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I soldini dell’AGW

Nell’ambito del dibattito sul clima capita sovente di far riferimento al mainstream scientifico, ovvero alla porzione maggioritaria di ambienti di ricerca che si dicono concordi nell’attribuire quasi interamente la responsabilità delle recenti evoluzioni del clima alle attività antropiche.

Si parla perciò di flusso principale, come quello di un corso d’acqua in cui arrivano più affluenti ma che trasporta il grosso delle acque in una sola direzione. Appunto un flusso, come quello del denaro.

Una delle argomentazione più classiche – e anche più antipatiche- di coloro che aderiscono al mainstream contro chi invece se ne discosta è quella che vedrebbe idee difformi dall’ipotesi AGW sostanzialmente sostenute dai giochi di potere delle multinazionali del petrolio e dell’energia, che si darebbero da fare per sovvenzionare quanti sono disposti ad evitar loro di dover fronteggiare quanto sarebbe necessario per limitare l’impatto delle azioni umane. In una parola corruzione, o, quantomeno, malversazione, che non è meglio. L’argomento è già stato chiarito molte volte. Qualcosa del genere è accaduto, in effetti, ma poi le stesse multinazionali hanno preferito darsi una bella verniciata di verde e passare a sfruttare l’onda dell’AGW piuttosto che provare a contrastarne la percezione nel comune sentire. L’esempio più lampante è se volte il cambiamento di nome della British Petroleum in Beyond Petroleum, ma di esempi se ne potrebbero fare a dozzine, anche in casa nostra.

Chi non ha mai sentito parlare di questo? E’ capitato a tutti quelli che non sono proprio convinti della validità dell’ipotesi AGW di essere accusati di curare interessi diversi da quelli della conoscenza scientifica o della sola corretta divulgazione, dal grande scienziato al semplice blogger, passando per tutto quello che c’è in mezzo.

Ecco, a questo link, trovate un’accurata analisi della quantità enorme di fondi che l’amministrazione americana destina al mainstream scientifico, oltre 2 miliardi di dollari all’anno. Come si può leggere nell’articolo, non necessariamente si tratta di spese destinate alla sola ricerca sui cambiamenti climatici o sulla loro origine, ma è un fatto che molte assegnazioni sono decisamente esplicite, inclusa una somma se volete risibile rispetto al totale ma comunque interessante di 10mln di dollari per “Educare le future generazioni al clima che cambia”. Attenzione, nel computo non è assolutamente considerato tutto l’eventuale indotto, altro business colossale, rappresentato ad esempio dall’impiego di fondi per l’incentivazione delle risorse energetiche rinnovabili o da quella miriade di attività che hanno qualcosa a che fare con l’ambiente, e che dello stesso si sono letteralmente dimenticate in favore di un ben più redditizio impegno sulle questioni climatiche. Fatte le dovute proporzioni non c’è ragione di credere che in altri paesi, compreso il nostro, le cose possano funzionare diversamente. Magari, piuttosto, potrebbe essere difficile ottenere informazioni altrettanto esplicite.

Certamente, si parla di climate change research in senso generale, non è detto che sia tutto mainstream, ma data la schiacciante superiorità del numero di pubblicazioni che vanno ad investigare l’impatto delle attività antropiche sul clima rispetto a quelle che ne studiano la variabilità naturale, sorge il dubbio che possa esserci un po’ di condizionamento al momento di scegliere su cosa concentrare la propria attività di ricerca.

Fatevi due conti. Il prossimo che tira fuori la storia delle big oil deve diventare rosso dalla vergogna perché questi sono numeri. Ah già, non conta, quelli bravi coi numeri ci fanno quello che gli pare, che si tratti di temperature o moneta sonante non fa differenza.

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Published inAttualitàNews

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