Salta al contenuto

Perché l’alluvione in Pakistan (e dintorni)?

Un paio di mesi fa, ci siamo già occupati dei rilevanti eventi meteorologici che sono balzati in cronaca durante l’estate scorsa, ad esempio della fenomenale situazione in Russia, e ci siamo chiesti se non stesse capitando qualcosa di definitivo, se non stesse cadendo giù il cielo, se quello non fosse il segno inequivocabile di quello che adesso è definito “global climate disruption“. Questo, infatti, è il nuovo termine col quale i grandi consiglieri di Washington tentano d’impressionare l’opinione pubblica, visto il fallimento di “riscaldamento globale” o “cambiamento climatico”.

Anche la blasonata NOAA, dunque non solo noi da queste pagine, è arrivata alla conclusione che la situazione meteorologica in Russia ha avuto a che fare, solo e semplicemente, con la persistenza, pur lasciando loro la finestra aperta. Sì, la persistenza. In questo caso di una certa configurazione di circolazione atmosferica che, aiutata da una catena di “feedback” locali, ha prodotto un anticiclone stazionario sopra le pianure del Volga.

A scala più piccola, anche l’evento di Giampilieri, di cui cade l’anniversario in questi giorni, era legato alla persistenza di una cellula convettiva sulla medesima e limitata porzione di territorio messinese. Chi fosse interessato a rileggere quella pagina, a rivedere la ripresa del cumulonembo responsabile di quella catastrofe, basta che vada qui.

Oggi ci occupiamo del Pakistan e delle zone circostanti, per cercare di capire le cause che avrebbero portato a quella disastrosa alluvione.

Alcuni “esperti” hanno ben presto trovato il colpevole. Immaginate già quale?

Il capo dell’IPCC, Rajendra Pachauri, avverte che tali eventi diventeranno sempre più comuni; il direttore del WMO (World Meteorological Organization) afferma che non c’è alcun dubbio che il cambiamento climatico stia contribuendo, anzi, esso è “un fattore principale”. La stessa WMO in toto si compiace del fatto che tale sequenza di catastrofi rispecchi le previsioni dei modelli dell’IPCC, per sempre più numerosi ed intensi eventi estremi. Ecco poi che arriva il grande Kevin Trenberth che riafferma che tali eventi sarebbero stati molto improbabili senza il riscaldamento globale.

Che dire? Avete presente gli avvolti che si avventano sulle carogne. Solo che in questo caso si tratta di cadaveri umani.

Peter Webster, del Georgia Institute of Technology, che di alluvioni ne sa qualcosa, essendosene occupato per il Bangladesh, e che non può certo essere annoverato tra gli scettici, dice che le affermazioni di Trenbert sono davvero “frustranti“: attribuire ad ogni catastrofe un contributo dovuto al climate disruption umano, quando altri fattori sono di sicuro preponderanti, non aiuta ad innalzare il livello intellettuale, mancando anche di rigore scientifico e statistico. Più chiaro di così?

Judith Curry, collega di Webster e autrice del nuovo blog già di gran successo Climate Etc, spiega che tale esercizio predatorio (l’aggettivo è mio) serve solo a distogliere risorse intellettuali ed economiche dall’affrontare i veri problemi alla radice, problemi che possono benissimo essere mitigati da subito con le conoscenze ed i mezzi attuali.

Chi si ricorda dell’alluvione del Piemonte del ’94? Della piena del Tanaro che, transitata da Alba, arrivò ad Alessandria dopo alcune ore senza che nessuno si fosse preoccupato di avvisare la popolazione del rischio imminente. Di questo si lamentano Curry e Webster nel caso del Pakistan: poiché i modelli, in questo caso l’IFS dell’ECMWF, avevano dato un certo preavviso delle forti precipitazioni in arrivo, la piena che sarebbe corsa giù verso la pianura poteva essere affrontata diversamente.

I due scienziati americani vanno avanti nell’esaminare le cause dell’alluvione, al di là delle precipitazioni intense, e portano molti riferimenti sulla cattiva gestione del bacino del fiume Indo, del suo progressivo innalzamento del letto dovuto all’eccessivo sfruttamento delle sue acque, che ormai non riesce a portare i sedimenti al Mar Arabico (purtroppo non riesco più a trovare la fonte di quest’ultima affermazione).

Ancora Webster ci avverte che, probabilmente, dalle sue prime informazioni, le precipitazioni avvenute a luglio sulle montagne del nord del Pakistan e dell’India, per quanto davvero intense, non pare siano state superiori ad altri eventi storici. Promette che ci tornerà più avanti con un altro intervento sull’argomento. Quel che appare certo da quello che leggo è che la pressione demografica lungo le rive dell’Indo ha determinato il motivo principale del disastro.

Torniamo, adesso, ad occuparci dell’aspetto meteorologico dell’alluvione.

Coinvolto dal lavoro di un collega, vediamo se c’è un legame tra il caldo in Russia e l’esondazione del fiume Indo. Per far ciò, vi presento la mappa dell’anomalia dell’altezza del geopotenziale alla superficie isobarica di 500 hPa.

click per immagine grande

Questa figura ci mostra se durante l’estate del 2010 ci siano state zone in cui ha prevalso in maniera anomala un’espansione anticiclonica (alta pressione) o una ciclonica (bassa pressione). Se cominciamo il nostro viaggio lungo l’emisfero dall’Alaska, lì la pressione in quota è stata un po’ più bassa del normale ma è stata più alta sul Pacifico orientale (prima onda di bassa-alta pressione); di nuovo più bassa sul Nord America occidentale e più alta sugli Stati Uniti orientali (seconda onda); relativamente più bassa sull’Atlantico americano e più alta sul settore europeo. L’Europa occidentale ha avuto pressioni inferiori, mentre la Russia spicca per gli alti valori; sottovento a quel blocco, ecco che troviamo una zona di relativa bassa sulle montagne dall’Afghanistan al Tibet. Complessivamente si contano 5 onde di anomalia nella circolazione emisferica. Da notare che, per mettere in risalto il segnale, ho posto il colore bianco (segnale neutro) a +10 decametri, per tenere conto del fatto che il riscaldamento dovuto ad El Nino aveva reso il geopotenziale di fondo più alto dell’usuale.

Abbiamo quindi trovato un primo elemento importante: il blocco della circolazione nella media-alta troposfera ha favorito pressioni più basse sul quelle zone dell’Asia. Si nota anche che il vortice polare era spostato verso le coste della Siberia e più lontano dall’arcipelago canadese e dalla Groenlandia; non so se questo ha avuto una qualche influenza diretta sul Pakistan, o magari sulla Russia, o è solo da considerare come un altro elemento che ha favorito il blocco della circolazione emisferica o viceversa, il tutto è troppo concatenato. Un’altra forzante presente all’inizio dell’estate è stata, di sicuro, il forte riscaldamento troposferico dovuto al culmine della fase negativa (El Niño) di ENSO (El Niño Southern Oscillation).

Ma che cosa succede durante l’estate?

Succede che da una condizione di moderato El Niño, si passa bruscamente ad una fase positiva di ENSO, La Niña, come ci spiega Madhav Khandekar (questo sì incluso nella lista di proscrizione riservata ai “negazionisti”).

Ma perché il passaggio repentino a condizioni di La Niña, che già normalmente porta più pioggia in Asia, è stato favorevole alle alluvioni in Pakistan e in tante altre zone montuose di Cina ed India?

Il 2010 vede, come dicevamo, l’affermazione della fase calda (o negativa) sul Pacifico, che influenza l’intera troposfera tropicale (e oltre), col suo carico di energia ed umidità. Se repentinamente, nel caos tipico dell’atmosfera, gli alisei cominciano a spirare in maniera troppo sostenuta, tutta l’energia da essi trasportati andrà a scaricarsi in maniera ancora maggiore verso occidente, oltre che sulla solita Indonesia. La coincidenza tra inizio e rafforzamento della Niña con la stagione estiva sull’emisfero settentrionale (quella che normalmente vede la fase umida del monsone sull’Asia), associata, però, ancora col riscaldamento troposferico in seguito a El Niño appena conclusosi, la presenza di geopotenziali sull’area montuosa dell’Afghanistan relativamente più bassi, hanno tutti concorso al trasporto dell’eccesso di aria umida verso la parte occidentale del sub-continente indiano. Questo risulta ancora più vero se si considera che dalle parti del Bangladesh, sul versante orientale, è piovuto un po’ meno.

C’è anche un terzo elemento da considerare.

In situazioni con ENSO normale o negativo (El Niño), il surplus energetico del Pacifico tropicale si scarica anche attraverso un’accentuata attività dei cicloni tropicali (i tifoni, come li chiamano da quelle parti). Il ciclone tropicale è una formidabile macchina termica che utilizza immense quantità di energia oceanica, dissipandola in metri e metri di pioggia, e che raffredda sensibilmente l’oceano. Nei periodi normali, e ancor di più con El Niño, l’attività ciclonica si manifesta essenzialmente sopra l’oceano stesso, dove non può far molto danno ai pesci, se non quando giunge sulla terraferma che ne limita immediatamente l’intensità (isole e arcipelaghi esclusi). Quest’anno, all’inizio di ottobre, l’attività ciclonica del Pacifico nord-occidentale è ai suoi minimi, pari a solo il 24% del normale, così come riporta l’ottimo sito di Ryan Maue. Non stupisca il fatto che, con il Pacifico così quieto, anche l’attività di tutto il globo sia ai suoi minimi negli ultimi 30 anni, da quando esistono rilevazioni accurate a livello planetario. Chissà com’è che questa storia non arriva fino ai media principali? E’ vero che ci sono state tante sciagure nell’Asia centrale, ma la mancata attività ciclonica sta probabilmente portando, in media, immensi vantaggi in altre zone. Però, silenzio assoluto!

Ecco dunque che i tre elementi principali che hanno portato all’esondazione dell’Indo sono stati trovati: il blocco della circolazione in quota con la sua distribuzione di anomalie di pressione, il repentino passaggio da fase negativa a fase positiva di ENSO e la soppressione dell’attività ciclonica nel Pacifico, intimamente legata ad ENSO.

Ed il climate disruption pro(in)vocato dall’uomo?

Quello lo lasciamo ai profeti di sventura, agli avvoltoi che, giocando coi loro computer, forse prima o poi riusciranno a dimostrare che un flusso che si mantiene stazionario nel tempo o una singola cellula temporalesca stazionaria sono anch’essi frutto della maggiore concentrazione di CO2.

Un’ultima annotazione politica.

Tali sciagure meteorologiche, sempre avvenute, che sempre avverranno, ma che potremo sempre mitigare meglio negli effetti solo volendolo, sono usate da chi vuole colpire a sproposito un certo stile di vita, tipico della nostra civiltà: ad esempio la responsabile dell’organismo delle Nazioni Unite per i cambiamenti climatici, o chi magari ha un dentino avvelenatopeggio ancora.

PS: Assolutamente da non perdere il video della colata di detriti ad Hunza, in Pakistan.

================================

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...Facebooktwitterlinkedinmail
Published inAttualitàMeteorologiaNews

3 Comments

  1. luigi mariani

    Paolo,
    complimenti per l’analisi svolta.
    Aggiungo una breve riflessione su un interessante precursore storico delle politiche di adattamento di cui tanto si parla oggi e che si ricollega in qualche modo alle considerazioni di Peter Webster, da te citate.
    Dopo la dust bowl degli anni 30, la peggiore siccità del 20° secolo negli USA (it.wikipedia.org/wiki/Dust_Bowl) il Presidente Franklin Delano Roosevelt impostò una politica basata fra l’altro su:
    – gestione delle risorse idriche (grandi opere di regimazione dei maggiori fiumi del Paese)
    – pratiche agricole volte a evitare l’erosione dei suoli agricoli.

    Questa politica si chiamò New Deal e fece uscire gli Usa da una profonda crisi economica iniziata nel 1929, preparandola allo sforzo bellico della seconda guerra mondiale, sforzo senza il quale oggi qui da noi si parlerebbe tedesco…

    Se un fatto del genere della dust bowl si ripetesse oggi mi domando quali sarebbero le politiche degli Usa. Il timore fondato è che il pragmatismo del democratico Roosevelt sarebbe sostituito da
    – litanie a non finire sulle responsabilità delle società occidentali
    – nulla sul piano concreto tranne drastici interventi di riduzione delle emissioni di CO2 in Europa e Usa (così imparano a provocar disastri).

  2. Francesco Salvadorini

    “Piogge e temporali, divenuti ormai più frequenti ed estremi a causa del riscaldamento globale, hanno aumentato in modo impressionante il flusso di acqua negli oceani.


    Monsoni e uragani si sono manifestati in diverse aree con una forza inedita e devastante. Le violente piogge monsoniche che si sono abbattute in estate sul Pakistan, dove peraltro a maggio sono stati raggiunti 53,3° C, la più alta temperatura mai registrata in Asia…”

    Se volete continuare con le inconfutabili tesi evidenziate, su
    http://www3.lastampa.it/ambiente/sezioni/ambiente/articolo/lstp/352742/
    potete proseguire, a ridere.
    Ma … un momento, alla fine dell’articolo, dopo un’ecatombe platenaria alla porte già data per sicura… cosa leggo?
    “Riguardo allo studio presentato si è però voluto anche puntualizzare che l’intervallo di tempo considerato [1994-2006] è relativamente breve e che occorreranno ulteriori approfondimenti e studi su un più lungo periodo per verificare il trend evidenziato.”
    Quindi non era vero niente?!? Sospiro di sollievo, pericolo scampato, per chi non è deceduto prima della fine del pezzo.
    Cordiali Saluti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Categorie

Termini di utilizzo

Licenza Creative Commons
Climatemonitor di Guido Guidi è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 4.0 Internazionale.
Permessi ulteriori rispetto alle finalità della presente licenza possono essere disponibili presso info@climatemonitor.it.
scrivi a info@climatemonitor.it
Translate »