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Le due sponde dell’Atlantico litigano sul Pacifico

[photopress:pacific_dec88__cold_phase.gif,thumb,alignleft]Durante i primi mesi della primavera, quando hanno cominciato a circolare le prime notizie sull’evoluzione della stagione estiva, il dato più significativo sembrava essere l’assenza di segnali di tendenza ben definiti sul comportamento degli indici climatici più significativi. Tra tutti il più importante l’ENSO (El Niño Southern Oscillation), che presentava condizioni di assoluta neutralità.

Nei primi giorni del mese di giugno la NOAA (National Oceanic Atmospheric Administration) ha emesso una previsione di transizione da una fase neutra, come quella appena descritta, ad una fase di anomalia negativa delle temperature di superficie dell’Oceano Pacifico orientale, cui si collegherebbe una stagione degli uragani particolarmente difficile per l’Atlantico settentrionale. Nelle loro previsioni potrebbero svilupparsi un minimo di 13 ed un massimo di 17 perturbazioni tropicali con la potenzialità di assumere i tratti caratteristici della tempesta tropicale o dell’uragano. Di lì a pochi giorni il servizio meteorologico inglese ha smorzato i toni della previsione abbassando il range di possibili tempeste atlantiche ad un minimo di 7 ed un massimo di 10, limitando però la previsione al settore settentrionale dell’Oceano Atlantico.

Leggendo la documentazione a supporto della previsione scopriamo che sulla sponda americana è stato dato maggiore risalto alla possibile diminuzione delle temperature di superficie del Pacifico orientale, mentre una previsione di abbassamento delle temperature di superficie dell’oceano Atlantico settentrionale sarebbe alla base della più ottimistica previsione inglese.

Cerchiamo di capire innanzi tutto cos’è l’ENSO e perché risulta essere così importante per il sistema clima. L’origine etimologica di questi eventi risale all’esperienza delle popolazioni costiere dell’America Latina che riscontrando un aumento di temperatura dell’acqua ed una forte diminuzione della pescosità dell’oceano durante il mese di dicembre, avevano associato queste variazioni apparentemente cicliche al periodo natalizio, ossia all’avvento del “bambinello”, appunto “El Niño”. Per converso, una diminuzione della tempertaura di superficie prendeva il nome La Niña.

Due eventi climatici con caratteristiche opposte, che prendono origine dalle variazioni di pressione atmosferica, temperatura e soprattutto temperatura di superficie dell’Oceano Pacifico Intertropicale, ovvero di parte del più grande specchio d’acqua della terra, esteso dalle coste dell’America del Sud alle coste dell’Australia e dell’Indonesia. Queste variazioni rappresentano nel loro complesso un eccellente esempio di interazione tra gli oceani e l’atmosfera, i cui effetti sono determinanti per clima.

In condizioni normali, la pressione atmosferica è bassa sulle coste dell’Indonesia e alta sulle coste del Cile e del Perù. Si innesca un movimento d’aria da est verso ovest che si concretizza negli Alisei o Trade winds, i venti permanenti tipici delle fasce tropicali. Questa ventilazione alimenta anche le correnti oceaniche di superficie, accumulando acqua con temperatura più elevata sul Pacifico occidentale e più bassa sul Pacifico orientale. Una prima e apparentemente incredibile conseguenza di questa circolazione la troviamo nel livello delle acque, che, a causa dell’espansione termica, è di alcune decine di centimetri più alto sulle coste dell’Indonesia rispetto alle coste dell’America del sud.

Ma un’altra importantissima conseguenza è il cosiddetto fenomeno di “upwelling”, ovvero la risalita di acque profonde e fredde verso la superficie sulle coste del Perù che sono particolarmente ricche di pesce proprio per questo continuo rinnovo di sostanze nutritive.

[photopress:pacific_jan83_warm_phase.gif,thumb,alignleft]Quando la differenza di pressione atmosferica tende a diminuire i venti Alisei si attenuano o addirittura cessano di soffiare, per cui si verifica un accumulo di acqua più calda in superficie sul pacifico centro orientale; questo riscaldamento è definito come El Niño, mentre la fase opposta, è definita come La Niña. Sono eventi che possono persistere rispettivamente per 9-12 mesi nella fase calda e per 1-3 anni nella fase fredda, e si ripetono ciclicamente, ma non regolarmente, con una cadenza che varia dai 2 ai 7 anni.

L’impatto ambientale, sociale ed economico di queste variazioni è enorme. Nella fase calda -l’ultima ed anche la più intensa mai misurata è stata nel 1997/98-, si riscontra un forte aumento di precipitazioni alluvionali sulle coste dell’America del Sud in contrapposizione ad una forte siccità in Australia ed in Indonesia. Per cui oltre al verificarsi di eventi meteorologici estremi si aggiungono gravi conseguenze ambientali e sociali, per l’esplodere di epidemie, carestie e incendi in zone del pianeta che sono già a rischio per scarso sviluppo.

L’occorrenza e l’intensità dei Cicloni Tropicali risente dell’alternanza di fasi fredde e calde. In aumento in Atlantico nella prima e nel Pacifico nella seconda. Queste correlazioni, che nel gergo tecnico sono definite teleconnessioni sono alla base della previsione della NOAA sulla prossima stagione degli uragani. Al riguardo è bene ricordare che anche lo scorso anno si attendeva una stagione degli uragani particolarmente violenta, in concomitanza con la comparsa della Nina. Tuttavia una rapida transizione dapprima verso una fase calda e poi verso condizioni di neutralità verso la fine dell’estate, ha inibito lo sviluppo di tempeste importanti e mantenuto quindi la stagione degli uragani su condizioni sotto la norma. Questo ha indubbiamente fatto saltare il banco della previsione ma ha anche confermato la validità della teleconnessione, per cui se dovesse confermarsi l’arrivo di una fase fredda nei prossimi 1-3 mesi, si dovrà probabilmente fronteggiare una stagione degli uragani particolarmente incisiva.

Attualmente vengono impiegate molte risorse per migliorare la predicibilità del verificarsi di fasi fredde e fasi calde in quanto le implicazioni positive della previsione di eventi atmosferici estremi quali le alluvioni e le siccità sono facilmente immaginabili. C’è da valutare un ulteriore elemento di indeterminazione in grado di rallentare il miglioramento delle capacità di previsione, ossia l’impatto del processo di aumento della temperatura media globale sulla ciclicità ed intensità delle variazioni climatiche su larga scala. Meriterebbe un approfondimento l’esatto contrario, ossia l’influenza di queste variazioni sul comportamento della temperatura del pianeta, ma ci riserviamo di farlo in un’altra occasione.

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Published inAttualitàClimatologia

4 Comments

  1. […] in effetti giunta forse troppo tardi. Alcuni mesi fa abbiamo accennato a questa teleconnessione in questo post, uno dei pochi in cui abbiamo cercato di parlare contemporaneamente del tempo atmosferico e del […]

  2. simone

    Ottima spiegazione. C’è da considerare che statisticamente anche le annate con enso neutro hanno avuto delle sfuriate tropicali intense in atlantico,l’esempio migliore riguarda proprio il 2005.Cordiali saluti

  3. Sandro

    Grazie. Ottimo articolo !

  4. Davide Depaoli

    molto interessante articolo fatto benissimo

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