo e utilizzo di acqua dolce.
Quindi l’impronta idrica ha poco a che fare con il ciclo dell’acqua, la cui alterazione va stimata dopo aver fatto il bilancio tra prelievo di acqua e il ripristino delle risorse. L’impronta idrica indica il prelievo, non il consumo, perchè non è detto che il prelievo determini un’alterazione nel ciclo dell’acqua dato che comprende l’acqua non consumata ma utilizzata e l’impronta idrica dei prodotti importati magari da distanze di migliaia di Km.

Ad esempio Jeremy Rifkin intervistato sul blog di Beppe Grillo ha detto3:

“E infine, una cosa che tutti dovrebbero discutere col vicino di casa: non abbiamo acqua! Questo le aziende energetiche lo sanno ma la gente no. Prendete la Francia, la quintessenza dell’energia atomica, prodotta per il 70%. Questo e’ quello che la gente non sa: il 40% di tutta l’acqua consumata in Francia lo scorso anno, e’ servita a raffreddare i reattori nucleari. Il 40%.”

Ma raffreddare le centrali termoelettriche non distrugge l’acqua e non ne altera il ciclo. L’acqua dal fiume torna al fiume, e una piccola quota diventa vapore che torna nei fiumi con le piogge, (in generale) quindi è un utilizzo non un consumo. Il problema al limite è la mancanza di acqua nei periodi siccitosi, che si risolve da sempre con le dighe. Io abito di fronte ad una centrale termoelettrica a gas che utilizza l’acqua del Po per il raffreddamento e nelle annate siccitose come nel 2003 per assicurarsi il volume di acqua necessario hanno approntato una di ghetta mobile di massi per rallentare il flusso del fiume. Tra l’altro ci sono impianti di raffreddamento che utilizzano l’acqua marina, il più noto è l’impianto di climatizzazione dell’Opera House di Sydney, ma nessuno si sogna di dire che gli australiani consumano l’acqua di mare. Eppure nel calcolo dell’impronta idrica dei prodotti, la comunità europea conteggia anche l’utilizzo di acqua per raffreddare le centrali termoelettriche, e l’acqua di irrigazione ( anche se di fonti superficiali) cito sempre dalla sezione ambiente:

”[…] Risparmiare acqua non significa soltanto fare attenzione quando beviamo o ci laviamo. Oltre alla rete idrica pubblica, anche l’industria, l’agricoltura e il turismo sono fra i principali consumatori. La quota più alta, tuttavia, se ne va per la produzione di energia, che nell’UE ne assorbe il 44%, contro il 24% dell’agricoltura, il 17% della rete idrica pubblica e il 15% dell’industria […] Il sito Web “Water Footprint”, gestito dall’Università di Twente (Paesi Bassi) e dall’UNESCO-IHE Institute for Water Education, fornisce alcuni dati statistici interessanti:

  • Per produrre 1 kg di carne di manzo servono 15.500 litri d’acqua.
  • Per preparare una tazza di caffé servono 140 litri d’acqua.
  • Per produrre 1 kg di granturco servono 900 litri d’acqua.

Per calcolare la vostra impronta idrica, potete utilizzare il calcolatore on line”

Un altro sito on line per calcolare la propria impronta idrica è quello di H2O Conserve.

In entrambi i casi quello stimato non è il consumo di acqua ma il prelievo, ritengo un errore clamoroso confonderli. L’impronta idrica dei prodotti cioè tutta l’acqua prelevata durante tutte le fasi di produzione, compresa l’acqua prelevata per produrre i prodotti importati necessari alla produzione, come ( cereli e proteici per i prodotti zootecnici) così calcolata non è per nulla indicativa, sarà una convenzione, ma serve solo a fare una confusione tremenda, perché gli stati del nordeuropea potrebbero avere un impronta idrica molto alta senza però intaccare le risorse idriche, e viceversa nel sud europa.

Per tutta la confusione fatta dai media tra consumo e utilizzo di acqua vi rimando alla seconda parte “L’impronta idrica: la confusione dei media” che sarà pubblicata il 4/10/2010, seguirà una terza parte su”Impronta idrica e cambiamenti climatici”

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...Facebooktwitterlinkedinmail
  1. http://www.trinkwasser.ch/italiano/frameset_it.htm?html/weltwasser/weltwas_nutzung_02.htm~mainFrame []
  2. http://pubs.acs.org/doi/abs/10.1021/es101907z
    Bradley G. Ridoutt*(CSIRO), Clayton, Australia Stephan Pfister (ETH Zurich,) Reducing humanity’s water footprint Environ. Sci. Technol., 2010, 44 (16), pp 6019–6021 []
  3. http://www.beppegrillo.it/2008/06/intervista_a_je.html []
Published inAmbienteAttualitàClimatologiaNews

10 Comments

  1. Claudio Costa

    @ Max Pagano

    dimenticavo: certamente se l’acqua di drenaggio trova uno strato impremeabile non raggiungerà mai la falda, ma nemmeno il mare a meno che non sia propio vicino.

    Mi rendo conto che le variabili su questo tema sono tantissime e quindi la semplificazione rischia di non essere corretta, dovessi rifare l’articolo prenderei in analisi molti scenari proprio per non fare confusione, ma nemmeno considerare tutto il prelievo come un consumo

  2. Claudio Costa

    @ Max Pagano

    “non è per nulla detto che trovi la strada libera da orizzonti impermeabili fino a ricaricare la falda da cui è stata effettivamente captata;”

    Se è un prelievo da pozzo dovrebbe tornare nella stessa falda, se è un prelievo da acqua superficiale correlata con la falda sottostante i terreni irrigati, certamente non torna alla falda che alimenta il fiume ( quello avviene per ripristino che non sarebbe comunque alterato) magari nel lungo periodo torna al fiume tramite la falda sotto i terreni ad esso correlata, però l’acqua superficiale sarebbe cmq diretta a mare, invece con l’irrigazione una parte drena in falda una parte di quella evaporata ritorna con la pioggia, mentre un aparte di quella evaporata effettivamente è da considerarsi un consumo.

    Poi ci sono zone dove il prelievo è maggiore del ripristino e quindi si va a creare un depauperamento.(agropontino, ma non è l’unico) In questo momento economico in pianura padana irrigare mais o riso a scorrimento o a sommersione con acqua pompata dalla falda è un costo che non si ripaga, quindi chi non ha l’acqua a disposizione ( il valore dei terreni dipende proprio da contratti di foritura di acqua di irrigazione con i canali)è costretto ad altre colture orzo soia fieno ecc o ad investire in impianti di irrigazione più razionali, sto seguendo due sperimentazioni con la microirrigazione uno con le manichette esterne nel mais ( mah) uno di sub irrigazione nel riso (questo va meglio)
    Su tempo: ho parlato di pompaggio per dei secoli, e di flusso dei fiumi per cicli stagionali, certo si deve comprendere il lungo periodo.

  3. c’è un assunto di fondo nell’articolo non propriamente corretto;

    cito: “….la maggior parte dell’acqua di irrigazione è acqua superficiale che da fossi, fiumi, laghi, dighe ecc viene pompata sui terreni e che in ultima analisi torna in falda quindi un arricchimento della falda, non un impoverimento…..”

    intanto è discutibile il fatto che l’acqua di irrigazione sia acqua solo superficiale di fiumi, fossi e laghi; moltissime zone agricole in Italia sfruttano falde da pozzi, artesiani o meno;

    e se così fosse, come dici, allora non sarebbe vera la seconda parte della tua affermazione, perché se è acqua che viene da fiumi e laghi e dighe, quando si infiltra nei terreni di coltivazione sicuramente non va a rialimentare la stessa falda da cui quei fiumi/laghi/sorgenti si alimentano…. il bacino idrografico e il bacino idrogeologico sono due cose diverse, anche come limiti di permeabilità e differenze tra direzioni di drenaggio….

    inoltre:
    la questione è più complessa, e nell’articolo manca un parametro fondamentale: il tempo, inteso come scala temporale di riferimento;

    visto che tutto il discorso si impernia sulla disponibilità di risorse idriche in funzione di utilizzi (quali che siano) da parte antropica, è bene ricordare che l’acqua di irrigazione, e in generale tutta l’acqua di drenaggio superficiale, al netto dell’evapotraspirazione, e dell’immagazzinamento in piante/frutti ect, è vero si che si ri-infiltra nel terreno, ma:

    1: non è per nulla detto che trovi la strada libera da orizzonti impermeabili fino a ricaricare la falda da cui è stata effettivamente captata;

    2: ammesso che parliamo di acquiferi liberi (non imprigionati), con livello piezometrico a (realisticamente parlando) qualche decine di metri di profondità nel sottosuolo, i tempi di “percorrenza” e di penetrazione dalla superficie alla falda, fatta eccezione per i terreni carsici, sono dell’ordine di 1 metro all’anno nel migliore dei casi;

    quindi, sulla scala della vita media umana, e delle attività connesse, la perdita di acqua captata per l’irrigazione equivale ad una depauperamento della risorsa in falda;

    mi basta ricordare l’esempio della pianura pontina, dove un esagerato e smodato incremento dei pozzi di captazione per l’irrigazione del comparto agricolo della zona (quindi acqua riversata in superficie nel luogo stesso), nel periodo tra gli anni 70 e gli anni 90, ha prodotto un tale abbassamento del livello di falda che in prossimità delle zone costiere ci fu la nota intromissione del cosiddetto cuneo salino nei pozzi…..

  4. Claudio Costa

    @ Pietro

    Innanzitutto la ringrazio della discussione, è la dimostrazione che anche partendo da tesi diverse si possono usare toni pacati. Condivido molto di quello che ha scritto, ma non il fulcro delle sue affermazioni cioè equiparare l’acqua utilizzata per l’irrigazione al prelievo urbano o industriale.
    Il prelievo urbano che è l’azione di milioni di pompe che prelevano l’acqua dolce di falda e la pompano in mare, per dei secoli. Fanno eccezione gli acquedotti che prelevano da fonti superficiali come sorgenti e laghi.
    Questo è consumo, ed equivale al depauperamento delle risorse idrico solo nelle aree ad alto stress idrico (WSI) cioè dove il ripristino è inferiore al prelievo, altrimenti il ripristino prima colma gli ammanchi dei prelievi e instaura di nuovo l’equilibrio idrico il resto defluisce a mare.
    L’acqua di irrigazione invece è divisa a secondo delle fonti in superficiale o sotterranea, la comunità europea cerca di agevolare l’utilizzo di fonti superficiali, che a loro volta si potrebbero dividere in fonti da canali e bacini artificiali, e fonti naturali da bacini idrografici naturali che a differenza dei primi sono collegati con la falda.
    Analizziamo l’acqua di irrigazione, che fine fa?
    – quota derrate quello che resta nelle derrate nutre noi e gli animali zootecnici e poi torna nei fiumi o sui terreni con i liquami
    – quota drenata: torna in falda. E’ una quota alta in caso di irrigazioni a scorrimento e a sommersione che sono comune le più diffuse e quelle che riguardano i volumi maggiori. Caso1 in cui l’acqua provenga da canali artificiali è un’arricchimento di falda, caso2 in cui provenga da fonti naturali è un arricchimento o comunque un ripristino di falda, caso3 in cui l’acqua di irrigazione provenga dal sottosuolo è un ripristino parziale della falda
    – Quota di evaporazione e di traspirazione. Si perde se piove in mare, o se piove molto lontano dal prelievo in un altro bacino o se non piove. E’ invece un ripristino negli altri casi 3 casi. solo parziale nel caso3 perché la pioggia potrebbe scorrere rapidamente in superficie senza ripristinare l’ammanco in falda.

    L’acqua di irrigazione costituisce un depauperamento solo nelle zone ad alto stress idrico dove è alta l’evaporazione e dove non piove.

    “Perciò se abbiamo abbondanza si può fare quello che si vuole, anche l’irrigazione a scorrimento, ma è ovvio in caso di scarsità quali saranno i primi rubinetti ad essere chiusi.”

    Infatti non si coltiva il riso o il mais nelle zone desertiche se non con tecniche di micro o subirrigazione.

    “Intendiamoci, il mio non vuol essere un intervento contro l’agricoltura o in generale contro determinate tecniche di irrigazione, semplicemente penso che, invece di interrogarsi su quali usi dell’acqua sono nobili e quali no, bisognerebbe chiedersi perché in questo paese da anni non si facciano più investimenti nel settore.
    A ogni siccità salta fuori sempre il solito spauracchio dell’effetto serra, si indennizzano gli agricoltori, qualche città del Sud resta senz’acqua e poi tutto come prima; di nuovi invasi, nuovi acquedotti, neanche a parlarne, non si riescono a gestire nemmeno quelli vecchi”

    Questo è un altro discorso che mi trova concorde ma che nulla a che fare con l’esortazione della comunità europea ad EVITARE di consumare la carne per EVITARE il consumo di acqua

  5. Pietro

    Ma il fatto che non ci sia un calo generale dei livelli di falda significa semplicemente che abbiamo un ricarico sufficiente a mantenere un determinato livello. Gli acquiferi in genere non sono strutture chiuse, abbiamo un efflusso che può continuare sottoterra o riemergere in un corso d’acqua. Un prelievo, a prescindere dal tipo di utilizzo, modifica il deflusso naturale. Si preleva acqua da un invaso, dai fiumi o da un acquifero per poi restituirla in genere più a valle, al netto dell’evotraspirazione. Questo è vero sia per i fabbisogni urbani che per l’irrigazione. In genere il tutto avviene nello stesso bacino; diversamente se abbiamo un travaso è chiaro che avremo un bacino che si impoverisce e uno che si arricchisce. Così è banale notare che se si preleva da un fiume o da un invaso e si utilizzano tecniche che richiedono grandi volumi, come l’irrigazione a scorrimento (le risaie erano un esempio) avremo per un tratto del fiume una portata considerevolmente ridotta che però non è detto rimanga tale a valle di queste coltivazioni.
    Analogamente se preleviamo acqua da un fiume per fabbisogni civili a monte di un insediamento urbano gran parte di quest’acqua verrà restituita a valle dal depuratore. I reflui urbani inoltre, adeguatamente trattati, potrebbero essere utilizzati a loro volta per l’irrigazione, magari proprio nelle zone costiere più siccitose.
    Quello che sto cercando di dire è che non riesco a vedere una differenza tra utilizzo e consumo dell’acqua. Sui consumi civili e industriali (a meno che non siano presenti inquinanti non eliminabili) si possono portare considerazioni del tutto similari a quelle sull’irrigazione. Rimane il fatto che, qualsiasi utilizzo o consumo se ne faccia, la perdita per evotraspirazione non è recuperabile. Globalmente è logico pensare che se l’evaporazione aumenta, debbano conseguentemente aumentare le piogge, ma non è così ovvio quello che accade su scala di bacino e dubito fortemente che se ne vada a pari.
    La gestione della risorsa implica una classificazione di quali usi sono prioritari, in alto troveremo sempre i consumi civili, al centro i consumi industriali, mentre l’agricoltura sarà sempre l’ultima ruota del carro. Perciò se abbiamo abbondanza si può fare quello che si vuole, anche l’irrigazione a scorrimento, ma è ovvio in caso di scarsità quali saranno i primi rubinetti ad essere chiusi.
    Intendiamoci, il mio non vuol essere un intervento contro l’agricoltura o in generale contro determinate tecniche di irrigazione, semplicemente penso che, invece di interrogarsi su quali usi dell’acqua sono nobili e quali no, bisognerebbe chiedersi perché in questo paese da anni non si facciano più investimenti nel settore.
    A ogni siccità salta fuori sempre il solito spauracchio dell’effetto serra, si indennizzano gli agricoltori, qualche città del Sud resta senz’acqua e poi tutto come prima; di nuovi invasi, nuovi acquedotti, neanche a parlarne, non si riescono a gestire nemmeno quelli vecchi.

  6. Claudio Costa

    @ Pietro

    se fosse come lei dice l’acqua di irrigazione evapora totalmente o resta nelle derrate, ma forse non considera razionale l’irrigazione a scorrimento ( certo ce ne sono di migliori) ma è la più diffusa per l amaiscoltura specie in nord Italia.

  7. Claudio Costa

    @ Pietro

    il grafico lo può trovare qua http://www.sciencedaily.com/releases/2010/09/100923142503.htm
    vedrà che in europa solo in Spagna vi sono zone con depauperamento delle risorse idriche, è una peer review non è un opinione
    lei dice:

    “L’acqua evaporata è da considerarsi persa allo stesso modo di quella che scarichiamo in mare.”

    ma non è vero , lo è solo nelle zone desertiche e semidertiche, non certo in nord europa o non in nord Italia

    lei dice: “Fatta eccezione per le risaie, l’irrigazione, se fatta in modo razionale, contribuisce in modo blando alla ricarica delle falde”

    Ma non è vero: vale sia per l’irrigazione a sommersione (riso) sia per quella a scorrimento (come il mais), pensi che l’acqua si infiltra già dopo 10 mt se non si riesce a dare spinta all’acqua in fondo al campo non ci arriverebbe mai..del resto basta guardare le pubblicazioni sul trascinamento dei nitrati in falda ( anche quelli da urea sia chiaro) subito dopo le irrigazioni per capire quanta e quale sia la perdita di acqua di irrigazione per drenaggio

  8. Claudio Costa

    @ Pietro

    ma non è che piove solo l’11% di quello evaporato sulla terra, l’11% è quello che proviene dall’evaporazione terrestre sul totale delle piogge in media.
    nelle zone ad alto wsi quello evaporato si perde, perchè va da un altra parte o sul mare e qualcuno ipotizzi che rimanga in atmosfera ma la cosa è controversa, mentre nelle zone a basso wsi l’evaporato ripiove quasi tutto tanto che non c’è depauperamento come vedrà nel grafico della seconda parte

  9. Pietro

    Ancora non capisco perché si debba considerare utilizzo i processi che portano all’evaporazione o alla traspirazione e consumo quelli che comportano lo sversamento in mare. Come è stato fatto notare, solo una minima parte delle precipitazioni sulla terra deriva dall’evaporazione dalla terraferma. Quanto pensate che possa aumentare le precipitazioni in una determinata zona (ma anche a livello globale)l’evotraspirazione dovuta all’irrigazione? L’acqua evaporata è da considerarsi persa allo stesso modo di quella che scarichiamo in mare.
    Fatta eccezione per le risaie, l’irrigazione, se fatta in modo razionale, contribuisce in modo blando alla ricarica delle falde.

  10. Filippo Turturici

    Premetto che non ho nessuna voglia di intervenire sul blog di Grillo od in siti simili (anche perché verrei risucchiato in una discussione troppo violenta ed affollata per essere gestita), comunque come dice bene Costa le centrali nucleari non alterano il ciclo dell’acqua perché:
    – il ciclo dell’acqua nel reattore e quello in turbina sono cicli chiusi, interni alla centrale, dove nulla entra e nulla esce;
    – il ciclo di raffreddamento “esterno” avviene in due maniere:
    1- in presenza di corsi d’acqua con sufficiente portata, prelevando l’acqua dal fiume per poi restituirla in toto: sostanzialmente solo una canalizzazione idraulica, che entra ed esce dallo stesso corso d’acqua (o comunque ne segue le vicessitudini), senza consumo reale;
    2- in assenza di tali corsi, si usano torri di raffreddamento (le più famose sono quelle “iperboliche”) con limitata portata d’acqua, in cui per l’appunto tale acqua può essere dispersa come vapor d’acqua (il tipico pennacchio bianco) ma questo mi pare difficile considerarlo un grande consumo (essendo appunto anche limitato in quantità, oltre che essere all’interno del ciclo dell’acqua).

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Categorie

Termini di utilizzo

Licenza Creative Commons
Climatemonitor di Guido Guidi è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 4.0 Internazionale.
Permessi ulteriori rispetto alle finalità della presente licenza possono essere disponibili presso info@climatemonitor.it.
scrivi a info@climatemonitor.it
Translate »